Francesco Giuseppe I d’ Austria, |
«Finché avrò vita,
nessuno dovrà immischiarsi nel governo.» Francesco Giuseppe I d’ Asburgo;
L’
epopea della Grande Guerra, che fino al 1939 fu il più grande conflitto mai
combattuto dall’ umanità, consumò infinite battaglie in tutta Europa, gettando
le maggiori potenze del tempo le une contro le altre e inducendo a cambiamenti
epocali nell’ intero continente. Nemmeno il ciclone rappresentato dalle guerre
napoleoniche, appena un secolo prima, era riuscito a spingersi a tanto. Il
secolare Impero austro-ungarico e quello tedesco, ben più recente, caddero in
favore di un sistema repubblicano, e mentre si formavano nuovi Stati a seguito
del crollo degli imperi centrali, le nuove forze rivoluzionarie di sinistra,
soprattutto socialiste e comuniste, e il militarismo di estrema destra avanzarono
con forza fino al cuore del Vecchio Mondo, le cui nazioni, vincitrici o
sconfitte che fossero, dovettero fare i conti con un’ economia disastrata,
guardando con preoccupazione le classi meno abbienti avvicinarsi alle ideologie
più estremizzate, dopo l’ esasperazione dell’ uso di manodopera nelle catene di
montaggio.
Eppure,
tutto era nato molto tempo prima, in un lontano preludio sotto la lunga ombra
di un celeberrimo sovrano, Francesco Giuseppe I d’ Asburgo, quarto e penultimo
imperatore austriaco, senza il quale non è esagerato affermare che la storia
recente d’ Europa si sarebbe evoluta in modo alquanto diverso. Ricordato
prevalentemente come il marito innamorato della leggendaria imperatrice Elisabetta,
egli fu un personaggio estremamente ambiguo e contradditorio, dai tratti
sfaccettati e spesso condannato come tiranno. Il suo lunghissimo regno, durato
quasi sessantotto anni, partito il 2 dicembre 1848 e conclusosi il 21 novembre
1916, fece di lui il signore più longevo della sua dinastia, e con ogni
probabilità il monarca più longevo di sempre, ma la sua mentalità rigida e
spiccatamente conservatrice, legata ad un passato ormai trascorso, lo portarono
ad una politica assolutistica e accentratrice, ormai del tutto inadatta ai
tempi e alle necessità del momento, incapace di rispondere ai bisogni di
modernizzazione e riforme e alle richieste di autonomia da parte delle
amministrazioni locali e degli svariati popoli residenti entro i confini
imperiali. Seppur intimamente contrario all’ idea di una nuova guerra, cedette alle pressioni dei suoi dignitari che desideravano impartire una lezione indimenticabile alla Serbia, nel nome del potere di Vienna e sovrastimando le forze militari imperiali, firmando la dichiarazione di ostilità e contribuendo in prima persona, nel quadro del meccanismo di alleanze
tra potenze europee, a scatenare il primo conflitto mondiale. La sua tendenza a
confermare l’ autorità del sovrano come il cuore della vita dell’ Impero,
convinto com’ era del diritto divino dei re, fu una causa fondamentale nella
drammatica caduta della secolare monarchia asburgica. Come uomo visse varie
tragedie, come la fucilazione in Messico del fratello, il suicidio dell’ unico
figlio maschio ed erede al trono, l’ assassinio della moglie e quello del
nipote, nuovo principe ereditario.
Francesco Giuseppe in giovane età; |
Francesco
Giuseppe nacque nel Castello di Schönbrunn, a Vienna, il 18 agosto del 1830, figlio
maggiore dell’ arciduca Francesco Carlo d’ Asburgo-Lorena, figlio minore dell’
imperatore Francesco I, e di sua moglie Sofia di Wittelsbach, principessa di
Baviera, donna intelligente e di idee conservatrici. Dopo di lui, i genitori
ebbero altri quattro figli, Massimiliano, Carlo Ludovico, Ludovico Vittorio e
Maria Anna. Il padre era cresciuto con la coscienza di un secondogenito, con l’
idea che difficilmente sarebbe salito al trono, coltivando quindi numerose
passioni anche al di fuori della corte austriaca, interessandosi al teatro e
alla caccia, mentre la madre era una donna assai ambiziosa, ferma e con una
forte disposizione al comando. Nato nella famosa reggia imperiale in cui tra il
1814 e il 1815 si era tenuto il Congresso di Vienna, conferenza a cui parteciparono
le principali potenze europee allo scopo di ristabilire, ormai
anacronisticamente, il potere dei sovrani assoluti e l’ Ancien Régime precedenti la Rivoluzione francese e le guerre
napoleoniche, a cinque anni perse il nonno, fratello di Maria Luisa, seconda consorte di Napoleone Bonaparte, nonché ultimo imperatore del Sacro Romano Impero,
morto a settantasette anni a causa di una febbre improvvisa dopo quarantatré
anni di regno, e il principe Ferdinando, fratello di suo padre, salì al trono
come Ferdinando I. Il nuovo kaiser, tuttavia, era di salute piuttosto
cagionevole, soffrendo di epilessia, rachitismo e idrocefalo, cosa che non gli
aveva consentito di avere un’ educazione appropriata al ruolo che la sua
primogenitura gli aveva imposto. Peraltro, data la sua scarsa capacità di
imposizione, il padre Francesco aveva predisposto un gabinetto di governo noto
come Conferenza di Stato Segreta, un organismo presieduto da Klemens von
Metternich, Primo ministro dell’ Impero e convinto sostenitore dell’
assolutismo monarchico tradizionale, con il compito di governare in vece del sovrano
pur rimanendo nell’ ombra, in quanto la figura del regnante doveva apparire come
l’ unica e costante guida dello Stato. Poiché il nuovo monarca, sposato con Maria
Anna di Savoia, non aveva figli, forse perché incapace di congiungersi con la
moglie, malvista a corte per la sua provenienza italiana, Francesco Carlo
divenne l’ erede al trono del fratello maggiore, ma questi rifiutò in
ottemperanza al volere della moglie Sofia, quindi il nuovo principe ereditario
divenne il piccolo Francesco Giuseppe, che crebbe sotto l’ attenta gestione materna,
intenta a modellare il futuro signore ideale dell’ Impero, che proprio in
quegli anni era scosso dai moti di indipendenza nei domini d’ Italia e Ungheria.
L’ arciduchessa Sofia, madre dell’ imperatore; |
Affidato
a due precettori, un diplomatico e un colonnello, il piccolo arciduca ricevette
una rigidissima educazione, dettata dalle antiche regole di corte e incentrata
prevalentemente su temi politici e militari. Durante i festeggiamenti del suo
tredicesimo compleanno fu nominato colonnello del 3º reggimento Dragoni, e da allora
iniziò ad essere ritratto in dipinti in cui appariva con l’ uniforme grigia
ufficiale, la sua preferita sia nei momenti solenni e militari che nella vita
quotidiana, che l’ avrebbe reso famoso. L’ energica madre Sofia, una delle
poche persone a corte ad avere sempre le idee chiare, gli trasmise la propria
concezione sull’ arte del governo, pur non trascurando i suoi interessi
principali, educandolo perfettamente in tono con i valori fondamentali della Restaurazione.
Il giovane erede al trono amava la caccia e il ballo, che praticava con
regolarità, apprezzando nello specifico le musiche di Strauss e i suoi valzer, particolare
predilezione che l’ avrebbe accompagnato per il resto della vita. Amava poco l’
arte e la letteratura, leggendo pochissimo e riservando quindi poca
considerazione ai letterati.
Il
1848 fu l’ anno della Primavera dei popoli, un’ ondata di moti rivoluzionari
che sconvolsero l’ Europa, e l’ Impero austriaco ne fu particolarmente toccato,
poiché in Boemia, Ungheria e nella stessa Vienna il popolo si rivoltò contro la
Corona pretendendo riforme, una costituzione democratica e la fine della
censura. Il conte Metternich, simbolo odiato del periodo della Restaurazione,
si dimise e fuggì in Gran Bretagna, e poco dopo anche il kaiser Ferdinando fu
costretto a ritirarsi a Innsbruck. Le truppe imperiali bombardarono i quartieri
popolari viennesi, e dopo una settimana assaltarono alla baionetta le ultime
sacche di resistenza, trucidando oltre duemila insorti e sancendo la condanna a
morte o a lunghi anni di carcere a danno di migliaia di cittadini. Nominato governatore
della Boemia, pur senza effettivamente prendere possesso dell’ incarico, Francesco
Giuseppe venne mandato al seguito del feldmaresciallo Josef Radetzky, comandante
militare del Lombardo-Veneto e veterano delle guerre contro il Primo Impero
francese e quello ottomano, come osservatore nella sua campagna atta a sedare
le rivolte, che facevano temere una vera e propria rivoluzione istigata dal
Regno di Piemonte, intento a unificare l’ Italia attorno al proprio trono. Dopo
molti scontri con i rivoltosi e i piemontesi, partendo da Milano e proseguendo attraverso
Santa Lucia fino al Bastione di Santo Spirito, Radetzky riuscì a riprendere
possesso dei territori perduti.
Per
evitare ulteriori problemi e scongiurare il rischio di nuove sollevazioni, su
consiglio del principe Felix Schwarzenberg e della stessa cognata Sofia, che
voleva dare al popolo ribelle un avvertimento, Ferdinando I rinunciò al trono in
favore di Francesco Giuseppe, appena diciottenne, che per l’ occasione venne convocato
nella sede momentanea della corte di Innsbruck. Il sovrano abdicatario
formalizzò le proprie dimissioni il successivo 2 dicembre, ritirandosi poi al
castello reale di Praga, ove
si dedicò alla gestione dei possedimenti ricevuti in eredità, che seppe far
fruttare accumulando una notevole fortuna personale.
La reggia di Schönbrunn; |
I
primi anni regno di Francesco Giuseppe I furono molto difficili. Sotto la guida
del nuovo Primo ministro, il principe Felix Schwarzenberg, venne convinto ad
intraprendere una strada cauta, concedendo allo Stato una costituzione nel
marzo 1849. Era peraltro necessaria un’ azione militare nei confronti degli
ungheresi, ribellatisi in nome dell’ indipendenza. In Italia, frattanto, re
Carlo Alberto di Savoia incominciò le ostilità nel desiderio di annettere il
Lombardo-Veneto al reame piemontese, ma ben presto venne sconfitto in maniera determinante
da Radetzky con la Battaglia di Novara, costringendolo poi ad abdicare in
favore del figlio, Vittorio Emanuele II. In Ungheria la situazione era più
pericolosa, e sentendo la necessità di imporsi in quella zona, il kaiser domandò
aiuto allo zar Nicola I di Russia, nel desiderio di «evitare che l’ insurrezione
ungherese si sviluppasse in una calamità europea». L’ esercito russo entrò in
Ungheria in aiuto degli austriaci, e la rivoluzione venne soppressa sul finire
dell’ estate del 1849. In virtù del ristabilimento dell’ ordine in tutto l’
Impero, sostenendo apertamente il dogma della monarchia per diritto divino, il giovane
imperatore ritirò le concessioni costituzionali appena fatte e inaugurò una
politica assolutista e centralista, guidata dal Ministro degli interni,
Alexander Bach. Negli anni successivi, Vienna rinnovò la propria posizione
sulla scena internazionale e, sotto la guida del principe Schwarzenberg, poté contenere
il piano del Regno di Prussia atto a creare una Confederazione tedesca sotto la
propria influenza, a netto svantaggio dell’ Impero austriaco. Il 5 aprile 1852,
tuttavia, il Primo ministro morì a causa di un ictus a quasi cinquantadue anni:
la sua prematura dipartita fu un duro colpo per il kaiser, che non potendo
riempire il vuoto politico in quanto all’ orizzonte mancava uno statista di
eguale statura assunse personalmente l’ incarico di Primo ministro.
Malgrado
la sua vasta cultura, Francesco Giuseppe fu uomo di intelligenza limitata in
quanto non seppe mai scegliersi collaboratori di vaste vedute, in grado di tutelare
adeguatamente gli interessi della politica sia interna che estera dell’ Impero.
Capace di decisioni dure come le repressioni e convinto conservatore, ristabilì
la posizione dominante della Chiesa cattolica in molti ambiti dello Stato,
abolendo praticamente tutte le leggi con cui i suoi predecessori avevano
cercato di limitare l’ influenza delle gerarchie ecclesiastiche. Non riconobbe
le esigenze della borghesia produttiva e dei vari movimenti nazionali, non
riuscendo quindi a ridare unità all’ Impero e a stimolare lo sviluppo economico
necessario a mantenere lo Stato al rango di grande potenza. Da uomo d’ onore
manteneva sempre i patti, ma appena le difficili situazioni gli permettevano di
tirarsi indietro, sfruttava la gradita opportunità per dare spazio alla sua
tendenza assolutistica.
La
propaganda ufficiale operò sempre molto attivamente durante il suo regno,
presentandolo alla sudditanza sempre dedito al lavoro, cosa effettivamente
vera, in quanto si alzava all’ alba e lavorava per ore studiando attentamente i
fascicoli, ascoltando le opinioni se le reputava necessarie, ma in un contesto
più dimesso, con un’ etichetta rituale assai attenuata, abituato a pranzare presso
la scrivania, parco nei gusti e con un solo piatto di carne e verdura
unitamente a un bicchiere di birra bavarese, mentre per cena si concedeva
yogurt e pane integrale, in modesti servizi di piatti riservando quelli
preziosi per le grandi occasioni. La sontuosa vita di corte veniva a sua volta
presentata in modo ben più modesto, con il kaiser dedito a vizi popolari quali i
sigari. Le persone a lui vicine trasmisero il ricordo di un uomo
tradizionalista e sempre legato al passato, che vestiva secondo le mode della
sua adolescenza e non accettando mai di installare a corte un bagno con acqua
calda e corrente, essendo legato al bagno in tinozza. Un uomo senza amici, profondamente
conscio del proprio ruolo, che si preoccupava di essere considerato sempre e da
tutti unicamente come il sovrano, sostenitore di un assolutismo che viveva come
servizio. Un uomo cortese pur mantenendo le distanze, dotato di un’ eccellente
memoria.
Elisabetta di Baviera; |
Il
18 febbraio del 1853, ormai a qualche tempo dalle repressioni, mentre passeggiava
con il conte Maximilian Karl Lamoral O’ Donnell, discendente dalla nobiltà
irlandese, Francesco Giuseppe scampò ad un tentativo di assassinio da parte di János
Libény, un operaio tessile ungherese appena ventiduenne che intendeva vendicare
le centinaia di martiri della rivolta del proprio popolo, impiccati nella città
di Arad nel settembre 1849. Riuscito ad approfittare della disattenzione della
scorta, l’ aspirante assassino non riuscì a pugnalare alla gola il bersaglio dal
momento che la lama del pugnale rimase impigliata nella fibbia di metallo del
colletto della sua divisa. Immediatamente bloccato e imprigionato, l’
attentatore venne condannato a morte per impiccagione nella prigione di
Simmeringer, dopo soli otto giorni.
Nel
successivo inverno, la madre Sofia, sempre presente nella vita sia personale
che politica del figlio, iniziò a programmare un adeguato matrimonio sulla base
di precisi criteri politici e dinastici, preferibilmente con una consanguinea
di sangue tedesco con cui rafforzare la Corona austriaca nel mondo germanico. Dopo
due fallite iniziative con una principessa prussiana e una sassone, discusse
con la propria sorella, la duchessa Ludovica di Wittelsbach, per far sposare l’
imperatore con sua figlia Elena, che per quanto appartenesse al ramo cadetto della
famiglia reale bavarese avrebbe rappresento ugualmente un utile e saldo legame
con una delle regioni tedesche e cattoliche più fedeli all’ Austria. Le due
sorelle decisero quindi di far incontrare i figli alla residenza estiva di Bad
Ischl, in Alta Austria, durante la festa di compleanno di Francesco Giuseppe, e
annunciare pubblicamente il loro fidanzamento. Tuttavia, Ludovica volle portare
con sé anche la sua quarta figlia, Elisabetta, sperando di strapparla alla
malinconia in cui era sprofondata e al tempo stesso di valutare un suo
possibile fidanzamento con Carlo Ludovico, fratello minore del kaiser. Nel
pomeriggio del 16 agosto vi fu un primo formale incontro, in cui fu evidente a
tutti che il monarca si era infatuato non della diciannovenne Elena, ma di
Elisabetta. Il giorno dopo, egli disse alla madre che nonostante il suo parere
aveva scelto proprio Elisabetta: nel ricevimento previsto per quella sera ballò
con la prescelta, e alla cena del 18 agosto, durante la celebrazione del
compleanno, lei venne fatta sedere accanto a lui. Il giorno dopo, alla tradizionale
consegna del bouquet nuziale per conto dell’ imperatore, Ludovica domandò alla
figlia se fosse favorevole alle nozze, e, una volta espresso, l’ assenso venne
comunicato per iscritto a Sofia. Da allora fino al successivo 31 agosto, la
coppia di fidanzati trascorse molto tempo insieme, mostrandosi pubblicamente,
mentre avevano luogo le trattative con la Santa Sede per ottenere la dispensa
papale affinché i promessi sposi, cugini di primo grado, potessero sposarsi: questa
stretta parentela, elemento abituale nel contesto dei matrimoni reali del tempo,
fu praticamente ignorata sebbene diversi principi sia tra gli Asburgo che tra gli
Wittelsbach avessero già mostrato imperfezioni ereditarie. Nello stesso
periodo venne rapidamente allestito il corredo della sposa, pagato quasi del
tutto dallo sposo anziché dal padre della sposa.
Francesco
Giuseppe ed Elisabetta si sposarono il 24 aprile 1854 nella Chiesa degli Agostiniani
di Vienna, e da quel momento lei si dimostrò sempre una figura importante nelle
scelte di lui. Il matrimonio, uno dei più fastosi di sempre, fu tuttavia un
incubo per la sposa fin dal primo giorno: cresciuta nelle campagne bavaresi, si
ritrovò d’ un tratto nella capitale di un Impero multietnico e multiculturale,
abitata da trenta milioni di abitanti; nata in un matrimonio infelice, con un
padre anticonformista e amante dei viaggi, non particolarmente interessato alla
vita familiare, e una madre che non partecipava alla vita di corte bavarese, preferendo
rimanere in disparte e occuparsi personalmente dell’ educazione dei figli, cosa
assai singolare in quei tempi; aveva maturato un animo timido e sensibile, ed
era cresciuta con molta semplicità evitando di sviluppare il comune orgoglio
aristocratico, venendo abituata sin da piccola a trascurare i formalismi e a
occuparsi dei poveri e degli infermi. Non avendo mai ricevuto l’ educazione
tipica di una principessa reale, non ballava, non parlava lingue straniere, e
di fronte al rigido protocollo di corte si sentì sempre profondamente a
disagio. Dal fidanzamento fino alle nozze aveva affrontato un corso di studio
intensivo, nella speranza di colmare le numerose lacune della sua scarsa
istruzione, dovendo imparare al più presto il francese, l’ italiano e
soprattutto la storia austriaca. Non fu ben ricevuta a corte, dove si dava per
scontato che ognuno sapesse da subito fare la propria parte alla perfezione. Marito
e moglie trascorsero la luna di miele nel castello di Laxembourg, da dove lui rientrava
quotidianamente a Vienna per occuparsi di politica, allora turbata dalla guerra
di Crimea, risultando quindi piuttosto assente. La vita per la novella
imperatrice fu penosa sin dalla prima notte di nozze: la tradizione voleva
infatti che le madri dei due giovani sposi reali attendessero sulla porta che
il matrimonio fosse consumato, ma lei in proposito era inesperta e solo dopo
tre giorni venne finalmente dato il tanto atteso annuncio.
Dopo
questo scoglio iniziale, le cose purtroppo non migliorarono affatto. La suocera
Sofia si assunse il compito di trasformare la nuora in una perfetta
imperatrice, ma agì con durezza e restando fermamente attaccata all’ etichetta,
finendo per inimicarsi la nuora, ai cui occhi appariva come una donna malvagia.
Si racconta che marito e moglie si amassero molto e che vi fosse grande
rispetto tra loro, e che i problemi fossero costituiti da tutto ciò che li
circondava. Intorno alle loro figure, si crearono subito miti e luoghi comuni
che, rafforzati dalla stampa rosa e soprattutto dal cinema un secolo dopo, fecero
di Elisabetta una «regina del cuore» come ancora oggi viene ricordata. Francesco Giuseppe
amava la consorte, ma non sapeva niente di lei e non la capiva, fu totalmente
estraneo al mondo in cui lei viveva. Non ne vide le sofferenze, era
completamente assorbito dagli affari di Stato. Ben presto intrattennero
rapporti puramente formali, benché le cronache li descrissero sempre innamorati.
Francesco Giuseppe ed Elisabetta nei primi anni di matrimonio; |
Il
miracolo economico dell’ economia danubiana fu uno dei principali eventi
attribuiti al regno di Francesco Giuseppe. Dopo la demolizione delle mura
medievali per ordine dello stesso imperatore, la città di Vienna venne
completamente riformata. Fu creata la Ringstraße, un grande anello stradale di
congiunzione ancora oggi esistente, e attorno a tale area si svilupparono
quartieri raffinati con edifici pubblici e case private in stile della seconda
metà dell’ Ottocento che affascinò molto il sovrano nella sua concezione di
homo faber della nuova capitale austriaca. Per sua inclinazione personale, il
kaiser diffuse moltissimo il gusto dell’ «Austria cattolica» promuovendo la
costruzione e il restauro di importanti edifici di culto nell’ Impero. L’ arte
ufficiale era vista esclusivamente come un modo per celebrare la corte, la
nobiltà e la ricca borghesia, in uno stile formale e solenne, che si ispirava
alle correnti del neoclassico e del neo romantico. Contro le convenzioni
accademiche sorse però il movimento della Secessione viennese, guidato da Gustav
Klimt.
La
politica di Francesco Giuseppe era volta soprattutto verso l’ occidente, alla
tutela dei possedimenti italiani e alla supremazia sui frammentati regni e
principati tedeschi, ma dalla morte di Schwarzenberg denotò un sempre maggiore accentramento
accompagnato da un forte atteggiamento repressivo, che condusse peraltro a
gravi errori strategici come il mancato intervento nella Guerra di Crimea, che
isolò l’ Austria permettendo invece a Vittorio Emanuele II di Savoia di
allearsi con l’ imperatore Napoleone III dei francesi e avvicinarsi alla Gran
Bretagna. La sua ostinazione nei riguardi del valore assoluto dell’ onore lo
rese incapace alla diplomazia che in quegli anni richiedeva una crescente
flessibilità. I suoi avversari erano semplicemente più lungimiranti e meno
prevedibili sia di lui che dei suoi consiglieri. Nel tardo novembre 1856, il
kaiser e la sua imperatrice iniziarono un viaggio diplomatico nel Lombardo-Veneto,
nel quale lui sperava che la grazia e il fascino di lei potessero addolcire la
popolazione italiana, ormai apertamente ostile alla Corona asburgica, tanto da
chiamarlo apertamente per scherzo o addirittura spregio «Cecco Beppe».
Trascorsero il capodanno a Venezia, città che ricordava il duro assedio, la
fame ed i bombardamenti del 1849: il corteo dei navigli reali fu accolto nella
più assoluta ed ostentata indifferenza, tutte le finestre erano sprangate, e
nessun abitante si mostrò per le calli e i ponti, obbligando il corteo a
proseguire in una atmosfera surreale con un silenzio di tomba che, come il
sovrano affermò, «uccideva più di una pallottola». Il successivo 15 gennaio
1857 i reali entrarono pomposamente a Milano: l’ intera popolazione, e soprattutto
gli aristocratici e i ricchi, ostentarono verso entrambi un atteggiamento
glaciale, se non di disprezzo, per tutto il tempo, tanto che nel ricevimento previsto
alla Scala gli aristocratici locali mandarono al loro posto i propri servitori.
Successivamente,
nel 1859, allo scoppio della nuova guerra con i Savoia, non soddisfatto dalla
rotta strategica del feldmaresciallo Ferenc Gyulay, Francesco Giuseppe lo
rimosse dall’ incarico assumendo personalmente il comando militare in Italia, ma
fu duramente sconfitto a Solferino e a San Martino, una sanguinosa battaglia a
seguito della quale fu costretto a firmare l’ Armistizio di Villafranca,
riuscendo a conservare solo il Veneto.
Massimiliano I del Messico; |
Nel
1863, su proposta della nobiltà messicana conservatrice e appoggiato da
Napoleone III, interessato allo sfruttamento delle ricche miniere nordoccidentali
del Paese, il fratello minore dell’ imperatore, Massimiliano, in parte sospinto
dall’ ambiziosa e bella moglie Carlotta di Sassonia-Coburgo-Gotha, della
famiglia reale belga, venne eletto e proclamato imperatore del Messico, Paese
allora in conflitto con la Francia imperiale a causa della sospensione del
debito nei suoi riguardi. Animato dalle idee progressiste allora in voga in Europa,
Massimiliano I favorì il sorgere di una monarchia costituzionale, dividendo i
poteri con un congresso democraticamente eletto, ed ispirò leggi che abolivano
il lavoro infantile, limitavano la durata della giornata lavorativa, ed eliminò
il sistema della proprietà terriera che diffondeva lo status servile tra gli
indios. Favorì la libertà di religione e l’ estensione del diritto di voto alle
classi contadine. Tutto ciò gli valse la disapprovazione degli alleati
conservatori, mentre i liberali rifiutavano l’ idea di un monarca, specie se sostenuto
dagli stranieri, che fin dall’ inizio ebbe ben pochi sostenitori tra la
sudditanza. L’ opposizione si coagulò intorno all’ avvocato Benito Juárez, il
deposto Presidente della Repubblica. I rivoluzionari antimonarchici erano
riforniti di armi dagli Stati Uniti, appena usciti dalla Guerra di Secessione,
che di fatto aveva permesso ai francesi di occupare il Messico e instaurare la
monarchia, disattendendo i principi fondamentali della Dottrina Monroe, tesa
alla supremazia degli Stati Uniti nel continente americano. Nel 1866, di fronte
all’ aumento dell’ opposizione messicana e al ritorno in scena degli
statunitensi, i francesi si ritirarono, lasciando Massimiliano in balia dei
suoi oppositori. Una volta appreso che gli appelli di Carlotta presso Parigi,
Vienna e la Roma pontificia erano rimasti inascoltati, egli si ritirò a
Santiago de Querétaro, ove sostenne un assedio durato alcune settimane. In
seguito, l’ 11 maggio 1867, venne catturato mentre tentava la fuga, e,
sottoposto a una corte marziale, fu condannato alla fucilazione e giustiziato il
19 giugno 1867 da un plotone di esecuzione.
La
condanna a morte di Massimiliano fu un immenso dolore per Francesco Giuseppe,
il primo di una lunga serie di drammi famigliari che nel tempo l’ avrebbero
reso un uomo sempre più solo e malinconico. Per la madre Sofia fu un dolore
incommensurabile, essendo il suo figlio prediletto, nato per coincidenza mentre
moriva Napoleone II, lo sfortunato figlio di Napoleone Bonaparte e Maria Luisa
d’ Asburgo-Lorena, vissuto proprio alla corte asburgica alla caduta del Primo
Impero di Francia, e a cui Sofia era stata unita in un profondo e fraterno
legame d’ affetto: secondo alcune malelingue, assolutamente infondate, sarebbe
stato un figlio adulterino avuto con il Bonaparte in esilio. Per lei il trauma fu
tale che non si riprese mai più, rifiutando di uscire dalle sue stanze.
Il kaiser durante un incontro ufficiale; |
Sul
piano politico, nel 1866 l’ imperatore d’ Austria fu alle prese con le
crescenti mire egemoniche della Prussia, che già nel Settecento aveva
rivaleggiato con l’ Austria: in Germania era infatti nato un forte movimento
per l’ unità nazionale, e il reame degli Hohenzollern, relativamente piccolo ma
con grandi ambizioni, rivolse una notevole aggressività soprattutto contro gli
Asburgo, cercando con tutti i mezzi di escluderli da una futura Germania unita
e di attirare gli altri Stati tedeschi sotto la propria influenza. Il Primo
ministro Otto von Bismarck perseguì una politica con cui diede saldezza e
importanza sia politica che diplomatica al modesto regno, agendo con grande
spregiudicatezza e insolenza provocando una guerra tra
il 14 giugno e il 23 agosto 1866 contro Vienna, che venne sconfitta e a cui
impose tramite le condizioni dell’ armistizio di Nikolsburg, sottoscritto il 26
luglio 1866, la cessione del Veneto ai Savoia e il completo ritiro dai
territori occupati, oltre che risarcimenti di guerra per quaranta milioni di
talleri.
In
seguito, Francesco Giuseppe dovette pensare ai mai risolti problemi con l’
Ungheria. Fin dal 1848 vedeva gli ungheresi come ribelli, e a corte erano
piuttosto malvisti. Il suo matrimonio con Elisabetta, nonostante la nascita di
tre figli, Sofia, Gisella e Rodolfo, continuava a rivelarsi un’ unione molto
difficile. La primogenita, peraltro, morì nel 1857, a soli due anni, a causa
della febbre durante un viaggio in Ungheria. Per Elisabetta il dolore fu tale
che dovette rassegnarsi alla triste prospettiva di vivere succube delle
decisioni degli altri, e cominciò a soffrire di gravissime forme di depressione
che l’ avrebbero portata a fuggire spesso dall’ opprimente corte viennese e a
dedicarsi al proprio corpo, praticamente la sola cosa su cui le era permesso di
comandare. Iniziò così anche a soffrire di anoressia e di altre malattie
psichiche. Stanco delle eterne liti tra madre e moglie e della crescente
chiusura di lei nei suoi confronti, lui viveva in modo spartano, in tono con lo
stile militare con cui era cresciuto fin dall’ infanzia, alzandosi alle 4:00 del
mattino e lavorando fino alle 21:00, lavandosi con acqua gelata, mentre lei era
amante della campagna, dei cavalli e della vita senza regole e costrizioni. Sanissima
in gioventù, per sopperire alle sue crescenti crisi di nervi si sottopose a
diete drastiche e intensi esercizi di ginnastica. Privata dei suoi affetti e
delle sue abitudini e al corrente delle infedeltà del marito, desideroso di
trovare conforto altrove e che a differenza di lei era appoggiato dalla corte,
Elisabetta si ammalò accusando per mesi una tosse continua, febbre e stati di
ansia. Solo a molti anni di distanza si rese conto che la suocera aveva sempre
agito senza cattiveria, pur in maniera imperiosa e imponendo sacrifici come il
distacco dai figli, affidati ad educatrici e bambinaie severamente selezionate
da lei stessa, semplicemente perché nel mondo dei reali gli interessi della
Corona dovevano sempre avere la priorità assoluta. A differenza dell’
arciduchessa, rispettata da tutta la corte, l’ imperatrice veniva fortemente
criticata per la scarsa istruzione e l’ inesistente attitudine alla vita di
società, tratti ereditati dal padre Massimiliano e che dopo il matrimonio si
accentuarono spiccatamente: Vienna era per lei il simbolo di tutti i mali, e la
corte altro non le pareva che un luogo intollerabile e irrimediabilmente ostile. Smise di
credere alla monarchia, e per contro percepì i cambiamenti che stavano avendo
luogo tanto nell’ Impero quanto nel resto d’ Europa.
Essendo
stata allieva di un precettore ungherese, convinto sostenitore dell’ indipendenza
eppure chiamato a istruirla come imperatrice, si appassionò immensamente all’
Ungheria studiandone la lingua e passando molto tempo in tale dominio,
divenendone una paladina. Maturò presto un profondissimo legame con questa
terra, al punto da essere soprannominata «la Signora
ungherese», con sprezzo a Vienna ma con affetto in
Ungheria. Sentiva che tale popolo aveva un temperamento molto simile al suo, e
tale vicinanza ai nemici di Vienna le suscitò prontamente immense critiche.
Tutto ciò ebbe inaspettatamente importanti conseguenze per la Corona, in quanto
Elisabetta ebbe modo di entrare in contatto con il conte Gyula Andrássy il
Vecchio, Primo ministro d’ Ungheria, ed entrambi favorirono un compromesso, l’
Ausgleich, che avrebbe consentito una condizione di parità dell’ Ungheria con l’
Austria all’ interno dell’ Impero, facendo dell’ imperatore d’ Austria il re d’
Ungheria e consentendo l’ istituzione dell’ Impero austroungarico. Convinto
della validità di tale prospettiva, Francesco Giuseppe accettò, e l’ 8 giugno
1867, venne incoronato insieme a Elisabetta re d’ Ungheria nella chiesa di
Mattia di Budapest, la capitale ungherese. Tale evento, un vero trionfo
diplomatico, tuttavia scontentò molto la Boemia, il terzo importante componente
dell’ Impero, e non risolse il problema etnico, in quanto la duplice monarchia
mantenne su un livello piramidale le varie popolazioni imperiali, ponendo al
vertice solo gli austriaci e gli ungheresi e mettendo in minoranza le
popolazioni slave. Infatti, gli austriaci ottennero il sessantasette percento
dei seggi nel parlamento di Vienna e i magiari il novanta percento di quello di
Budapest, anche se entrambe le popolazioni non superavano la metà nei
rispettivi Stati.
Il
compromesso austro-ungherese fu un evento ampiamente ripreso dalla stampa e
dalla propaganda imperiali, salutandolo come un grande trionfo, e fece di Elisabetta
una grandissima figura. Fu proprio a Budapest che nel 1868 lei volle far
nascere l’ ultima figlia, Maria Valeria, detta «la Figlia Ungherese», quella
che amò di più e di cui poté finalmente prendersi cura direttamente anziché
lasciarla alla suocera. La nascita dell’ ultima figlia fu l’ occasione che vide
riavvicinarsi Francesco Giuseppe ed Elisabetta, e a seguito di questi grandi
eventi, il kaiser in particolare si convertì a una maggiore tolleranza
religiosa e culturale che molto contribuì a far diventare Vienna uno dei centri
più vivaci di tutta Europa.
Francesco Giuseppe nel 1885; |
Nel
1871, la Prussia completò l’ unificazione della Germania sotto il regno di Guglielmo
I di Hohenzollern, che divenne il primo imperatore tedesco. Abilissimo
diplomatico, tra il 1871 e il 1890 il conte Bismark, ora cancelliere del Reich,
costruì un sistema di alleanze che incluse l’ Austria-Ungheria come alleato
speciale del neonato Impero germanico, in pieno sviluppo industriale e deciso
ad inserirsi anche nella spartizione coloniale in Africa e Asia.
In
occasione di una serata in teatro, il 9 maggio 1872, l’ arciduchessa Sofia
venne colpita da un raffreddore, che in breve si trasformò in polmonite. Le sue
condizioni parvero subito disperate. Per dieci giorni la famiglia imperiale
rimase al suo capezzale. La nuora Elisabetta, che si trovava a Merano, tornò di
corsa a Vienna. Morì la notte del 27 maggio 1872 all’ età di sessantasette
anni: per l’ Austria fu come perdere l’ effettivo imperatore, mentre per
Francesco Giuseppe fu la fine di ogni sostegno affettivo, morale e politico. Tre
anni dopo, il 29 giugno 1875, a Praga, si spense invece a ottantadue anni l’ ex
imperatore Ferdinando, che negli anni aveva giudicato in maniera negativa e
addirittura sarcastica l’ opera del suo successore: poco dopo la battaglia di
Sadowa, riandando con la mente alle sconfitte del 1859, alla perdita della
Lombardia, all’ esclusione definitiva dell’ Austria dalla Germania, alla
cessione del Veneto e all’ umiliazione inflitta dalla Prussia, affermò: «Perché
mi hanno cacciato via nel 1848? Sarei stato capace anch’ io, quanto mio nipote,
di perdere delle battaglie!».
Per
combattere la propria profonda solitudine e infelicità, l’ imperatore si
concesse alcune amanti, e ogni relazione venne tollerata e celata al pubblico
con il massimo tatto e rispetto nei riguardi del kaiser. Nel 1875 iniziò una
relazione con la quindicenne Anna Heuduck, che incontrò per la prima volta in
una passeggiata nel parco di Schönbrunn. Da qualche mese era sposata con un
produttore di seta, Johann Heuduck, un alcolizzato cronico da cui divorziò nel
1878, in cambio di una generosa somma di denaro. La relazione tra Francesco
Giuseppe e la giovane Anna proseguì benché lei in seguito si risposò con Franz
Nahowski, un funzionario ferroviario con il vizio del gioco che fu alla base di
svariati e grossi debiti che lei poté pagare solamente grazie alle somme
ricevute dal monarca.
L’
8 marzo 1878, dopo una vita trascorsa come privato cittadino, passeggiando in
campagna e cacciando, partecipando assai raramente alla vita di corte e
apparendo in pochissime occasioni formali, morì infine il padre Francesco Carlo,
a settantacinque anni.
Il figlio Rodolfo e la moglie Stefania; |
Consapevole
di essere a capo di un Impero vecchio ormai e segnato delle continue azioni
militari atte a difendere con risultati scarsi la propria integrità
territoriale contro i nazionalismi in Italia e nei Balcani e volendo
riequilibrare la propria posizione, Francesco Giuseppe si impegnò nel 1879
nella Duplice alleanza con la Germania, un obbligo di soccorso militare
reciproco in caso di aggressione voluto principalmente da Bismarck per fronteggiare
un eventuale attacco della Russia, che dopo aver sconfitto l’ Impero ottomano
nella guerra del 1877-1878, scatenata a seguito delle sollevazioni degli slavi
cristiani dei territori ottomani in Europa, aveva accresciuto il proprio potere
nei Balcani. Nel 1878, l’ Impero asburgico ricevette l’ amministrazione
fiduciaria della Bosnia-Erzegovina, secondo quanto previsto dal Congresso di
Berlino dello stesso anno, e come molti presagivano questa divenne poi una vera
e propria annessione: la decisione contribuì sostanzialmente all’ allontanamento
sempre maggiore della Russia.
In
appoggio alle iniziative diplomatiche austriache, fra il 21 e il 31 ottobre
1881 il nuovo re e la regina d’ Italia, Umberto I e Margherita, fecero visita a
Vienna ai sovrani d’ Austria-Ungheria. I Savoia fecero un’ ottima impressione
alla corte viennese, soprattutto Margherita, che per grazia ed eleganza venne
paragonata a Elisabetta. Lo stesso Umberto, figlio di Vittorio Emanuele II, un
tipo rigido, severo e austero, fece una così buona impressione che il kaiser,
suo cugino e antico avversario, gli concesse la nomina a colonnello onorario
del 28º Reggimento fanteria: il gesto non mancò di suscitare polemiche presso
l’ opinione pubblica italiana, visto che il reggimento austriaco di cui il re
era stato fatto colonnello era lo stesso che aveva partecipato alla battaglia
di Novara del 1849 e all’ occupazione di Brescia, partecipando attivamente alla
spietata repressione che causò la morte di migliaia di uomini, donne e bambini
bresciani. Volendo dare visibilità e peso internazionale al neonato Regno d’
Italia, che
nel 1880 aveva indirizzato il proprio espansionismo territoriale verso il
Nordafrica, soprattutto Tunisia e Libia, urtando le mire della Francia, la
seconda minaccia a Berlino e Vienna dopo l’ Impero russo, Umberto fu un acceso
sostenitore della Duplice alleanza e la successiva Alleanza dei Tre imperatori,
ossia quello austriaco, tedesco e russo, e proprio in questo periodo il governo
di Agostino Depretis venne a conoscenza che papa Leone XIII stava consultando i
ministri degli esteri stranieri a proposito di un loro possibile intervento con
cui ricostituire lo Stato Pontificio: l’ appoggio dell’ Austria, la nazione
cattolica più prestigiosa, sarebbe stato di grande utilità per l’ Italia al
fine di sviare un’ azione europea in aiuto del papato, e la conclusione di un’
alleanza con due potenze conservatrici sarebbe valsa sia a rafforzare la Corona
sabauda di fronte ai movimenti repubblicani di ispirazione francese, sia ad
assicurarla dall’ intervento di potenze straniere alleate del Santo Padre. Appena
un anno dopo, quindi, l’ Italia, senza alleati e impossibilitata ad acquisire
con mezzi pacifici i territori a maggioranza italiana ancora sotto il dominio
di Vienna, entrò a far parte della Duplice Alleanza, che venne ribattezzata
Triplice Alleanza.
La tenuta di Mayerling, ove Rodolfo si uccise con l’ amante; |
I
recenti accordi diplomatici garantirono all’ Europa un periodo di relativa
tranquillità, e diedero a Francesco Giuseppe l’ impressione di poter proseguire
in pace il suo regno. Tuttavia, un destino beffardo deluse ogni sua
aspettativa, tanto nella vita politica quanto in quella privata, mettendo a
dura prova la sua tempra. Nel 1889, infatti, il principe ereditario Rodolfo,
suo unico figlio maschio, si suicidò ad appena trent’ anni insieme alla sua
amante, la baronessa Maria Vetsera, di appena diciassette anni, nel casino di
caccia di Mayerling, nella Bassa Austria. La sua morte fu un duro colpo sia
personale che politico per entrambi i genitori, e destabilizzò la Corona: il
padre l’ aveva sempre visto non solo come il proprio successore ma anche come
un comandante alla vecchia maniera per un esercito e un governo conservatore
che assicurasse la sopravvivenza delle antiche tradizioni, quindi aveva
disposto il suo allontanamento dalla corte quando era ancora molto piccolo per impartirgli
un’ educazione ed una disciplina militare durissime, che l’ avrebbero segnato
irrimediabilmente. Quando Elisabetta aveva compreso ciò che stava avvenendo al
figlio era riuscita a sottrarlo a tale educazione, dopo aver abbandonato Vienna
e minacciato di non tornare finché non avesse ottenuto il controllo diretto della
sua formazione, modellandola in modo da tener conto del suo interesse per le
scienze naturali e l’ arte. In contrasto con il conservatorismo politico del
padre e probabilmente ispirato dalla madre, Rodolfo aveva coltivato una visione
politica spiccatamente liberale, dimostrandosi in più occasioni ostile al patto
che legava Vienna a Berlino, incontrandosi più volentieri con i rappresentanti britannici
e francesi. Aveva guardato con riguardo l’ Ungheria, e notoriamente curato frequentazioni
con ambienti politici ritenuti sospetti come quelli socialisti, tanto da
divenire un sorvegliato speciale da parte della polizia imperiale. Il padre gli
aveva riconosciuto grandi doti diplomatiche, ma pur mandandolo in vari viaggi
in Europa come rappresentante della Corona l’ aveva escluso dalla vita politica
per via delle opinioni nettamente contrastanti tra loro.
Per
volere del padre, il 10 maggio 1881 il principe ereditario aveva sposato la
principessa belga Stefania di Sassonia-Coburgo-Gotha, con la pompa e lo
splendore di un matrimonio di Stato. Classica unione dinastica, il matrimonio
era entrato in crisi poco dopo la nascita nel 1883 dell’ unica figlia,
Elisabetta: di carattere sottomesso e devota al marito a cui sentiva di dover dare
un erede e mossa da una profonda fede cattolica, aveva comunque iniziato a dubitare
delle sue idee, chiedendosi che cosa sarebbe rimasto dell’ Impero sotto il suo
comando, mentre lui si era rifugiato nell’ alcol e nelle prostitute. Nel 1887,
Rodolfo aveva acquistato un edificio di campagna a Mayerling, adattandolo a
casino di caccia. Malgrado l’ infelice situazione, aveva continuato a
frequentare la corte per non dare nell’ occhio, e nell’ autunno del 1888,
proprio a un ballo tenutosi alla corte di Vienna, aveva rivisto dopo dieci anni
la baronessa Maria Vetsera, rimasta innamorata fin dal loro primo incontro,
tanto da dichiararsi pronta a tutto per lui. I due si erano ritirati alla
tenuta di Mayerling il 29 gennaio 1889: lui era intimorito per il fatto che lei,
oltre che minorenne, fosse già promessa al principe di Braganza, pur vedendo in
lui l’ uomo della sua vita, sebbene si considerasse sempre più un fallito. Ormai
sconvolto, l’ aveva convinta che era ormai giunto per lui il momento di morire,
e lei aveva voluto condividere con lui il gesto estremo: secondo le
ricostruzioni, il principe ereditario prima aveva ucciso lei con un colpo di
pistola, ricomponendone poi il corpo morto sul letto con le mani giunte, per
poi puntare l’ arma contro di sé e finirsi con un colpo alla tempia. I cadaveri
vennero trovati da un valletto, Loschek, e da un amico, il conte Hoyos. Rodolfo
aveva lasciato tre lettere, una per la moglie, una per la sorella Maria Valeria
e la terza per la madre. Alla sorella raccomandava di lasciare l’ Austria con
il marito una volta che il padre fosse morto, prevedendo la caduta dell’
Impero, mentre alla madre esprimeva amore e gratitudine. Per il padre, invece,
non aveva lasciato nulla perché, come dichiarava nella missiva alla madre, non
si sentiva degno di lui. Di fronte a questa immensa tragedia, Francesco
Giuseppe venne prontamente assalito dai rimorsi per non aver capito l’ angoscia
del figlio, mentre Elisabetta, per non appesantire ulteriormente il dolore del
marito, cercò di farsi forza non dando a vedere il proprio strazio, piangendo
di nascosto, al massimo sfogandosi con Maria Valeria. La notizia venne
ovviamente ripresa dai giornali con un ampio risalto. I vari articoli parlarono
di una morte improvvisa a causa di un attacco cardiaco, benché fosse trapelata
la voce di un suicidio in risposta alle pretese del padre, deluso dalla sua
vita sregolata e al pessimo andamento del suo matrimonio, affinché troncasse la
sconveniente relazione. Il kaiser non poté nascondere a lungo la verità,
giungendo quindi a dichiarare pubblicamente che il figlio si era tolto la vita,
omettendo però sempre il particolare della presenza dell’ amante, il cui corpo
era stato prontamente restituito alla famiglia in segreto, durante una
squallida messinscena in cui era trasportato in una carrozza, con un bastone
conficcato tra la schiena e il vestito, per tenerlo eretto dando l’ impressione
che la giovane fosse ancora viva, volendo evitare uno scandalo. Solo in un
secondo momento si scoprì che Rodolfo intendeva essere seppellito insieme a lei
nella cappella dei Cistercensi, a Heiligenkreuz, nei pressi di Mayerling, in
quanto la lettera contenente le disposizioni venne trovata solo dopo i funerali
e la sepoltura presso la Cripta Imperiale di Vienna: separati nella vita, i due
amanti rimasero tali anche nella morte.
La
tragedia di Mayerling provocò la crisi definitiva del matrimonio fra Francesco
Giuseppe ed Elisabetta: incoraggiato proprio da lei, lui cadde tra le braccia dell’
attrice Katharina Schratt, moglie dell’ aristocratico ungherese Nikolaus Kiss
de Ittebe, conosciuta nel 1885 dopo un’ esibizione all’ Esposizione Industriale
di Vienna che le era valso persino un invito al ricevimento per la visita dello
zar Alessandro III; lei, invece, si lasciò definitivamente andare, così come abbandonò
il loro matrimonio, vestendosi solo di nero e di rinunciando anche all’ amata
poesia, che il consorte aveva sempre guardato con fastidio, riprendendo i suoi
viaggi e apparendo al suo ultimo evento ufficiale nel 1896 in occasione dei
mille anni dalla fondazione dell’ Ungheria a fianco del consorte, preferendo
ormai vivere il più possibile lontano dalle folle e dalle corti. Il duplice
suicidio del principe ereditario e della sua amante colpì moltissimo la
fantasia popolare per l’ aspetto funestamente romantico della vicenda, eppure
non ne venne percepito se non dopo lungo tempo il significato più profondo: se
fosse sopravvissuto, si ritiene che il padre avrebbe accettato di abdicare in
suo favore, aprendo in tal modo per l’ Impero una grande stagione di
modernizzazione e riforme di cui tanto aveva bisogno, ma il giovane arciduca,
di larghe vedute politiche, aveva intuito di non poter modificare in senso
liberale le rigide istituzioni imperiali austriache. Quasi tre mesi dopo, il 20
aprile, sabato di Pasqua, nella vicina Braunau am Inn, un ufficiale doganale e
la moglie, ex cameriera e domestica, diedero alla luce il loro quarto figlio:
Adolf Hitler.
Sempre
nel 1889, l’ amante dell’ imperatore, Anna Nahowski, venne a conoscenza del
rapporto che lui aveva anche con la Schratt. Si diceva che durante la relazione
questa venne ricompensata con uno stile di vita generoso tra cui una villa sul
Gloriettegasse di Vienna, vicino a Schönbrunn, e un palazzo a tre piani sul Kärntner
Ring, proprio di fronte alla Staatsoper di Vienna. Essendo addirittura una
confidente e non una semplice amante, era soprannominata «l’ imperatrice senza
corona». Le rimostranze della Nahowski portano il monarca alla decisione di
allontanarla, facendole comunque intestare un ingente risarcimento economico
per lei e la figlia Helene, di cui lui era probabilmente il padre, in cambio
della firma di un contratto di silenzio.
Successivamente,
il destino si accanì anche contro Elisabetta. Nel settembre 1898, infatti, l’
imperatrice si recò in incognito a Ginevra prendendo alloggio all’ Hotel
Beau-Rivage, sul lungolago, dove già aveva soggiornato l’ anno precedente. Il
10 settembre, sempre vestita di nero e celando il viso dietro una veletta, un
ventaglio o un ombrellino che la rendeva difficile da riconoscere, mentre si
preparava a prendere il battello per Montreux, accompagnata dalla contessa Irma
Sztáray, Luigi Lucheni, un anarchico italiano venticinquenne che lavorava come
manovale e da qualche tempo parte di un gruppo anarchico, allora impegnato nel
dibattito sull’ opportunità di un regicidio, dopo essersi informato sull’ indirizzo
e le sembianze dell’ infelice sovrana, si appostò dietro un ippocastano, armato
di una lima nascosta in un mazzo di fiori, e la colpì al petto con un solo
colpo preciso, venendo arrestato poco dopo da quattro passanti, non lontano dal
luogo dell’ attentato. Elisabetta si accasciò, ma si rialzò e riprese la corsa,
non sentendo apparentemente nessun dolore: fu solo una volta arrivata sul
battello che impallidì e svenne nelle braccia della contessa Sztáray. Il
battello fece retromarcia e lei venne riportata nella sua camera d’ albergo,
ove morì dopo appena un’ ora, senza aver più ripreso conoscenza. Aveva sessant’
anni. Lucheni, interrogato sui motivi del suo gesto, rispose: «Perché sono anarchico. Perché sono povero. Perché amo
gli operai e voglio la morte dei ricchi.». Alla
notizia della morte della consorte, Francesco Giuseppe, disperato dall’
ennesimo colpo inferto da un destino crudele, sedette su una sedia pronunciando
una frase destinata a divenire celebre: «Nulla mi è stato risparmiato su questa
terra.».
Dopo
l’ assassinio di Elisabetta, il kaiser continuò la propria relazione con la
Schratt per il resto della vita, con una sola interruzione tra il 1900 e il 1901
a causa di una divergenza di opinioni. Si disse che lei fosse ormai il solo
conforto rimastogli nel tragico silenzio della sua casa.
L’ imperatore con il piccolo Carlo, futuro erede al trono; |
Durante
i primi anni del Novecento, l’ ormai vecchio e stanco imperatore compì svariati
cambi di rotta nel contesto della politica interna, passando da alcune riforme
federalistiche sino ai ritorni centralistici dell’ ultimo decennio dell’ Ottocento.
Tuttavia, la sua figura restava sempre lontana dalle critiche più dirette,
grazie ad un’ accurata propaganda. Ostile alla maggior parte delle tecnologie
moderne, non usava mai il telefono, ormai diventato strumento indispensabile nel
lavoro delle cancellerie e degli uffici di governo, al punto da non tollerarne
nemmeno il suono. Non amava nemmeno le automobili e rimase sempre fedele alle
carrozze e ai cavalli. La sola eccezione che si concesse fu il telegrafo,
invenzione di cui faceva larghissimo uso.
In
quel tempo, il nuovo re britannico, Edoardo VII, figlio e successore della
leggendaria Vittoria di Hannover, si impegnò a mantenere buoni i rapporti con gli
Asburgo e il loro Impero. Convinto com’ era dell’ importanza dei rapporti umani,
trovava indispensabile che il sovrano della più importante corte protestante e
quello della più importante corte cattolica dialogassero: il 31 agosto 1903
giunse quindi a Vienna per la sua prima e unica visita, e i quattro giorni di
permanenza presso Francesco Giuseppe furono spesi essenzialmente nelle cortesie
dinastiche, sollevando come unica questione politica quella relativa alla
Macedonia, regione in mano ottomana e in uno stato di ribellione.
Prima
di ripartire da Vienna, Edoardo parlò della questione con il Ministro degli
Esteri austriaco, sollecitandolo ad avere un atteggiamento energico ma pacifico
con l’ Impero ottomano, dichiarando peraltro che Londra e Vienna perseguivano
una politica uguale, tesa a conservare il più a lungo possibile lo status quo
nel Vicino Oriente e ad evitare una guerra che avrebbe avuto conseguenze di
incalcolabile gravità in Europa. La visita di Edoardo fu la sola occasione in
cui Francesco Giuseppe accettò di salire in automobile. Due mesi dopo, il 4
ottobre 1903, il kaiser e lo zar Nicola II si incontrarono a Mürzsteg con i
rispettivi Ministri degli Esteri, accordandosi per una politica comune contro
la Turchia, a cui fu intimato di attuare riforme in Macedonia per il rispetto
di tutte le etnie e le confessioni religiose della regione.
Sebbene
Francesco Giuseppe non potesse o addirittura intendesse ricambiare la visita del
monarca britannico, riuscì a incontrarlo informalmente prima a Marienbad nell’
agosto 1905 e poi a Bad Ischl esattamente due anni dopo, particolare occasione
voluta da Edoardo, e che per la prima volta fu una riunione politica fra i due monarchi
e tra i rispettivi consiglieri diplomatici, sempre a proposito della Macedonia:
i britannici sostenevano che bisognava rimuovere alla radice il problema
costringendo gli ottomani a cessare le violenze razziali nella regione,
evitando peraltro la minaccia di una guerra che dai Balcani avrebbe potuto
allargarsi a tutta l’ Europa, mentre gli austriaci obiettavano che qualsiasi
azione radicale avrebbe compromesso l’ equilibrio del fragile Impero ottomano, il
cui crollo avrebbe provocato danni incalcolabili per la pace. L’ incontro non
risolse la complicata questione macedone, ma servì a chiarire l’ atmosfera tra Gran
Bretagna e Austria, e a rendere entrambi i governi meno sospettosi l’ uno verso
l’ altro. Durante il loro ultimo incontro, avvenuto sempre a Bad Ischl il 12
agosto 1908 fra Edoardo e Francesco Giuseppe, il primo chiese all’ altro di
intercedere presso Guglielmo II affinché rallentasse il riarmo navale germanico,
ma si vide opporre un cortese ma irremovibile rifiuto.
L’ attentato di Sarajevo; |
Frattanto,
le potenze europee erano sempre più sull’ orlo di una guerra, per motivi sia
politici che economici: Gran Bretagna e Impero tedesco volevano il primato
industriale sul mondo. La Germania in particolare aveva assunto una
preoccupante aggressività e ambizione coloniale in politica estera, vantando buone
industrie chimiche e siderurgiche estrattive e una potente flotta che rivaleggiava
con quella britannica. La Francia voleva riconquistare l’ Alsazia e la Lorena,
ricche di ferro e carbone, che aveva dovuto cedere alla Germania nel 1870, con
la sconfitta di Sedan. La Russia era interessata ai Balcani e voleva impedire
che l’ Austria vi si espandesse. Il Regno di Serbia voleva fondare uno Stato
formato dai Paesi limitrofi, abitati da popolazioni di lingua e cultura slave, ragion
per cui ebbe luogo una mobilitazione generale contro di esso, caldeggiata dal
Ministro degli Esteri austriaco Leopold Berchtold, che raccomandava l’ eliminazione
della Serbia come Stato, mentre l’ Italia voleva unire al proprio territorio le
ultime regioni di lingua italiana ancora sotto la Corona asburgica, ossia
Friuli-Venezia Giulia, Trentino-Alto Adige e Trieste. Nel 1908 la Bosnia-Erzegovina
venne formalmente unita all’ Impero austro-ungarico, aprendo una crisi per l’ annessione
in quanto tale decisione non era stata prima ratificata dalle altre potenze
europee. Ciò complicò i rapporti con l’ Italia, che guardava con preoccupazione
l’ espansionismo di Vienna nei Balcani, pensando quindi sempre più
concretamente ad avvicinarsi a Francia e Regno Uniti.
In
questo contesto di discordia, in cui la guerra poteva scoppiare da un momento
all’ altro, l’ arciduca Francesco Ferdinando, figlio di Carlo Ludovico,
fratello minore dell’ imperatore, che dopo la morte di Rodolfo e del padre era
divenuto il nuovo principe ereditario, il 28 giugno 1914 si recò a Sarajevo,
capitale della Bosnia, in visita ufficiale insieme alla moglie Sophie Chotek
von Chotkowa, una nobildonna ceca di provenienza boema. Il nuovo erede al trono
auspicava una riforma dell’ Impero in senso trialista, cioè aggiungendo gli
slavi come popolo costituente ad austriaci e ungheresi, insistendo sul fatto
che fossero la metà dei popoli governati dagli Asburgo e che un terzo regno
slavo, dominato dai croati e comprendente la Bosnia-Erzegovina sarebbe stato un
ottimo baluardo contro le mire espansionistiche dei serbi. Ciò gli attrasse l’
odio degli ungheresi, che ricambiava reputandoli un popolo di pericolosi
ribelli e nazionalisti, e degli austriaci. Inoltre, il matrimonio con una
nobile di secondo rango aveva disgustato il vecchio imperatore. Sostenitore del
suffragio universale maschile, che avrebbe minato la predominanza magiara nel Regno
d’ Ungheria, aperto a idee liberali e intenzionato a concedere grande autonomia
ai diversi gruppi etnici presenti nel territorio imperiale, fu un principe
riformatore in politica e iconoclasta nella vita privata, ma al di fuori del
mondo tedesco venne ingiustamente considerato come la guida del «partito della
guerra». Il giorno stesso dell’ arrivo a Sarajevo, la coppia reale venne uccisa
con due colpi di pistola dall’ irredentista serbo-bosniaco Gavrilo Princip, appartenente
al movimento della Giovane Bosnia, per protesta contro l’ invasione e la
successiva annessione all’ Impero austro-ungarico della Bosnia.
Pur
sconvolto da questo nuovo lutto, Francesco Giuseppe rispose alla notizia: «Un potere superiore ha ristabilito l’ ordine che io,
purtroppo, non sono riuscito a preservare.». Con
la
benedizione di Guglielmo II, il terzo e attuale imperatore tedesco, e il suo
personale consenso, strappato dalle pressioni delle gerarchie politiche,
diplomatiche e militari, alle quali rispose con un laconico: «Dunque è deciso.»,
nel pomeriggio del 23 luglio 1914 l’ ambasciatore austriaco a Belgrado, il
barone Wladimir Giesl Freiherr von Gieslingen, consegnò al governo serbo l’ ultimatum
di Vienna, rimanendo in attesa della risposta che doveva arrivare non oltre le
18:00 del 25 luglio: dopo una lunga premessa nella quale l’ Austria accusava la
Serbia di aver disatteso la dichiarazione d’ intenti rivolta alle grandi
potenze alla fine della crisi bosniaca, il governo di Vienna intimò a quello di
Belgrado di far pubblicare sulla «Rivista ufficiale» serba del 26 luglio una
nuova dichiarazione, di cui riportava il testo. Essa impegnava la Serbia a
condannare la propaganda antiaustriaca, riconosceva la complicità di funzionari
e ufficiali serbi nell’ attentato di Sarajevo e impegnava Belgrado a perseguire
per il futuro con il massimo rigore tali macchinazioni. Il testo lasciava ampio
margine d’ azione all’ Austria-Ungheria, benché tutto facesse pensare, in caso
di inadempienza serba, ad estreme conseguenze. La Germania, convinta di poter
circoscrivere il conflitto, sollecitò l’ Austria affinché aggredisse al più
presto la Serbia: Francesco Giuseppe rispose in una lettera consegnata a
Guglielmo che la decisione di entrare in guerra contro la Serbia era stata
presa già prima dell’ assassinio del nipote, che paradossalmente era stato il solo
austriaco autorevole comprensivo verso i nazionalisti serbi, sognando un Impero
unito da un legame federativo, e che gli eventi di Sarajevo avevano confermato
solo l’ imminenza del conflitto. La Gran Bretagna avanzò una proposta di
conferenza internazionale che non ebbe seguito, mentre le altre nazioni europee
si preparavano al conflitto. La Serbia accettò solo una parte delle richieste,
quindi il 28 luglio 1914 Vienna le dichiarò guerra, dando inizio alla Grande
Guerra.
Ormai
ottantaquattrenne, Francesco Giuseppe fu piuttosto restio a firmare l’ atto di
guerra, ma dovette chinarsi alle forti pressioni dell’ esercito e della
diplomazia che invece ne sostenevano la necessità, sottoscrivendolo dicendo: «La
guerra! Lor signori non sanno cos’ è la guerra! Io lo so...da Solferino.».
Francesco Giuseppe sul letto di morte; |
Ormai
stanco, si ritirò stabilmente al natio palazzo di Schönbrunn, ove continuò ad
esercitare le sue funzioni politiche e militari con costanza, seguendo regolarmente
le vicende del conflitto, che fin dall’ inizio fu un vero e proprio disastro
per l’ Impero, tanto che l’ entusiasmo di gran parte della sudditanza svanì
molto presto. Nel 1916, confidandosi con il proprio aiutante di campo, lo
stesso monarca affermò: «Le cose ci vanno male, molto peggio di quanto pensassimo...La
prossima primavera la farò senz’ altro finita con la guerra.». Colpito da una
debolezza cardiaca in seguito a una polmonite, contratta mentre accompagnava il
granduca russo Nikolai Nikolajewitsch, che era stato suo ospite, fino alla
stazione ferroviaria, morì il 21 novembre. Aveva ottantasei anni.
Benché
attesa in virtù della sua età ormai avanzata, la dipartita di Francesco
Giuseppe fu un vero e proprio terremoto politico, e venne percepita come l’
inizio della fine dell’ Impero. Dedito al suo dovere praticamente fino all’
ultimo respiro, tanto che appena tre ore prima di lasciare il mondo aveva dato
disposizione al proprio valletto personale di svegliarlo di buon’ ora il
mattino dopo, come nessun altro imperatore prima di lui aveva incarnato la
monarchia asburgica, tanto nel bene quanto nel male, dominando saldamente la
scena per ben sessantasette anni e fino alla fine, rappresentando sotto molti
aspetti un’ epoca e una mentalità ormai inconciliabili con i mutamenti
economici e sociali in corso in Europa. La fine del suo regno equivalse
praticamente alla conclusione di un’ era. Con la sua stessa persona aveva rappresentato
per tutti un forte simbolo di stabilità e di sicurezza. La stragrande
maggioranza della sua sudditanza era nata dopo la sua ascesa al trono, e vedeva
in lui un punto fermo a cui aggrapparsi nei momenti difficili legati ad un
conflitto che ormai da due anni provocava sempre più lutti e distruzione. Sebbene
avesse condiviso il rango imperiale con i monarchi britannici, in qualità di
imperatori delle Indie, oltre che con i kaiser tedeschi, i tiānzǐ cinesi e i tennō
giapponesi, fu di fatto l’ ultimo vero imperatore in Europa, personificazione
di un fasto senza pari e di un’ autorità ostinatamente portata avanti nella
convinzione che provenisse direttamente da Dio, analogamente ai re medievali. La
sua figura era stata davvero significativa, sia in Austria che all’ esterno: se
l’ Austria-Ungheria veniva vista come un’ immensa entità statale multinazionale
apparentemente intramontabile, lo si doveva soprattutto al suo eccezionale
carisma, ma la sua morte svelò al mondo una realtà ben diversa, quella di uno
Stato ormai allo sbando, in una crisi senza precedenti sia militare che civile,
con le proteste ormai quotidiane della popolazione per la mancanza di beni di
prima necessità alle riserve di uomini da inviare al fronte sempre più esigue.
Il corteo funebre del longevo kaiser; |
La
salma del vecchio imperatore fu imbalsamata secondo tradizione, ma per l’ occasione
venne utilizzata una nuova tecnica che la deformò, quindi non fu esposta al
pubblico. Rivestita con l’ uniforme di gala di feldmaresciallo, venne esibita
entro la reggia di Schönbrunn. Il 27 novembre la bara fu trasportata nella
chiesa di corte su un carro funebre trainato da otto cavalli: centinaia di
migliaia di persone fecero ala al corteo. Il funerale ebbe luogo tre giorni
dopo, con una messa da Requiem nel duomo di Santo Stefano, e una processione
lungo una Ringstrasse fredda e coperta di neve. Alla testa del corteo vi erano
due palafrenieri con fiaccole, seguiti da uno squadrone di cavalleria e da una
lunga fila di berline nere trainate da cavalli con i con i più alti funzionari
dello Stato. Seguiva il feretro il nuovo imperatore, il pronipote Carlo I,
figlio di Ottone, fratello di Francesco Ferdinando, in divisa, con la moglie
Zita di Borbone-Parma, tutta coperta di veli neri e il figlio Ottone, di appena
quattro anni. Seguiva infine il carro funebre, drappeggiato di nero e trainato
da otto cavalli scuri. Di fianco al carro, a destra, cavalcava il gran maestro
delle scuderie, il conte Pallfy, e ai due lati vi erano paggi con fiaccole
ardenti e venti guardie. Dietro al carro funebre vi era un reparto di arcieri e
uno della guardia ungherese a cavallo, poi una compagnia di fanteria e infine
uno squadrone di cavalleria. Il corteo accompagnò a piedi il feretro per un
chilometro, fino alla Cripta Imperiale.
Dopo
la morte di Francesco Giuseppe, Katharina Schratt visse completamente ritirata
nel suo palazzo sul Kärntner Ring, rifiutando grandi offerte economiche per le
sue memorie e, negli ultimi tempi, diventando profondamente religiosa.
Carlo I, il nuovo imperatore austroungarico; |
Carlo
I salì al trono appena ventinovenne, e presto dovette fare i
conti con la penosa pesantezza dell’ eredità del prozio. Lo attendeva lo
spettro della catastrofe: in caso di vittoria sarebbe molto probabilmente
diventato un vassallo degli imperatori tedeschi, mentre in caso di sconfitta
avrebbe assistito alla caduta dell’ Impero. Di formazione liberale, iniziò da
subito a pensare ad un’ uscita di scena aprendo nell’ inverno 1917 un negoziato
con Francia e Gran Bretagna, atto ad una pace separata. Avviò una politica
moderna e avveduta, e accettò la proposta del Presidente degli Stati Uniti,
Woodrow Wilson, di permettere l’ autodeterminazione dei popoli sottomessi alla
Corona asburgica, riconvocando il parlamento imperiale e permettendo la
creazione di una confederazione che rappresentasse ogni gruppo nazionale. Nessuna
tra le popolazioni imperiali accettò una simile prospettiva, iniziando
piuttosto a combattere per la piena indipendenza nazionale, finché, l’ 11
novembre 1918, la storia fece definitivamente il suo corso con la cessazione
del conflitto, rivelatosi il più disastroso mai combattuto fino ad allora: erano
stati mobilitati oltre settanta milioni di uomini, dei quali oltre nove erano
morti sul campo di battaglia, in aggiunta ai sette di vittime civili. Duramente
sconfitte, Germania e Austria-Ungheria furono poste a condizioni di resa assai
dure: se la prima perse le sue colonie, la seconda fu privata di tutti i
possedimenti territoriali, soprattutto a causa dei divergenti interessi
nazionali dei popoli locali. Entrambe divennero repubbliche: dopo trecentonovantasette
anni di regno, gli Asburgo furono deposti e costretti all’ esilio sull’ isola
portoghese di Madera.
bello,interessante e preciso...
RispondiEliminaGrazie infinite, sono davvero felice di questo apprezzamento!
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