lunedì 19 novembre 2018

Gangchen Rinpoche, gli intrighi, il doppio gioco e le faccende poco limpide di un lama tibetano

Gangchen Rinpoche;
«Visto che va tanto di moda il pettegolezzo, io vi porto un pettegolezzo di pace. Il nostro corpo e la nostra rinascita non sono indipendenti dalle condizioni ambientali e la cultura violenta di oggi influisce su di noi. Bisogna trovare valori comuni e la base può essere la pace, un valore che ognuno dovrebbe coltivare dentro di sé. La pace è la giusta medicina che fa bene alla salute mentale e anche il messaggio autentico per le future generazioni.» Gangchen Rinpoche;


Secondo la tradizione, e così come viene riferito nel canone pāli, la più antica raccolta di testi buddhisti pervenuta integralmente fino ad oggi, nel 530 prima di Cristo, il principe Siddhattha Gotama, che a seguito di un’ intensa ascesi spirituale scandita da faticosi autocontrolli fisici e intense meditazioni aveva da poco raggiunto il Risveglio ai piedi di un albero di pippal nei pressi di Bodh Gaya, nell’ India settentrionale, giunse a Benares, a circa dieci chilometri a nord di Varanasi, la città sacra degli induisti, meta costante di pellegrinaggi votivi, ove tenne il Dhammacakkappavattanasutta, ossia il Discorso di Benares, il suo primo insegnamento, rivolto ai a cinque discepoli di famiglia brahmanica con cui precedentemente aveva condiviso alcune severe pratiche ascetiche volte alla realizzazione della buddhità, ma senza successo. In tale discorso, sutta in lingua pāli, spiegò i principi delle Quattro Nobili Verità, secondo le quali la sofferenza esiste, trae la sua origine nel desiderio egoistico e cessa eliminando l’ ego attraverso il Nobile Ottuplice Sentiero, una via di addestramento spirituale basata su di un’ esistenza virtuosa orientata alla rettitudine: retta comprensione, retto pensiero, retta parola, retta azione, retta condotta di vita, retto sforzo, retta consapevolezza, retta concentrazione.
Nei duemilacinquecento anni dalla venuta del Buddha Śākyamuni, come Siddhattha venne ricordato a seguito di questo originario sermone, il suo insegnamento, detto Buddhadharma oppure Buddhismo, si è suddiviso in numerose scuole di pensiero ciascuna contraddistinta da specifiche tecniche meditative e visioni mistiche, tuttavia accomunate dalla stessa filosofia di base, nonché dalla dottrina del Nobile Ottuplice Sentiero, che ha preservato per intero il proprio valore tanto per i maestri e i monaci quanto per i praticanti laici. A onor del vero, appare evidente quanto non sia necessario aderire ad una religione o ad una filosofia in particolare per comprendere che un’ esistenza lontana dagli eccessi tanto del piacere quanto dell’ ascetismo sia la migliore se si vuole trascorrere una vita serena, priva di dolore inutile: dalla culla alla tomba si affronta già abbastanza sofferenza, senza bisogno di cercarne altra con una condotta inadeguata o eccessiva. Saggezza, moralità e disciplina mentale sono pertanto valori universali che ogni persona, credente o no, può e deve sviluppare per essere felice e possibilmente contribuire al bene di chi la circonda. Chi invece sceglie di aderire ad una particolare religione dovrebbe seguirne diligentemente i principi, e i maestri che la tramandano alle nuove generazioni dovrebbero dare per primi l’ esempio praticando tutto ciò che insegnano. E’ un dato di fatto che le guide spirituali godono di enorme potere, in quanto possono influenzare assai facilmente il pensiero di moltissime persone presentandosi abbigliati in un determinato modo, esponendo idee filosofiche esotiche e complesse, promettendo miracoli tramite poteri maturati durante intensi ritiri spirituali nel cui corso hanno padroneggiato tecniche meditative articolate e misteriose trasmesse in segreto da maestro a discepolo.
Durante il Novecento, tutte le scuole buddhiste hanno suscitato un profondo interesse in Occidente, incuriosendo studiosi e gente comune e riscuotendo generali consensi tra la popolazione, prevalentemente di tradizione cristiana, quale modo di vivere pacifico in armonia con tutte le cose viventi, animato in modo particolare dal principio della reincarnazione, secondo il quale ogni essere che muore rinasce in eterno assumendo forme e sesso differenti fino al compimento della buddhità, la piena maturazione spirituale sull’ esempio del Buddha Śākyamuni che apre le porte del Nirvana, stato di perfetta beatitudine che porta alla cessazione della sofferenza e quindi del ciclo di nascita, morte e rinascita alla base dell’ esistenza. Il Buddhismo tibetano è oggi una delle scuole più note e seguite a livello mondiale, complice l’ invasione del Tibet tra il 1950 e il 1959 da parte della Repubblica Popolare Cinese, le cui dure condizioni costrinsero il XIV Dalai Lama a rifugiarsi in India settentrionale, a Dharamsala, ove, sostenuto dal governo di Nuova Delhi, lavora costantemente per promuovere la causa del suo Paese pur senza scagliare l’ opinione pubblica mondiale contro la Cina comunista. Molto attivo a vantaggio dei rifugiati tibetani di ogni classe sociale ed età che ogni anno sfuggono tuttora alla proverbiale rigidità del sistema cinese, procurando tutto ciò che occorre loro per vivere e integrarsi nella nuova nazione, l’ Oceano di Saggezza, traduzione letterale del suo titolo nelle lingue occidentali, sostiene da sempre una lotta basata sulla nonviolenza e la disobbedienza civile sull’ esempio del Mahatma Gandhi, di cui si definisce tuttora un grandissimo ammiratore, e negli Anni Settanta visitò per la prima volta l’ Occidente, impegnandosi nella divulgazione a livello internazionale del dramma del suo popolo e condividendo insieme ad altri lama e monaci i principi della tradizione buddhista tibetana, contribuendo alla fondazione di monasteri e centri spirituali che da allora sono aumentati per numero e importanza. I più noti di questi luoghi di trasmissione e pratica sono i centri legati alla Fondazione per la Preservazione della Tradizione Mahayana, quelli del movimento Rigpa nonché quelli del Buddhismo della Via di Diamante, ispirati a tutte e quattro le scuole di pensiero sorte durante i secoli in Tibet.
In Italia in particolare è presente l’ Unione buddhista italiana, un’ associazione formata da centri e associazioni confessionali che operano sul territorio, il cui impegno portò nel 2012, dopo un lungo percorso, all’ approvazione da parte dello Stato di un’ intesa nella quale il Buddhismo venne riconosciuto ufficialmente tra le religioni praticate dal popolo italiano e non più soltanto dalle minoranze di provenienza asiatica, cosa che consentì di devolvere l’ Otto per mille a favore dei centri e al sostentamento dei monaci e dei maestri di ogni tradizione.

Gangchen Rinpoche in ricche vesti;
Nel variegato panorama buddhista italiano spicca l’ attività di un particolare lama tibetano, Gangchen Rinpoche, nominato Messaggero di pace dalle Nazioni Unite e molto impegnato come guaritore, famoso per la sua amicizia con vari volti noti dello spettacolo, soprattutto Marco Columbro, a capo di un movimento dalla consistente e articolata struttura organizzativa. Una figura purtroppo assai controversa all’ interno del mondo tibetano, che essendo stato retto per secoli da una teocrazia risulta ovviamente soggetto a dinamiche politiche, sociali e spirituali ben più complesse e meno ovvie di quanto la propaganda solitamente lasci intendere. Da molti anni è in dissidio con il Dalai Lama a causa di una forte controversia spirituale dalle dinamiche tutt’ altro che semplici e scontate, che ad un certo punto lo ha visto stringere intensi legami con le autorità cinesi, contribuendo ad animare non poco la già penosa questione tibetana e portando ancora una volta a domandarsi se il fine giustifichi i mezzi…
Gangchen Rinpoche con Song Rinpoche;

Nato in una famiglia di contadini di Dakshu, minuscolo villaggio dello Tsang, regione del Tibet occidentale, all’ età di tre anni venne riconosciuto come la reincarnazione di Kacen Sapenla, un famoso lama guaritore appartenente a un antico lignaggio di maestri reincarnati iniziato con Darikapa, uno degli ottantaquattro maggiori Mahāsiddha venerati in Tibet, e in cui figurano Zango Tashi, uno degli abati del Monastero di Tashilhunpo, residenza del Panchen Lama, la seconda figura più importante in Tibet dopo il Dalai Lama, e molti lama che in vita ebbero rapporti stretti con i vari Panchen Lama.
A cinque anni entrò come novizio di scuola Gelug, la stessa dei Dalai e dei Panchen Lama, nel Monastero Gangchen Choepeling, distante dodici chilometri dal villaggio natio, ove fu ribattezzato Thinley Yarpel Lama Shresta, oppure Gangchen Rinpoche, ossia «il Prezioso di Gangchen», e iniziò la propria educazione religiosa tradizionale sotto la guida di alcuni grandi lama quali Song Rinpoche e in particolare Trijang Rinpoche, una personalità molto potente e rispettata in quanto insegnante giovane del XIV Dalai Lama. Il suo percorso di studi lo portò a ricevere tutte le maggiori iniziazioni meditative e rituali tipiche della sua scuola, soprattutto quella del Buddha della Medicina, in conformità alla sua preparazione quale futuro lama guaritore. Successivamente si trasferì a Tashilhunpo, distante quaranta chilometri da Dakshu, dove nel corso di un’ antica cerimonia ricevette appena dodicenne l’ importante titolo di kacen, normalmente conferito dopo circa venti anni di studi. Fino all’ età di diciotto anni condusse gli studi di filosofia, meditazione, medicina e astrologia dividendosi tra Tashilhunpo e il Monastero di Sera, a Lhasa, capitale del Regno delle Montagne.
Con l’ invasione del Tibet da parte della Repubblica Popolare Cinese, a cavallo degli Anni Cinquanta, Gangchen Rinpoche venne imprigionato e costretto ai lavori forzati analogamente a molti monaci e lama, oltre che nobili e gente comune, ma nel 1963 fu in grado di raggiungere l’ India, che dal 1959 dava asilo al Dalai Lama e al governo tibetano in esilio, dove completò i suoi studi in uno dei molti monasteri riedificati al di fuori della terra natia al fine di garantire la sopravvivenza del Buddhismo tibetano. Nel 1970 ricevette il titolo di Ghesce Rigram al Monastero di Sera, e in seguito lavorò come lama guaritore presso le comunità tibetane in India, Nepal e soprattutto in Sikkim, dove divenne medico dei Namgyal, la famiglia reale.
Dal 1981 iniziò a viaggiare in tutto il mondo, Europa soprattutto, insegnando varie pratiche di meditazione e il mantra del Buddha Śākyamuni, oltre che i concetti legati all’ educazione alla pace interiore e la cura dell’ ambiente, guarendo e guidando vari pellegrinaggi nei luoghi sacri più importanti delle diverse religioni del mondo, dedicandosi inoltre ad un progetto di integrazione fra la medicina tibetana e l’ allopatia. Nel 1983 si stabilì permanentemente in Italia, risiedendo dapprincipio a Gubbio e poi a Milano, iniziando a dare regolari insegnamenti in grandi centri come l’ Istituto Lama Tzong Khapa di Santa Luce e il Ghe Pel Ling di Milano, divenendo molto popolare in Occidente. Negli anni incontrò Giovanni Paolo II e Madre Teresa di Calcutta, e tra i suoi discepoli figurarono presto molte persone famose, tra uomini di spettacolo e insegnanti.
Dorje Shugden, controversa entità spirituale tibetana;

Per comprendere meglio la figura di Gangchen Rinpoche occorre affrontare la vicenda di Dorje Shugden, entità spirituale al centro di determinate pratiche devozionali e liturgiche delle scuole tibetane Gelug e Sakya e che fin dagli Anni Settanta costituisce la causa di un animato dibattito che ha aspramente diviso i tibetani esuli e i praticanti occidentali della loro tradizione buddhista.
Il Buddhismo tibetano si distingue per la forte presenza di elementi mistici, consistenti soprattutto nell interpretazione dei presagi e dei sogni, nonché nella propiziazione degli spiriti buoni e nell esorcizzazione di quelli cattivi e nella consultazione degli oracoli, ossia sensitivi capaci di entrare in trance ospitando in sé le entità divine mettendole in contatto diretto con i comuni mortali in occasione di importanti decisioni spirituali e politiche da prendere, come l’ identificazione della reincarnazione di un lama defunto tra una cerchia di candidati, piuttosto che la definizione dei dettagli di un accordo politico, diplomatico o commerciale con l’ estero. Gli oracoli in particolare sono un elemento molto importante della cultura tibetana, in quanto vengono interrogati per ottenere protezione e guarigione, e si riconosce loro il compito primario di aiutare i tibetani a praticare correttamente il Buddhadharma. Un tempo in Tibet si contavano centinaia di oracoli, molti dei quali oggi sono scomparsi, mentre quelli più importanti, soprattutto quelli consultati dal governo tibetano in esilio, continuano ad esistere.
Durante il Seicento, a seguito di numerosi intrighi e instabili alleanze tra i vari potentati locali alternati a violente incursioni da parte dei mongoli e dei cinesi, il V Dalai Lama, riverito lama reincarnato di scuola Gelug, coreggente del Monastero di Drepung, a Lhasa, insieme a Tulku Dragpa Gyaltsen, altro maestro rinato di grande rispetto, unificò per la prima volta il Tibet con il sostegno mongolo, assumendone l’ autorità sia politica che religiosa, e per favorire l’ unità nazionale, e dunque consolidando la propria posizione, comprese di dover esercitare la guida spirituale senza esclusivismi, aprendosi a tutte e quattro le scuole tibetane, soprattutto la Nyingma, la più antica, fondata nell’ VIII secolo dal leggendario maestro indiano Padmasambhava. In risposta, Tulku Dragpa Gyaltsen appoggiò l’ opposizione dell’ ala conservatrice dei lama e monaci che rigettavano l’ entrata in politica dei Gelug e il miscuglio delle loro discipline spirituali con lo Dzogchen, la tecnica meditativa dei Nyingma, nella convinzione che in tal modo avrebbero contaminato la pura dottrina di lama Tzong Khapa, il maestro fondatore della loro scuola. Nel 1655, tuttavia, Tulku Dragpa Gyaltsen venne trovato defunto in circostanze mai chiarite: si parlò di morte naturale a seguito di una malattia che per qualche tempo lo aveva effettivamente oppresso, ma anche di assassinio politico ordito dal Reggente del V Dalai Lama per soffocamento tramite una sciarpa rituale che gli sarebbe stata fatta ingoiare, in modo tale da rimuovere ogni ostacolo all’ autorità dell’ Oceano di Saggezza. In ogni caso, secondo la tradizione, lo spirito dello sfortunato insegnante si tramutò in un’ entità spirituale molto potente, Dorje Shugden, che i suoi discepoli iniziarono a venerare come dharmapāla, ossia «protettore del Dharma» in sanscrito, ergendolo a simbolo della purezza della dottrina Gelug contro qualsivoglia avvicinamento ad altre discipline. Il V Dalai Lama e i suoi dignitari, invece, lo indicarono come un essere malevolo sorto da preghiere distorte e tentarono di esorcizzarlo tramite rituali complessi e profondi, ma senza successo.
Nei successivi due secoli, Dorje Shugden rimase un protettore di livello minore e marginale, comune nel Tibet meridionale fino alla fine dell’ Ottocento. Nel 1895, infatti, il XIII Dalai Lama assunse il potere e si sforzò fin dal primo giorno di restaurare l’ antica importanza politica e spirituale del proprio lignaggio di reincarnazione, che si era indebolito profondamente a causa della morte in giovane età dei suoi precessori a partire dall’ VIII. Uomo dal forte carattere e dalle profonde convinzioni, ebbe una lunga vita e seppe sottrarsi all’ influenza dei propri dignitari politici e religiosi, e analogamente al V Dalai Lama si avvicinò alle pratiche dei Nyingma e tentò di modernizzare il Tibet sul piano materiale, introducendovi molte recenti invenzioni occidentali, come l’ elettricità, il telefono e un efficiente sistema di strade. Molti aristocratici e lama, tuttavia, si opposero fermamente ai suoi tentativi di apertura e modernizzazione nella convinzione che lo sviluppo materiale e culturale proveniente dall’ esterno avrebbe messo a repentaglio la sopravvivenza dell’ insegnamento buddhista, quindi il culto di Dorje Shugden raggiunse il suo culmine con Pabongka Rinpoche, il più grande e influente lama Gelug del Novecento: maestro di logica e potente praticante tantrico, fu un convinto sostenitore del culto dello spirito, sostenendo che fosse un’ emanazione di Manjuśri, il Buddha della Saggezza, capace di garantire elevati traguardi sia spirituali che materiali ai praticanti. Compì un vero e proprio riformismo all’ interno della scuola, ed essendo il maestro principale di moltissimi lama e monaci trasmise a tutti loro questa pratica finché il XIII Dalai Lama glielo proibì espressamente, in quanto per sua natura essa ostacolava qualsivoglia forma di sincretismo ed apertura. Pabongka Rinpoche si attenne alle disposizioni della massima guida spirituale e politica, ma solo pubblicamente: in forma privata, infatti, continuò liberamente a tramandarla a fidati discepoli, specialmente a Trijang Rinpoche, il suo discepolo prediletto. Nel 1933, alla morte a cinquantotto anni del Grande Tredicesimo, come il Dalai Lama veniva soprannominato, Pabongka Rinpoche riprese ormai libero da qualsivoglia impedimento a trasmettere l’ iniziazione a ritmi esponenziali anche ai laici, e ad ogni livello della società tibetana, fino al 1941, quando morì. Nello stesso anno Trijang Rinpoche, suo erede spirituale, venne scelto come insegnante giovane del XIV Dalai Lama, nato nel 1935 e riconosciuto ad appena due anni come reincarnazione del Dalai Lama defunto. Trijang Rinpoche a sua volta trasmise su vasta scala il culto controverso, iniziando ad esso persino il Dalai Lama, che lo praticò assiduamente per molto tempo affidandosi in più occasioni al suo oracolo, che in occasione della fuga in India del 1959 gli indicò la corretta via da seguire per raggiungere la frontiera senza farsi trovare dai cinesi.
Trijang Rinpoche;

Durante l’ esilio nel subcontinente indiano, la comunità tibetana avvertì la particolare esigenza di riunirsi sotto un’ unica guida come mai prima di allora, quindi i dignitari politici e religiosi puntarono tutto sul giovane Dalai Lama, che, incoraggiato da Nechung, l’ oracolo di Stato tradizionalmente consultato dai suoi predecessori e dal governo fin dai tempi del V Dalai Lama, attraverso cui si esprime Pehar, demone sottomesso da Padmasambhava e convertito in dharmapāla e protettore del governo tibetano, e su richiesta pare delle più autorevoli guide spirituali delle tre altre scuole, ossia Nyingma, Kagyu e Sakya, abbandonò definitivamente la pratica del dharmapāla esclusivo dell’ insegnamento Gelug aprendosi nel contempo agli insegnamenti delle altre tradizioni, simpatizzando particolarmente con le dottrine Nyingma. Nel 1975, tuttavia, un discepolo di Trijang Rinpoche, Zemey Rinpoche, pubblicò «Il libro giallo», in cui descrisse i modi in cui Dorje Shugden in passato aveva castigato i Gelug che avevano mescolato l’ insegnamento di lama Tzong Khapa con le tecniche Nyingma. Sebbene rigettato da molti tra gli stessi praticanti di Dorje Shugden, come ghesce Kelsang Gyatso, secondo i quali un essere illuminato non può fare del male a nessuno, questo testo venne apertamente condannato dal XIV Dalai Lama, che decise di sconsigliare il culto sia ai praticanti religiosi che a quelli laici, vietando a chiunque avesse desiderato continuare a praticarlo di partecipare ai suoi insegnamenti e di ricevere da lui iniziazioni, non volendo intrattenere una relazione disturbata tra maestro e discepolo.


Gangchen Rinpoche e un’ immagine sacra di Dorje Shugden;
Alcuni osservatori tibetani sostengono che sia stato proprio l’ oracolo Nechung a fomentare tale disputa, facendo diventare Dorje Shugden il capro espiatorio di tutti i mali, e in ogni caso la controversia non tardò a degenerare in scontri violenti, giungendo alla perquisizione delle case dei fedeli dello spirito da parte probabilmente degli avversari religiosi, nonché a numerose aggressioni spesso ricambiate di vari devoti e alla distruzione di altari e immagini legati al culto. Il governo tibetano in esilio impose ai monasteri legati alla tradizione di Dorje Shugden una dichiarazione scritta che sancisse una presa di distanza da tale culto, e i monaci che si rifiutarono di aderire vennero dichiarati traditori. In tale ambiente di discordia e violenze reciproche, nel febbraio 1997 ghesce Lobsang Gyatso, amico del XIV Dalai Lama e notoriamente ostile alla tradizione di Dorje Shugden, venne brutalmente assassinato insieme a due monaci suoi assistenti nella propria abitazione, a poche decine di metri dalla residenza dell Oceano di Saggezza. La vicenda assunse un quadro inquietante non soltanto perché un importante lama era stato ucciso in modo tanto atroce dopo essersi lungamente scagliato contro i praticanti del culto, ma anche perché pare che nella vicenda fossero coinvolti alcuni agenti segreti cinesi che si erano infiltrati con lo scopo di seminare discordia tra le persone vicine al Dalai Lama, che il governo di Pechino ha sempre descritto come «un pericoloso reazionario ostile al comunismo e alla legittima riunificazione del Tibet alla madrepatria cinese».

Il XIV Dalai Lama del Tibet;
Quando il XIV Dalai Lama espresse l’ invito ad abbandonare il culto, Gangchen Rinpoche scelse di continuare a praticarlo per rispetto verso Trijang Rinpoche, l’ insegnante che aveva avuto in comune con la massima guida politica e spirituale del Tibet, e nel corso del tempo assunse persino determinati caratteri talmente conservatori che lo portarono ad avvicinarsi profondamente ai cinesi, coalizzandosi contro il Dalai Lama e il suo governo in esilio. Le autorità cinesi, infatti, non tardarono a comprendere l’ utilità strategica delle restrizioni poste dal Dalai Lama al culto di Dorje Shugden, e iniziarono a sostenere politicamente e finanziariamente tutti quei lama e monaci che avrebbero scelto di preservarlo in rispetto dei voti ricevuti dai propri maestri, accusando il Dalai Lama e i suoi dignitari politici e spirituali di sopprimere la libertà religiosa.
Durante l’ occupazione del Tibet nel corso degli Anni Cinquanta e dopo la fuga del Dalai Lama in India nel 1959, oltre seimila monasteri e santuari tibetani vennero distrutti e centinaia di monaci furono brutalmente uccisi: nel 1978 rimanevano solo otto monasteri e novecentosettanta monaci e monache. Tuttavia, i cinesi compresero che i sentimenti religiosi tibetani non si erano mai attenuati, quindi il modo migliore per guadagnarsi il loro favore consisteva in una graduale liberalizzazione del Buddhismo: i monasteri vennero ricostruiti e riaperti e l’ educazione dei monaci fu resa più completa, per quanto controllata dalle autorità. Come sostenuto da lama Tseta, che per anni fu un importante praticante del culto dividendosi tra India e Nepal, la Cina pagava regolarmente lui e altri lama e monaci affinché coordinassero le attività all’ estero tramite il comitato del Fronte del Lavoro Unito, predisposto a dirigere le proteste dei praticanti del culto di Dorje Shugden in India e in Occidente, in modo tale da accusare il Dalai Lama di falsità, di opportunismo e di gettare discordia tra i tibetani per motivi politici, contrariamente ad ogni principio buddhista: i devoti di Dorje Shugden sono tuttora trattati con grande riguardo dalle autorità cinesi, e in occasione di eventi importanti in Tibet sono ospiti d’ onore e descritti come cittadini patriottici, «figli devoti della madrepatria socialista a cui il Tibet è sempre appartenuto».
Lama Tseta, ex praticante del culto in contatto con i cinesi;

Gangchen Rinpoche divenne presto il più influente devoto del culto residente all’ esterno della Cina, come confermato sia da lama Tseta che da vari studiosi occidentali di Buddismo tibetano, come il francese Thierry Dodin, che lo definisce la personalità più forte del movimento e il più impegnato a favore del Partito Comunista e le autorità cinesi: dal 1987, quando riprese a visitare la Regione Autonoma del Tibet, incontra regolarmente i vertici cinesi sia locali che nazionali, da cui viene grandemente omaggiato in occasione dei raduni religiosi approvati, nel cui corso viene trattato come una personalità di grandissimo prestigio, mentre nel 1997 organizzò i primi incontri tra i maggiori praticanti e i funzionari cinesi in India. Interrotti i propri rapporti con Dharamsala e i lama e i monaci leali al Dalai Lama, fondò una propria organizzazione con oltre cento centri sparsi in Europa, America meridionale e Nepal, dedicandosi all iniziazione e all insegnamento delle tecniche di guarigione e autoguarigione nonché del culto di Dorje Shugden.


Gangchen Rinpoche e il X Panchen Lama;
Per anni, Gangchen Rinpoche fu in ottimi e stretti rapporti con il X Panchen Lama, tra i più celebri seguaci di Dorje Shugden, dal quale ricevette molte iniziazioni e insegnamenti. Da ormai qualche tempo il Panchen Lama era una delle più importanti risorse nelle mani dei cinesi, essendo stato riconosciuto in tenera età dai dignitari della sua precedente incarnazione, sotto la regia dei funzionari e ufficiali cinesi che già erano stati vicini allo stesso IX Panchen Lama, caduto in disgrazia dopo essere entrato in contrasto con il governo tibetano per una questione di tasse e privilegi. Il XIV Dalai Lama e il governo tibetano confermarono il candidato sostenuto dai cinesi solo in occasione dei negoziati del 1951. Per tutta la sua vita, il X Panchen Lama fu soggetto ad un’ intensa influenza da parte dei cinesi, che ne avevano attentamente regolato l’ educazione così da sfruttarne un giorno l’ autorità per fini politici, ma durante la Grande rivoluzione culturale proletaria denunciò apertamente le penose condizioni di vita a cui i tibetani erano soggetti a causa dei cinesi, dunque venne arrestato e lungamente umiliato e brutalizzato durante i tamzin, le famigerate sessioni pubbliche di accusa. Dopo il suo rilascio, fu considerato un soggetto «politicamente riabilitato», tanto da meritare la carica di vice presidente del Congresso Nazionale del Popolo, ma agli inizi del 1989, subito dopo un discorso pubblico in cui denunciava la condotta cinese in Tibet, morì ad appena cinquantuno anni in circostanze mai chiarite.
In accordo con le tradizioni tibetane, poco dopo un gruppo di lama e monaci iniziò le ricerche per individuare la sua reincarnazione, che venne riconosciuta in un bambino della Contea di Lhari, Gedhun Choekyi Nyima: quando il XIV Dalai Lama annunciò la notizia al mondo, le autorità cinesi fecero sparire nel nulla il bambino e la sua famiglia, e arrestarono la delegazione dei monaci leali al governo tibetano in esilio, colpevoli di aver condotto «una ricerca illegale per conto del Dalai e della sua cricca per minare dall’ interno l’ unità della Patria socialista», e li sostituirono con una serie di lama e monaci leali a Pechino, praticanti di Dorje Shugden ed oppositori tanto del XIV Dalai Lama quanto del defunto Panchen Lama, incaricandoli di costituire una nuova commissione di ricerca per individuare «la vera reincarnazione»: Gangchen Rinpoche fu tra le persone coinvolte nella nuova ricerca, e vi ricoprì un ruolo determinante. Venne pertanto compilata una lista di nuovi candidati, tra i quali alla fine venne scelto un bambino cinese, figlio di una coppia iscritta al Partito Comunista e che venne consacrato l’ 11 novembre 1995, in una fastosa cerimonia a Pechino alla quale Gangchen Rinpoche presenziò rendendogli pubblicamente omaggio.

L’ omaggio al Panchen Lama imposto dalla Cina, a Pechino;

Il rito, a cui era peraltro presente Jiang Zemin, Presidente della Repubblica popolare cinese, lanciò un messaggio ben preciso: il Panchen Lama, la seconda autorità religiosa tibetana, coinvolta direttamente nelle ricerche della reincarnazione del Dalai Lama, ora era sotto un controllo assai più stretto da parte della Cina, e la sua educazione era affidata a lama devoti a Dorje Shugden, tutti filocinesi. Da allora i contatti di Gangchen Rinpoche con i cinesi si intensificarono notevolmente.
Il saluto ad Hu Jintao, allora Presidente della RPC;

A Gangchen Rinpoche sono state spesso domandate spiegazioni sui suoi rapporti con il governo cinese, e lui ha sempre risposto che i suoi contatti hanno sempre avuto l’ obiettivo di assicurare il benessere dei sei milioni di tibetani rimasti in Tibet: «Non dobbiamo urtare la Cina, perché siamo una popolazione ridotta di fronte alla sua grande forza. Non possiamo vincere, quindi è meglio offrire la nostra amicizia. E’ importante avere una certa autonomia all’ interno del Tibet, così da salvare la cultura e le pratiche spirituali finché siamo tempo, altrimenti tutto andrà perduto.».
A proposito del motivo per cui ha appoggiato il Panchen Lama cinese, sostiene di aver voluto rendere felice il governo di Pechino in modo da alleggerire la posizione della Regione Autonoma del Tibet all’ interno della Repubblica Popolare Cinese: «Non intendo mancare di rispetto a Sua Santità il Dalai Lama e neppure al candidato che Lui sostiene. Non importa se il candidato appoggiato dalla Cina sia o meno la reincarnazione: se siamo amichevoli nei suoi confronti, il governo cinese si ammorbidirà e ci sarà speranza per i tibetani in Tibet. I tibetani fuori dal Tibet sono al sicuro, ma dobbiamo preoccuparci di quelli rimasti in patria. Essere in buoni rapporti con il Panchen Lama appoggiato dalla Cina non significa quindi schierarsi contro quello riconosciuto da Sua Santità il Dalai Lama!». Il lama guaritore sostiene di essere convinto «al cento percento» della scelta del Dalai Lama, ma che si debba considerare un quadro più ampio: «Non si tratta della scelta di Dharamsala o di Pechino a proposito del Panchen Lama, ma semplicemente di rendere più morbida la posizione cinese nei riguardi del Tibet in modo da consentire un vero dialogo tra il nostro governo in esilio e quello cinese.».
A tutte queste considerazioni aggiunge che sarebbe meglio che il governo tibetano in esilio, che lo considera un nemico per le sue convinzioni religiose, farebbe meglio a mettere da parte ogni divergenza sia con lui che con gli altri devoti al culto di Dorje Shugden: «Dopotutto, in Tibet Dorje Shugden non è mai stato una questione nazionale o politica. Si tratta di una pratica strettamente religiosa, tanto per i più alti lama quanto per i più semplici nomadi. Nessuno ha mai praticato Dorje Shugden per trarre guadagno nell’ arena politica o con il desiderio di danneggiare il Dalai Lama o il Suo governo. Perché dovrebbe essere così ora? Non è mai stato così, e non lo sarà mai!».
Non è raro che i tibetani confermino per motivi più terreni che spirituali l’ appoggio per un candidato piuttosto che un altro ad una reincarnazione, in quanto storicamente in Tibet si sono verificati in più occasioni riconoscimenti mossi da scambi di favori, regalie e alleanze: oltre ad aver appoggiato il Panchen Lama imposto dal governo cinese, Gangchen Rinpoche sostiene Lobsang Yeshi Jampal Gyatso, a sua volta discepolo di Song Rinpoche e praticante di Dorje Shugden che si è autoproclamato reincarnazione del XII Kundeling Rinpoche senza tuttavia ottenere l’ assenso del XIV Dalai Lama, a cui spettava il diritto di esprimersi in quanto il IX e il X Kundeling Rinpoche erano stati maestri dell’ XI e del XIII Dalai Lama, mentre l’ VIII e il X erano stati Reggenti del Tibet. L’ Oceano di Saggezza confermò nel 1993 quale reincarnazione un monaco di dieci anni, Tenzin Chokyi Gyaltsen.
Con Wen Jabao, Primo ministro della RPC;

Con l’ aggravarsi della controversia legata a Dorje Shugden e alle interferenze da parte dei cinesi, Gangchen Rinpoche venne espulso dal Monastero di Sera e gli venne proibito di tornare in India, provvedimenti a cui rispose semplicemente di sentire di non poter rinunciare ad una pratica ricevuta dal proprio lama principale per un atto di «pulizia politica», e di essere convinto che Trijang Rinpoche l’ abbia trasmessa nel sincero e lodevole desiderio di aiutare i praticanti a superare i loro ostacoli lungo le prove dolorose dell’ esistenza.
Nel 1997 visitò un monastero a Shigatse, in Tibet, ove istruì i monaci circa l’ adorazione di Dorje Shugden: essi rifiutarono i suoi insegnamenti, ma in seguito vennero ammoniti da alcuni funzionari governativi, i quali affermarono che se non avessero accettato le sue istruzioni sarebbero stati messi sotto accusa per «crimini contro la nazione». In seguito, nel 2005, Gangchen Rinpoche offrì un finanziamento per la costruzione di un nuovo dormitorio in un monastero nella provincia del Gansu e fece generose donazioni ad altri monasteri locali. La sua offerta era tuttavia vincolata al consenso da parte dei monaci di consacrare un nuovo santuario dedicato a Dorje Shugden nei rispettivi monasteri. I monaci rifiutarono nonostante le pressioni dei funzionari governativi, e l’ offerta venne pertanto ritirata.

Gangchen Rinpoche officia abitualmente rituali bizzarri;
Oltre al discorso relativo a Dorje Shugden, di per sé già piuttosto grave perché in nome del suo legame con questa pratica spirituale è sceso a patti con i cinesi in un intrigo politico degno dei testi di Niccolò Machiavelli, occorre riflettere anche sulla sua attività di guaritore: Gangchen Rinpoche si presenta come un taumaturgo dal grande potere, erede di un antico lignaggio di insegnamento e di reincarnazioni di grandi lama guaritori. In tale veste gode del sostegno di vari uomini di spettacolo, soprattutto Marco Columbro, da anni interessato alle tematiche spirituali e legato a lui da una stretta amicizia fin dal 1991, tanto da aiutarlo a diffondere le sue tecniche di guarigione e autoguarigione tramite una serie di libri e documentari.
Si dice che quando si recò in Nepal alla ricerca di un luogo ove realizzare un centro di meditazione e guarigione trovò un’ area spoglia presso cui orinò generando una sorgente di acqua pura che ancora oggi rifornirebbe l’ intero santuario, in cui ha avviato la produzione di medicine e pillole energetiche, definite da lui e dai suoi seguaci come particolarmente adatte a curare i disturbi epidermici e al bilanciamento e all’ armonizzazione delle energie interne. Da anni diffonde la tradizione dei gioielli di guarigione, che vengono usati come talismani curativi e canali di potenti energie positive dopo essere stati benedetti.
Nel 1993, dopo aver consultato Dorje Shugden attraverso l’ oracolo, secondo il quale la sua iniziativa sarebbe stata molto utile, iniziò a insegnare l’ autoguarigione tantrica NgalSo, una tecnica meditativa che avrebbe ricavato dagli insegnamenti originari del Buddha Śākyamuni «riconfezionandola per riconoscere il nemico interiore, responsabile delle malattie che affliggono le persone». Negli anni ha costantemente insegnato e scritto vari libri in proposito, mentre sui suoi siti informatici viene riferito che «molte persone, in diversi Paesi del mondo, ne testimoniano la straordinaria validità nel favorire i processi di guarigione fisica e mentale e nell’ ottenere uno stato di rilassamento, gioia e pace interiore». L’ autoguarigione tantrica NgalSo, promossa con entusiasmo anche da Marco Columbro, si basa su vari mudrā, «sigillo» in sanscrito, ossia gesti simbolici di comunicazione con la divinità, nonché sui movimenti delle braccia come le ali di un uccello in volo, mai adottati nelle cerimonie induiste o tibetane, schiocchi di dita, gesti di preparazione e poi di scioglimento di un nodo accompagnati da mantra. La pratica di questa surreale tecnica meditativa sarebbe capace di combattere impotenza, frigidità, infezioni, emicranie e molto altro, ma occorre tenere presente che non è mai stata accettata dalla medicina, in quanto non sottoposta a verifiche condotte in ambiente scientifico.
Peraltro, secondo alcuni lama residenti a Dharamsala, Ganchen Rinpoche utilizza una certa medicina tradizionale della sua terra originaria, effettivamente creduta dotata di poteri di guarigione da diverse malattie, ma il rituale che officia sarebbe solamente una farsa, un astuto espediente attraverso cui fare leva sulla credulità delle persone millantando poteri miracolosi che non possiede affatto.

Un incontro con Marco Columbro;

Peraltro, di fronte al movimento sviluppatosi intorno alla figura di Gangchen Rinpoche, non si possono non condividere le considerazioni di Frank Usarski: «Si può dire che gli insegnamenti e le iniziative di Gangchen Rinpoche aderiscono ai bisogni ed agli interessi del pubblico occidentale. Un tal atteggiamento è vantaggioso nel ‘mercato religioso’, dal momento che promuove l’ accettazione del Buddhismo tibetano in un contesto occidentale.».
Nella sua dottrina, i temi tipici del Buddhismo tibetano vengono spesso combinati con elementi tratti da altre tradizioni occidentali. In un intervento sul tema dell’ educazione non formale, ad esempio, il lama affermò il proprio approccio sostanzialmente sincretistico: «Oggi è necessario estrarre l’ essenza delle buone idee relative all’ intelligenza emotiva, ai rapporti interpersonali, alla cura della pace e dell’ ambiente presenti in tutte le tradizioni spirituali e offrirle alle nuove generazioni attraverso un’ educazione non formale.». Inoltre, tanto per citare i fatti più noti, la collaborazione alla fondazione del Villaggio Globale di Bagni di Lucca e la proposta per l’ istituzione del Forum Spirituale Permanente per la pace mondiale mostrano effettivamente un atteggiamento aperto alla collaborazione con altre realtà e uno sforzo di integrazione e adattamento al mondo occidentale, ma bisogna notare che la promozione di iniziative quali i Forum mondiali caratterizzano particolarmente i movimenti religiosi nuovi, con origini recenti sebbene radicati in tradizioni antiche, che le mettono in atto con obiettivi di autosponsorizzazione. Inoltre, i nuovi movimenti religiosi hanno acquisito una notevole conoscenza tecnica, non sempre nota alle religioni tradizionali, nell’ uso delle possibilità offerte dalle Nazioni Unite e dalle Organizzazioni non governative. Questo modo di presentarsi al pubblico occidentale, di fatto, è in grado di ripagare il movimento di Gangchen Rinpoche in termini di adesioni entusiastiche alla sua dottrina, ma se la questione viene esaminata nei termini di fedeltà alla tradizione tibetana, le sue aperture rivelano un certo grado di ambiguità e di problematicità. Peraltro, diverse persone che hanno avuto l’ opportunità di frequentare il suo centro, a Milano, si sono dichiarate deluse se non addirittura sconvolte, tanto che una donna residente nell’ Italia settentrionale interruppe i rapporti con lui e la sua comunità dopo che, come dichiarò lei stessa, tentarono di farla passare per pazza. La maggior parte di essi vollero prendere le distanze da questa guida spirituale proprio per i suoi contrasti con il Dalai Lama.
Promotore del benessere fisico e spirituale dell’ individuo...

Nel Dhammapada, testo conservato sia nel canone pāli che in quello cinese e tibetano, formato da una serie di versetti che riferiscono le parole più significative pronunciate dal Buddha Śākyamuni in svariate occasioni, si legge: «Affidati al messaggio del maestro, non alla sua personalità.». Un maestro rappresenta infatti un esempio da seguire non soltanto in funzione all’ insegnamento religioso, ma ad ogni dettaglio del suo comportamento: tutto quello che fa rappresenta il suo messaggio. Deve essere un esempio affidabile innanzitutto come persona, generando pensieri, parole e azioni corretti, e nel caso di un errore è tenuto a rimediare. Se abusa del proprio potere o magari assume un atteggiamento scorretto o sleale, al discepolo tocca manifestare la propria disapprovazione in modo tale da non sfociare nella fede cieca, che sarebbe dannosa per entrambi.
L’ omaggio alla reincarnazione di Trijang Rinpoche;

In quanto tibetano e lama educato secondo le antiche tradizioni del Buddhismo sviluppatosi nella sua terra, pare drammaticamente evidente quanto Gangchen Rinpoche tenga coscientemente il piede in due scarpe per un puro senso dell’ opportunità, nascondendosi dietro un legittimo tentativo di superare le divisioni e ricomporre la profonda ferita non ancora sanata tra tibetani e cinesi. Un uomo che tradisce il proprio Paese per preservare egoisticamente quei privilegi garantiti dalla propria posizione non dovrebbe assolutamente predicarne le usanze e tanto meno insegnare la saggezza, la moralità e la disciplina mentale contenute nella rettitudine indicata dal Buddha Śākyamuni durante il celebre Discorso di Benares, con il quale mise in movimento gli eventi che nei secoli successivi tanta influenza avrebbero avuto sul Tibet e facendo di lui stesso un lama reincarnato. Come dicono gli stessi tibetani: «La dottrina supera il maestro.».
Gangchen Rinpoche e la reincarnazione di Pabongka Rinpoche;

Gonsar Tulku Rinpoche, abate del monastero tibetano Rabten Choeling, presso Mont Pèlerin, sul lago di Ginevra, osservò in modo critico: «Stiamo attraversando una delle fasi più difficili della nostra storia, che affligge tutti i tibetani. Ma dobbiamo riconoscere che il Tibet è un Paese come tutti gli altri, e che anche i tibetani possono sbagliare. In questo mondo non esistono luoghi paradisiaci. In passato il nostro popolo è stato quasi sempre solo lodato. Tuttavia, troppe lodi prive di senso critico non giovano a nessuno. In realtà in Tibet le cose vanno come dalle altre parti.».
Anche nel Tibet antico, alla corte di molti Dalai Lama, trovarono ampio spazio funzionari corrotti e monaci infidi. Nonostante i loro ideali elevati, i tibetani non furono certamente liberi da ingiustizie, corruzione e abusi. Si verificarono persino alcuni attentati, e tra gli stessi lama che si presentano in Occidente figurano pericolosi ciarlatani coinvolti in faccende poco limpide. Occorre pertanto riflettere con grande cura prima di seguire un sentiero spirituale e rimettersi alla saggezza di qualcuno di questi individui dalla dubbia rettitudine…

10 commenti:

  1. Condivido al 100%.
    In merito all'autoguarigione ngalso, cui ho assistito in passato,nella sede del loro centro, il Kunpen, di via Marco Polo, a Milano, non ho mai capito perchè si sia invitati a espellere le nostre negatività(nel corso della pratica)visualizzandole nella forma di serpenti, galline ecc. Mi risulta che siano anche loro esseri senzienti e come tali degni di rispetto, perchè visualizzarli come espressione delle nostre negatività da espellere al di fuori di noi?

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    1. Caro amico,
      mi scuso se rispondo solo ora al suo gentile commento, di cui la ringrazio. Io stesso ho visitato il centro di Albagnano, ma in quell' occasione si fece una puja tradizionale, con un insegnamento di questo lama che, tutto sommato, si basava su concetti comuni del Buddhismo tibetano. Ho comunque comperato un libro, e leggendolo ho letto concetti che nelle mie ricerche sul Buddhismo non erano mai emersi prima. Lei poi solleva un punto interessante: è vero che serpenti e galline sono esseri senzienti degni di rispetto, quindi è effettivamente strano usarli come simbolo di negatività...

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    2. Buongiorno, se desidera approfondire il perchè dei vari passaggi dell'autoguragione tantrica nglso su youtube (in inglese)o su facebook (in Italiano) del sito di albagnano trova i video di Lama Caroline che spiega tutto nel dettaglio ad oggi siamo arrivati a 65 lezioni di più di 2 ore l'una, nel mezzo di questi video si parla anche del quesito che Lei si pone.

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  2. Ho conosciuto Lama Gangchen nel 2003 . In quel periodo seguivo il sentiero "Shambhala Training " ed ero incuriosito dalla nascita del nuovo centro di Albagnano. Una domenica di luglio , mi sono recato in questa località , ove venivano dati insegnamenti per il pubblico.
    Durante la pausa, ho avuto la possibilità di conoscere Rimpoche e , dopo uno rapido scambio di parole mi sono praticamente
    "innamorato" d questo grande essere. Sono stato veramente toccato nel profondo del cuore e da allora , senza essre un vero praticante ,ho partecipato a diversi suoi insegnamenti. Lama Gangchen mi chiamava "amico" e tale , lo sono tuttora. Posso solo affermare che ho trovato in questo grande essere spirituale infinita capacità di opporsi all'antagonismo . Ha sempre promosso la pace , in tutti i sensi , non ha mai invalidato nessuno, nemmeno coloro che gli erano più ostili . Rimpoche era incapace di provare rabbia e ,al contrario era amore incondizionato . Ha sempre operato per il benessere del suo popolo e , più in generale per tutti coloro che gli stavano vicino . A mio parere , "moralità" e "integrità" , si identificano nella capacità di esimersi dai commenti degradanti e fuorvianti soprattutto, se rivolti ad esseri superiori,incapaci di provare "rabbia".
    Aroldo Trivelli

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    1. Caro signor Aroldo, la ringrazio molto per aver lasciato questa sentita testimonianza. L' argomento non è semplice, tutt' altro, e penso che anche Gangchen Rinpoche avesse qualche lato positivo. Non credo che esistano persone solo buone o solo cattive. Gli riconosco la libertà di scegliere tra Dorje Shugden e il Dalai Lama, perchè è una questione che lui come tibetano e lama buddhista conosceva meglio di me. Il problema sono stati i legami con la Cina, che ha tutto l' interesse a seminare zizzania tra i tibetani. Sicuramente pensava di fare bene per il Tibet continuando con la pratica del culto di quest' entità, e vedeva nella Cina un' opportunità. Non credo che volesse appositamente fare del male. Rimane comunque il fatto che politica e religione non dovrebbero mai incontrarsi, perchè la storia dimostra che una loro congiunzione provoca effetti molto, molto difficili da gestire. La ringrazio ancora.

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  3. Buongiorno, c'è un detto che in brasile recita: per capire le azioni del prossimo bisogna mettersi nella sue scarpe, il problema sta, nel riuscire a mettersi le scarpe altrui con i piedi altrui e non con i nostri. Ho conosciuto Lama Gangchen nel 2004 e ho visto in lui solo amore e bontà, un controllo totale della propria mente sempre rivolta al benessere del prossimo, non posso che dire personalmente di aver ricevuto e mai dato. Non ho capito come sono finito su questa pagina, non stavo cercando nulla inerente al buddhismo, ma ci sono capitato, forse è proprio vero nulla capita per caso......

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    1. Caro signore, nulla avviene mai per caso. Che lama Gangchen fosse un corretto praticante ed insegnante pare verosimile anche a me. Nel caso della scelta relativa alla pratica di Dorje Shugden aveva tutto il diritto di proseguirla per rispetto verso i suoi maestri, però in nome di questa scelta non avrebbe dovuto avvicinarsi alla parte opposta, quei cinesi che hanno colto la controversia sollevata dal Dalai Lama per seminare zizzania nella comunità in esilio.
      La ringrazio molto, il suo commento mi ha fatto molto piacere.

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  4. Articolo interessante e che mi chiarisce tante cose. In ogni caso ho potuto conoscere personalmente lama ganchen e lama Michel, e devo dire che soprattutto in quest'ultimo mi sono perso. Condivido l'ideale per cui politica e religione non dovrebbero incontrarsi. Ciononostante la politica come la religione dovrebbero occuparsi del bene di tutti. Per il resto ho studiato e pratico ngalso e devo dire che è una pratica estremamente semplice e correttamente strutturata che mi porta beneficio. Per il resto, sono convinto che lama ganchen abbia sempre agito per limitare i danni della superpotenza cinese cercando il dialogo e la collaborazione, sia per proteggere il popolo tibetano che i principi del buddismo. Fabio Cozzi

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    1. Caro signor Fabio, anche io credo che lama Gangchen abbia agito in nome di ciò che secondo lui era meglio per il Tibet e il Buddhismo tibetano, ma la convergenza di politica e religione crea più problemi di quanti ne risolva. Il fatto che abbia confermato il candidato cinese al rango di Panchen Lama è per me l' esempio del principio: non è accettando l' interferenza di Pechino negli affari religiosi tradizionali del tuo popolo che puoi sperare di creare un dialogo conveniente per entrambe le parti.
      La ringrazio vivamente di aver lasciato il suo commento.

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