«L’ ignoranza non
ci farà entrare vincitori nel XX secolo.» Vittoria
di Hannover, regina del Regno Unito;
Vittoria di Hannover, sovrana britannica; |
Viviamo
in un mondo da sempre molto diviso, pieno di paura, rabbia, intolleranza e aggressività.
Un mondo in cui il nostro prossimo rappresenta un possibile nemico, mentre le
popolazioni diverse dalla nostra vengono guardate con disapprovazione e
freddezza, in quanto probabile minaccia alla nostra civiltà e tradizione. L’ umanità
teme da sempre quello che non conosce e non riesce a capire, ma in ogni tempo
ci sono coloro che vanno contro tutto questo, contribuendo a generare un clima
di distensione e amicizia, nonché di comprensione reciproca.
Uno
degli esempi più notevoli di amicizia e stima tra persone particolarmente
diverse per nazionalità e condizione sociale balzò agli onori della cronaca nel
2010, con il ritrovamento dei diari perduti di Abdul Karim, un umile servo
indiano divenuto segretario della regina Vittoria durante gli ultimi quattordici
anni del suo regno, un incredibile documento che permise di scoprire i dettagli
di un legame straordinario nato tra lui e la potente ma triste e malinconica
sovrana, che venne prontamente occultato dalla cerchia più ristretta di lei. L’
amicizia annulla qualsivoglia distanza, anche quella imposta dal ceto sociale,
dalla religione e dalla ricchezza, e fu proprio quel che accadde a Vittoria e
Abdul: un affiatamento inaspettato, vivace e intenso che Edoardo VII, figlio e
successore della monarca più potente dell’ epoca, infastidito e spaventato
dalla profondità del loro legame, contribuì personalmente ad oscurare con la
complicità della corte, nella rigida convinzione della superiorità britannica nei
riguardi delle popolazioni coloniali, soprattutto quella indiana, arrivando
persino al punto di dare letteralmente alle fiamme gran parte della
corrispondenza fra i due.
Alexandrina
Victoria nacque il 24 maggio 1819 a Kensington Palace, la residenza ufficiale
della famiglia reale e della corte britanniche, unica figlia di Edoardo Augusto
di Hannover, quarto figlio di re Giorgio III, e di Vittoria di
Sassonia-Coburgo-Saalfeld. Giorgio Augusto Federico, figlio primogenito di re
Giorgio, aveva avuto solo una figlia, Carlotta Augusta del Galles, morta nel
1817 a causa di un’ emorragia avvenuta a seguito del parto del primo figlio,
nato morto. Gli altri figli del sovrano si erano quindi affrettati a sposarsi per
avere figli con cui assicurare a Giorgio un successore. Edoardo Augusto morì il
23 gennaio 1820, dopo una breve malattia, lasciando orfana la figlia di soli
otto mesi, e appena sei giorni prima del padre Giorgio, a cui successe Giorgio
Augusto Federico, che, assunto il nome di Giorgio IV, chiamò la bambina
Alexandrina Vittoria di Kent, in onore dello zar Alessandro I, scelto come
padrino di battesimo.
Alla
nascita, Vittoria, portatrice sana di emofilia, era la quinta nella linea di
successione, venendo dopo il padre e i suoi tre fratelli maggiori, ma quando
compì undici anni lo zio Giorgio morì senza figli, lasciando il trono al
fratello, che divenne re con il nome di Guglielmo IV: dato che anche il nuovo sovrano
non aveva avuto figli, Vittoria divenne sua erede al trono. Nonostante la
posizione preminente nella linea di successione, le fu insegnato dapprima il
tedesco, mentre dopo i tre anni le venne trasmesso l’ inglese, e in seguito apprese
anche l’ italiano, il greco, il latino e il francese. Trascorse una giovinezza malinconica,
con una madre estremamente protettiva e soffocante che la teneva rigorosamente isolata
dai coetanei di Kensington Palace, amministrato da John Conroy, militare e
avventuriero irlandese che peraltro divenne amministratore delle finanze della
stessa duchessa vedova Vittoria, nonché suo amante: nei suoi diari, la giovane
Vittoria parlò degli imbrogli messi in atto da Conroy e della sua tirannia,
portati avanti con la complicità della madre anche al fine di controllare la
sua vita in vista delle ricchezze che sarebbero maturate alla sua ascesa al
trono. Re Guglielmo ebbe rapporti assai rari con la cognata e la nipote, in quanto
la duchessa vedova desiderava preservare la figlia da ogni rapporto
sconveniente, specialmente con i figli illegittimi di lui, arrivando al punto
da costringerla a dormire nelle proprie stanze.
Il principe Alberto; |
Su
incoraggiamento dello zio materno, re Leopoldo I del Belgio, all’ età di sedici
anni Vittoria incontrò il principe Alberto di Sassonia-Coburgo-Gotha, suo
cugino di primo grado, figlio di un altro fratello della duchessa vedova
Vittoria: i due si innamorarono e decisero di sposarsi. In un primo tempo, il
giovane tedesco non era molto popolare presso il popolo britannico, essendo
percepito come uno straniero di secondo piano, proveniente da una famiglia
aristocratica marginale. Peraltro, si disse che non fosse particolarmente innamorato
di Vittoria, calcolando più che altro i vantaggi sociali e politici che avrebbe
tratto dal matrimonio. Lo stesso re Guglielmo caldeggiava un matrimonio tra la
nipote e Alessandro di Orange-Nassau, ma le sue obiezioni non ebbero seguito. Il
matrimonio con Alberto fu comunque posticipato per la giovane età di Vittoria.
Alle
prime ore del 20 giugno 1837, dopo dieci giorni di agonia, Guglielmo IV morì di
infarto, e Vittoria, diciottenne, divenne regina, evitando la reggenza che lo
zio sovrano tanto disdegnava: la nuova sovrana dimostrò da subito un carattere
assai determinato ordinando alla madre di lasciarla dormire nella propria
camera, riducendo al minimo i loro rapporti, e allontanando Conroy, non concedendogli
assolutamente nulla. Subito dopo diede disposizioni sul funerale dello zio,
predisponendo la composizione del corteo. Un anno dopo, il 28 giugno 1838, venne
incoronata ufficialmente regina e, dimostrando di conoscere a fondo la
situazione del Paese, impose una profonda riforma della scuola e incoraggiò
nuove leggi atte a ridurre l’ orario di lavoro delle donne e dei bambini.
Divenne in breve assai popolare. Tornato nel 1839 in Gran Bretagna dopo una
visita in Italia, il principe Alberto si recò in visita a Vittoria, che gli
chiese di sposarlo in rispetto della tradizione, che vietava di proporsi alla
sovrana: dotato attraverso un atto parlamentare di cittadinanza britannica
appena prima del matrimonio, che avvenne nel 1840, oltre che del trattamento di
altezza reale, il principe consorte fu da subito di grande aiuto, contribuendo
fortemente allo sviluppo della monarchia costituzionale e guidando la moglie
lungo un percorso che le permise di diventare una figura dominante sulla scena
politica nazionale. La sua influenza fu così grande che per tutta la sua vita fu
paragonabile a un sovrano a tutti gli effetti.
Un raro ritratto sorridente di Vittoria; |
Il
regno di Vittoria fu il più lungo di quello di tutti i monarchi britannici che
l’ avevano preceduta, e vide un periodo di stabilità politica, prosperità economica
ed espansione commerciale e coloniale, pur assistendo a vari e notevoli
problemi sociali. La Gran Bretagna divenne la nazione più potente al mondo,
soprattutto grazie al fatto di aver imboccato meglio di ogni altro Paese
europeo la via dello sviluppo industriale. Prima del matrimonio, la giovane
regina aveva subito l’ influenza di Lord William Lamb, II visconte Melbourne,
che seppe educarla molto bene sul piano politico, tanto che quando uscì di
scena nel 1841 ella conosceva il mestiere quanto il principe consorte,
divenendo nel corso dei decenni l’ abile e lungimirante signora dell’ Impero
più saldo e importante del suo tempo, forte dei suoi possedimenti in Africa,
India e Oceania. Tutto il mondo ammirava Londra come centro di una guida
assoluta e di una ferma prosperità sia politica che economica.
In
meno di undici anni, Vittoria e Alberto ebbero nove figli, molti dei quali
colpiti da emofilia come lei. Nel 1861, poco dopo la morte della duchessa
vedova Vittoria, appena riconciliatasi con la figlia, Alberto morì a causa per
febbre tifoidea, e Vittoria, profondamente colpita, decise di vestire
il lutto per tutti i restanti giorni della sua vita da vedova, dando ordine di
mantenere inalterate le sue stanze. Pur continuando senza sosta a svolgere il
proprio ruolo, la sovrana si ritirò quasi completamente dalla vita pubblica, trascorrendo
il suo tempo nelle residenze di campagna, al castello di Windsor, a Osborne
House e soprattutto al castello di Balmoral, circondata da pochissime persone
fidate,
cosa
che contribuì a rinforzare il repubblicanesimo e a indebolire notevolmente quanto
lui aveva compiuto nel tentativo di mostrare al popolo una monarchia moderna e dinamica
come istituzione nazionale e morale, e come esempio per tutti. In seguito instaurò
una profonda relazione con John Brown, un cameriere scozzese: secondo i
pettegolezzi più fantasiosi i due giunsero a un matrimonio segreto, ragion per
cui alla regina venne dato il soprannome di «Signora Brown». Di certo, Brown fu
un uomo a lei assai vicino e fidato, un grande confidente e consigliere fino al
1883, quando morì per i postumi di un’ aggressione subita da alcuni invidiosi
che vedevano di cattivo occhio la sua vicinanza a Sua Maestà. I lutti e le
tristezze di Vittoria proseguirono ulteriormente tra il 1878 e il 1900 con la
morte di ben tre figli, che la lasciarono sola con Albert Edward, il principe
ereditario, grasso e irresoluto, incapace di aiutarla nella guida del regno,
mentre la prole superstite era sistemata in matrimoni reali qua e là per l’ Europa
ma assente dalla vita politica internazionale: nessuno dei figli sopravvissuti
fu all’ altezza del rango reale quanto lei. Per quanto la sua vita privata
fosse infelice, la caparbia regina britannica non smise mai di viaggiare e
lavorare per il bene del suo regno.
Abdul Karim, il Munshi; |
Il
20 giugno 1887, in occasione dei cinquant’ anni di regno di Vittoria, ebbe
luogo la solenne celebrazione del Giubileo d’ Oro, a cui vennero invitati a
corte ben cinquanta re e regine provenienti da tutto il mondo. La sovrana era
all’ apice della sua popolarità, complice la morte di Brown, che aveva placato
i pettegolezzi sulla sua vita privata rendendola un simbolo morale di grande
importanza, mentre più in generale la monarchia aveva recuperato il terreno
perduto. Tre giorni dopo, il 23 giugno, Vittoria assunse come camerieri due
indiani di fede musulmana: uno dei due, il ventiquattrenne Abdul Karim, la incantò
immediatamente, tanto da volerlo a tutti i costi tra i suoi servi personali. Fu
l’ incontro più importante di quel periodo così desolante della sua vita
privata, che non tardò a manifestare conseguenze importanti anche in ambito
istituzionale e politico. Il giovane Abdul, nato a Lalitpur e figlio di un
assistente ospedaliero, in occasione della sua assunzione si era traferito in
Gran Bretagna con l’ intera famiglia e non gradiva per niente la sua condizione
di servo: pur non vedendo assolutamente l’ ora di tornare in India instaurò
all’ istante un profondissimo legame con la regina, che da servitore al tavolo
lo promosse ad attendente personale, nonché suo munshi, ossia «maestro» in lingua urdu: le insegnò la nota lingua
indoeuropea, le parlò dell’ Islam e del Corano, e le svelò i misteri della sua
terra lontana, di cui era peraltro imperatrice, affascinandola grandemente.
Venuta in contatto con un’ antichissima cultura che fino a quel momento le era
rimasta del tutto ignota, Vittoria fece di Abdul il proprio consigliere e
confidente per le questioni relative all’ India, peraltro favorendo la moda
indiana a corte, che accolse di buon grado il modo di vestire, i cibi,
soprattutto il curry, e altre usanze indiane. Il padre di Abdul fu addirittura
la prima persona a cui fu concesso di fumare il narghilé a corte, nonostante la
proverbiale avversione della sovrana per il fumo.
La
profonda amicizia che in breve finì per legare la regina e il munshi rappresentò
molto presto un grave scandalo a corte, soprattutto agli occhi del principe Albert
Edward, dal momento che si riteneva impensabile che un nativo delle colonie, soprattutto
un musulmano proveniente da un protettorato animato da crescenti fermenti indipendentisti,
potesse vantare una simile familiarità con Vittoria, che in quanto monarca era Governatore
Supremo della Chiesa anglicana. Ma lei, al contrario di tutti i membri della
corte britannica, non era per nulla razzista: durante il suo regno si era abolita
la schiavitù, e lei stessa aveva adottato Aina, una principessa africana
rimasta orfana. Nel corso del tempo lo riempì di onori, gli assegnò una tenuta
in India e una pensione dorata. Consapevole della sua natura irascibile e
persino arrogante, nel corso della fitta corrispondenza tra loro lo esortò
spesso a divenire più rispettoso nei confronti della corte e degli ospiti.
Vittoria e Abdul nel 1893; |
A palazzo e nella
nobiltà il malcontento cresceva di giorno in giorno, tanto che Albert Edward e alcuni aristocratici
di altissimo livello dissero apertamente alla sovrana che Abdul apparteneva ad
un ceto sociale particolarmente misero, tanto da essere stato addirittura un
impiegato della prigione di Agra, accusandolo falsamente di favorire lo
spionaggio da parte dell’ emiro afghano Abdur Rahman Khan: Vittoria respinse
prontamente quest’ insinuazione tacciando la corte di razzismo, e continuò a
portarselo ovunque, sia in viaggio che alle cerimonie ufficiali, difendendo con
coraggio la propria posizione anche quando molti iniziarono ad affermare che avesse
perduto la ragione. Alimentò il veleno delle malelingue trascorrendo una notte con
lui in un cottage con cui anni prima era stata solo l’ amatissimo consorte
Alberto e facendosi costruire a Osborne House una Durbar Room, una camera di
rappresentanza in stile indiano decorata con i ritratti dei notabili indiani,
tra cui spiccava quello dello stesso Abdul. Nonostante sia assai improbabile
che tra loro vi fosse del romantico, la regina e il munshi ebbero di certo un’
amicizia davvero speciale, assolutamente unica nel suo genere: l’ anziana Vittoria,
malinconica e triste dal giorno della morte del suo fedele servitore e amante
John Brown gli aprì il cuore confidandogli i suoi segreti più intimi,
finalmente sfuggendo alla solitudine e alle tristezze della sua vita, mentre il
giovane Abdul, bello e aitante, riempì il vuoto maschile nel cuore di lei,
intrattenendola e insegnandole moltissimo sulla lontana India.
Seguendo
un’ abitudine che mantenne nel corso di tutta la sua vedovanza, la regina
trascorse ogni compleanno a Osborne House, il cui restauro era stato progettato
personalmente dal principe Alberto. Abdul le domandò il titolo di nababbo e la
nomina a Cavaliere Comandante dell’ Ordine dell’ Impero indiano: a Vittoria fu
prontamente suggerito di nominarlo membro dell’ Ordine reale vittoriano, cosa
che non avrebbe comportato alcun titolo o implicazioni politiche in India. Il
Primo ministro, Lord Robert Gascoyne-Cecil, III marchese di Salisbury, si oppose
anche a tale onorificenza inferiore, ma nel 1899, in occasione del suo
ottantesimo compleanno, la sovrana nominò il munshi Comandante dell’ ordine,
rango intermedio tra membro e cavaliere.
La regina e il munshi nel 1897; |
Ormai
vecchia, spesso confusa e gravemente minata dai reumatismi, Vittoria morì il 22
gennaio 1901, dopo un regno di sessantatré anni, sette mesi e due giorni. Nel
settembre del 1896 aveva superato in longevità sul trono ogni altro monarca
inglese, scozzese o britannico. Dopo i funerali venne tumulata al Mausoleo
Frogmore, accanto al marito.
Albert
Edward, che divenne re con il nome di Edoardo VII, colse al volo l’ occasione
per disfarsi di Abdul Karim: subito dopo la morte della madre lo rispedì in
India con la famiglia e distrusse tutti i documenti che lo riguardavano, pur
permettendogli di essere l’ ultimo a vedere il corpo di Vittoria prima della
chiusura della bara e di far parte della processione del funerale. Una volta
rimpatriato, il munshi si stabilì ad Agra, al Karim Lodge, voluto per lui dalla
regina, ove visse agiatamente grazie alla cospicua pensione da ex dignitario
reale. Su istruzione del nuovo sovrano, i funzionari britannici in India recuperarono
la rimanente corrispondenza tra Abdul e Vittoria o tra lui e la corte, che fu
inviata allo stesso Edoardo in persona. Il governatore generale d’ India, il
suo vice e i funzionari del Ministero britannico dell’ India biasimarono il
sequestro e richiesero che le lettere fossero restituite: alla fine il re ne
restituì solo quattro, a condizione che gli fossero rimandate alla morte della
prima moglie di Abdul. Il munshi rimase sempre in contatto con la famiglia
reale britannica, tanto che il principe Giorgio di Galles, figlio di Edoardo ed
erede al trono, nel 1905 si recò in India in visita ufficiale, ed ebbe modo di
incontrarlo scrivendo poi al padre che non lo trovava per nulla abbellito, e
che stava ingrassando: «Devo riconoscere che è stato molto civile ed umile, e
davvero lieto di vederci.».
Abdul
morì a Karim Lodge nell’ aprile 1909. Gli sopravvissero due mogli, e fu sepolto
in un mausoleo a forma di pagoda nel cimitero Panchkuin Kabaristan di Agra,
accanto a suo padre.
Edoardo VII, figlio e successore di Vittoria; |
Per
ben un secolo, la cancellazione di qualsiasi traccia che potesse tramandare ai
posteri la presenza di Abdul in terra britannica e il suo rapporto con Vittoria
impedì di conoscere la notevole influenza che lui ebbe sulla politica
britannica di fine Ottocento: fra le poche note personali rimaste emergevano
fugaci e misteriose scritte in urdu come «Abdul insegna alla regina.», «Tienimi
stretto.» e «Mancherà molto al munshi.». Nel 2001, tuttavia, la scrittrice
indiana Shrabani Basu, impegnata nelle ricerche sulla storia del curry, scoprì
che alla regina piaceva molto mangiare piatti conditi con questa polvere. Visitò
quindi Osborne House e rimase affascinata da due ritratti e un busto di bronzo
che ritraevano un uomo indiano di aspetto regale, mentre nello spogliatoio della
sovrana vide un altro suo ritratto, appeso proprio sotto quello di John Brown.
La Durbar Room, come vide con i suoi occhi, era piena di tesori provenienti
dall’ India, un monumento al fascino che in tutta evidenza Vittoria subiva per
questo Paese che non visitò mai pur essendone imperatrice: «Per ragioni di
sicurezza non poteva andare in India e per questo fece venire l’ India da lei.».
Nel
2006 la scrittrice visitò il castello di Balmoral, dove vide la casa che la
sovrana aveva fatto costruire per quel misterioso e importante giovane uomo
indiano, e
decise di scoprire chi fosse: consultando gli archivi reali rinvenne i diari
scritti a mano in tredici volumi in urdu da Vittoria, e che Edoardo VII non aveva
pensato di toccare perché nessuno sapeva leggere l’ urdu. Dalla traduzione il
rapporto tra Vittoria e Abdul poté finalmente riemergere in tutta la sua
statura, e quattro anni dopo, nel 2010, la famiglia di Abdul, migrata in
Pakistan durante la Partizione dell’ India avvenuta nel 1947, rese pubblici il
diario dello stesso munshi e la corrispondenza tra lui e la sua regina.
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