Una casa pronta per i festeggiamenti natalizi; |
Pur
essendo la seconda festività cristiana più importante dopo la Pasqua, il Natale
è da sempre il giorno più sentito e atteso dai due miliardi e quattrocento
milioni di cristiani attualmente sparsi in tutto il mondo. Per settimane, se non
addirittura per mesi, soprattutto in Occidente ogni famiglia si prepara con
cura e solennità a questa speciale ricorrenza, comprando abeti o sempreverdi,
addobbi, cibi e infine doni, preparando i presepi e identificando gli abiti
migliori con cui presentarsi. Le strade vengono gradualmente riempite di luci e
immagini di Babbo Natale e, ovviamente, della Natività. Quella del Natale è un’
atmosfera generale e molto potente che cala su tutto, senza risparmiare apparentemente
nessuno, nemmeno le famiglie meno praticanti, lontane dall’ ambiente parrocchiale,
e in certi casi neppure i non credenti: tutti quanti a modo proprio subiscono
il suo richiamo e si assicurano di fare qualcosa, per quanto minimo,
concorrendo all’ atmosfera collettiva.
Corsa alle spese natalizie; |
Si
deve tuttavia riconoscere che il Natale di oggi non è più quello di una volta.
Sempre più persone, infatti, si allontanano dal Cristianesimo perché non soddisfatte
dai suoi princìpi fondamentali, mentre altre pur continuando ad aderire al suo
credo mettono in dubbio la parola dei sacerdoti di qualsivoglia livello, dal
parroco di provincia al Santo Padre assiso sul Soglio di Pietro. Vi sono cristiani
che si sentono vicini a Dio e Gesù ogni giorno della propria vita senza alcun
bisogno di recarsi in chiesa oppure di festeggiare una ricorrenza, mentre molti
altri, forse la maggioranza, si definiscono «cristiani» semplicemente per
convenzione, senza tuttavia esserlo veramente in quanto del tutto prive di
fede, e si riducono a festeggiare il Natale soltanto per abitudine, per un puro
riflesso automatico: lo si è sempre festeggiato e sempre lo si festeggerà, non
importa il motivo che si trova alla base di questo particolare giorno, basta
solo scambiarsi i doni, sedersi a tavola in compagnia di parenti e amici e
mangiare e bere.
Il
Natale, insomma, è stato ridotto ad una festa vuota, ad un pranzo collettivo dal
movente che può tranquillamente essere ignorato, ad una gara a chi acquista
meglio e di più. Si è tramutato in una giornata povera e insensata. Appena
pochi decenni fa, invece, soprattutto durante gli Anni Ottanta e Novanta, le
cose erano molto diverse: si andava in chiesa per la messa, e se ciò non era
possibile ci si radunava a tavola recitando una preghiera con cui si tributava con
semplicità ma con partecipazione e consapevolezza un pensiero al fatto del
giorno, per poi dare giustamente inizio ai festeggiamenti. Erano entrambe forme
più che valide di vivere propriamente il Natale, con spirito cosciente e
gioioso, in cui l’ aspetto degli acquisti generali e della preparazione della festa
materiale acquisivano uno scopo funzionale e di secondo piano, ossia quello della
forma che racchiudeva una precisa sostanza, come un vaso che include la terra
in cui far germogliare i fiori. Ma dal momento che oggi del Natale importa a
ben poca gente ha davvero senso dedicare tanto tempo alla sua preparazione e buona
parte della settimana in cui ricade visitando amici e parenti pronunciando il
fatidico augurio? Serve veramente a qualcosa curare tanto finemente e vigorosamente
il vaso se il fiore non è più considerato?
Natale a New York; |
Una
volta il Natale era profondamente sentito dai cristiani. Era vissuto come un
giorno speciale, unico nel suo genere, in cui i credenti si sentivano più buoni
trasmettendo all’ ambiente una speciale carica di positività ed ottimismo che, non
soggetta a limitazioni, si propagava in ogni direzione nell’ ambiente come un
profumo o un’ onda luminosa o sonora, peraltro tornando indietro al mittente
apportando risultati amplificati in accordo alla purezza e all’ intensità con
cui era stata generata. Non di rado allietava con effetti riequilibranti e
risananti persino i pochi non credenti, oggi aumentati a dismisura. Era un
giorno talmente particolare che durante i penosi anni della distruttiva Grande
Guerra seppe compiere un vero e proprio miracolo: il giorno di Natale dell’
anno 1914 venne attuata una tregua durante la quale le trincee si rasserenarono
vedendo il cessate il fuoco, e i soldati di entrambi gli schieramenti si
raggiunsero fraternizzando e festeggiando insieme, peraltro scambiandosi doni e
cibo.
Soldati britannici e tedeschi durante la Tregua di Natale, 1914; |
Il
25 dicembre 1914, tedeschi e britannici uscirono dalle rispettive fosse trincerate
per festeggiare insieme la festività. Si tende tuttora a credere che questa
storia sia soltanto una bella e commovente favola di Natale, paragonabile ad un
miracolo, e nei libri di storia quasi non viene menzionata, eppure il tema è
stato ampiamente ripreso in romanzi e film, nonché in una canzone popolare di
Mike Harding, intitolata «Christmas 1914», i cui versi recitano: «I fucili rimasero in silenzio […] senza disturbare la
notte. Parlammo, cantammo, ridemmo […] e a Natale giocammo a calcio insieme,
nel fango della terra di nessuno.». La partita a
pallone ebbe veramente luogo, venendo giocata nei pressi della cittadina belga
di Ypres, e si tenne entro la «terra di nessuno», lo spazio che divideva le
trincee britanniche da quelle germaniche: fu il momento fondamentale di quella
che sarebbe passata alla storia come «Tregua di Natale».
Nell’
estate 1914 l’ Europa era divenuta teatro di una guerra senza precedenti per dimensioni
e combattimenti che vedeva opposti due grandi schieramenti: Gran Bretagna,
Francia e Impero russo contro l’ Impero tedesco, quello austro-ungarico e
infine quello ottomano. Più tardi sarebbero scesi in campo anche Bulgaria,
Giappone, Italia, Stati Uniti e una serie di altri Paesi trasformando la
contesa nella prima guerra su scala mondiale della storia. Inizialmente, il fronte
più caldo fu proprio quello occidentale, tra Francia settentrionale e Belgio, ove
britannici, francesi e belgi contrastarono l’ avanzata tedesca. Dopo una
sanguinosa battaglia nei pressi di Ypres, a fine autunno gli eserciti si
ritrovarono impantanati sia qui che in altri fronti in un’ estenuante guerra di
logoramento combattuta soprattutto intorno ai trinceramenti. Da questi fossati
profondi un paio di metri e rinforzati alla buona con tavole di legno, i
soldati si lanciavano quotidianamente all’ assalto del nemico, guadagnando o
cedendo ogni volta pochi metri di terreno e trascorrendo il resto della
giornata tra fango, pioggia e cadaveri in decomposizione. Tali condizioni coinvolgevano
tutti e il «mal comune» indusse presto a svariati episodi di solidarietà tra
nemici, che si trovavano ad appena pochi passi di distanza gli uni dagli altri.
I soldati di entrambi gli schieramenti cominciarono a scambiarsi favori, come
ad esempio il non aprire il fuoco durante i pasti: quel che contava era salvare
le apparenze agli occhi dei superiori, evitando l’ accusa di tradimento e quindi
la fucilazione, e tornare a casa sani e salvi. Il compito di punire i soldati
che si fossero mostrati troppo concilianti con i nemici spettava agli ufficiali
dei vari comandi, i soli autorizzati a stabilire una tregua, principio che sia
a Ypres che in altre zone del fronte sarebbe però stato infranto nel dicembre 1914.
Brindisi tra nemici; |
Dopo
aver dato ordine alle truppe di non interrompere per nessun motivo i
combattimenti, i comandi britannico e tedesco fecero arrivare nelle prime linee
alcuni piccoli pacchi dono natalizi contenenti dolci, liquori, tabacco,
alberelli natalizi e candele. La sera della vigilia, a Ypres i tedeschi addobbarono
le postazioni scambiandosi gli auguri e cantando vari motivetti natalizi. In
una trincea qualcuno intonò la canzone «Stille nacht», la versione germanica
della celebre «Silent night» britannica. Da quel momento, e per buona parte
della serata, i soldati dei due eserciti non smisero di cantare, ognuno nella
propria lingua e al riparo della propria postazione. Come testimoniò in seguito
il soldato tedesco Kurt Zehmisch, nel libro «Silent night: the story of the World
war I Christmas truce», firmato dallo storico statunitense Stanley Weintraub,
che negli Anni Ottanta ricostruì la vicenda: «Quando addobbammo gli alberi e
accendemmo le candele, dall’ altra parte giunsero fischi di gioia e applausi.
Poi cantammo tutti quanti assieme.». Al momento di andare a dormire, un po’
tutti erano ormai convinti che qualcosa di straordinario stesse per verificarsi,
e infatti all’ alba del giorno dopo i tedeschi esposero piccoli cartelli con le
scritte «Buon Natale» e «Non sparate, noi non spariamo.». Era il segnale d’ inizio:
ripresero i canti e gli applausi, poi dalla trincea tedesca uscì un uomo, che
nella nebbia i britannici intravidero appena, quanto bastava per notare che era
disarmato. Increduli, uscirono dai loro ripari e si incamminarono verso i
tedeschi, che fecero altrettanto. Come scrisse il soldato britannico Dougan
Carter in una lettera alla famiglia: «Ho visto la cosa più straordinaria che si
possa vedere: stavamo per sparare a quel tedesco e poco dopo eravamo tutti in
festa.».
La vita in trincea; |
Dopo
aver sepolto i cadaveri dei commilitoni uccisi nei combattimenti dei giorni
precedenti, i due schieramenti fraternizzarono, organizzando una festa vera e
propria. Come canta Mike Harding nella sua canzone: «Fritz portò sigari e brandy,
Tommy della carne di manzo e sigarette.». Parole assolutamente veritiere, in
quanto nel diario di campo del 133° Reggimento sassone si parla infatti di un
tedesco di nome Fritz e anche di Tommy, un britannico che si mise a tagliar
capelli ai nemici in cambio di qualche sigaretta. Nel frattempo, attorno a lui
tutti si scambiavano abbracci e visite di cortesia. Britannici e germanici si regalarono
caffè e cioccolata, marmellata e sigari, tè e whisky, nonché alcuni accessori
delle divise. Ci fu persino chi si fece fotografare in gruppo. Come disse il
soldato britannico Bruce Bairnsfather: «Non vi fu un solo momento di odio: per
un po’ nessuno pensò più alla guerra.». Pareva una scena degna di un film, che
in effetti si sarebbe ritrovata nel copione di «Joyeux Noël», film del 2005 di
Christian Carion.
Prima
che gli alti comandi potessero intervenire interrompendo la tregua, i soldati
fecero un patto solenne: nel caso di ripresa dei combattimenti nessuno avrebbe
mirato ad altezza uomo, rendendo inoffensive le munizioni «sparando alle stelle
in cielo». La notizia della tregua non tardò a diffondersi, e in appena poche
ore la febbre da armistizio contagiò ben due terzi del fronte occidentale:
quasi ovunque britannici e germanici si tesero la mano e festeggiarono insieme,
e il simbolo di quell’ insolito Natale di guerra divenne la partita di calcio
che si tenne a Ypres fra le truppe britanniche del reggimento Scottish seaforth
highlanders e quelle tedesche del Reggimento sassone, benché quel giorno le
partite di calcio furono moltissime, giocate con palloni realizzati con stracci
pieni di sabbia legati con lo spago e porte delimitate da pile di cappotti. Per
alcune ore la «terra di nessuno» si tramutò in un campo di calcio, e nei giorni
successivi i familiari dei soldati furono inondati di lettere e foto dell’ evento,
che finirono ai quotidiani. La stampa
di Torino, posseduta e diretta dal biellese Alfredo Frassati e sottoposta alla
censura, ne ritardò la pubblicazione, quindi le prime notizie vennero trasmesse
dalla stampa statunitense, soprattutto il New
York Times. Subito dopo, la stampa europea dedicò ampio risalto all’
avvenimento, tanto che il 1 gennaio 1915 il Times
di Londra pubblicò un articolo su quella partita, riportando anche il risultato
finale: 3 a 2 per i tedeschi. Le notizie della tregua natalizia trovarono in
seguito sempre più spazio sui giornali dell’ Europa settentrionale, con titoli
euforici e commossi come: «Straordinario: inglesi e tedeschi si stringono la
mano». In alcuni casi la tregua durò fino a Capodanno, ma quasi ovunque tutto
finì la sera stessa di Natale, come avrebbe in seguito ricordato con una punta
di malinconia il capitano britannico J. C. Dunn: «Ci salutammo e rientrammo
nelle trincee, poi udimmo dei colpi: la guerra era ricominciata.».
Gli
alti comandi dei rispettivo fronti non provarono la minima nostalgia per quell’
evento, dandosi ampiamente da fare affinché altre scandalose tregue si ripetessero
in futuro: si minacciò di istituire la corte marziale contro chiunque avesse
avuto contatti con il nemico, e si considerò persino l’ idea di bombardare le
trincee nei giorni precedenti ogni Natale. Inoltre, per evitare che i soldati
familiarizzassero con il nemico, si decise di spostarli a turno in diverse zone
del fronte, e in un secondo momento si compì un atto di censura contro ogni
notizia che riguardasse la tregua del 1914, negando ufficialmente che fosse mai
avvenuta. Tutti questi sforzi, tuttavia, non seppero impedire nuovi atti distensivi,
per quanto lo spirito di quel primo Natale in tempo di guerra non venne mai più
effettivamente eguagliato, come riassunto dai ricordi del soldato britannico
George Eade: «Un tedesco mi sussurrò con voce tremante: ‘Oggi abbiamo avuto la
pace, ma da domani tu combatterai per il tuo Paese e io per il mio. Buona
fortuna.’. Poi, in silenzio, tornò dalla propria parte.». Il miracolo era
finito.
L’ esterno di una trincea; |
Nel
1915 la guerra peggiorò, e negli anni successivi Ypres divenne famosa per i bombardamenti
con armi chimiche che coinvolsero anche la popolazione: la cittadina diede
infatti il nome a uno dei gas utilizzati, l’ iprite. Ad annunciare il ritorno
alla normalità guerresca, tra i britannici, fu un secco comunicato alle truppe:
«Mai più tregue, partite di calcio incluse. In guerra non bisogna mai
interrompere l’ uccisione del nemico». E così, in pochi mesi, quella bella
storia di Natale fu destinata all’ oblio, ma non tutti la presero male: un giovane
soldato austriaco arruolato nell’ esercito tedesco di nome Adolf Hitler, all’ epoca
dei fatti di stanza proprio nella zona di Ypres, fu ben lieto di ricominciare a
sparare, avendo criticato con impetuosità quella che ritenne senza mezzi
termini una «stupida tregua». Di opinione opposta, invece, rimase sempre Bertie
Felstead, un signore britannico morto il 22 luglio 2001, a centosei anni, ultimo
reduce ancora in vita ad aver preso parte a una certa partita di calcio giocata
in quello speciale giorno di Natale: la meno famosa, ma forse la più straordinaria
di tutta la storia.
Sul
fronte italiano, vennero segnalati casi di fraternizzazione con il nemico il 25
dicembre 1916. Le tregue italiane consistevano solo nel deporre le armi
rimanendo a debita distanza, ma in alcuni casi italiani e austro-ungarici
brindarono addirittura gomito a gomito, per esempio sui monti Kobilek, in Friuli,
e Zebio, sull’ altopiano di Asiago. Della tregua approfittò anche il poeta
Giuseppe Ungaretti, che quel giorno scrisse la poesia «Natale». Tuttavia, anche
fuori dai periodi festivi accadeva che fra sudditi sabaudi e asburgici ci si scambiasse
cibo e sigarette, o che si stabilissero lealmente turni per l’ uso di una fonte
d’ acqua. Nel febbraio del 1916, sui monti del Carso, ci fu una tregua
spontanea proposta dagli austriaci al grido di: «Venite, non spariamo.». In
seguito, nel maggio del 1917, sulla vetta Chapot, in Friuli, alcuni ufficiali
sorpresero un gruppo di alpini intenti a parlare, bere e fumare in compagnia
del
nemico.
Pranzo natalizio servito in tavola; |
Oggi,
a cento anni di distanza dalla cessazione del gigantesco conflitto che mise l’
Europa a ferro e fuoco, sconvolgendola radicalmente e portandola a maturare un
contesto sociale, politico e militare profondamente diverso da quello vissuto fino
a quel momento, viene spontaneo riflettere sul legame che la popolazione
cristiana conserva attualmente nei riguardi del giorno scelto nel III secolo dalla
Chiesa come quello in cui avvenne la nascita di Gesù.
Al
giorno d’ oggi si può beatamente affermare che sarebbe del tutto impensabile interrompere
anche solo per un’ ora i combattimenti di una qualunque delle guerre in corso «perché è Natale»: la sola idea susciterebbe una certa
ilarità. Generazione dopo generazione, le persone si sono sempre vantate di essere
più moderne e progredite in confronto ai propri antenati, quindi quel che è
accaduto in passato non tornerà mai più. L’ unica costante in questo mondo è il
cambiamento, pertanto si cerca istintivamente di cambiare in meglio. Ma
purtroppo, se un calcolo va fatto, negli ultimi cento anni l’ umanità non si è evoluta
veramente: oggi esistono tante comodità che un tempo non erano neppure immaginabili,
c’ è stato un indubbio sviluppo materiale tuttavia accompagnato da un’ altrettanto
profonda degenerazione sociale e individuale. Se oggi si può viaggiare fino
alla luna in appena una settimana a bordo di una navetta spaziale, per contro si
sono perduti per strada importanti valori come l’ amicizia, l’ altruismo, la lealtà
e l’ empatia, quindi nessuno pensa più alle altre persone come compagni di
viaggio uguali a noi seppur nella propria natura specifica, ma come concorrenti
e possibili rivali nella grande competizione della vita. Tale clima di
ricchezza materiale unita a povertà interiore ovviamente non ha risparmiato
neppure il Natale, tramutandolo in una sorta di spettacolo di varietà, in una desolante
giornata ai limiti del farsesco dedita ad abbondanti scorpacciate e bevute, a
lunghe conversazioni apparentemente brillanti ma in realtà prive di argomenti sensati
e degni di stima, agli scambi di regali il più possibile appariscenti e
costosi, all’ albero più vistoso e addobbato, al presepio più suggestivo.
Anziché
affannarsi tanto in numerosi e costosi acquisti, senza peraltro sentirsi mai
veramente soddisfatti dei risultati, quando si approssima il Natale e si decide
di festeggiarlo in ottemperanza alla propria fede religiosa, perché non ha
alcun senso celebrare una qualsiasi ricorrenza senza seguire veramente la
relativa tradizione spirituale, sarebbe salutare imparare la grandissima
lezione di quei valorosi combattenti che lottarono e morirono lungo le linee
trincerate della Grande Guerra, uomini coraggiosi e degni di rispetto oggi
purtroppo estinti e che trovarono spontaneamente il modo di cessare le ostilità
tra i rispettivi governi per festeggiare in pace e tutti insieme una giornata
importante come questa, dividendo come fratelli quel poco che avevano, dando
alla ricorrenza un significato particolarmente profondo e commovente in un
contesto tutt’ altro che scontato, e ottenendo risultati infinitamente superiori
a quanto la gente di oggi potrà mai purtroppo vantare pur nel pieno della
grande epoca della modernità, del progresso e del benessere. E’ più che
evidente che il Natale venne ahimè più decorosamente festeggiato nel biasimato
inferno delle trincee piuttosto che nella lodata civiltà dei centri urbani…
Complimenti,bellisimo articolo sicuramente da ripubblicare nel periodo natalizio,periodo in cui forse avrebbe piu' riscontro che in questo momento,dove tutti sono affannati alla corsa alle vacanze.Un caro saluto Alberto Alfonsino
RispondiEliminaLa ringrazio di cuore per l' apprezzamento, signor Alberto. Lo avevo già pubblicato lo scorso Natale, in effetti, e ora mi aveva colto una sorta di rievocazione. A presto. Giacomo
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