venerdì 7 dicembre 2018

Quando il Natale veniva più decorosamente festeggiato in trincea

Una casa pronta per i festeggiamenti natalizi;


Pur essendo la seconda festività cristiana più importante dopo la Pasqua, il Natale è da sempre il giorno più sentito e atteso dai due miliardi e quattrocento milioni di cristiani attualmente sparsi in tutto il mondo. Per settimane, se non addirittura per mesi, soprattutto in Occidente ogni famiglia si prepara con cura e solennità a questa speciale ricorrenza, comprando abeti o sempreverdi, addobbi, cibi e infine doni, preparando i presepi e identificando gli abiti migliori con cui presentarsi. Le strade vengono gradualmente riempite di luci e immagini di Babbo Natale e, ovviamente, della Natività. Quella del Natale è un’ atmosfera generale e molto potente che cala su tutto, senza risparmiare apparentemente nessuno, nemmeno le famiglie meno praticanti, lontane dall’ ambiente parrocchiale, e in certi casi neppure i non credenti: tutti quanti a modo proprio subiscono il suo richiamo e si assicurano di fare qualcosa, per quanto minimo, concorrendo all’ atmosfera collettiva.
Corsa alle spese natalizie;

Si deve tuttavia riconoscere che il Natale di oggi non è più quello di una volta. Sempre più persone, infatti, si allontanano dal Cristianesimo perché non soddisfatte dai suoi princìpi fondamentali, mentre altre pur continuando ad aderire al suo credo mettono in dubbio la parola dei sacerdoti di qualsivoglia livello, dal parroco di provincia al Santo Padre assiso sul Soglio di Pietro. Vi sono cristiani che si sentono vicini a Dio e Gesù ogni giorno della propria vita senza alcun bisogno di recarsi in chiesa oppure di festeggiare una ricorrenza, mentre molti altri, forse la maggioranza, si definiscono «cristiani» semplicemente per convenzione, senza tuttavia esserlo veramente in quanto del tutto prive di fede, e si riducono a festeggiare il Natale soltanto per abitudine, per un puro riflesso automatico: lo si è sempre festeggiato e sempre lo si festeggerà, non importa il motivo che si trova alla base di questo particolare giorno, basta solo scambiarsi i doni, sedersi a tavola in compagnia di parenti e amici e mangiare e bere.
Il Natale, insomma, è stato ridotto ad una festa vuota, ad un pranzo collettivo dal movente che può tranquillamente essere ignorato, ad una gara a chi acquista meglio e di più. Si è tramutato in una giornata povera e insensata. Appena pochi decenni fa, invece, soprattutto durante gli Anni Ottanta e Novanta, le cose erano molto diverse: si andava in chiesa per la messa, e se ciò non era possibile ci si radunava a tavola recitando una preghiera con cui si tributava con semplicità ma con partecipazione e consapevolezza un pensiero al fatto del giorno, per poi dare giustamente inizio ai festeggiamenti. Erano entrambe forme più che valide di vivere propriamente il Natale, con spirito cosciente e gioioso, in cui l’ aspetto degli acquisti generali e della preparazione della festa materiale acquisivano uno scopo funzionale e di secondo piano, ossia quello della forma che racchiudeva una precisa sostanza, come un vaso che include la terra in cui far germogliare i fiori. Ma dal momento che oggi del Natale importa a ben poca gente ha davvero senso dedicare tanto tempo alla sua preparazione e buona parte della settimana in cui ricade visitando amici e parenti pronunciando il fatidico augurio? Serve veramente a qualcosa curare tanto finemente e vigorosamente il vaso se il fiore non è più considerato?
Natale a New York;

Una volta il Natale era profondamente sentito dai cristiani. Era vissuto come un giorno speciale, unico nel suo genere, in cui i credenti si sentivano più buoni trasmettendo all’ ambiente una speciale carica di positività ed ottimismo che, non soggetta a limitazioni, si propagava in ogni direzione nell’ ambiente come un profumo o un’ onda luminosa o sonora, peraltro tornando indietro al mittente apportando risultati amplificati in accordo alla purezza e all’ intensità con cui era stata generata. Non di rado allietava con effetti riequilibranti e risananti persino i pochi non credenti, oggi aumentati a dismisura. Era un giorno talmente particolare che durante i penosi anni della distruttiva Grande Guerra seppe compiere un vero e proprio miracolo: il giorno di Natale dell’ anno 1914 venne attuata una tregua durante la quale le trincee si rasserenarono vedendo il cessate il fuoco, e i soldati di entrambi gli schieramenti si raggiunsero fraternizzando e festeggiando insieme, peraltro scambiandosi doni e cibo.
Soldati britannici e tedeschi durante la Tregua di Natale, 1914;

Il 25 dicembre 1914, tedeschi e britannici uscirono dalle rispettive fosse trincerate per festeggiare insieme la festività. Si tende tuttora a credere che questa storia sia soltanto una bella e commovente favola di Natale, paragonabile ad un miracolo, e nei libri di storia quasi non viene menzionata, eppure il tema è stato ampiamente ripreso in romanzi e film, nonché in una canzone popolare di Mike Harding, intitolata «Christmas 1914», i cui versi recitano: «I fucili rimasero in silenzio […] senza disturbare la notte. Parlammo, cantammo, ridemmo […] e a Natale giocammo a calcio insieme, nel fango della terra di nessuno.». La partita a pallone ebbe veramente luogo, venendo giocata nei pressi della cittadina belga di Ypres, e si tenne entro la «terra di nessuno», lo spazio che divideva le trincee britanniche da quelle germaniche: fu il momento fondamentale di quella che sarebbe passata alla storia come «Tregua di Natale».
Nell’ estate 1914 l’ Europa era divenuta teatro di una guerra senza precedenti per dimensioni e combattimenti che vedeva opposti due grandi schieramenti: Gran Bretagna, Francia e Impero russo contro l’ Impero tedesco, quello austro-ungarico e infine quello ottomano. Più tardi sarebbero scesi in campo anche Bulgaria, Giappone, Italia, Stati Uniti e una serie di altri Paesi trasformando la contesa nella prima guerra su scala mondiale della storia. Inizialmente, il fronte più caldo fu proprio quello occidentale, tra Francia settentrionale e Belgio, ove britannici, francesi e belgi contrastarono l’ avanzata tedesca. Dopo una sanguinosa battaglia nei pressi di Ypres, a fine autunno gli eserciti si ritrovarono impantanati sia qui che in altri fronti in un’ estenuante guerra di logoramento combattuta soprattutto intorno ai trinceramenti. Da questi fossati profondi un paio di metri e rinforzati alla buona con tavole di legno, i soldati si lanciavano quotidianamente all’ assalto del nemico, guadagnando o cedendo ogni volta pochi metri di terreno e trascorrendo il resto della giornata tra fango, pioggia e cadaveri in decomposizione. Tali condizioni coinvolgevano tutti e il «mal comune» indusse presto a svariati episodi di solidarietà tra nemici, che si trovavano ad appena pochi passi di distanza gli uni dagli altri. I soldati di entrambi gli schieramenti cominciarono a scambiarsi favori, come ad esempio il non aprire il fuoco durante i pasti: quel che contava era salvare le apparenze agli occhi dei superiori, evitando l’ accusa di tradimento e quindi la fucilazione, e tornare a casa sani e salvi. Il compito di punire i soldati che si fossero mostrati troppo concilianti con i nemici spettava agli ufficiali dei vari comandi, i soli autorizzati a stabilire una tregua, principio che sia a Ypres che in altre zone del fronte sarebbe però stato infranto nel dicembre 1914.
Brindisi tra nemici;

Dopo aver dato ordine alle truppe di non interrompere per nessun motivo i combattimenti, i comandi britannico e tedesco fecero arrivare nelle prime linee alcuni piccoli pacchi dono natalizi contenenti dolci, liquori, tabacco, alberelli natalizi e candele. La sera della vigilia, a Ypres i tedeschi addobbarono le postazioni scambiandosi gli auguri e cantando vari motivetti natalizi. In una trincea qualcuno intonò la canzone «Stille nacht», la versione germanica della celebre «Silent night» britannica. Da quel momento, e per buona parte della serata, i soldati dei due eserciti non smisero di cantare, ognuno nella propria lingua e al riparo della propria postazione. Come testimoniò in seguito il soldato tedesco Kurt Zehmisch, nel libro «Silent night: the story of the World war I Christmas truce», firmato dallo storico statunitense Stanley Weintraub, che negli Anni Ottanta ricostruì la vicenda: «Quando addobbammo gli alberi e accendemmo le candele, dall’ altra parte giunsero fischi di gioia e applausi. Poi cantammo tutti quanti assieme.». Al momento di andare a dormire, un po’ tutti erano ormai convinti che qualcosa di straordinario stesse per verificarsi, e infatti all’ alba del giorno dopo i tedeschi esposero piccoli cartelli con le scritte «Buon Natale» e «Non sparate, noi non spariamo.». Era il segnale d’ inizio: ripresero i canti e gli applausi, poi dalla trincea tedesca uscì un uomo, che nella nebbia i britannici intravidero appena, quanto bastava per notare che era disarmato. Increduli, uscirono dai loro ripari e si incamminarono verso i tedeschi, che fecero altrettanto. Come scrisse il soldato britannico Dougan Carter in una lettera alla famiglia: «Ho visto la cosa più straordinaria che si possa vedere: stavamo per sparare a quel tedesco e poco dopo eravamo tutti in festa.».
La vita in trincea;

Dopo aver sepolto i cadaveri dei commilitoni uccisi nei combattimenti dei giorni precedenti, i due schieramenti fraternizzarono, organizzando una festa vera e propria. Come canta Mike Harding nella sua canzone: «Fritz portò sigari e brandy, Tommy della carne di manzo e sigarette.». Parole assolutamente veritiere, in quanto nel diario di campo del 133° Reggimento sassone si parla infatti di un tedesco di nome Fritz e anche di Tommy, un britannico che si mise a tagliar capelli ai nemici in cambio di qualche sigaretta. Nel frattempo, attorno a lui tutti si scambiavano abbracci e visite di cortesia. Britannici e germanici si regalarono caffè e cioccolata, marmellata e sigari, tè e whisky, nonché alcuni accessori delle divise. Ci fu persino chi si fece fotografare in gruppo. Come disse il soldato britannico Bruce Bairnsfather: «Non vi fu un solo momento di odio: per un po’ nessuno pensò più alla guerra.». Pareva una scena degna di un film, che in effetti si sarebbe ritrovata nel copione di «Joyeux Noël», film del 2005 di Christian Carion.
Prima che gli alti comandi potessero intervenire interrompendo la tregua, i soldati fecero un patto solenne: nel caso di ripresa dei combattimenti nessuno avrebbe mirato ad altezza uomo, rendendo inoffensive le munizioni «sparando alle stelle in cielo». La notizia della tregua non tardò a diffondersi, e in appena poche ore la febbre da armistizio contagiò ben due terzi del fronte occidentale: quasi ovunque britannici e germanici si tesero la mano e festeggiarono insieme, e il simbolo di quell’ insolito Natale di guerra divenne la partita di calcio che si tenne a Ypres fra le truppe britanniche del reggimento Scottish seaforth highlanders e quelle tedesche del Reggimento sassone, benché quel giorno le partite di calcio furono moltissime, giocate con palloni realizzati con stracci pieni di sabbia legati con lo spago e porte delimitate da pile di cappotti. Per alcune ore la «terra di nessuno» si tramutò in un campo di calcio, e nei giorni successivi i familiari dei soldati furono inondati di lettere e foto dell’ evento, che finirono ai quotidiani. La stampa di Torino, posseduta e diretta dal biellese Alfredo Frassati e sottoposta alla censura, ne ritardò la pubblicazione, quindi le prime notizie vennero trasmesse dalla stampa statunitense, soprattutto il New York Times. Subito dopo, la stampa europea dedicò ampio risalto all’ avvenimento, tanto che il 1 gennaio 1915 il Times di Londra pubblicò un articolo su quella partita, riportando anche il risultato finale: 3 a 2 per i tedeschi. Le notizie della tregua natalizia trovarono in seguito sempre più spazio sui giornali dell’ Europa settentrionale, con titoli euforici e commossi come: «Straordinario: inglesi e tedeschi si stringono la mano». In alcuni casi la tregua durò fino a Capodanno, ma quasi ovunque tutto finì la sera stessa di Natale, come avrebbe in seguito ricordato con una punta di malinconia il capitano britannico J. C. Dunn: «Ci salutammo e rientrammo nelle trincee, poi udimmo dei colpi: la guerra era ricominciata.».
Gli alti comandi dei rispettivo fronti non provarono la minima nostalgia per quell’ evento, dandosi ampiamente da fare affinché altre scandalose tregue si ripetessero in futuro: si minacciò di istituire la corte marziale contro chiunque avesse avuto contatti con il nemico, e si considerò persino l’ idea di bombardare le trincee nei giorni precedenti ogni Natale. Inoltre, per evitare che i soldati familiarizzassero con il nemico, si decise di spostarli a turno in diverse zone del fronte, e in un secondo momento si compì un atto di censura contro ogni notizia che riguardasse la tregua del 1914, negando ufficialmente che fosse mai avvenuta. Tutti questi sforzi, tuttavia, non seppero impedire nuovi atti distensivi, per quanto lo spirito di quel primo Natale in tempo di guerra non venne mai più effettivamente eguagliato, come riassunto dai ricordi del soldato britannico George Eade: «Un tedesco mi sussurrò con voce tremante: ‘Oggi abbiamo avuto la pace, ma da domani tu combatterai per il tuo Paese e io per il mio. Buona fortuna.’. Poi, in silenzio, tornò dalla propria parte.». Il miracolo era finito.
L’ esterno di una trincea;

Nel 1915 la guerra peggiorò, e negli anni successivi Ypres divenne famosa per i bombardamenti con armi chimiche che coinvolsero anche la popolazione: la cittadina diede infatti il nome a uno dei gas utilizzati, l’ iprite. Ad annunciare il ritorno alla normalità guerresca, tra i britannici, fu un secco comunicato alle truppe: «Mai più tregue, partite di calcio incluse. In guerra non bisogna mai interrompere l’ uccisione del nemico». E così, in pochi mesi, quella bella storia di Natale fu destinata all’ oblio, ma non tutti la presero male: un giovane soldato austriaco arruolato nell’ esercito tedesco di nome Adolf Hitler, all’ epoca dei fatti di stanza proprio nella zona di Ypres, fu ben lieto di ricominciare a sparare, avendo criticato con impetuosità quella che ritenne senza mezzi termini una «stupida tregua». Di opinione opposta, invece, rimase sempre Bertie Felstead, un signore britannico morto il 22 luglio 2001, a centosei anni, ultimo reduce ancora in vita ad aver preso parte a una certa partita di calcio giocata in quello speciale giorno di Natale: la meno famosa, ma forse la più straordinaria di tutta la storia.
Sul fronte italiano, vennero segnalati casi di fraternizzazione con il nemico il 25 dicembre 1916. Le tregue italiane consistevano solo nel deporre le armi rimanendo a debita distanza, ma in alcuni casi italiani e austro-ungarici brindarono addirittura gomito a gomito, per esempio sui monti Kobilek, in Friuli, e Zebio, sull’ altopiano di Asiago. Della tregua approfittò anche il poeta Giuseppe Ungaretti, che quel giorno scrisse la poesia «Natale». Tuttavia, anche fuori dai periodi festivi accadeva che fra sudditi sabaudi e asburgici ci si scambiasse cibo e sigarette, o che si stabilissero lealmente turni per l’ uso di una fonte d’ acqua. Nel febbraio del 1916, sui monti del Carso, ci fu una tregua spontanea proposta dagli austriaci al grido di: «Venite, non spariamo.». In seguito, nel maggio del 1917, sulla vetta Chapot, in Friuli, alcuni ufficiali sorpresero un gruppo di alpini intenti a parlare, bere e fumare in compagnia
del nemico.
Pranzo natalizio servito in tavola;

Oggi, a cento anni di distanza dalla cessazione del gigantesco conflitto che mise l’ Europa a ferro e fuoco, sconvolgendola radicalmente e portandola a maturare un contesto sociale, politico e militare profondamente diverso da quello vissuto fino a quel momento, viene spontaneo riflettere sul legame che la popolazione cristiana conserva attualmente nei riguardi del giorno scelto nel III secolo dalla Chiesa come quello in cui avvenne la nascita di Gesù.
Al giorno d’ oggi si può beatamente affermare che sarebbe del tutto impensabile interrompere anche solo per un’ ora i combattimenti di una qualunque delle guerre in corso «perché è Natale»: la sola idea susciterebbe una certa ilarità. Generazione dopo generazione, le persone si sono sempre vantate di essere più moderne e progredite in confronto ai propri antenati, quindi quel che è accaduto in passato non tornerà mai più. L’ unica costante in questo mondo è il cambiamento, pertanto si cerca istintivamente di cambiare in meglio. Ma purtroppo, se un calcolo va fatto, negli ultimi cento anni l’ umanità non si è evoluta veramente: oggi esistono tante comodità che un tempo non erano neppure immaginabili, c’ è stato un indubbio sviluppo materiale tuttavia accompagnato da un’ altrettanto profonda degenerazione sociale e individuale. Se oggi si può viaggiare fino alla luna in appena una settimana a bordo di una navetta spaziale, per contro si sono perduti per strada importanti valori come l’ amicizia, l’ altruismo, la lealtà e l’ empatia, quindi nessuno pensa più alle altre persone come compagni di viaggio uguali a noi seppur nella propria natura specifica, ma come concorrenti e possibili rivali nella grande competizione della vita. Tale clima di ricchezza materiale unita a povertà interiore ovviamente non ha risparmiato neppure il Natale, tramutandolo in una sorta di spettacolo di varietà, in una desolante giornata ai limiti del farsesco dedita ad abbondanti scorpacciate e bevute, a lunghe conversazioni apparentemente brillanti ma in realtà prive di argomenti sensati e degni di stima, agli scambi di regali il più possibile appariscenti e costosi, all’ albero più vistoso e addobbato, al presepio più suggestivo.
Anziché affannarsi tanto in numerosi e costosi acquisti, senza peraltro sentirsi mai veramente soddisfatti dei risultati, quando si approssima il Natale e si decide di festeggiarlo in ottemperanza alla propria fede religiosa, perché non ha alcun senso celebrare una qualsiasi ricorrenza senza seguire veramente la relativa tradizione spirituale, sarebbe salutare imparare la grandissima lezione di quei valorosi combattenti che lottarono e morirono lungo le linee trincerate della Grande Guerra, uomini coraggiosi e degni di rispetto oggi purtroppo estinti e che trovarono spontaneamente il modo di cessare le ostilità tra i rispettivi governi per festeggiare in pace e tutti insieme una giornata importante come questa, dividendo come fratelli quel poco che avevano, dando alla ricorrenza un significato particolarmente profondo e commovente in un contesto tutt’ altro che scontato, e ottenendo risultati infinitamente superiori a quanto la gente di oggi potrà mai purtroppo vantare pur nel pieno della grande epoca della modernità, del progresso e del benessere. E’ più che evidente che il Natale venne ahimè più decorosamente festeggiato nel biasimato inferno delle trincee piuttosto che nella lodata civiltà dei centri urbani…

2 commenti:

  1. Complimenti,bellisimo articolo sicuramente da ripubblicare nel periodo natalizio,periodo in cui forse avrebbe piu' riscontro che in questo momento,dove tutti sono affannati alla corsa alle vacanze.Un caro saluto Alberto Alfonsino

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    1. La ringrazio di cuore per l' apprezzamento, signor Alberto. Lo avevo già pubblicato lo scorso Natale, in effetti, e ora mi aveva colto una sorta di rievocazione. A presto. Giacomo

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