«La spiritualità è riconoscere la luce
divina che è dentro di noi. Non appartiene a nessuna religione in particolare,
ma a tutti.» Muhammad Ali;
La parola come timone con cui orientare le masse; |
Un
antico proverbio zen dice: «Una buona parola tiene inchiodato un asino a un
palo per cento anni.». Devo ammettere che quest’ affermazione mi ha molto
colpito, e che mi ha fatto ricordare un concetto che fin da bambino ho spesso
sentito dire dalla mia vecchia maestra elementare di italiano e, in seguito, da
altre persone intelligenti che ho avuto la fortuna di conoscere personalmente:
le parole hanno ciascuna un preciso significato, con il quale possono ampiamente
influenzare il nostro modo di pensare e percepire la realtà, modellando le
nostre convinzioni in un modo piuttosto che in un altro. Se usate con una motivazione
e in un certo modo hanno il potere di elevarci a superiori livelli di
consapevolezza oppure di allontanarcene nettamente, come dimostrato purtroppo
dalle tecniche propagandistiche. Al tempo stesso, come tutte le cose del
contesto umano il linguaggio ha i suoi limiti e non sempre è in grado di aiutarci
a comprendere appieno i concetti, finendo spesso con l’ indurci a coltivare
opinioni inesatte. Occorre quindi fare un uso molto attento delle parole,
scegliendo quelle giuste quando occorrono e limitandoci al silenzio se invece
non servono proprio: prima di parlare dovremmo infatti sempre domandarci se ciò
che diremo corrisponde al vero, se non provoca male a nessuno, se è utile e, soprattutto,
se valga davvero la pena turbare il silenzio per ciò che abbiamo da dire.
Il condizionamento e la metodicità della religione; |
Uno
dei contesti in cui le parole vengono utilizzate in maniera sconveniente e
addirittura oppressiva è quello delicato della religione, un contesto molto
antico e tutt’ altro che scontato. Da sempre, infatti, ogni dottrina poggia su
concetti enigmatici e mai dimostrati in pratica, e i relativi chierici e
maestri, impaludati in suggestivi abiti talari, trascorrono tutta la vita a
studiarli e a insegnarli alla comunità spirituale, i cui membri pendono dalle
loro labbra ammirando la bravura e la dimestichezza che denotano dalla santa
cattedra. Non a caso, infatti, uno dei termini più ricorrenti nel mondo
religioso è quello relativo ai pastori, intesi come vere e proprie guide
autorevoli incaricate di indirizzare la massa: la comunità spirituale deve
mettere da parte pensieri, dubbi e riflessioni e affidarsi alla conoscenza e
all’ esperienza del suo pastore, che ha ricevuto l’ insegnamento,
comprendendolo e divenendo poi in grado di trasmetterlo agli altri, sul preciso
esempio delle pecore, che senza pensare seguono tutte insieme il loro
allevatore mentre le conduce dalla stalla ai pascoli e viceversa.
In
questo contesto, uno degli errori fondamentali che noi tutti comunemente
facciamo in partenza è il confondere la religione con la spiritualità. Da
migliaia di anni, infatti, questi due elementi sono molto presenti nella vita
delle persone, e sono strettamente intrecciate fra loro, eppure ad un’ attenta
considerazione si può capire quanto siano diverse e addirittura sappiano
esistere l’ una senza l’ altra. Generalmente, siamo portati a credere che la
religione sia l’ apice della spiritualità, ma in realtà non è così: essa è infatti
un semplice prodotto umano. Fin dall’ origine dei tempi, infatti, ogni popolo
ha avuto la propria religione, con le sue divinità buone e cattive, i propri
dogmi, rituali e preghiere. Per certi aspetti, tutti i culti hanno molti
aspetti in comune e altri punti di diversità, e per quanto si siano sempre
presentati come una verità rivelata, non si può non notare quanto ognuno di
essi sia il riflesso di una determinata mentalità in vigore una determinata
epoca storica e regione geografica. Ogni confessione religiosa sorse in un’ era
in cui uomini e donne si interrogavano sulle origini della vita, ma ancora non
vi era la scienza con cui rispondere adeguatamente. Dalla religiosità sorge la
ritualità, elemento tipico della psiche umana al punto da essere parte delle
nostre attività quotidiane più familiari, e da questa sorgono la metodicità e,
soprattutto, la convinzione, che il più delle volte sfocia nel pregiudizio divenendo
un limite e addirittura un ostacolo al raggiungimento della comprensione della
verità, in quanto una volta che siamo certi di qualcosa ci attacchiamo alle nostre
convinzioni e abitudini adeguando ad esse la nostra mentalità ed esistenza
divenendone praticamente prigionieri.
La libertà della personale ricerca spirituale; |
In
realtà, il culmine a cui noi tutti più o meno consapevolmente puntiamo è la
spiritualità: è questo il nostro vero traguardo, peraltro slegato da tutti quei
vincoli, limiti e dogmi tipici della religione. Ognuno di noi possiede uno
spirito, indipendentemente dalla fede religiosa, e tende ad essere felice e ad
evitare la sofferenza. La spiritualità parte proprio da qui, e consiste nella
cura di questo nostro spirito: è il sentiero che ci conduce al benessere,
indipendentemente da tutto ciò che ha a che fare con la religione. Persino
molti atei affermano di praticare una qualche forma di spiritualità, sentendosi
pervasi da una grande energia e senso di completezza semplicemente immergendosi
nella natura, osservando le opere d’ arte o facendo del bene agli altri,
impegnandosi in un sentiero vivo e radicato nella vita quotidiana in cui siamo
tutti immersi.
Per
sua natura, la religione non riesce a fornire una risposta a tutti i problemi
delle persone, e ovviamente non si può cambiare il mondo dichiarandosi seguaci
di una religione per poi passare il tempo pregando, andando al tempio più
vicino a casa oppure in pellegrinaggio. La spiritualità consente invece di
individuare sé stessi, riconoscendo quello che si è, che si può fare e di cui
si ha bisogno. E’ una via basata sull’ astensione dal male, sul fare il bene e
l’ essere sempre consapevoli, in un percorso basato su virtù quali disponibilità,
condotta appropriata, pazienza, diligenza, saggezza, tolleranza e rispetto
reciproco e che non è appannaggio esclusivo della religione. Solo aprendoci a
noi stessi e alla realtà che ci circonda potremo finalmente vivere in armonia e
trovare la pace.
Da
anni quindi sostengo senza mezzi termini che possiamo tranquillamente fare a
meno della religione, ma non della spiritualità. Se fin dal suo apparire la
religione ha sempre esposto i propri concetti fondamentali senza alcuna
dimostrazione pratica, fino a perdere ovviamente terreno di fronte alle recenti
scoperte scientifiche, molto di ciò che ci vediamo attorno può costituire un
ottimo punto di partenza per il nostro percorso spirituale, superando tutte
quelle convinzioni erronee, distorte e ingannevoli che con l’ andare del tempo possono
radicarsi sempre di più, conducendoci inevitabilmente in una solida gabbia
mentale da noi stessi costruita e dalla quale si rischia seriamente di non
uscire più, imprigionandoci nell’ aridità e nella desolazione del «materialismo
religioso». Anziché credere occorre fare esperienza diretta di tutte le cose,
in modo tale da poter comprendere e infine sapere. Bisogna ragionare
attivamente con la propria testa e il cuore, tralasciando tutti quei concetti
statici e leggende deleterie che ormai non valgono più, ai quali da sempre le
religioni si aggrappano disperatamente da lungo tempo. Soprattutto, non bisogna
mai commettere l’ errore di affidarsi ciecamente ad un maestro, per quanto
famoso, carismatico e convincente, ricordando piuttosto che bisogna valutare
con cura tutto quello che dice e l’ esempio che offre con le sue azioni: è bene
che ciascuno sia il maestro di sé stesso, affidandosi alla propria esperienza.
La verità si trova sempre e solo nei fatti, non nelle convinzioni: si deve
quindi imparare a coltivare un atteggiamento di scetticismo con cui fare le domande
giuste, a cui occorre dare le dovute risposte, evitando la trappola della
liturgia, della dottrina, del mito, del culto, della fede e quindi della
religione. Perché il cuore umano si trova sempre oltre la fitta coltre della
teologia. Con la spiritualità si imbocca quella via che ci riporta al nostro
vero io, al «qui e ora», distaccandoci dalle distrazioni inutili e dagli
atteggiamenti mentali che ci isolano dalla realtà. E’ un’ attitudine che va
oltre la fede, sperimentando l’ attimo presente e provando riconoscenza per il
dono stesso della vita, acquisendo piena consapevolezza del nostro legame con
il mondo e tutto ciò che ne fa parte, oltre le disattenzioni e i conflitti
illusori del mondo materiale. Lo stato dello spirito non ha tempo, luogo e neppure
religione, e dipende essenzialmente dalla nostra intuizione, esperienza
soggettiva e unica per ogni persona. Giunti a questo punto potremmo chiederci
perché sia così importante la religione, con tutti i suoi dogmi che ci isolano
dalla realtà e da noi stessi impedendoci di percepirci come una parte
fondamentale di qualcosa di più grande.
Il
lato maggiormente importante della spiritualità è l’ esperienza effettiva, con la
quale ci rendiamo parte del moto perpetuo dell’ esistenza. In un certo senso,
questa è la vita stessa: per vivere la spiritualità servono solo quei piccoli
gesti che ci avvicinino alla pace mentale, vivendo ogni momento con
consapevolezza. Ad esempio, se stiamo pulendo casa dovremmo immergerci nell’ atto
di pulizia; se siamo con i nostri cari, bisognerebbe essere completamente presenti
per loro; se ci stiamo rilassando, ci si dovrebbe rilassare e basta, non
lasciando che gli eventi del giorno o le preoccupazioni del futuro infestino i
nostri pensieri. Questo atteggiamento ci aiuta ad accettare le cose pienamente
così come vengono e apprezzarle nella loro interezza, preoccupandoci per il
benessere nostro e di tutti gli altri esseri come se fossimo un tutt’ uno, per
capire come siamo tutti interconnessi: la spiritualità è semplicemente questo.
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