domenica 28 marzo 2021

Il Casinò delle spie

Veduta aerea di Campione d’ Italia;


Il 15 gennaio 1952, quando sedette alla scrivania di Goldeneye, la sua tenuta di sei ettari sulla costa settentrionale della Giamaica, il romanziere britannico Ian Fleming non aveva alcuna idea di cosa avrebbe scritto. Partì semplicemente dal nome del suo personaggio, preso in prestito ad un celere ornitologo, e dal ricordo di una partita a carte giocata al casinò di Lisbona nel 1941. Il primo episodio di James Bond venne concepito così, con non più di quattro scene e anche meno personaggi. 007 indossava ancora i panni eleganti, spiritosi e crudeli dello stesso Fleming, alle prese con una bella partita in una casa da gioco: «Alle tre del mattino l’ odore del casinò, il fumo e il sudore danno la nausea. A quell’ ora, il logorio interiore tipico del gioco d’ azzardo, misto di avidità, paura e tensione nervosa, diventa intollerabile. I sensi si risvegliano e si torcono per il disgusto.».

Ormai tutti sanno che nei libri del comandante James Bond, ufficiale della Royal Navy e agente Doppio 0 dell’ MI6, l’ agenzia britannica di spionaggio per l’ estero, vi siano svariati elementi autobiografici ricavati dalle vicende dello stesso Ian Fleming, ufficiale della Royal Navy durante la Seconda Guerra Mondiale e arruolato nel Servizio Informazioni della Marina alle dipendenze dell’ ammiraglio Godfrey, nonché uomo che molto amava il gioco e le donne e che entrando in ufficio lanciava il cappello all’ attaccapanni. Nondimeno, un’ attenta lettura dei dodici romanzi e delle due raccolte di racconti dello scrittore britannico indica quanto egli amasse essere il più aderente possibile alla realtà politica, militare e spionistica del tempo, ben più dei rifacimenti hollywoodiani impersonati da Sean Connery e Roger Moore, più interessati a trame avventurose, effetti speciali e belle donne. E non solo perché descrisse sistemi di comunicazione in codice accompagnati da armi letali, precise e comode per le dimensioni ridotte, e da dispositivi ingegnosi ed efficaci adatti alle più diverse esigenze, ma anche perché, specie in «Casino Royale», per la prima volta si parlava degli affascinanti eppure pericolosi legami tra spie e case da gioco: mentre nello studio di Goldeneye Fleming batteva a macchina le avventure dell’ agente al servizio segreto di Sua Maestà dotato di licenza di uccidere, dall’ altra parte del mondo, sulle rive del sul lago di Lugano, vi era un celebre e distinto casinò italiano che da decenni offriva un ventaglio di tentazioni così ampio da saper facilmente incantare anche il più navigato tra gli scommettitori, un luogo che non solo attirava gli amanti del rischio, ma era implicato in vicende politiche, militari e spionistiche di alto livello, ossia il Casinò di Campione d’ Italia, un vero e proprio gioiello appartato tra le bellezze del Canton Ticino. Aperto per volere del governo di Roma nel 1917, in piena Grande Guerra, questo luogo fu il teatro ideale di sottili e astute trame spionistiche, un luogo strategico sospeso tra Italia e Svizzera, tra le cui mura i diplomatici, gli alti burocrati e le spie italiane scoprivano con l’ aiuto di un clima frivolo i segreti strategici del nemico austroungarico, con cui da decenni il Regno d’ Italia aveva un conto territoriale in sospeso, che aspettava il momento di essere pagato…

Villa Adami, sede storica del Casinò;


Il comune di Campione, appartenente alla provincia di Como, è un’ exclave dello Stato italiano, essendo completamente circondato dal territorio svizzero. Avamposto militare romano eretto nel I secolo prima di Cristo a causa della discesa dei Reti lungo le valli alpine, il territorio campionese fu donato nel 777 da Totone da Campione, il signore locale di stirpe longobarda, alla Chiesa, in quanto nel proprio testamento nominò erede universale dei suoi terreni l’ arcivescovo di Milano Tomaso. In seguito, Campione passò al suo successore Pietro I Oldrati, che lo donò al monastero di Sant’ Ambrogio di Milano: lo status giuridico del luogo, quale feudo imperiale concesso agli abati ambrosiani, preservò il suo territorio dall’ annessione alla Svizzera, ponendo di fatto le basi per la costituzione d un’ enclave in territorio elvetico. In seguito, nel 1800, con la Repubblica Cisalpina, Stato sotto il controllo giacobino in conseguenza diretta degli sconvolgimenti susseguitisi alla Rivoluzione francese in territorio italiano, il territorio di Campione fu unito alla Val d’ Intelvi, del dipartimento di Como, mentre nel 1804, con l’ avanzata di Napoleone Bonaparte, fu occupata come tutti i territori lombardi dalla Francia. Nel 1814, a seguito della caduta definitiva dell’ Imperatore dei francesi, il Canton Ticino avanzò ufficialmente la proposta alla Dieta federale, l’ assemblea dei delegati dei cantoni atta a discutere temi di interesse comune, di offrire i propri buoni uffici nei lavori del Congresso di Vienna, e chiese l’ unificazione di Campione al proprio territorio, ma senza successo analogamente al 1800. La Lombardia fu annessa all’ Impero d’ Austria e Campione ne seguì le sorti rientrando nella Provincia di Como. Il 29 marzo 1848, a seguito dello scoppio della Prima guerra d’ indipendenza italiana, i campionesi chiesero per la prima volta al governo svizzero di poter essere annessi al Canton Ticino, essendo ormai probabile una loro annessione al Regno di Piemonte e Sardegna in caso di occupazione del Regno Lombardo-Veneto, ma il governo della Confederazione elvetica respinse la richiesta per ragioni politiche, giustificate alla volontà di conservare la neutralità in vigore dal 1515: Campione sarebbe rimasta italiana benché circondata dal territorio svizzero.

 

Il territorio di Campione fu da sempre un fondamentale punto strategico, e tale rimase anche all’ alba della Grande Guerra, tanto che Roma vi vide l’ opportunità di stabilirvi un centro di raccolta e analisi di informazioni utili alla sicurezza nazionale e alla prevenzione di attività destabilizzanti. Nel 1917, quindi il governo italiano, presieduto da Paolo Boselli, volle aprirvi un casinò, la cui sede di Villa Adami venne progettata dall’ architetto Americo Marazzi di Lugano, che scelse uno stile Belle Époque con due ingressi, uno verso la pedonale e l’ altro verso il lago, per accogliere chi arrivava in barca, mentre l’ interno, una gamma di boiserie e arredi sfarzosi, vantava soffitti e pareti affrescati dal pittore Girolamo Romeo. Posta nella splendida cornice naturale del lago di Lugano e in un singolare stato territoriale, la casa da gioco campionese, gestita dal comune, ebbe subito moltissima fortuna, e si pose al centro degli incontri dell’ alta burocrazia che la sfruttò abilmente per uno scambio di informazioni strategiche e segrete che si rivelarono di importanza capitale per le forze armate italiane: complice l’ atmosfera ricreativa, gli agenti segreti ivi operanti scoprirono che dal consolato austroungarico di Zurigo venivano condotte operazioni di spionaggio e mandati in territorio italiano agenti in missione di infiltrazione e sabotaggio. La Regia Marina fu quindi coinvolta in numerose operazioni atte a sventare i piani asburgici.

Due anni dopo, l’ 11 novembre 1918, a seguito della storica vittoria dell’ esercito italiano a Vittorio Veneto sugli austroungarici, l’ Impero degli Asburgo dichiarò la resa ponendo fine alla guerra, e il Casinò di Campione perse di conseguenza la sua utilità strategica, ragion per cui il primo governo di Francesco Saverio Nitti lo chiuse un anno dopo, il 19 luglio 1919, ufficialmente perché il governo di Sua Maestà non gradiva veder rischiati sui tavoli verdi parte dei risparmi dei contribuenti. Tuttavia, l’ epopea del Casinò delle spie era ben lungi dal concludersi: Benito Mussolini lo riaprì il 2 marzo 1933, formalmente per permettere alle casse comunali di riempirsi di valuta pregiata, ossia di franchi svizzeri, e potenziarne il profilo turistico in concorrenza con il vicino territorio elvetico, mentre in realtà puntava a ristabilire una certa attività di spionaggio e rimarcare l’ italianità di un territorio tanto importante strategicamente, come dimostrato dal fatto che un anno dopo al nome del comune fu aggiunto lo specificativo «d’ Italia». Mentre il comune, fino ad allora un semplice e poverissimo borgo di pescatori, veniva ammodernato e abbellito con gigantesche opere edili che comprendevano impianti idrici, rete fognaria, pavimentazione delle vie e piazze, apertura di strade panoramiche, creazione di parchi, allacciamento all’ elettricità, al telegrafo e al telefono, costruzione di edifici pubblici, di un museo dedicato all’ opera dei «magistri campionesi», di pontili d’ attracco per battelli e di un miglioramento dell’ accesso, la casa da gioco fu sede di importanti manifestazioni come premi di giornalismo e tanti altri eventi legati allo spettacolo, come concerti o sfilate di moda, e, ovviamente, centro di attività di una moderna divisione di spie e agenti segreti operanti a pieno regime per conto del Ministero degli Interni. Fu luogo di un flusso mondano particolarmente appariscente, tra il fior fiore della nobiltà presso cui cui spiccavano i duchi Visconti di Modrone e i conti Cicogna, i marchesi Berlingeri e i baroni von Schreuter, e i più grandi esponenti della cultura come Guido da Verona a Marta Abba, oltre che i magnati dell’ industria. Tuttavia, ufficialmente per motivi di riordino gestionale, il Casinò subì una nuova chiusura nel 1935 e la sua riapertura, mesi dopo, fu subordinata all’ istituzione a Ponte Chiasso di un ufficio cambio dei gettoni, con lo scopo di impedire l’ esportazione anche minima di lire italiane da Campione: i gettoni dei clienti provenienti all’ Italia venivano quindi convertiti a Ponte Chiasso mentre i clienti provenienti dalla Svizzera e muniti di valuta estera potevano cambiare la propria valuta alla casa da gioco. Eppure, dopo appena pochi anni, la fortuna volse le spalle al banco: durante la Guerra d’ Etiopia, tra il 1935 e il 1936, e in seguito nel corso della Seconda Guerra Mondiale, il Casinò venne chiuso per volere del Fascismo al fine di ostacolare il flusso di dissidenti lombardi verso la Svizzera, desiderosi di ottenere asilo politico, e che passavano di qui con la scusa di andare a giocare. Più tardi, dopo l’ 8 settembre 1943, con l’ Italia spaccata in due, Campione d’ Italia, del tutto isolata a causa della chiusura delle frontiere con la Svizzera operata dai tedeschi, aderì al «Regno del Sud», presieduto da Re Vittorio Emanuele III e governato da Pietro Badoglio, salvaguardando i vitali contatti con il Canton Ticino e la Confederazione elvetica e offrendo ai servizi segreti angloamericani un’ eccellente base protetta dalla quale muoversi contro la Repubblica Sociale Italiana e le forze del Terzo Reich ivi stanziate, senza mettere in pericolo la tradizionale neutralità elvetica.

 

1947: cittadini svizzeri bloccati alla frontiera; 

All’ indomani del 25 aprile 1945, per Campione d’ Italia tornò un’ era pace, che ovviamente non poteva non considerare la riapertura del Casinò il successivo 12 settembre, che per la prima volta sarebbe stato un luogo dedito soltanto al gioco, e non più allo spionaggio. Le autorità svizzere videro però con una certa ostilità questa ripresa, preoccupate che potesse attrarre «un gran numero di giocatori svizzeri»: il 26 settembre 1946 il sindaco campionese riferì quindi a Roma il «divieto d’ accesso a tutti i cittadini svizzeri e tenuta gioco in valuta non svizzera», mentre il 4 febbraio 1947 il Consiglio federale impose misure di polizia per isolare l’ enclave italiana, stabilendo la chiusura delle frontiere dalle 6:00 alle 19:00 e il divieto di sbarco a Campione d’ Italia agli svizzeri e agli stranieri privi di visto svizzero di ritorno. La delicata controversia fu però risolta con un accordo raggiunto a Lucerna il 15 agosto 1947, in base al quale vennero previste sale da gioco separate per tutti i giochi vietati agli svizzeri ed una sala comune per la sola roulette permessa, con una puntata massima di cinque franchi. Venne peraltro previsto il documento d’ identità obbligatorio e l’ uso di valuta svizzera all’ interno della casa da gioco, oltre che il rinnovo della concessione dopo il 31 dicembre 1951, solo in accordo con il governo della Confederazione elvetica. Da allora, in piena ricostruzione e ripresa economica, il Casinò divenne uno dei più prestigiosi di tutto il Continente Antico e visse una magnifica stagione, per lungo tempo dominata da Giovanni Borghi, il celebre fondatore della Ignis e titolare della Emerson, che giungeva con almeno venti o trenta persone quali Nino Benvenuti e Antonio Maspes al seguito, per la gioia del personale di servizio ai tavoli finché, narra la leggenda, per sbancare il casinò e far stendere il telo nero sul tavolo da gioco dovette andare in trasferta al Casino de la Vallée, a Saint-Vincent. Altri celeberrimi frequentatori che resero memorabile la serata in cui si divertirono ai tavoli verdi furono lo Scià Mohammad Reza Pahlavi di Persia e la bellissima seconda moglie, Sorāyā Esfandiyāri Bakhtiyāri, Vittorio De Sica, Maria Mercader, Sophia Loren, Gino Bramieri, Alberto Lupo e Ornella Vanoni, che ai tavoli campionesi pagarono più che altro il successo, subito amplificato da un ambiente nel quale aveva modo di echeggiare. C’ era chi al tavolo verde lasciava anche cento milioni in una sera soltanto, quando lo stipendio di un operaio si misurava in centinaia di migliaia di lire, e chi rimaneva al verde chiedeva il fido al Casinò. Gli altri giocatori o i commendatori pieni di debiti come ultima speranza scendevano in parcheggio e impegnavano l’ auto in cambio di un milione, poi tentavano la sorte fino all’ ultima lira.

Quelle atmosfere da romanzo spionistico che tanta importanza avevano avuto all’ inizio delle sue vicende erano ormai del tutto scomparse dalle sue sale. Esattamente come durante la Grande Guerra, capitava regolarmente di incontrare bellissime donne tra la folla ma ormai nessuno era più a caccia di informazioni militari da estorcere a facoltosi diplomatici. Eppure, la struttura continuava a svolgere una duplice funzione: per decenni, infatti, sovvenzionò i fondi neri del Ministero dell’ Interno. Per un lungo quarantennio, fino al 1973, i proventi miliardari della casa da gioco restavano soltanto per il venti percento al municipio. L’ ottanta percento veniva infatti inviato al Viminale, nella cassaforte del Ministro: se la pubblica amministrazione, dal più piccolo paesello al più grande ministero, deve contabilizzare ogni singolo centesimo delle proprie entrate e uscite, evitando con cura i cosiddetti cespiti fuori bilancio, il Casinò dell’ exclave alimentava copiosamente i famosi fondi neri da destinare ai servizi spionistici, regolari o no che fossero, e altre azioni nei luoghi meno quieti del mondo, tipiche dei romanzi di Ian Flemig e del suo agente e giocatore 007. La giostra dei fondi ricavati dall’ industria del vizio si fermò tuttavia con una legge statale che ripartì i ricavi del Casinò tra comune, provincia di Como e Ministero dell’ Interno, chiamato a destinari stessi ai comuni disastrati. Per oltre vent’ anni, fino alla metà degli Anni Novanta, i soldi consegnati alla provincia, familiarmente definiti «fondi di Campione», divennero la chioccia dalle uova d’ oro alla quale attinsero moltissimi paesi lacustri, ove vennero realizzate scuole, strade e qualche piccola cattedrale. Un impiego di capitali certamente utile, che però venne meno con una gestione commissariale seguita a una bufera giudiziaria che consegnò il Casinò in mano a una società che coinvolgeva il comune, province sia nuove che vecchie, prima Lecco e poi addirittura Varese, e le camere di commercio.

 

Il principe Vittorio Emanuele di Savoia;

Il Casinò di Campione balzò improvvisamente agli onori della cronaca nel 2006, quando, curiosamente, le sue vicende erano intrecciate con quelle di un principe di Casa Savoia, peraltro nipote ed erede diretto di Re Vittorio Emanuele III, lungo il cui regno la stessa casa di gioco era state aperte. Condotta da Henry John Woodcock, sostituto Procuratore della Repubblica presso la direzione distrettuale antimafia di Napoli diventato famoso per una serie di inchieste di forte impatto mediatico, l’ inchiesta giudiziaria che la stampa chiamò «Savoiagate» divenne di pubblico dominio suscitando un grande scandalo quando portò all’ arresto del principe Vittorio Emanuele di Savoia, figlio di Re Umberto II ed ex erede al trono d’ Italia, con l’ accusa di aver «promosso e organizzato una holding del malaffare specializzata in corruzioni di vario tipo, specie nel settore del gioco d’ azzardo»: lui ed un’ altra dozzina di indagati sarebbero stati coinvolti in un giro di tangenti al fine di ottenere dai monopoli di Stato certificati per l’ installazione delle cosiddette macchine mangiasoldi, attività che avrebbe anche favorito il riciclaggio di denaro sporco tramite «relazioni con casinò autorizzati, ed, in particolare, con il Casinò di Campione d’ Italia». In più, l’ accusa sosteneva che tale organizzazione fosse attiva nella corruzione per i contratti di procacciamento di clienti per il Casinò e nello sfruttamento della prostituzione per il reclutamento di prostitute per i frequentatori della stessa casa da gioco. Tra le altre accuse formulate si aggiunsero quella di associazione a delinquere finalizzata alla concussione, al falso ideologico, a minacce e al favoreggiamento. L’ indagine portò al coinvolgimento di ventiquattro persone, tra le quali ne furono arrestate tredici, prime tra tutte Salvatore Sottile, portavoce dell’ allora presidente di Alleanza Nazionale Gianfranco Fini, e Roberto Salmoiraghi, sindaco e medico di base di Campione d’ Italia. A causa dell’ arresto del sindaco, il comune lariano venne commissariato dal prefetto di Como. Tra gli indagati in questa vicenda vi fu anche Simeone II di Sassonia-Coburgo-Gotha, ex Re e poi Primo ministro di Bulgaria, cugino primo e coetaneo di Vittorio Emanuele, con l’ accusa di istigazione alla corruzione di membri di Stati esteri.

Nonostante il forte impatto mediatico, il successivo 22 settembre 2010 il giudice dell’ udienza preliminare del tribunale di Roma, Marina Finiti, al termine del giudizio con rito abbreviato scagionò da ogni accusa il principe Vittorio Emanuele e altre cinque persone coinvolte nel filone di indagine con la formula «assolti perché il fatto non sussiste», e lo Stato risarcì con un assegno di undicimila euro Roberto Salmoiraghi per l’ ingiusta incarcerazione in quanto, secondo le motivazioni del risarcimento, «non si può mettere in dubbio che le conseguenze dell’ ingiusta detenzione siano state eccezionalmente dirompenti».

 

La sede nuova del Casinò;

La sede della casa da gioco, praticamente a lago e gradualmente adeguata ai tempi, per più di sessant’ anni accolse i giocatori con l’ amabilità di una vecchia conoscenza: all’ esterno era senza pretese di fasto, ma all’ interno vantava una tradizione elevatissima e una classe indiscutibile quanto l’ offerta dei suoi servizi, ad esempio con l’ obbligo per i giocatori di portare giacca e cravatta.  Se l’ edificio non cambiava, al suo interno niente rimaneva immobile, se non gli arredi in stile, tanto che il Casinò aggiunse alle classiche sale dei giochi francesi altri spazi dedicati a novità, come le macchine mangiasoldi che a cavallo degli Anni Novanta aumentarono vertiginosamente il pubblico, ormai proveniente non più soltanto dal Belpaese e dalla Svizzera, tanto da rendere la storica sede ormai troppo piccola e imporne una più capiente, che nel 2007 venne trasferita da Villa Adami ad una struttura progettata dall’ architetto Mario Botta, di discendenza italiana, per un costo di circa centoquaranta milioni di franchi svizzeri e una spesa complessiva di circa centonovantatrè milioni, pari a circa centoventi milioni di euro alla data di consegna. La struttura, alta nove piani per cinquantacinquemila metri quadri, fu costruita negli spazi adiacenti alla vecchia e ben visibile da tutto il lago sul quale venne eretta, grazie a sistemi di illuminazione innovativi e originali, dalla colorazione rossa. Appena inaugurata, nonostante la firma illustre, la critica la definì un ecomostro per l’ imponente cubatura spigolosa.

Il Casinò di Campione d’ Italia rimase per lungo tempo un fermo punto di riferimento per i giocatori sia italiani che svizzeri, e una risorsa economica infinitamente preziosa per la città, ma non solo: il diciotto percento della popolazione campionese vi era impiegata a vario titolo in esso, e l’ ottanta percento dei profitti veniva reinvestito per la realizzazione di opere pubbliche nella provincia di Como. Offriva sale con giochi tradizionali e altre con le novità provenienti dagli Stati Uniti. La scelta era davvero molto ampia: roulette francesi, black jack, chemin de fer, trente et quarante, punto banco, carribean stud poker, fair roulette. E ancora roulette americana e tanti altri giochi ancora. Ogni anno vi si tenevano i più importanti tornei di poker sia italiani che europei.

 

Gli interni della sede nuova del Casinò;

Sebbene reputato destinato a esistere per sempre, con le sue promesse di grandi vincite e i suoi rischi di perdite altrettanto elevate, i suoi incassi fino a centoottanta milioni di franchi annui, gli stipendi parametrati al costo della vita svizzero dei manager, del personale e del comune, il Casinò si avviò verso un brusco crepuscolo, come è nella natura di tutte le cose. La crisi economica, il cambio sfavorevole tra euro e franco svizzero, la concorrenza dei casinò di Lugano e di Mendrisio, la fine della società di gestione pubblica e il ritorno della casa da gioco in mano a un unico socio, ovvero il municipio, finirono per gravare pesantemente sui bilanci aziendali, come gli stipendi del personale: cifre di tutto rispetto, fra gli ottantamila e i centosessantamila euro, comunque parametrate al costo della vita svizzero, nettamente più alto rispetto di quello italiano. Per pagare le proprie spese, soprattutto gli stipendi, l’ ente locale introitava il quaranta percento degli incassi del Casinò. Poi si ridusse a un prelievo fisso di circa venticinque milioni annui. In pratica, il comune utilizzava il Casinò come uno sportello automatico per raggiungere il pareggio del bilancio, in un sistema che resse fino al 2011, quando in cui si registrò il primo calo degli incassi, che portò a una progressiva riduzione del personale ivi impiegato. Nel frattempo, le province socie si tirarono indietro e il Casinò non versò più le quote al comune, rimasto unico socio, pur iscrivendo i debiti a bilancio. Il buco crebbe e il risultato fu il fallimento: il 27 luglio 2018 il Casinò municipale venne dichiarato fallito a seguito del dissesto economico, e la sua gestione fu affidata a curatori fallimentari. Il fallimento del Casinò di Campione d’ Italia non fu il fallimento di una qualunque azienda, pur senza negare affatto il dramma di un qualsivoglia tracollo: tale bancarotta fu la fine di un’ istituzione, di precise tradizioni tramandate negli anni, di intere famiglie di croupier che si alternavano generazione dopo generazione alla casa da gioco. Fu una morte che lasciò profondi segni nella comunità che le gravita attorno, la cambiò, imponendo stili di vita oltre che garantire una qualità della vita elevata per tutte le persone residenti al paese. Nel Casinò non si poteva lavorare se in qualche modo non si era legati alla comunità locale: bisognava essere accreditati per poterne fare parte, quasi come se servisse la garanzia che ci si sarebbe impegnati a sostenere la comunità e non solo a trarne i benefici. In qualche modo bisognava schierarsi, appoggiare una parte politica oppure un’ altra: le scelte politiche erano poi strettamente legate a quelle aziendali e sindacali. Capire la trama sociale, politica ed economica dell’ epopea di Campione d’ Italia e della sua storica casa da gioco non è semplice e forse anche chi l’ ha vissuta ne ha solo percepito alcuni aspetti, senza comprenderla fino in fondo. Il fallimento del Casinò è una pietra miliare a memoria di un cambiamento che inevitabilmente ha spostato gli equilibri anche in realtà che fino a pochi anni prima potevano contare sulla stabilità generata da profitti facili, consolidati e consistenti. Una crisi economica globale ha cozzato questa realtà che non ha saputo o non ha neppure considerato l’ idea di cambiare.

Andando a Campione d’ Italia oggi si intuisce molto facilmente quanto gli anni d’ oro siano davvero un ricordo, esattamente come le spie che aleggiavano intorno ai giocatori aristocratici, leggiadre e pronte a cogliere informazioni di grande valore strategico per il bene indissolubile del Re e della patria, mentre chi desidera trascorrere una serata al casinò ad alto tasso di adrenalina, deve ormai andare a Sanremo, Venezia e Saint-Vincent, o in alternativa giocare in rete…

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