Anziano saharawi; |
«In questa
intemperie rimaniamo
noi, quelli di
sempre,
quelli che lottano
con i loro corpi nudi,
contro i lacerati
denti del tempo che ci corrodono.
Quelli che
soffocarono i loro cuori feriti
e legarono le
proprie mani
al volo bianco
delle colombe.
Quelli che
muoiono, nascono, sognano
e soprattutto,
sperano di strappare
dalle ceneri l’ identità
di un cuore in
fiamme.»
poesia saharawi;
Da
ormai lungo tempo i mezzi di comunicazione di massa usano abitualmente tre vocaboli
semplici ma dal significato estremamente potente, che noi purtroppo diamo per
scontati, ossia patria, popolo e nazione. L’ uomo è notoriamente un animale
sociale e territoriale, e molte delle guerre che ha combattuto nei secoli hanno
avuto in tutta evidenza il movente patriottico e nazionalista, se non più
strettamente territoriale, mosso dalla difesa o dall’ ampliamento dello spazio
vitale.
Ma
quale rapporto sussiste esattamente tra queste tre parole? Papa Giovanni Paolo
II, cresciuto tra le due guerre mondiali in Polonia, che vide recuperare la
propria indipendenza per poi crollare sotto i colpi del Terzo Reich e dell’
Unione Sovietica, così si espresse in proposito:
«L’ espressione ‘patria’ si collega con il
concetto e con la realtà di ‘padre’. La patria in un certo senso si identifica
con il patrimonio, cioè con l’ insieme di beni che abbiamo ricevuto in retaggio
dai nostri padri. La patria è l’ eredità e allo stesso tempo la situazione
patrimoniale derivante da tale eredità; ciò riguarda anche la terra, il
territorio. Ma più ancora il concetto di patria coinvolge i valori e i
contenuti spirituali che compongono la cultura di una data nazione. Persino
quando i polacchi furono privati del territorio e la nazione fu smantellata non
venne meno in loro il senso del patrimonio spirituale, della cultura ricevuta
dagli avi. Nel concetto stesso di patria è contenuto un profondo legame tra l’
aspetto spirituale e quello materiale, tra la cultura e il territorio.».
Nella
storia dell’ umanità hanno avuto luogo una lunga serie di profonde ingiustizie,
verificatesi specialmente a danno dei più deboli: guerre di conquista, razzie,
stragi, genocidi e pulizie etniche. Ma vi è un’ ingiustizia particolarmente
penosa su cui non si discute mai abbastanza, soprattutto per motivi politici e
diplomatici a beneficio delle potenze dominanti, ossia il dramma dei popoli
oppressi nella propria terra d’ origine o addirittura costretti all’ esilio.
Popoli autonomi e indipendenti sotto tutti gli aspetti, sia culturali che
politici, ma costretti a vivere in casa propria come sudditi di qualcun altro,
e spesso in condizioni sfavorevoli, come minoranze soggette alle superiori
esigenze della maggioranza.
Per
anni, dopo una lunga propaganda letteraria e cinematografica alquanto equivoca,
si è molto parlato del massacro dei pellerossa per mano dei colonizzatori europei
prima e del neonato governo statunitense poi, piuttosto che dell’ oppressione e
dei massicci esodi in terra straniera a causa delle politiche del governo di
Pechino a danno delle popolazioni della Mongolia Interna, del Turkestan
Orientale e del Tibet in risposta al crescente potere economico e finanziario
della Repubblica Popolare Cinese nel mondo, o dell’ etnia karen in Birmania, spesso
in conflitto con il governo centrale a causa della negata indipendenza e della
conseguente brutalizzazione a suo carico. Nondimeno esiste un altro antico e
suggestivo popolo che da ben quarant’ anni affronta quotidianamente gravissime
difficoltà in continuo peggioramento, ma di cui si tace opportunamente a
beneficio di un avido e spietato interesse politico e diplomatico: i saharawi, ossia
«sahariani» in arabo, tradizionalmente dimoranti nelle zone del Sahara
Occidentale, dotato di notevoli risorse minerarie, principalmente fosfati, e di
uno strategico sbocco sul mare che lo hanno reso a lungo obiettivo di alcuni
importanti Paesi. Impegnati già durante gli Anni Trenta nella lotta per la
propria indipendenza, essi attualmente vivono senza terra, in un penoso esilio.
Il Sahara Occidentale; |
Il
popolo saharawi discende dalla mescolanza tra tribù nomadi berbere con i
Maquil, stirpe araba e yemenita, stabilitesi tra il VII e il XIII secolo.
Durante i secoli le quaranta tribù si riunirono in una sorta di lega retta dal Consiglio
dei quaranta, che riuniva i capitribù allo scopo di prendere collegialmente
decisioni che riguardavano gli interessi della comunità. Parlanti l’
hassāniyya, particolare dialetto molto vicino all’ arabo classico, e praticanti
il sunnismo, la corrente maggioritaria dell’ Islam, per secoli i saharawi praticarono
il nomadismo tra il Sahara e l’ Atlantico, spostandosi seguendo la pioggia,
particolare tendenza che valse loro il soprannome di «Figli delle nuvole».
Alla
fine del Quattrocento, gli spagnoli raggiunsero la costa atlantica del Sahara, di
cui ottennero la sovranità nel 1885 con la Conferenza di Berlino, occupandosene
con crescente interesse a partire dagli inizi del Novecento, a seguito dell’ avanzata
francese in Algeria, Mauritania e Marocco. A seguito di tre importanti
congressi diplomatici tenutisi a Parigi e Madrid tra il 1900 e il 1912, i
confini del Sahara spagnolo vennero attentamente delimitati, e fatti rispettare
dai francesi in assenza di un apposito presidio di frontiera spagnolo.
Nel
1934 il governatorato iberico attribuì ai saharawi, ormai largamente
sedentarizzati e urbanizzati, ma sempre assai legati alle proprie tradizioni,
uno stato civile e un documento di identità con l’ introduzione di un visto
obbligatorio per la transumanza in territori francesi, consolidandone nel tempo
l’ autoidentificazione e il sentimento della propria appartenenza al Sahara
Occidentale, particolari elementi che portarono alla formazione di un movimento
di resistenza contro lo sfruttamento e i soprusi coloniali, che dopo la Seconda
Guerra Mondiale guardò con speranza verso il Marocco, che rivendicava la propria
indipendenza, tanto che tra il 1956 e il 1958 molti saharawi si arruolarono
nell’ Armée de la Liberation, operante nel Marocco meridionale.
Donne saharawi; |
Nel
1960, 1’ Assemblea generale delle Nazioni Unite riconobbe il diritto dei popoli
all’ autodeterminazione, e a partire dal 1963 il Sahara Spagnolo venne inserito
nella lista dei territori cui tale principio doveva essere applicato. Il primo
nucleo nazionalista si creò attorno al giornalista Mohamed Bassiri, influenzato
dalla visione di Gandhi, e nel 1967 si costituì il Movimento di Liberazione del
Sahara, che tre anni dopo, uscito dalla clandestinità, divenne oggetto di una
durissima repressione con morti e centinaia di arresti tra cui lo stesso
Bassiri. Sotto gli auspici delle Nazioni Unite, una risoluzione del 1972 incluse
per la prima volta anche il diritto all’ indipendenza. Nel maggio del 1973, un modesto
gruppo di nazionalisti saharawi costituì il Fronte Polisario, il cui nome intendeva
solo esprimere un’ opposizione al colonialismo, un «fare fronte», scegliendo le
armi come strumento di lotta, individuando l’ indipendenza come obiettivo
fondamentale, mentre la lotta armata, insieme al lavoro politico tra le masse,
sarebbe rimasta lo strumento principale, rifiutando fermamente il terrorismo in
modo da combattere a volto scoperto, guadagnandosi una certa reputazione di moralità
e coscienza civile.
Nell’
agosto 1974 il governo spagnolo informò il Segretario generale delle Nazioni
Unite dell’ intenzione di indire un referendum entro i primi sei mesi dell’ anno
successivo, e in autunno procedette al primo censimento della popolazione:
entrambe le iniziative trovarono ampio consenso presso l’ organizzazione
intergovernativa. Tuttavia, Hasan II, re del Marocco, reagì aspramente vedendo
vanificati i propri disegni di estensione della sua sovranità anche sul Sahara:
volendo frenare qualsivoglia iniziativa di indipendenza saharawi annunciò una
marcia popolare di occupazione pacifica, la Marcia Verde, dai
trecentocinquantamila marciatori reclutati in tutto il Paese, dotati di una
copia del Corano e bandierine verdi, colore dell’ Islam, che in pratica attuarono
una vera invasione nel territorio saharawi forti di svariati reparti di polizia
e drappelli militari. Tra Spagna, Marocco e Mauritania venne quindi stretto un
accordo in base al quale Madrid si ritirò dietro una sostanziosa indennità cedendo
la colonia a Rabat e Nouakchott: Marocco e Mauritania si presero rispettivamente
il settentrione e il meridione del Sahara Occidentale.
La
situazione degenerò drammaticamente per i saharawi, al punto che la priorità
del Fronte Polisario divenne la protezione della popolazione civile, inerme agli
attacchi dell’ esercito marocchino che in più occasioni compì intensi bombardamenti
e brutali violenze, al punto che ben duecentocinquantamila saharawi attraversarono
il deserto fino al confine algerino, dove, nei pressi di Tindouf, vennero accolti
in una prima tendopoli.
Il
27 febbraio 1976 il Fronte Polisario proclamò l’ indipendenza e la nascita
della Repubblica Araba Democratica dei Saharawi, Stato solo parzialmente
riconosciuto sul piano internazionale, ma fermamente deciso a ottenere una
piena sovranità e un completo riconoscimento da parte degli altri Paesi. La
Mauritania ratificò nel 1979 un accordo di pace con le autorità del neonato
Stato, ma il Marocco raddoppiò lo sforzo bellico per occupare l’ intero
territorio del Sahara Occidentale. Negli anni successivi ottantadue Stati aderenti
alle Nazioni Unite riconobbero la Repubblica dei saharawi, ma alcuni di essi in
seguito ritirarono il proprio riconoscimento diplomatico: attualmente è
riconosciuta da settantaquattro nazioni. Nei primi Anni Ottanta, il Fronte
Polisario si rivolse ad ogni sede internazionale, suscitando dapprima l’
interesse dell’ Organizzazione dell’ Unità Africana,
di cui divenne membro nel 1982 come cinquantunesimo Stato, e poi delle Nazioni
Unite, mentre nel dicembre 1986 ottenne quella del Parlamento Europeo. Successivamente
entrò a far parte dell’ Unione africana.
Nel
1991 entrò in vigore il cessate il fuoco tra il Fronte Polisario e il Marocco,
e conseguentemente le Nazioni Unite crearono una missione di pace nota come Missione
delle Nazioni Unite per il referendum nel Sahara Occidentale, allo scopo di
proclamare i risultati del referendum di autoderminazione in cui i saharawi avrebbero
scelto l’ integrazione con il Marocco oppure l’ indipendenza. Sebbene accettata
da entrambe le parti, il provvedimento entrò in una fase di stallo in quanto le
Nazioni Unite e l’ Organizzazione dell’ Unità Africana non seppero imporre una
soluzione congiunta, situazione ulteriormente aggravata dal disimpegno delle
istituzioni europee, verso le quali si era indirizzata un’ importante manovra
diplomatica del Marocco, che aspirava ad entrare nella CEE. Il Fronte Polisario
presenta tuttora il referendum come 1’ unico strumento capace di risolvere la
controversia sotto gli auspici delle Nazioni Unite, e tenta di aggirare l’ indifferenza
o le dichiarazioni di impotenza dei governi svolgendo un intenso lavoro a tutti
i livelli della società civile, illustrando la situazione dei profughi e
chiedendo solidarietà sul piano dell’ informazione e degli aiuti materiali.
Campo profughi saharawi nella provincia di Tindouf, Algeria; |
Le
condizioni di vita nei territori desertici a cui i saharawi risultano tuttora
costretti sono molto dure: privati di un’ economia di sussistenza e dell’ accesso
alla salute, essi sfidano costantemente dalle loro piccole tende e costruzioni
in mattoni e fango un clima che sfiora i cinquanta gradi in estate e
temperature inferiori allo zero durante l’ inverno. Il Marocco tolse loro ogni
cosa, ma non seppe scalfire il saldo legame che li ha sempre uniti alla propria
antica cultura: benché in condizioni estreme, i saharawi rimangono fedeli e
coerenti con la tradizione in cui sono nati e vissuti di generazione in
generazione, credendo fermamente al diritto all’ istruzione, uguale per uomini
e donne, preservando un sistema scolastico adattato alla vita nei campi per
rifugiati, salvando in tal modo la propria identità e la libertà individuale,
che senza alfabetizzazione cesserebbero di esistere.
Attualmente
i saharawi sfiorano il milione di persone, la metà delle quali vive nel
territorio occupato dal Marocco, mentre altre duecentomila sono sparse tra
Mauritania, Spagna e altri Paesi, e centosessantamila vivono in esilio nelle
tendopoli nel deserto algerino, presso Hammada di Tindouf, ove sopravvivono
liberi ma unicamente grazie alla solidarietà internazionale. All’ ingiustizia
politica si è aggiunta nel tempo la censura dei mezzi di informazione: una
congiura del silenzio che ha tristemente fatto di loro un popolo fantasma. Dopo
oltre quarant’ anni, gli aiuti umanitari internazionali sono fortemente venuti
meno: quelli europei sono scesi ad appena nove milioni di euro, contro i
diciassette iniziali, mentre quelli di provenienza statunitense sono stati
sospesi dal Presidente Trump. Le conseguenze sanitarie per centocinquantamila saharawi
nelle tendopoli si manifestano ad alto livello tramite anemia diffusa, ritardi
nella crescita per l’ insufficiente apporto calorico e proteico ed elevata
mortalità infantile e materna.
Il
Comitato internazionale per lo sviluppo dei popoli,
che da trent’ anni opera nei campi profughi, dichiara che al momento gli ammanchi
nelle donazioni e le promesse non mantenute compromettono ampiamente gli aiuti
ai rifugiati. Per affrontare tale crisi serve una soluzione politica, e solo il
governo e la Caritas algerini stanno compiendo un certo sforzo, che purtroppo
non basta. I giovani vivono una condizione di forte esclusione: non sono
impegnati in alcuna attività costruttiva, ma si confrontano con un mondo immaginario
esclusivamente attraverso la rete telematica internazionale, a cui sono sempre
connessi con i cellulari. Il Comitato internazionale per lo sviluppo dei popoli
ha in corso progetti mirati per loro: ha ricostruito quindici scuole in due
anni, organizza corsi di aggiornamento per insegnanti e ha realizzato
localmente venti libri di storia e geografia per trentamila studenti. Vi è
tuttavia ancora molto lavoro urgente da compiere.
Bandiera della Repubblica Democratica Araba dei Sahrawi; |
Purtroppo,
le prospettive per il futuro del popolo saharawi, che semplicemente domanda
tutti quei diritti dati per scontati dal mondo moderno e civile, non sono
affatto ottimistiche. La maggior parte delle nazioni del mondo riconosce la
Carta delle Nazioni Unite e i Patti internazionali sui diritti dell’ Uomo,
secondo cui: «Tutti i popoli hanno il diritto di autodeterminazione. In virtù
di questo diritto, essi decidono liberamente del loro proprio statuto politico.».
Un
popolo è una comunità che intende sé stessa in base alle proprie tradizioni
linguistiche e culturali, ed è il fondamento di uno Stato avente diritto all’
autogoverno. I diritti dell’ uomo sono sostanzialmente diritti individuali, eppure
ogni popolo è una comunità di individui, pertanto non si può negare alla
comunità ciò che spetta ai singoli membri che la compongono. I saharawi sono portatori
di una ricca storia di cui sono giustamente fieri: per secoli hanno manifestato
con successo il proprio senso di indipendenza e autonomia, e la loro volontà di
preservare la libertà.
La
Repubblica Araba Democratica dei Sahrawi chiede esattamente ciò che il diritto
internazionale riconosce, e nessuno Stato democratico moderno che prende sul
serio i diritti umani sia collettivi che individuali può sottrarsi al principio
della priorità del volere dei saharawi, che in armonia con la propria storia,
tradizioni culturali e linguistiche, mentalità e modo di intendere sé stessi
come specifica entità politica, costituiscono un popolo portatore del diritto
inalienabile di determinare esso stesso il proprio destino politico. I diritti
umani precedono nettamente le esigenze, le alchimie e gli intrighi del potere, che
deve quindi rispettarli totalmente se non intende perdere la propria
legittimità.
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