giovedì 21 novembre 2019

L' ultimo imperatore

Francesco Giuseppe I d’ Austria,

«Finché avrò vita, nessuno dovrà immischiarsi nel governo.» Francesco Giuseppe I d’ Asburgo; 

L’ epopea della Grande Guerra, che fino al 1939 fu il più grande conflitto mai combattuto dall’ umanità, consumò infinite battaglie in tutta Europa, gettando le maggiori potenze del tempo le une contro le altre e inducendo a cambiamenti epocali nell’ intero continente. Nemmeno il ciclone rappresentato dalle guerre napoleoniche, appena un secolo prima, era riuscito a spingersi a tanto. Il secolare Impero austro-ungarico e quello tedesco, ben più recente, caddero in favore di un sistema repubblicano, e mentre si formavano nuovi Stati a seguito del crollo degli imperi centrali, le nuove forze rivoluzionarie di sinistra, soprattutto socialiste e comuniste, e il militarismo di estrema destra avanzarono con forza fino al cuore del Vecchio Mondo, le cui nazioni, vincitrici o sconfitte che fossero, dovettero fare i conti con un’ economia disastrata, guardando con preoccupazione le classi meno abbienti avvicinarsi alle ideologie più estremizzate, dopo l’ esasperazione dell’ uso di manodopera nelle catene di montaggio.
Eppure, tutto era nato molto tempo prima, in un lontano preludio sotto la lunga ombra di un celeberrimo sovrano, Francesco Giuseppe I d’ Asburgo, quarto e penultimo imperatore austriaco, senza il quale non è esagerato affermare che la storia recente d’ Europa si sarebbe evoluta in modo alquanto diverso. Ricordato prevalentemente come il marito innamorato della leggendaria imperatrice Elisabetta, egli fu un personaggio estremamente ambiguo e contradditorio, dai tratti sfaccettati e spesso condannato come tiranno. Il suo lunghissimo regno, durato quasi sessantotto anni, partito il 2 dicembre 1848 e conclusosi il 21 novembre 1916, fece di lui il signore più longevo della sua dinastia, e con ogni probabilità il monarca più longevo di sempre, ma la sua mentalità rigida e spiccatamente conservatrice, legata ad un passato ormai trascorso, lo portarono ad una politica assolutistica e accentratrice, ormai del tutto inadatta ai tempi e alle necessità del momento, incapace di rispondere ai bisogni di modernizzazione e riforme e alle richieste di autonomia da parte delle amministrazioni locali e degli svariati popoli residenti entro i confini imperiali. Seppur intimamente contrario all’ idea di una nuova guerra, cedette alle pressioni dei suoi dignitari che desideravano impartire una lezione indimenticabile alla Serbia, nel nome del potere di Vienna e sovrastimando le forze militari imperiali, firmando la dichiarazione di ostilità e contribuendo in prima persona, nel quadro del meccanismo di alleanze tra potenze europee, a scatenare il primo conflitto mondiale. La sua tendenza a confermare l’ autorità del sovrano come il cuore della vita dell’ Impero, convinto com’ era del diritto divino dei re, fu una causa fondamentale nella drammatica caduta della secolare monarchia asburgica. Come uomo visse varie tragedie, come la fucilazione in Messico del fratello, il suicidio dell’ unico figlio maschio ed erede al trono, l’ assassinio della moglie e quello del nipote, nuovo principe ereditario.
Francesco Giuseppe in giovane età;

Francesco Giuseppe nacque nel Castello di Schönbrunn, a Vienna, il 18 agosto del 1830, figlio maggiore dell’ arciduca Francesco Carlo d’ Asburgo-Lorena, figlio minore dell’ imperatore Francesco I, e di sua moglie Sofia di Wittelsbach, principessa di Baviera, donna intelligente e di idee conservatrici. Dopo di lui, i genitori ebbero altri quattro figli, Massimiliano, Carlo Ludovico, Ludovico Vittorio e Maria Anna. Il padre era cresciuto con la coscienza di un secondogenito, con l’ idea che difficilmente sarebbe salito al trono, coltivando quindi numerose passioni anche al di fuori della corte austriaca, interessandosi al teatro e alla caccia, mentre la madre era una donna assai ambiziosa, ferma e con una forte disposizione al comando. Nato nella famosa reggia imperiale in cui tra il 1814 e il 1815 si era tenuto il Congresso di Vienna, conferenza a cui parteciparono le principali potenze europee allo scopo di ristabilire, ormai anacronisticamente, il potere dei sovrani assoluti e l’ Ancien Régime precedenti la Rivoluzione francese e le guerre napoleoniche, a cinque anni perse il nonno, fratello di Maria Luisa, seconda consorte di Napoleone Bonaparte, nonché ultimo imperatore del Sacro Romano Impero, morto a settantasette anni a causa di una febbre improvvisa dopo quarantatré anni di regno, e il principe Ferdinando, fratello di suo padre, salì al trono come Ferdinando I. Il nuovo kaiser, tuttavia, era di salute piuttosto cagionevole, soffrendo di epilessia, rachitismo e idrocefalo, cosa che non gli aveva consentito di avere un’ educazione appropriata al ruolo che la sua primogenitura gli aveva imposto. Peraltro, data la sua scarsa capacità di imposizione, il padre Francesco aveva predisposto un gabinetto di governo noto come Conferenza di Stato Segreta, un organismo presieduto da Klemens von Metternich, Primo ministro dell’ Impero e convinto sostenitore dell’ assolutismo monarchico tradizionale, con il compito di governare in vece del sovrano pur rimanendo nell’ ombra, in quanto la figura del regnante doveva apparire come l’ unica e costante guida dello Stato. Poiché il nuovo monarca, sposato con Maria Anna di Savoia, non aveva figli, forse perché incapace di congiungersi con la moglie, malvista a corte per la sua provenienza italiana, Francesco Carlo divenne l’ erede al trono del fratello maggiore, ma questi rifiutò in ottemperanza al volere della moglie Sofia, quindi il nuovo principe ereditario divenne il piccolo Francesco Giuseppe, che crebbe sotto l’ attenta gestione materna, intenta a modellare il futuro signore ideale dell’ Impero, che proprio in quegli anni era scosso dai moti di indipendenza nei domini d’ Italia e Ungheria.
L’ arciduchessa Sofia, madre dell’ imperatore;

Affidato a due precettori, un diplomatico e un colonnello, il piccolo arciduca ricevette una rigidissima educazione, dettata dalle antiche regole di corte e incentrata prevalentemente su temi politici e militari. Durante i festeggiamenti del suo tredicesimo compleanno fu nominato colonnello del 3º reggimento Dragoni, e da allora iniziò ad essere ritratto in dipinti in cui appariva con l’ uniforme grigia ufficiale, la sua preferita sia nei momenti solenni e militari che nella vita quotidiana, che l’ avrebbe reso famoso. L’ energica madre Sofia, una delle poche persone a corte ad avere sempre le idee chiare, gli trasmise la propria concezione sull’ arte del governo, pur non trascurando i suoi interessi principali, educandolo perfettamente in tono con i valori fondamentali della Restaurazione. Il giovane erede al trono amava la caccia e il ballo, che praticava con regolarità, apprezzando nello specifico le musiche di Strauss e i suoi valzer, particolare predilezione che l’ avrebbe accompagnato per il resto della vita. Amava poco l’ arte e la letteratura, leggendo pochissimo e riservando quindi poca considerazione ai letterati.
Il 1848 fu l’ anno della Primavera dei popoli, un’ ondata di moti rivoluzionari che sconvolsero l’ Europa, e l’ Impero austriaco ne fu particolarmente toccato, poiché in Boemia, Ungheria e nella stessa Vienna il popolo si rivoltò contro la Corona pretendendo riforme, una costituzione democratica e la fine della censura. Il conte Metternich, simbolo odiato del periodo della Restaurazione, si dimise e fuggì in Gran Bretagna, e poco dopo anche il kaiser Ferdinando fu costretto a ritirarsi a Innsbruck. Le truppe imperiali bombardarono i quartieri popolari viennesi, e dopo una settimana assaltarono alla baionetta le ultime sacche di resistenza, trucidando oltre duemila insorti e sancendo la condanna a morte o a lunghi anni di carcere a danno di migliaia di cittadini. Nominato governatore della Boemia, pur senza effettivamente prendere possesso dell’ incarico, Francesco Giuseppe venne mandato al seguito del feldmaresciallo Josef Radetzky, comandante militare del Lombardo-Veneto e veterano delle guerre contro il Primo Impero francese e quello ottomano, come osservatore nella sua campagna atta a sedare le rivolte, che facevano temere una vera e propria rivoluzione istigata dal Regno di Piemonte, intento a unificare l’ Italia attorno al proprio trono. Dopo molti scontri con i rivoltosi e i piemontesi, partendo da Milano e proseguendo attraverso Santa Lucia fino al Bastione di Santo Spirito, Radetzky riuscì a riprendere possesso dei territori perduti.
Per evitare ulteriori problemi e scongiurare il rischio di nuove sollevazioni, su consiglio del principe Felix Schwarzenberg e della stessa cognata Sofia, che voleva dare al popolo ribelle un avvertimento, Ferdinando I rinunciò al trono in favore di Francesco Giuseppe, appena diciottenne, che per l’ occasione venne convocato nella sede momentanea della corte di Innsbruck. Il sovrano abdicatario formalizzò le proprie dimissioni il successivo 2 dicembre, ritirandosi poi al castello reale di Praga, ove si dedicò alla gestione dei possedimenti ricevuti in eredità, che seppe far fruttare accumulando una notevole fortuna personale.
La reggia di Schönbrunn;

I primi anni regno di Francesco Giuseppe I furono molto difficili. Sotto la guida del nuovo Primo ministro, il principe Felix Schwarzenberg, venne convinto ad intraprendere una strada cauta, concedendo allo Stato una costituzione nel marzo 1849. Era peraltro necessaria un’ azione militare nei confronti degli ungheresi, ribellatisi in nome dell’ indipendenza. In Italia, frattanto, re Carlo Alberto di Savoia incominciò le ostilità nel desiderio di annettere il Lombardo-Veneto al reame piemontese, ma ben presto venne sconfitto in maniera determinante da Radetzky con la Battaglia di Novara, costringendolo poi ad abdicare in favore del figlio, Vittorio Emanuele II. In Ungheria la situazione era più pericolosa, e sentendo la necessità di imporsi in quella zona, il kaiser domandò aiuto allo zar Nicola I di Russia, nel desiderio di «evitare che l’ insurrezione ungherese si sviluppasse in una calamità europea». L’ esercito russo entrò in Ungheria in aiuto degli austriaci, e la rivoluzione venne soppressa sul finire dell’ estate del 1849. In virtù del ristabilimento dell’ ordine in tutto l’ Impero, sostenendo apertamente il dogma della monarchia per diritto divino, il giovane imperatore ritirò le concessioni costituzionali appena fatte e inaugurò una politica assolutista e centralista, guidata dal Ministro degli interni, Alexander Bach. Negli anni successivi, Vienna rinnovò la propria posizione sulla scena internazionale e, sotto la guida del principe Schwarzenberg, poté contenere il piano del Regno di Prussia atto a creare una Confederazione tedesca sotto la propria influenza, a netto svantaggio dell’ Impero austriaco. Il 5 aprile 1852, tuttavia, il Primo ministro morì a causa di un ictus a quasi cinquantadue anni: la sua prematura dipartita fu un duro colpo per il kaiser, che non potendo riempire il vuoto politico in quanto all’ orizzonte mancava uno statista di eguale statura assunse personalmente l’ incarico di Primo ministro.
Malgrado la sua vasta cultura, Francesco Giuseppe fu uomo di intelligenza limitata in quanto non seppe mai scegliersi collaboratori di vaste vedute, in grado di tutelare adeguatamente gli interessi della politica sia interna che estera dell’ Impero. Capace di decisioni dure come le repressioni e convinto conservatore, ristabilì la posizione dominante della Chiesa cattolica in molti ambiti dello Stato, abolendo praticamente tutte le leggi con cui i suoi predecessori avevano cercato di limitare l’ influenza delle gerarchie ecclesiastiche. Non riconobbe le esigenze della borghesia produttiva e dei vari movimenti nazionali, non riuscendo quindi a ridare unità all’ Impero e a stimolare lo sviluppo economico necessario a mantenere lo Stato al rango di grande potenza. Da uomo d’ onore manteneva sempre i patti, ma appena le difficili situazioni gli permettevano di tirarsi indietro, sfruttava la gradita opportunità per dare spazio alla sua tendenza assolutistica.
La propaganda ufficiale operò sempre molto attivamente durante il suo regno, presentandolo alla sudditanza sempre dedito al lavoro, cosa effettivamente vera, in quanto si alzava all’ alba e lavorava per ore studiando attentamente i fascicoli, ascoltando le opinioni se le reputava necessarie, ma in un contesto più dimesso, con un’ etichetta rituale assai attenuata, abituato a pranzare presso la scrivania, parco nei gusti e con un solo piatto di carne e verdura unitamente a un bicchiere di birra bavarese, mentre per cena si concedeva yogurt e pane integrale, in modesti servizi di piatti riservando quelli preziosi per le grandi occasioni. La sontuosa vita di corte veniva a sua volta presentata in modo ben più modesto, con il kaiser dedito a vizi popolari quali i sigari. Le persone a lui vicine trasmisero il ricordo di un uomo tradizionalista e sempre legato al passato, che vestiva secondo le mode della sua adolescenza e non accettando mai di installare a corte un bagno con acqua calda e corrente, essendo legato al bagno in tinozza. Un uomo senza amici, profondamente conscio del proprio ruolo, che si preoccupava di essere considerato sempre e da tutti unicamente come il sovrano, sostenitore di un assolutismo che viveva come servizio. Un uomo cortese pur mantenendo le distanze, dotato di un’ eccellente memoria.
Elisabetta di Baviera;

Il 18 febbraio del 1853, ormai a qualche tempo dalle repressioni, mentre passeggiava con il conte Maximilian Karl Lamoral O’ Donnell, discendente dalla nobiltà irlandese, Francesco Giuseppe scampò ad un tentativo di assassinio da parte di János Libény, un operaio tessile ungherese appena ventiduenne che intendeva vendicare le centinaia di martiri della rivolta del proprio popolo, impiccati nella città di Arad nel settembre 1849. Riuscito ad approfittare della disattenzione della scorta, l’ aspirante assassino non riuscì a pugnalare alla gola il bersaglio dal momento che la lama del pugnale rimase impigliata nella fibbia di metallo del colletto della sua divisa. Immediatamente bloccato e imprigionato, l’ attentatore venne condannato a morte per impiccagione nella prigione di Simmeringer, dopo soli otto giorni.
Nel successivo inverno, la madre Sofia, sempre presente nella vita sia personale che politica del figlio, iniziò a programmare un adeguato matrimonio sulla base di precisi criteri politici e dinastici, preferibilmente con una consanguinea di sangue tedesco con cui rafforzare la Corona austriaca nel mondo germanico. Dopo due fallite iniziative con una principessa prussiana e una sassone, discusse con la propria sorella, la duchessa Ludovica di Wittelsbach, per far sposare l’ imperatore con sua figlia Elena, che per quanto appartenesse al ramo cadetto della famiglia reale bavarese avrebbe rappresento ugualmente un utile e saldo legame con una delle regioni tedesche e cattoliche più fedeli all’ Austria. Le due sorelle decisero quindi di far incontrare i figli alla residenza estiva di Bad Ischl, in Alta Austria, durante la festa di compleanno di Francesco Giuseppe, e annunciare pubblicamente il loro fidanzamento. Tuttavia, Ludovica volle portare con sé anche la sua quarta figlia, Elisabetta, sperando di strapparla alla malinconia in cui era sprofondata e al tempo stesso di valutare un suo possibile fidanzamento con Carlo Ludovico, fratello minore del kaiser. Nel pomeriggio del 16 agosto vi fu un primo formale incontro, in cui fu evidente a tutti che il monarca si era infatuato non della diciannovenne Elena, ma di Elisabetta. Il giorno dopo, egli disse alla madre che nonostante il suo parere aveva scelto proprio Elisabetta: nel ricevimento previsto per quella sera ballò con la prescelta, e alla cena del 18 agosto, durante la celebrazione del compleanno, lei venne fatta sedere accanto a lui. Il giorno dopo, alla tradizionale consegna del bouquet nuziale per conto dell’ imperatore, Ludovica domandò alla figlia se fosse favorevole alle nozze, e, una volta espresso, l’ assenso venne comunicato per iscritto a Sofia. Da allora fino al successivo 31 agosto, la coppia di fidanzati trascorse molto tempo insieme, mostrandosi pubblicamente, mentre avevano luogo le trattative con la Santa Sede per ottenere la dispensa papale affinché i promessi sposi, cugini di primo grado, potessero sposarsi: questa stretta parentela, elemento abituale nel contesto dei matrimoni reali del tempo, fu praticamente ignorata sebbene diversi principi sia tra gli Asburgo che tra gli Wittelsbach avessero già mostrato imperfezioni ereditarie. Nello stesso periodo venne rapidamente allestito il corredo della sposa, pagato quasi del tutto dallo sposo anziché dal padre della sposa.
Francesco Giuseppe ed Elisabetta si sposarono il 24 aprile 1854 nella Chiesa degli Agostiniani di Vienna, e da quel momento lei si dimostrò sempre una figura importante nelle scelte di lui. Il matrimonio, uno dei più fastosi di sempre, fu tuttavia un incubo per la sposa fin dal primo giorno: cresciuta nelle campagne bavaresi, si ritrovò d’ un tratto nella capitale di un Impero multietnico e multiculturale, abitata da trenta milioni di abitanti; nata in un matrimonio infelice, con un padre anticonformista e amante dei viaggi, non particolarmente interessato alla vita familiare, e una madre che non partecipava alla vita di corte bavarese, preferendo rimanere in disparte e occuparsi personalmente dell’ educazione dei figli, cosa assai singolare in quei tempi; aveva maturato un animo timido e sensibile, ed era cresciuta con molta semplicità evitando di sviluppare il comune orgoglio aristocratico, venendo abituata sin da piccola a trascurare i formalismi e a occuparsi dei poveri e degli infermi. Non avendo mai ricevuto l’ educazione tipica di una principessa reale, non ballava, non parlava lingue straniere, e di fronte al rigido protocollo di corte si sentì sempre profondamente a disagio. Dal fidanzamento fino alle nozze aveva affrontato un corso di studio intensivo, nella speranza di colmare le numerose lacune della sua scarsa istruzione, dovendo imparare al più presto il francese, l’ italiano e soprattutto la storia austriaca. Non fu ben ricevuta a corte, dove si dava per scontato che ognuno sapesse da subito fare la propria parte alla perfezione. Marito e moglie trascorsero la luna di miele nel castello di Laxembourg, da dove lui rientrava quotidianamente a Vienna per occuparsi di politica, allora turbata dalla guerra di Crimea, risultando quindi piuttosto assente. La vita per la novella imperatrice fu penosa sin dalla prima notte di nozze: la tradizione voleva infatti che le madri dei due giovani sposi reali attendessero sulla porta che il matrimonio fosse consumato, ma lei in proposito era inesperta e solo dopo tre giorni venne finalmente dato il tanto atteso annuncio.
Dopo questo scoglio iniziale, le cose purtroppo non migliorarono affatto. La suocera Sofia si assunse il compito di trasformare la nuora in una perfetta imperatrice, ma agì con durezza e restando fermamente attaccata all’ etichetta, finendo per inimicarsi la nuora, ai cui occhi appariva come una donna malvagia. Si racconta che marito e moglie si amassero molto e che vi fosse grande rispetto tra loro, e che i problemi fossero costituiti da tutto ciò che li circondava. Intorno alle loro figure, si crearono subito miti e luoghi comuni che, rafforzati dalla stampa rosa e soprattutto dal cinema un secolo dopo, fecero di Elisabetta una «regina del cuore» come ancora oggi viene ricordata. Francesco Giuseppe amava la consorte, ma non sapeva niente di lei e non la capiva, fu totalmente estraneo al mondo in cui lei viveva. Non ne vide le sofferenze, era completamente assorbito dagli affari di Stato. Ben presto intrattennero rapporti puramente formali, benché le cronache li descrissero sempre innamorati.
Francesco Giuseppe ed Elisabetta nei primi anni di matrimonio;

Il miracolo economico dell’ economia danubiana fu uno dei principali eventi attribuiti al regno di Francesco Giuseppe. Dopo la demolizione delle mura medievali per ordine dello stesso imperatore, la città di Vienna venne completamente riformata. Fu creata la Ringstraße, un grande anello stradale di congiunzione ancora oggi esistente, e attorno a tale area si svilupparono quartieri raffinati con edifici pubblici e case private in stile della seconda metà dell’ Ottocento che affascinò molto il sovrano nella sua concezione di homo faber della nuova capitale austriaca. Per sua inclinazione personale, il kaiser diffuse moltissimo il gusto dell’ «Austria cattolica» promuovendo la costruzione e il restauro di importanti edifici di culto nell’ Impero. L’ arte ufficiale era vista esclusivamente come un modo per celebrare la corte, la nobiltà e la ricca borghesia, in uno stile formale e solenne, che si ispirava alle correnti del neoclassico e del neo romantico. Contro le convenzioni accademiche sorse però il movimento della Secessione viennese, guidato da Gustav Klimt.
La politica di Francesco Giuseppe era volta soprattutto verso l’ occidente, alla tutela dei possedimenti italiani e alla supremazia sui frammentati regni e principati tedeschi, ma dalla morte di Schwarzenberg denotò un sempre maggiore accentramento accompagnato da un forte atteggiamento repressivo, che condusse peraltro a gravi errori strategici come il mancato intervento nella Guerra di Crimea, che isolò l’ Austria permettendo invece a Vittorio Emanuele II di Savoia di allearsi con l’ imperatore Napoleone III dei francesi e avvicinarsi alla Gran Bretagna. La sua ostinazione nei riguardi del valore assoluto dell’ onore lo rese incapace alla diplomazia che in quegli anni richiedeva una crescente flessibilità. I suoi avversari erano semplicemente più lungimiranti e meno prevedibili sia di lui che dei suoi consiglieri. Nel tardo novembre 1856, il kaiser e la sua imperatrice iniziarono un viaggio diplomatico nel Lombardo-Veneto, nel quale lui sperava che la grazia e il fascino di lei potessero addolcire la popolazione italiana, ormai apertamente ostile alla Corona asburgica, tanto da chiamarlo apertamente per scherzo o addirittura spregio «Cecco Beppe». Trascorsero il capodanno a Venezia, città che ricordava il duro assedio, la fame ed i bombardamenti del 1849: il corteo dei navigli reali fu accolto nella più assoluta ed ostentata indifferenza, tutte le finestre erano sprangate, e nessun abitante si mostrò per le calli e i ponti, obbligando il corteo a proseguire in una atmosfera surreale con un silenzio di tomba che, come il sovrano affermò, «uccideva più di una pallottola». Il successivo 15 gennaio 1857 i reali entrarono pomposamente a Milano: l’ intera popolazione, e soprattutto gli aristocratici e i ricchi, ostentarono verso entrambi un atteggiamento glaciale, se non di disprezzo, per tutto il tempo, tanto che nel ricevimento previsto alla Scala gli aristocratici locali mandarono al loro posto i propri servitori.
Successivamente, nel 1859, allo scoppio della nuova guerra con i Savoia, non soddisfatto dalla rotta strategica del feldmaresciallo Ferenc Gyulay, Francesco Giuseppe lo rimosse dall’ incarico assumendo personalmente il comando militare in Italia, ma fu duramente sconfitto a Solferino e a San Martino, una sanguinosa battaglia a seguito della quale fu costretto a firmare l’ Armistizio di Villafranca, riuscendo a conservare solo il Veneto.
Massimiliano I del Messico;

Nel 1863, su proposta della nobiltà messicana conservatrice e appoggiato da Napoleone III, interessato allo sfruttamento delle ricche miniere nordoccidentali del Paese, il fratello minore dell’ imperatore, Massimiliano, in parte sospinto dall’ ambiziosa e bella moglie Carlotta di Sassonia-Coburgo-Gotha, della famiglia reale belga, venne eletto e proclamato imperatore del Messico, Paese allora in conflitto con la Francia imperiale a causa della sospensione del debito nei suoi riguardi. Animato dalle idee progressiste allora in voga in Europa, Massimiliano I favorì il sorgere di una monarchia costituzionale, dividendo i poteri con un congresso democraticamente eletto, ed ispirò leggi che abolivano il lavoro infantile, limitavano la durata della giornata lavorativa, ed eliminò il sistema della proprietà terriera che diffondeva lo status servile tra gli indios. Favorì la libertà di religione e l’ estensione del diritto di voto alle classi contadine. Tutto ciò gli valse la disapprovazione degli alleati conservatori, mentre i liberali rifiutavano l’ idea di un monarca, specie se sostenuto dagli stranieri, che fin dall’ inizio ebbe ben pochi sostenitori tra la sudditanza. L’ opposizione si coagulò intorno all’ avvocato Benito Juárez, il deposto Presidente della Repubblica. I rivoluzionari antimonarchici erano riforniti di armi dagli Stati Uniti, appena usciti dalla Guerra di Secessione, che di fatto aveva permesso ai francesi di occupare il Messico e instaurare la monarchia, disattendendo i principi fondamentali della Dottrina Monroe, tesa alla supremazia degli Stati Uniti nel continente americano. Nel 1866, di fronte all’ aumento dell’ opposizione messicana e al ritorno in scena degli statunitensi, i francesi si ritirarono, lasciando Massimiliano in balia dei suoi oppositori. Una volta appreso che gli appelli di Carlotta presso Parigi, Vienna e la Roma pontificia erano rimasti inascoltati, egli si ritirò a Santiago de Querétaro, ove sostenne un assedio durato alcune settimane. In seguito, l’ 11 maggio 1867, venne catturato mentre tentava la fuga, e, sottoposto a una corte marziale, fu condannato alla fucilazione e giustiziato il 19 giugno 1867 da un plotone di esecuzione.
La condanna a morte di Massimiliano fu un immenso dolore per Francesco Giuseppe, il primo di una lunga serie di drammi famigliari che nel tempo l’ avrebbero reso un uomo sempre più solo e malinconico. Per la madre Sofia fu un dolore incommensurabile, essendo il suo figlio prediletto, nato per coincidenza mentre moriva Napoleone II, lo sfortunato figlio di Napoleone Bonaparte e Maria Luisa d’ Asburgo-Lorena, vissuto proprio alla corte asburgica alla caduta del Primo Impero di Francia, e a cui Sofia era stata unita in un profondo e fraterno legame d’ affetto: secondo alcune malelingue, assolutamente infondate, sarebbe stato un figlio adulterino avuto con il Bonaparte in esilio. Per lei il trauma fu tale che non si riprese mai più, rifiutando di uscire dalle sue stanze.
Il kaiser durante un incontro ufficiale;

Sul piano politico, nel 1866 l’ imperatore d’ Austria fu alle prese con le crescenti mire egemoniche della Prussia, che già nel Settecento aveva rivaleggiato con l’ Austria: in Germania era infatti nato un forte movimento per l’ unità nazionale, e il reame degli Hohenzollern, relativamente piccolo ma con grandi ambizioni, rivolse una notevole aggressività soprattutto contro gli Asburgo, cercando con tutti i mezzi di escluderli da una futura Germania unita e di attirare gli altri Stati tedeschi sotto la propria influenza. Il Primo ministro Otto von Bismarck perseguì una politica con cui diede saldezza e importanza sia politica che diplomatica al modesto regno, agendo con grande spregiudicatezza e insolenza provocando una guerra tra il 14 giugno e il 23 agosto 1866 contro Vienna, che venne sconfitta e a cui impose tramite le condizioni dell’ armistizio di Nikolsburg, sottoscritto il 26 luglio 1866, la cessione del Veneto ai Savoia e il completo ritiro dai territori occupati, oltre che risarcimenti di guerra per quaranta milioni di talleri.
In seguito, Francesco Giuseppe dovette pensare ai mai risolti problemi con l’ Ungheria. Fin dal 1848 vedeva gli ungheresi come ribelli, e a corte erano piuttosto malvisti. Il suo matrimonio con Elisabetta, nonostante la nascita di tre figli, Sofia, Gisella e Rodolfo, continuava a rivelarsi un’ unione molto difficile. La primogenita, peraltro, morì nel 1857, a soli due anni, a causa della febbre durante un viaggio in Ungheria. Per Elisabetta il dolore fu tale che dovette rassegnarsi alla triste prospettiva di vivere succube delle decisioni degli altri, e cominciò a soffrire di gravissime forme di depressione che l’ avrebbero portata a fuggire spesso dall’ opprimente corte viennese e a dedicarsi al proprio corpo, praticamente la sola cosa su cui le era permesso di comandare. Iniziò così anche a soffrire di anoressia e di altre malattie psichiche. Stanco delle eterne liti tra madre e moglie e della crescente chiusura di lei nei suoi confronti, lui viveva in modo spartano, in tono con lo stile militare con cui era cresciuto fin dall’ infanzia, alzandosi alle 4:00 del mattino e lavorando fino alle 21:00, lavandosi con acqua gelata, mentre lei era amante della campagna, dei cavalli e della vita senza regole e costrizioni. Sanissima in gioventù, per sopperire alle sue crescenti crisi di nervi si sottopose a diete drastiche e intensi esercizi di ginnastica. Privata dei suoi affetti e delle sue abitudini e al corrente delle infedeltà del marito, desideroso di trovare conforto altrove e che a differenza di lei era appoggiato dalla corte, Elisabetta si ammalò accusando per mesi una tosse continua, febbre e stati di ansia. Solo a molti anni di distanza si rese conto che la suocera aveva sempre agito senza cattiveria, pur in maniera imperiosa e imponendo sacrifici come il distacco dai figli, affidati ad educatrici e bambinaie severamente selezionate da lei stessa, semplicemente perché nel mondo dei reali gli interessi della Corona dovevano sempre avere la priorità assoluta. A differenza dell’ arciduchessa, rispettata da tutta la corte, l’ imperatrice veniva fortemente criticata per la scarsa istruzione e l’ inesistente attitudine alla vita di società, tratti ereditati dal padre Massimiliano e che dopo il matrimonio si accentuarono spiccatamente: Vienna era per lei il simbolo di tutti i mali, e la corte altro non le pareva che un luogo intollerabile e irrimediabilmente ostile. Smise di credere alla monarchia, e per contro percepì i cambiamenti che stavano avendo luogo tanto nell’ Impero quanto nel resto d’ Europa.
Essendo stata allieva di un precettore ungherese, convinto sostenitore dell’ indipendenza eppure chiamato a istruirla come imperatrice, si appassionò immensamente all’ Ungheria studiandone la lingua e passando molto tempo in tale dominio, divenendone una paladina. Maturò presto un profondissimo legame con questa terra, al punto da essere soprannominata «la Signora ungherese», con sprezzo a Vienna ma con affetto in Ungheria. Sentiva che tale popolo aveva un temperamento molto simile al suo, e tale vicinanza ai nemici di Vienna le suscitò prontamente immense critiche. Tutto ciò ebbe inaspettatamente importanti conseguenze per la Corona, in quanto Elisabetta ebbe modo di entrare in contatto con il conte Gyula Andrássy il Vecchio, Primo ministro d’ Ungheria, ed entrambi favorirono un compromesso, l’ Ausgleich, che avrebbe consentito una condizione di parità dell’ Ungheria con l’ Austria all’ interno dell’ Impero, facendo dell’ imperatore d’ Austria il re d’ Ungheria e consentendo l’ istituzione dell’ Impero austroungarico. Convinto della validità di tale prospettiva, Francesco Giuseppe accettò, e l’ 8 giugno 1867, venne incoronato insieme a Elisabetta re d’ Ungheria nella chiesa di Mattia di Budapest, la capitale ungherese. Tale evento, un vero trionfo diplomatico, tuttavia scontentò molto la Boemia, il terzo importante componente dell’ Impero, e non risolse il problema etnico, in quanto la duplice monarchia mantenne su un livello piramidale le varie popolazioni imperiali, ponendo al vertice solo gli austriaci e gli ungheresi e mettendo in minoranza le popolazioni slave. Infatti, gli austriaci ottennero il sessantasette percento dei seggi nel parlamento di Vienna e i magiari il novanta percento di quello di Budapest, anche se entrambe le popolazioni non superavano la metà nei rispettivi Stati.
Il compromesso austro-ungherese fu un evento ampiamente ripreso dalla stampa e dalla propaganda imperiali, salutandolo come un grande trionfo, e fece di Elisabetta una grandissima figura. Fu proprio a Budapest che nel 1868 lei volle far nascere l’ ultima figlia, Maria Valeria, detta «la Figlia Ungherese», quella che amò di più e di cui poté finalmente prendersi cura direttamente anziché lasciarla alla suocera. La nascita dell’ ultima figlia fu l’ occasione che vide riavvicinarsi Francesco Giuseppe ed Elisabetta, e a seguito di questi grandi eventi, il kaiser in particolare si convertì a una maggiore tolleranza religiosa e culturale che molto contribuì a far diventare Vienna uno dei centri più vivaci di tutta Europa.
Francesco Giuseppe nel 1885;

Nel 1871, la Prussia completò l’ unificazione della Germania sotto il regno di Guglielmo I di Hohenzollern, che divenne il primo imperatore tedesco. Abilissimo diplomatico, tra il 1871 e il 1890 il conte Bismark, ora cancelliere del Reich, costruì un sistema di alleanze che incluse l’ Austria-Ungheria come alleato speciale del neonato Impero germanico, in pieno sviluppo industriale e deciso ad inserirsi anche nella spartizione coloniale in Africa e Asia.
In occasione di una serata in teatro, il 9 maggio 1872, l’ arciduchessa Sofia venne colpita da un raffreddore, che in breve si trasformò in polmonite. Le sue condizioni parvero subito disperate. Per dieci giorni la famiglia imperiale rimase al suo capezzale. La nuora Elisabetta, che si trovava a Merano, tornò di corsa a Vienna. Morì la notte del 27 maggio 1872 all’ età di sessantasette anni: per l’ Austria fu come perdere l’ effettivo imperatore, mentre per Francesco Giuseppe fu la fine di ogni sostegno affettivo, morale e politico. Tre anni dopo, il 29 giugno 1875, a Praga, si spense invece a ottantadue anni l’ ex imperatore Ferdinando, che negli anni aveva giudicato in maniera negativa e addirittura sarcastica l’ opera del suo successore: poco dopo la battaglia di Sadowa, riandando con la mente alle sconfitte del 1859, alla perdita della Lombardia, all’ esclusione definitiva dell’ Austria dalla Germania, alla cessione del Veneto e all’ umiliazione inflitta dalla Prussia, affermò: «Perché mi hanno cacciato via nel 1848? Sarei stato capace anch’ io, quanto mio nipote, di perdere delle battaglie!».
Per combattere la propria profonda solitudine e infelicità, l’ imperatore si concesse alcune amanti, e ogni relazione venne tollerata e celata al pubblico con il massimo tatto e rispetto nei riguardi del kaiser. Nel 1875 iniziò una relazione con la quindicenne Anna Heuduck, che incontrò per la prima volta in una passeggiata nel parco di Schönbrunn. Da qualche mese era sposata con un produttore di seta, Johann Heuduck, un alcolizzato cronico da cui divorziò nel 1878, in cambio di una generosa somma di denaro. La relazione tra Francesco Giuseppe e la giovane Anna proseguì benché lei in seguito si risposò con Franz Nahowski, un funzionario ferroviario con il vizio del gioco che fu alla base di svariati e grossi debiti che lei poté pagare solamente grazie alle somme ricevute dal monarca.
L’ 8 marzo 1878, dopo una vita trascorsa come privato cittadino, passeggiando in campagna e cacciando, partecipando assai raramente alla vita di corte e apparendo in pochissime occasioni formali, morì infine il padre Francesco Carlo, a settantacinque anni.
Il figlio Rodolfo e la moglie Stefania;

Consapevole di essere a capo di un Impero vecchio ormai e segnato delle continue azioni militari atte a difendere con risultati scarsi la propria integrità territoriale contro i nazionalismi in Italia e nei Balcani e volendo riequilibrare la propria posizione, Francesco Giuseppe si impegnò nel 1879 nella Duplice alleanza con la Germania, un obbligo di soccorso militare reciproco in caso di aggressione voluto principalmente da Bismarck per fronteggiare un eventuale attacco della Russia, che dopo aver sconfitto l’ Impero ottomano nella guerra del 1877-1878, scatenata a seguito delle sollevazioni degli slavi cristiani dei territori ottomani in Europa, aveva accresciuto il proprio potere nei Balcani. Nel 1878, l’ Impero asburgico ricevette l’ amministrazione fiduciaria della Bosnia-Erzegovina, secondo quanto previsto dal Congresso di Berlino dello stesso anno, e come molti presagivano questa divenne poi una vera e propria annessione: la decisione contribuì sostanzialmente all’ allontanamento sempre maggiore della Russia.
In appoggio alle iniziative diplomatiche austriache, fra il 21 e il 31 ottobre 1881 il nuovo re e la regina d’ Italia, Umberto I e Margherita, fecero visita a Vienna ai sovrani d’ Austria-Ungheria. I Savoia fecero un’ ottima impressione alla corte viennese, soprattutto Margherita, che per grazia ed eleganza venne paragonata a Elisabetta. Lo stesso Umberto, figlio di Vittorio Emanuele II, un tipo rigido, severo e austero, fece una così buona impressione che il kaiser, suo cugino e antico avversario, gli concesse la nomina a colonnello onorario del 28º Reggimento fanteria: il gesto non mancò di suscitare polemiche presso l’ opinione pubblica italiana, visto che il reggimento austriaco di cui il re era stato fatto colonnello era lo stesso che aveva partecipato alla battaglia di Novara del 1849 e all’ occupazione di Brescia, partecipando attivamente alla spietata repressione che causò la morte di migliaia di uomini, donne e bambini bresciani. Volendo dare visibilità e peso internazionale al neonato Regno d’ Italia, che nel 1880 aveva indirizzato il proprio espansionismo territoriale verso il Nordafrica, soprattutto Tunisia e Libia, urtando le mire della Francia, la seconda minaccia a Berlino e Vienna dopo l’ Impero russo, Umberto fu un acceso sostenitore della Duplice alleanza e la successiva Alleanza dei Tre imperatori, ossia quello austriaco, tedesco e russo, e proprio in questo periodo il governo di Agostino Depretis venne a conoscenza che papa Leone XIII stava consultando i ministri degli esteri stranieri a proposito di un loro possibile intervento con cui ricostituire lo Stato Pontificio: l’ appoggio dell’ Austria, la nazione cattolica più prestigiosa, sarebbe stato di grande utilità per l’ Italia al fine di sviare un’ azione europea in aiuto del papato, e la conclusione di un’ alleanza con due potenze conservatrici sarebbe valsa sia a rafforzare la Corona sabauda di fronte ai movimenti repubblicani di ispirazione francese, sia ad assicurarla dall’ intervento di potenze straniere alleate del Santo Padre. Appena un anno dopo, quindi, l’ Italia, senza alleati e impossibilitata ad acquisire con mezzi pacifici i territori a maggioranza italiana ancora sotto il dominio di Vienna, entrò a far parte della Duplice Alleanza, che venne ribattezzata Triplice Alleanza.
La tenuta di Mayerling, ove Rodolfo si uccise con l’ amante;

I recenti accordi diplomatici garantirono all’ Europa un periodo di relativa tranquillità, e diedero a Francesco Giuseppe l’ impressione di poter proseguire in pace il suo regno. Tuttavia, un destino beffardo deluse ogni sua aspettativa, tanto nella vita politica quanto in quella privata, mettendo a dura prova la sua tempra. Nel 1889, infatti, il principe ereditario Rodolfo, suo unico figlio maschio, si suicidò ad appena trent’ anni insieme alla sua amante, la baronessa Maria Vetsera, di appena diciassette anni, nel casino di caccia di Mayerling, nella Bassa Austria. La sua morte fu un duro colpo sia personale che politico per entrambi i genitori, e destabilizzò la Corona: il padre l’ aveva sempre visto non solo come il proprio successore ma anche come un comandante alla vecchia maniera per un esercito e un governo conservatore che assicurasse la sopravvivenza delle antiche tradizioni, quindi aveva disposto il suo allontanamento dalla corte quando era ancora molto piccolo per impartirgli un’ educazione ed una disciplina militare durissime, che l’ avrebbero segnato irrimediabilmente. Quando Elisabetta aveva compreso ciò che stava avvenendo al figlio era riuscita a sottrarlo a tale educazione, dopo aver abbandonato Vienna e minacciato di non tornare finché non avesse ottenuto il controllo diretto della sua formazione, modellandola in modo da tener conto del suo interesse per le scienze naturali e l’ arte. In contrasto con il conservatorismo politico del padre e probabilmente ispirato dalla madre, Rodolfo aveva coltivato una visione politica spiccatamente liberale, dimostrandosi in più occasioni ostile al patto che legava Vienna a Berlino, incontrandosi più volentieri con i rappresentanti britannici e francesi. Aveva guardato con riguardo l’ Ungheria, e notoriamente curato frequentazioni con ambienti politici ritenuti sospetti come quelli socialisti, tanto da divenire un sorvegliato speciale da parte della polizia imperiale. Il padre gli aveva riconosciuto grandi doti diplomatiche, ma pur mandandolo in vari viaggi in Europa come rappresentante della Corona l’ aveva escluso dalla vita politica per via delle opinioni nettamente contrastanti tra loro.
Per volere del padre, il 10 maggio 1881 il principe ereditario aveva sposato la principessa belga Stefania di Sassonia-Coburgo-Gotha, con la pompa e lo splendore di un matrimonio di Stato. Classica unione dinastica, il matrimonio era entrato in crisi poco dopo la nascita nel 1883 dell’ unica figlia, Elisabetta: di carattere sottomesso e devota al marito a cui sentiva di dover dare un erede e mossa da una profonda fede cattolica, aveva comunque iniziato a dubitare delle sue idee, chiedendosi che cosa sarebbe rimasto dell’ Impero sotto il suo comando, mentre lui si era rifugiato nell’ alcol e nelle prostitute. Nel 1887, Rodolfo aveva acquistato un edificio di campagna a Mayerling, adattandolo a casino di caccia. Malgrado l’ infelice situazione, aveva continuato a frequentare la corte per non dare nell’ occhio, e nell’ autunno del 1888, proprio a un ballo tenutosi alla corte di Vienna, aveva rivisto dopo dieci anni la baronessa Maria Vetsera, rimasta innamorata fin dal loro primo incontro, tanto da dichiararsi pronta a tutto per lui. I due si erano ritirati alla tenuta di Mayerling il 29 gennaio 1889: lui era intimorito per il fatto che lei, oltre che minorenne, fosse già promessa al principe di Braganza, pur vedendo in lui l’ uomo della sua vita, sebbene si considerasse sempre più un fallito. Ormai sconvolto, l’ aveva convinta che era ormai giunto per lui il momento di morire, e lei aveva voluto condividere con lui il gesto estremo: secondo le ricostruzioni, il principe ereditario prima aveva ucciso lei con un colpo di pistola, ricomponendone poi il corpo morto sul letto con le mani giunte, per poi puntare l’ arma contro di sé e finirsi con un colpo alla tempia. I cadaveri vennero trovati da un valletto, Loschek, e da un amico, il conte Hoyos. Rodolfo aveva lasciato tre lettere, una per la moglie, una per la sorella Maria Valeria e la terza per la madre. Alla sorella raccomandava di lasciare l’ Austria con il marito una volta che il padre fosse morto, prevedendo la caduta dell’ Impero, mentre alla madre esprimeva amore e gratitudine. Per il padre, invece, non aveva lasciato nulla perché, come dichiarava nella missiva alla madre, non si sentiva degno di lui. Di fronte a questa immensa tragedia, Francesco Giuseppe venne prontamente assalito dai rimorsi per non aver capito l’ angoscia del figlio, mentre Elisabetta, per non appesantire ulteriormente il dolore del marito, cercò di farsi forza non dando a vedere il proprio strazio, piangendo di nascosto, al massimo sfogandosi con Maria Valeria. La notizia venne ovviamente ripresa dai giornali con un ampio risalto. I vari articoli parlarono di una morte improvvisa a causa di un attacco cardiaco, benché fosse trapelata la voce di un suicidio in risposta alle pretese del padre, deluso dalla sua vita sregolata e al pessimo andamento del suo matrimonio, affinché troncasse la sconveniente relazione. Il kaiser non poté nascondere a lungo la verità, giungendo quindi a dichiarare pubblicamente che il figlio si era tolto la vita, omettendo però sempre il particolare della presenza dell’ amante, il cui corpo era stato prontamente restituito alla famiglia in segreto, durante una squallida messinscena in cui era trasportato in una carrozza, con un bastone conficcato tra la schiena e il vestito, per tenerlo eretto dando l’ impressione che la giovane fosse ancora viva, volendo evitare uno scandalo. Solo in un secondo momento si scoprì che Rodolfo intendeva essere seppellito insieme a lei nella cappella dei Cistercensi, a Heiligenkreuz, nei pressi di Mayerling, in quanto la lettera contenente le disposizioni venne trovata solo dopo i funerali e la sepoltura presso la Cripta Imperiale di Vienna: separati nella vita, i due amanti rimasero tali anche nella morte.
La tragedia di Mayerling provocò la crisi definitiva del matrimonio fra Francesco Giuseppe ed Elisabetta: incoraggiato proprio da lei, lui cadde tra le braccia dell’ attrice Katharina Schratt, moglie dell’ aristocratico ungherese Nikolaus Kiss de Ittebe, conosciuta nel 1885 dopo un’ esibizione all’ Esposizione Industriale di Vienna che le era valso persino un invito al ricevimento per la visita dello zar Alessandro III; lei, invece, si lasciò definitivamente andare, così come abbandonò il loro matrimonio, vestendosi solo di nero e di rinunciando anche all’ amata poesia, che il consorte aveva sempre guardato con fastidio, riprendendo i suoi viaggi e apparendo al suo ultimo evento ufficiale nel 1896 in occasione dei mille anni dalla fondazione dell’ Ungheria a fianco del consorte, preferendo ormai vivere il più possibile lontano dalle folle e dalle corti. Il duplice suicidio del principe ereditario e della sua amante colpì moltissimo la fantasia popolare per l’ aspetto funestamente romantico della vicenda, eppure non ne venne percepito se non dopo lungo tempo il significato più profondo: se fosse sopravvissuto, si ritiene che il padre avrebbe accettato di abdicare in suo favore, aprendo in tal modo per l’ Impero una grande stagione di modernizzazione e riforme di cui tanto aveva bisogno, ma il giovane arciduca, di larghe vedute politiche, aveva intuito di non poter modificare in senso liberale le rigide istituzioni imperiali austriache. Quasi tre mesi dopo, il 20 aprile, sabato di Pasqua, nella vicina Braunau am Inn, un ufficiale doganale e la moglie, ex cameriera e domestica, diedero alla luce il loro quarto figlio: Adolf Hitler.
Sempre nel 1889, l’ amante dell’ imperatore, Anna Nahowski, venne a conoscenza del rapporto che lui aveva anche con la Schratt. Si diceva che durante la relazione questa venne ricompensata con uno stile di vita generoso tra cui una villa sul Gloriettegasse di Vienna, vicino a Schönbrunn, e un palazzo a tre piani sul Kärntner Ring, proprio di fronte alla Staatsoper di Vienna. Essendo addirittura una confidente e non una semplice amante, era soprannominata «l’ imperatrice senza corona». Le rimostranze della Nahowski portano il monarca alla decisione di allontanarla, facendole comunque intestare un ingente risarcimento economico per lei e la figlia Helene, di cui lui era probabilmente il padre, in cambio della firma di un contratto di silenzio.
Successivamente, il destino si accanì anche contro Elisabetta. Nel settembre 1898, infatti, l’ imperatrice si recò in incognito a Ginevra prendendo alloggio all’ Hotel Beau-Rivage, sul lungolago, dove già aveva soggiornato l’ anno precedente. Il 10 settembre, sempre vestita di nero e celando il viso dietro una veletta, un ventaglio o un ombrellino che la rendeva difficile da riconoscere, mentre si preparava a prendere il battello per Montreux, accompagnata dalla contessa Irma Sztáray, Luigi Lucheni, un anarchico italiano venticinquenne che lavorava come manovale e da qualche tempo parte di un gruppo anarchico, allora impegnato nel dibattito sull’ opportunità di un regicidio, dopo essersi informato sull’ indirizzo e le sembianze dell’ infelice sovrana, si appostò dietro un ippocastano, armato di una lima nascosta in un mazzo di fiori, e la colpì al petto con un solo colpo preciso, venendo arrestato poco dopo da quattro passanti, non lontano dal luogo dell’ attentato. Elisabetta si accasciò, ma si rialzò e riprese la corsa, non sentendo apparentemente nessun dolore: fu solo una volta arrivata sul battello che impallidì e svenne nelle braccia della contessa Sztáray. Il battello fece retromarcia e lei venne riportata nella sua camera d’ albergo, ove morì dopo appena un’ ora, senza aver più ripreso conoscenza. Aveva sessant’ anni. Lucheni, interrogato sui motivi del suo gesto, rispose: «Perché sono anarchico. Perché sono povero. Perché amo gli operai e voglio la morte dei ricchi.». Alla notizia della morte della consorte, Francesco Giuseppe, disperato dall’ ennesimo colpo inferto da un destino crudele, sedette su una sedia pronunciando una frase destinata a divenire celebre: «Nulla mi è stato risparmiato su questa terra.».
Dopo l’ assassinio di Elisabetta, il kaiser continuò la propria relazione con la Schratt per il resto della vita, con una sola interruzione tra il 1900 e il 1901 a causa di una divergenza di opinioni. Si disse che lei fosse ormai il solo conforto rimastogli nel tragico silenzio della sua casa.
L’ imperatore con il piccolo Carlo, futuro erede al trono;

Durante i primi anni del Novecento, l’ ormai vecchio e stanco imperatore compì svariati cambi di rotta nel contesto della politica interna, passando da alcune riforme federalistiche sino ai ritorni centralistici dell’ ultimo decennio dell’ Ottocento. Tuttavia, la sua figura restava sempre lontana dalle critiche più dirette, grazie ad un’ accurata propaganda. Ostile alla maggior parte delle tecnologie moderne, non usava mai il telefono, ormai diventato strumento indispensabile nel lavoro delle cancellerie e degli uffici di governo, al punto da non tollerarne nemmeno il suono. Non amava nemmeno le automobili e rimase sempre fedele alle carrozze e ai cavalli. La sola eccezione che si concesse fu il telegrafo, invenzione di cui faceva larghissimo uso.
In quel tempo, il nuovo re britannico, Edoardo VII, figlio e successore della leggendaria Vittoria di Hannover, si impegnò a mantenere buoni i rapporti con gli Asburgo e il loro Impero. Convinto com’ era dell’ importanza dei rapporti umani, trovava indispensabile che il sovrano della più importante corte protestante e quello della più importante corte cattolica dialogassero: il 31 agosto 1903 giunse quindi a Vienna per la sua prima e unica visita, e i quattro giorni di permanenza presso Francesco Giuseppe furono spesi essenzialmente nelle cortesie dinastiche, sollevando come unica questione politica quella relativa alla Macedonia, regione in mano ottomana e in uno stato di ribellione.
Prima di ripartire da Vienna, Edoardo parlò della questione con il Ministro degli Esteri austriaco, sollecitandolo ad avere un atteggiamento energico ma pacifico con l’ Impero ottomano, dichiarando peraltro che Londra e Vienna perseguivano una politica uguale, tesa a conservare il più a lungo possibile lo status quo nel Vicino Oriente e ad evitare una guerra che avrebbe avuto conseguenze di incalcolabile gravità in Europa. La visita di Edoardo fu la sola occasione in cui Francesco Giuseppe accettò di salire in automobile. Due mesi dopo, il 4 ottobre 1903, il kaiser e lo zar Nicola II si incontrarono a Mürzsteg con i rispettivi Ministri degli Esteri, accordandosi per una politica comune contro la Turchia, a cui fu intimato di attuare riforme in Macedonia per il rispetto di tutte le etnie e le confessioni religiose della regione.
Sebbene Francesco Giuseppe non potesse o addirittura intendesse ricambiare la visita del monarca britannico, riuscì a incontrarlo informalmente prima a Marienbad nell’ agosto 1905 e poi a Bad Ischl esattamente due anni dopo, particolare occasione voluta da Edoardo, e che per la prima volta fu una riunione politica fra i due monarchi e tra i rispettivi consiglieri diplomatici, sempre a proposito della Macedonia: i britannici sostenevano che bisognava rimuovere alla radice il problema costringendo gli ottomani a cessare le violenze razziali nella regione, evitando peraltro la minaccia di una guerra che dai Balcani avrebbe potuto allargarsi a tutta l’ Europa, mentre gli austriaci obiettavano che qualsiasi azione radicale avrebbe compromesso l’ equilibrio del fragile Impero ottomano, il cui crollo avrebbe provocato danni incalcolabili per la pace. L’ incontro non risolse la complicata questione macedone, ma servì a chiarire l’ atmosfera tra Gran Bretagna e Austria, e a rendere entrambi i governi meno sospettosi l’ uno verso l’ altro. Durante il loro ultimo incontro, avvenuto sempre a Bad Ischl il 12 agosto 1908 fra Edoardo e Francesco Giuseppe, il primo chiese all’ altro di intercedere presso Guglielmo II affinché rallentasse il riarmo navale germanico, ma si vide opporre un cortese ma irremovibile rifiuto.
L’ attentato di Sarajevo;

Frattanto, le potenze europee erano sempre più sull’ orlo di una guerra, per motivi sia politici che economici: Gran Bretagna e Impero tedesco volevano il primato industriale sul mondo. La Germania in particolare aveva assunto una preoccupante aggressività e ambizione coloniale in politica estera, vantando buone industrie chimiche e siderurgiche estrattive e una potente flotta che rivaleggiava con quella britannica. La Francia voleva riconquistare l’ Alsazia e la Lorena, ricche di ferro e carbone, che aveva dovuto cedere alla Germania nel 1870, con la sconfitta di Sedan. La Russia era interessata ai Balcani e voleva impedire che l’ Austria vi si espandesse. Il Regno di Serbia voleva fondare uno Stato formato dai Paesi limitrofi, abitati da popolazioni di lingua e cultura slave, ragion per cui ebbe luogo una mobilitazione generale contro di esso, caldeggiata dal Ministro degli Esteri austriaco Leopold Berchtold, che raccomandava l’ eliminazione della Serbia come Stato, mentre l’ Italia voleva unire al proprio territorio le ultime regioni di lingua italiana ancora sotto la Corona asburgica, ossia Friuli-Venezia Giulia, Trentino-Alto Adige e Trieste. Nel 1908 la Bosnia-Erzegovina venne formalmente unita all’ Impero austro-ungarico, aprendo una crisi per l’ annessione in quanto tale decisione non era stata prima ratificata dalle altre potenze europee. Ciò complicò i rapporti con l’ Italia, che guardava con preoccupazione l’ espansionismo di Vienna nei Balcani, pensando quindi sempre più concretamente ad avvicinarsi a Francia e Regno Uniti.
In questo contesto di discordia, in cui la guerra poteva scoppiare da un momento all’ altro, l’ arciduca Francesco Ferdinando, figlio di Carlo Ludovico, fratello minore dell’ imperatore, che dopo la morte di Rodolfo e del padre era divenuto il nuovo principe ereditario, il 28 giugno 1914 si recò a Sarajevo, capitale della Bosnia, in visita ufficiale insieme alla moglie Sophie Chotek von Chotkowa, una nobildonna ceca di provenienza boema. Il nuovo erede al trono auspicava una riforma dell’ Impero in senso trialista, cioè aggiungendo gli slavi come popolo costituente ad austriaci e ungheresi, insistendo sul fatto che fossero la metà dei popoli governati dagli Asburgo e che un terzo regno slavo, dominato dai croati e comprendente la Bosnia-Erzegovina sarebbe stato un ottimo baluardo contro le mire espansionistiche dei serbi. Ciò gli attrasse l’ odio degli ungheresi, che ricambiava reputandoli un popolo di pericolosi ribelli e nazionalisti, e degli austriaci. Inoltre, il matrimonio con una nobile di secondo rango aveva disgustato il vecchio imperatore. Sostenitore del suffragio universale maschile, che avrebbe minato la predominanza magiara nel Regno d’ Ungheria, aperto a idee liberali e intenzionato a concedere grande autonomia ai diversi gruppi etnici presenti nel territorio imperiale, fu un principe riformatore in politica e iconoclasta nella vita privata, ma al di fuori del mondo tedesco venne ingiustamente considerato come la guida del «partito della guerra». Il giorno stesso dell’ arrivo a Sarajevo, la coppia reale venne uccisa con due colpi di pistola dall’ irredentista serbo-bosniaco Gavrilo Princip, appartenente al movimento della Giovane Bosnia, per protesta contro l’ invasione e la successiva annessione all’ Impero austro-ungarico della Bosnia.
Pur sconvolto da questo nuovo lutto, Francesco Giuseppe rispose alla notizia: «Un potere superiore ha ristabilito l’ ordine che io, purtroppo, non sono riuscito a preservare.». Con la benedizione di Guglielmo II, il terzo e attuale imperatore tedesco, e il suo personale consenso, strappato dalle pressioni delle gerarchie politiche, diplomatiche e militari, alle quali rispose con un laconico: «Dunque è deciso.», nel pomeriggio del 23 luglio 1914 l’ ambasciatore austriaco a Belgrado, il barone Wladimir Giesl Freiherr von Gieslingen, consegnò al governo serbo l’ ultimatum di Vienna, rimanendo in attesa della risposta che doveva arrivare non oltre le 18:00 del 25 luglio: dopo una lunga premessa nella quale l’ Austria accusava la Serbia di aver disatteso la dichiarazione d’ intenti rivolta alle grandi potenze alla fine della crisi bosniaca, il governo di Vienna intimò a quello di Belgrado di far pubblicare sulla «Rivista ufficiale» serba del 26 luglio una nuova dichiarazione, di cui riportava il testo. Essa impegnava la Serbia a condannare la propaganda antiaustriaca, riconosceva la complicità di funzionari e ufficiali serbi nell’ attentato di Sarajevo e impegnava Belgrado a perseguire per il futuro con il massimo rigore tali macchinazioni. Il testo lasciava ampio margine d’ azione all’ Austria-Ungheria, benché tutto facesse pensare, in caso di inadempienza serba, ad estreme conseguenze. La Germania, convinta di poter circoscrivere il conflitto, sollecitò l’ Austria affinché aggredisse al più presto la Serbia: Francesco Giuseppe rispose in una lettera consegnata a Guglielmo che la decisione di entrare in guerra contro la Serbia era stata presa già prima dell’ assassinio del nipote, che paradossalmente era stato il solo austriaco autorevole comprensivo verso i nazionalisti serbi, sognando un Impero unito da un legame federativo, e che gli eventi di Sarajevo avevano confermato solo l’ imminenza del conflitto. La Gran Bretagna avanzò una proposta di conferenza internazionale che non ebbe seguito, mentre le altre nazioni europee si preparavano al conflitto. La Serbia accettò solo una parte delle richieste, quindi il 28 luglio 1914 Vienna le dichiarò guerra, dando inizio alla Grande Guerra.
Ormai ottantaquattrenne, Francesco Giuseppe fu piuttosto restio a firmare l’ atto di guerra, ma dovette chinarsi alle forti pressioni dell’ esercito e della diplomazia che invece ne sostenevano la necessità, sottoscrivendolo dicendo: «La guerra! Lor signori non sanno cos’ è la guerra! Io lo so...da Solferino.».
Francesco Giuseppe sul letto di morte;

Ormai stanco, si ritirò stabilmente al natio palazzo di Schönbrunn, ove continuò ad esercitare le sue funzioni politiche e militari con costanza, seguendo regolarmente le vicende del conflitto, che fin dall’ inizio fu un vero e proprio disastro per l’ Impero, tanto che l’ entusiasmo di gran parte della sudditanza svanì molto presto. Nel 1916, confidandosi con il proprio aiutante di campo, lo stesso monarca affermò: «Le cose ci vanno male, molto peggio di quanto pensassimo...La prossima primavera la farò senz’ altro finita con la guerra.». Colpito da una debolezza cardiaca in seguito a una polmonite, contratta mentre accompagnava il granduca russo Nikolai Nikolajewitsch, che era stato suo ospite, fino alla stazione ferroviaria, morì il 21 novembre. Aveva ottantasei anni.
Benché attesa in virtù della sua età ormai avanzata, la dipartita di Francesco Giuseppe fu un vero e proprio terremoto politico, e venne percepita come l’ inizio della fine dell’ Impero. Dedito al suo dovere praticamente fino all’ ultimo respiro, tanto che appena tre ore prima di lasciare il mondo aveva dato disposizione al proprio valletto personale di svegliarlo di buon’ ora il mattino dopo, come nessun altro imperatore prima di lui aveva incarnato la monarchia asburgica, tanto nel bene quanto nel male, dominando saldamente la scena per ben sessantasette anni e fino alla fine, rappresentando sotto molti aspetti un’ epoca e una mentalità ormai inconciliabili con i mutamenti economici e sociali in corso in Europa. La fine del suo regno equivalse praticamente alla conclusione di un’ era. Con la sua stessa persona aveva rappresentato per tutti un forte simbolo di stabilità e di sicurezza. La stragrande maggioranza della sua sudditanza era nata dopo la sua ascesa al trono, e vedeva in lui un punto fermo a cui aggrapparsi nei momenti difficili legati ad un conflitto che ormai da due anni provocava sempre più lutti e distruzione. Sebbene avesse condiviso il rango imperiale con i monarchi britannici, in qualità di imperatori delle Indie, oltre che con i kaiser tedeschi, i tiānzǐ cinesi e i tennō giapponesi, fu di fatto l’ ultimo vero imperatore in Europa, personificazione di un fasto senza pari e di un’ autorità ostinatamente portata avanti nella convinzione che provenisse direttamente da Dio, analogamente ai re medievali. La sua figura era stata davvero significativa, sia in Austria che all’ esterno: se l’ Austria-Ungheria veniva vista come un’ immensa entità statale multinazionale apparentemente intramontabile, lo si doveva soprattutto al suo eccezionale carisma, ma la sua morte svelò al mondo una realtà ben diversa, quella di uno Stato ormai allo sbando, in una crisi senza precedenti sia militare che civile, con le proteste ormai quotidiane della popolazione per la mancanza di beni di prima necessità alle riserve di uomini da inviare al fronte sempre più esigue.
Il corteo funebre del longevo kaiser;

La salma del vecchio imperatore fu imbalsamata secondo tradizione, ma per l’ occasione venne utilizzata una nuova tecnica che la deformò, quindi non fu esposta al pubblico. Rivestita con l’ uniforme di gala di feldmaresciallo, venne esibita entro la reggia di Schönbrunn. Il 27 novembre la bara fu trasportata nella chiesa di corte su un carro funebre trainato da otto cavalli: centinaia di migliaia di persone fecero ala al corteo. Il funerale ebbe luogo tre giorni dopo, con una messa da Requiem nel duomo di Santo Stefano, e una processione lungo una Ringstrasse fredda e coperta di neve. Alla testa del corteo vi erano due palafrenieri con fiaccole, seguiti da uno squadrone di cavalleria e da una lunga fila di berline nere trainate da cavalli con i con i più alti funzionari dello Stato. Seguiva il feretro il nuovo imperatore, il pronipote Carlo I, figlio di Ottone, fratello di Francesco Ferdinando, in divisa, con la moglie Zita di Borbone-Parma, tutta coperta di veli neri e il figlio Ottone, di appena quattro anni. Seguiva infine il carro funebre, drappeggiato di nero e trainato da otto cavalli scuri. Di fianco al carro, a destra, cavalcava il gran maestro delle scuderie, il conte Pallfy, e ai due lati vi erano paggi con fiaccole ardenti e venti guardie. Dietro al carro funebre vi era un reparto di arcieri e uno della guardia ungherese a cavallo, poi una compagnia di fanteria e infine uno squadrone di cavalleria. Il corteo accompagnò a piedi il feretro per un chilometro, fino alla Cripta Imperiale.
Dopo la morte di Francesco Giuseppe, Katharina Schratt visse completamente ritirata nel suo palazzo sul Kärntner Ring, rifiutando grandi offerte economiche per le sue memorie e, negli ultimi tempi, diventando profondamente religiosa.
Carlo I, il nuovo imperatore austroungarico;

Carlo I salì al trono appena ventinovenne, e presto dovette fare i conti con la penosa pesantezza dell’ eredità del prozio. Lo attendeva lo spettro della catastrofe: in caso di vittoria sarebbe molto probabilmente diventato un vassallo degli imperatori tedeschi, mentre in caso di sconfitta avrebbe assistito alla caduta dell’ Impero. Di formazione liberale, iniziò da subito a pensare ad un’ uscita di scena aprendo nell’ inverno 1917 un negoziato con Francia e Gran Bretagna, atto ad una pace separata. Avviò una politica moderna e avveduta, e accettò la proposta del Presidente degli Stati Uniti, Woodrow Wilson, di permettere l’ autodeterminazione dei popoli sottomessi alla Corona asburgica, riconvocando il parlamento imperiale e permettendo la creazione di una confederazione che rappresentasse ogni gruppo nazionale. Nessuna tra le popolazioni imperiali accettò una simile prospettiva, iniziando piuttosto a combattere per la piena indipendenza nazionale, finché, l’ 11 novembre 1918, la storia fece definitivamente il suo corso con la cessazione del conflitto, rivelatosi il più disastroso mai combattuto fino ad allora: erano stati mobilitati oltre settanta milioni di uomini, dei quali oltre nove erano morti sul campo di battaglia, in aggiunta ai sette di vittime civili. Duramente sconfitte, Germania e Austria-Ungheria furono poste a condizioni di resa assai dure: se la prima perse le sue colonie, la seconda fu privata di tutti i possedimenti territoriali, soprattutto a causa dei divergenti interessi nazionali dei popoli locali. Entrambe divennero repubbliche: dopo trecentonovantasette anni di regno, gli Asburgo furono deposti e costretti all’ esilio sull’ isola portoghese di Madera.

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