Dante Alighieri, Sommo Poeta simbolo della cultura italiana; |
Negli
ultimi vent’ anni ho assistito con un certa disapprovazione alla bizzarra
tendenza a mescolare la nostra meravigliosa e antica lingua, l’ italiano, con
l’ inglese, onorato idioma che oggi meglio di tanti esempi costituisce una
forte unione tra noi e il resto del mondo. Attualmente la conoscenza di più
lingue risulta un antidoto particolarmente efficace contro l’ isolamento.
Essere almeno bilingui rappresenta una carta vincente su più fronti anche e
soprattutto nella vita di tutti i giorni: possiamo infatti compiere viaggi di
piacere in ogni angolo della Terra, trasferirci stabilmente all’ estero per
lavoro, e addirittura ricevere costantemente le notizie più importanti su
quanto avviene in ogni Paese oltre i nostri confini. A livello più personale ci
aiuta a superare le differenze tra le persone, comprendendo che siamo tutti
abitanti di questo stesso pianeta, senza etichette.
Nondimeno,
sono assolutamente persuaso dall’ idea che mischiare tra loro le lingue
rappresenti un vero e proprio sfregio a danno loro e delle culture che le hanno
generate. Ormai, ovunque ci voltiamo non possiamo più evitare di imbatterci
nelle parole inglesi, saldamente intrufolatesi nel nostro idioma come un virus:
è piuttosto comune infatti fare un break
al posto di una pausa, andare in una bella località di villeggiatura per
trascorrere felicemente il weekend
anziché il fine settimana o rivolgersi in occasione di una grande festa a un catering invece che a un servizio di
ristorazione. Dieci anni fa, quando lavoravo come volontario alla casa di
risposo di Sordevolo, facevo compagnia a un simpatico vecchietto, ancora
piuttosto vivace, quando l’ infermiera della struttura lo avvicinò dicendogli
che nei giorni successivi avrebbe dovuto fare un day hospital per condurre i dovuti accertamenti sul suo stato di
salute. Non avendo capito di cosa stesse parlando aggrottò la fronte e,
voltandosi versi di me, domandò in dialetto locale:
«E
che diavolo è un day hospital? Tu lo
sai?».
Ridacchiai
divertito, ben conscio tuttavia del suo imbarazzo, e gli risposi:
«E’
un ricovero diurno. Non ti impegnerà per più di una giornata.».
Noi
italiani stiamo di fatto tradendo noi stessi e la nostra cultura, una delle più
antiche e vaste del mondo, avviando un’ opera di mescolanza mossa da motivi
indubbiamente superficiali, o anche solo per comodità. L’ Impero britannico, il
più vasto impero di sempre, esteso su tutti e cinque i continenti, dal Canada
alla Guyana, dall’ Egitto al Sudafrica, dall’ India all’ Australia, dovette
necessariamente confrontarsi con le altre lingue, per ragioni amministrative e
culturali, tuttavia quei britannici che parlavano più idiomi non dimenticarono
mai il loro, e non lo mischiarono con gli altri. In questo, così come in molte
altre cose, nutro particolare ammirazione verso il popolo britannico, e mi
auguro vivamente che presto tale tendenza cominci a imporsi anche tra di noi.
Io dico sempre che essere italiani non significa soltanto avere la cittadinanza
riportata sulla carta di identità: implica soprattutto un atteggiamento di
amore e rispetto verso il proprio Paese di origine. E la lingua è uno dei
tratti più caratteristici di una qualsivoglia cultura, qualcosa che va tutelato
con grandissimo riguardo.
Se
andremo avanti così temo proprio che tra altri vent’ anni nessuno parlerà più
l’ italiano, se non pochi nostalgici che verranno accusati di atteggiamento
antiquato. La nostra lingua verrà del tutto soppiantata dall’ inglese,
divenendo un elemento da museo, come oggi le mummie di Menfi e Tebe custodite
nel Museo egizio di Torino. In una scuola di pensiero del Buddhismo tibetano,
la Nyingma, ossia «Lignaggio degli Antichi», godono di enorme prestigio
determinati maestri chiamati tertön, cioè «scopritori di tesori», i quali
ancora oggi per mezzo di un’ elevata pratica meditativa riscoprono i terma,
«tesori nascosti», insegnamenti segreti e commentari vari che il celebre
maestro Padmasambhava e i suoi discepoli avrebbero nascosto per la prima volta
nell’ VIII secolo nell’ inconscio di allievi speciali in grado di controllare i
processi della propria reincarnazione, in modo tale che nelle vite future li
riscoprissero in previsione di una nuova diffusione dell’ insegnamento del
Buddha Śākyamuni in Tibet, in tempi più propizi. Oggi il fenomeno degli
scopritori di tesori e dei tesori nascosti non si limita soltanto alla
riscoperta degli insegnamenti perduti di Padmasambhava, ma si estende anche
alle numerose dottrine attribuite a grandi maestri venuti dopo di lui in Tibet
nel corso dei secoli. Sarebbe davvero triste se alla lingua italiana dovesse
accadere altrettanto, dal momento che si dovettero attendere ben duecento anni
dalla venuta del Prezioso Maestro affinché i primi scopritori di tesori
percorressero il Paese delle Montagne diffondendo liberamente il Dharma…
Avere
cura dell’ Italia non significa soltanto lavorare e pagare le tasse, rispettare
le leggi nazionali o mantenere in piedi qualche antico edificio storico: tutto
ciò deve essere accompagnato nella sua estrema importanza da un più vasto
atteggiamento di consapevolezza e unione con la nostra antica tradizione
culturale nella vita quotidiana. Abbiamo quindi tutti il dovere di parlare
pienamente la lingua italiana, ripulendola da ogni vocabolo inglese
infiltratosi negli ultimi tempi in essa. Fino a oggi il solo ad aver ribadito
un concetto di questo genere, seppur in un clima di crescente esterofobia e
nazionalismo, è stato Benito Mussolini, che nel 1940 intraprese la via dell’
autarchia anche nel vocabolario vietando le parole straniere. Se parlare l’
inglese oggi è necessario per rapportarci con il resto del mondo, è altrettanto
imperativo evitare di fare di questa lingua un cavallo di Troia a danno della
nostra. Come il sole e la luna sono nettamente separati nel loro splendore,
così avvenga anche per questi due rispettabili idiomi. Evitiamo di cadere nel
volgare pantano dell’ italianglish…
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