Ian Fleming; |
«Ho sempre fumato,
bevuto e amato troppo. In effetti ho vissuto non troppo a lungo, ma troppo. Un
giorno il granchio di ferro mi agguanterà. Allora sarò morto per il troppo
vivere.» Ian Fleming;
Il
comandante James Bond, colto e raffinato ufficiale della Royal Naval Reserve
britannica, la forza di riserva volontaria della Royal Navy, e in seguito agente
dell’ MI6, l’ agenzia di spionaggio per l’ estero del Regno Unito di cui è membro
assegnato alla Sezione Doppio Zero, la particolare cerchia in possesso della
cosiddetta licenza di uccidere, facoltà di sopprimere l’ obiettivo quando e
come si vuole, è un personaggio letterario e cinematografico così famoso da non
aver bisogno di presentazioni. E’ un eroe talmente affascinante e apprezzato da
essere ormai un termine di riferimento nei discorsi della gente comune e negli
articoli di giornale: non appena si apprende di un fatto incredibile,
emozionante ed eccitante oggi si afferma che si tratta «di un’ avventura alla James
Bond». Ideato nel 1952 dal romanziere britannico Ian Fleming, che lo rese
protagonista di dodici romanzi e due raccolte di storie scritti in undici anni
con cui diede vita a una nuova visione della letteratura gialla anglosassone,
dal 1962 in poi venne reso universalmente famoso dalla serie cinematografica di
venticinque film, prodotta dalla EON Productions, nei quali finora è stato
interpretato da sette attori. Le sue avventure, le più significative delle
quali ebbero luogo durante Guerra fredda, catturarono il fascino di generazioni
di ammiratori e fecero di Bond, nome in codice 007, un imprescindibile modello
di eroe, uomo d’ azione e seduttore di donne, unitamente ai suoi modi spontanei
e alla grande sicurezza in sé stesso, dettati da quella grande autostima che
solo le persone più intelligenti e capaci possono permettersi. Come disse l’
attore e produttore Sean Connery: «James Bond ama rompere le regole. Gode di
libertà di cui la gente normale non dispone. Gli piace mangiare, gli piace
bere, gli piacciono le ragazze. E’ piuttosto crudele, sadico. Incarna un’ elevata
percentuale delle fantasie di molta gente... anche se pochi ammetterebbero che
gli piacerebbe essere Bond. Non esito a dire che anche a me piace mangiare,
piace bere e piacciono le ragazze.».
Il
comandante Bond è stato il primo vero eroe della letteratura, e il suo approdo
al cinema fu una vera e propria rivoluzione: il genere d’ azione non era mai
stato così dinamico, e la capacità dei primi interpreti del personaggio, fino a
Daniel Craig, di prendersi poco sul serio, con trovate al limite del possibile
e della fantascienza, fu una delle costanti più importanti di quest’ epopea. E
Bond è continuamente mutato con il passare dei tempi, l’ avvicendamento degli
attori e la concezione delle storie che vennero raccontate partendo dai libri
di Fleming. Tuttavia, come abitualmente accade quando un soggetto
cinematografico viene preso in prestito dalla letteratura, esistono differenze
poco note al pubblico tra il personaggio romanzesco e quello cinematografico.
Il James Bond impersonato da Sean Connery è rimasto nella memoria collettiva come
la migliore interpretazione in assoluto, diventando la quintessenza del
personaggio, ma esattamente come le sceneggiature dei vari film il suo
personaggio era stato ritoccato secondo le sottili alchimie del mondo dello
spettacolo per ragioni di intrattenimento. E da allora, ogni volta che è
cambiato l’ attore protagonista, produttori e autori sono stati attenti
costantemente a reggere intatto il personaggio e allo stesso tempo a
modificarlo: 007 si è lentamente trasformato in un uomo prima più seducente,
poi più rude, quindi più atletico e alla fine, aggirando totalmente la
tradizione che lo voleva solo furbo e scaltro, è divenuto un soldato con gli occhi
azzurri, freddi come il ghiaccio, e i capelli biondo cenere. Ma il James Bond
originario, scaturito dalla penna di Fleming, era ben più oscuro e brutale di
quanto Hollywood fosse disposta a confermare nei film a lui dedicati. Il rapporto
tra il creatore e la creatura era talmente stretto che tuttora lo si può
interpretare come una segreta confessione dello stesso Fleming, tanto che
risulta impossibile capire appieno la personalità del personaggio letterario
senza conoscere la movimentata vita del suo autore…
Fleming, ufficiale della Royan Navy; |
Secondo
di quattro fratelli, Ian Lancaster Fleming nacque il 28 maggio 1908 a Londra.
La sua famiglia era parte dell’ aristocrazia britannica: il padre Valentine era
deputato conservatore e ufficiale della Riserva, e la madre, Evelyn St. Croix Rose,
era figlia di un capitano al servizio della Royal Buckinghamshire Militia, a
sua volta figlio del I baronetto Rose, di Rayners. Il nonno paterno, Robert,
era un ricco banchiere scozzese, fondatore della banca Robert Fleming & Co..
Il fratello della madre, Harcourt, sposò la contessa Estelle Marie Carandini,
vedova dell’ ufficiale Geoffrey Trollope Lee, nonché madre di Christopher Lee,
futuro attore e cantante, interprete soprattutto di personaggi malvagi. Il 20
maggio 1917, a soli nove anni, perse il padre, arruolato in occasione della
Grande Guerra nel Queen’ s Own Oxfordshire Ussari e colpito mortalmente da una
scheggia di granata tedesca vicino a Épehy, nella regione dell’ Alta Francia. Nel
testamento, preparato nel 1914, poco prima di partire per il fronte, Valentine
aveva disposto che il suo patrimonio, pari a
duecentosessantacinquemilacinquecentonovantasei sterline, sarebbe passato alla
moglie Evelyn, la maggior parte del quale in custodia a beneficio dei quattro
figli e delle loro future famiglie. La vedova avrebbe avuto un reddito generoso
a patto che non si fosse risposata, caso in cui le sarebbe spettato un importo
ridotto di tremila sterline annue: Evelyn si attenne alle disposizioni, pur reputandole
cattive volontà. Sir Winston Churchill, caro amico di Valentine e suo compagno
di partito, firmò il necrologio apparso sul Times.
Per
il giovane Ian cominciò un periodo difficile: la figura del padre, eroe di
guerra, pesò su di lui come un esempio irraggiungibile. Nel 1921 iniziò a
frequentare l’ Eton College, dove terminò gli studi con qualche difficoltà. Si
distinse ben più facilmente in campo sportivo, tanto da essere citato come uno
dei migliori atleti del prestigioso istituto privato. Esuberante, donnaiolo,
forte bevitore, assiduo fumatore e amante delle auto sportive, il giovane non
tardò ad impensierire la madre, che per correggere la sua strada e impartirgli
una disciplina più rigorosa lo iscrisse all’ Accademia Militare di Sandhurst, da
cui dopo appena un anno fu espulso a causa di una sua fuga notturna a Soho, quartiere
di Londra piuttosto malfamato per i suoi loschi giri di prostituzione,
squallide abitazioni e locali indecorosi, che peraltro gli valse una malattia
venerea. Delusa, mamma Evelyn, che nel frattempo aveva intrapreso una relazione
con un pittore, Augustus John, da cui avrebbe avuto poi una figlia, Amaryllis
Fleming, nel 1928 gli tolse il sussidio mensile e lo inviò a Kitzbühel, in Austria, presso una coppia britannica che
dirigeva una pensione per studenti: immerso in un ambiente libero e stimolante,
ben diverso dalla rigidità anglosassone, per buona pace della genitrice il suo
profitto migliorò nettamente. Frequentò una scuola estiva di lingue, ove perfezionò
la padronanza del francese, del tedesco e del russo. Curiosamente, il direttore
della scuola era un certo Ernan Forbes Dennis, ex diplomatico ed ex agente
segreto britannico.
Grazie
all’ amore per l’ ambiente montano si appassionò all’ alpinismo e allo sci. Proseguì
gli studi frequentando i corsi di politica estera alle Università di Monaco e
Ginevra, ove iniziò una relazione con Muriel Wright. Evelyn cercò di dirottarlo
sulla carriera diplomatica, ma quando affrontò gli esami al Ministero degli
Esteri non li superò, e lei ne incolpò Muriel Wright. Nel 1931, sempre grazie
alla madre che ne conosceva il direttore, Ian entrò alla Reuters, la famosa
agenzia di stampa britannica, ove intraprese la carriera giornalistica, che due
anni dopo, nel 1933, lo portò in Unione Sovietica a seguire il caso di alcuni
ingegneri britannici accusati di spionaggio. La Reuters era talmente
soddisfatta del suo lavoro che gli offrì il posto di corrispondente a Shanghai,
ma alla morte del nonno Robert, il 31 luglio dello stesso anno, abbandonò il
giornalismo divenendo socio della banca di famiglia, con la speranza di
conseguire facili ricchezze. Vi rimase poco tempo, benché fosse amante della
moglie di uno dei capi, e nel 1935 divenne agente di cambio. Conobbe Lancelot High
Smith, spia durante la Grande Guerra, e insieme a lui e all’ amico d’ infanzia
Ivar Bryce, la cui famiglia commerciava guano, cominciò a frequentare i casinò
della Normandia, accrescendo la passione per il gioco d’ azzardo. Le sue
passioni eccentriche si concretizzarono nella fondazione del circolo Le Cercle,
dedicato al culto della gastronomia e del gioco, che molti anni dopo, nel 1962,
venne ripreso in «Agente 007 - Licenza di uccidere», come luogo della prima
apparizione di James Bond.
Nel
1939, Fleming tornò al giornalismo e compì un viaggio in Unione Sovietica,
scrivendo un reportage per il Times. Al ritorno si offrì come esperto al
Foreign Office, il Ministero responsabile della promozione degli interessi del
Paese all’ estero, che però indugiò fino a quando si interessò del caso l’ ammiraglio
John Edumund Godfrey, direttore della Naval intelligence della Royal Navy, conosciuto
per il carattere difficile che lo aveva portato a farsi un vari nemici negli
ambienti governativi, il quale lo volle come proprio assistente personale. Fleming
cominciò l’ attività di agente segreto, dimostrandosi da subito brillante e
creativo. L’ ammiraglio Godfrey non tardò a pronunciare parole di grande stima per
lui: «Dovrebbe fare lui l’ ammiraglio, e io il suo assistente.». Dapprima tenente,
e dopo pochi mesi capitano di corvetta, Fleming servì come ufficiale di
collegamento di Godfrey con altre strutture governative, come l’ MI6, il
Political Warfare Executive, lo Special Operations Executive, il Joint Intelligence
Committee, il personale del Primo ministro e così via.
Alcuni
documenti declassificati dagli archivi di Stato britannici rivelano che nell’
aprile 1940 ebbe un ruolo fondamentale nell’ impedire la costituzione di un
nuovo servizio segreto alle dipendenze della Royal Navy, che con il tempo
avrebbe potuto eclissare l’ MI6, allora la migliore rete spionistica a mondo, facendone
un organismo di scarsa importanza. Da qualche tempo si era formata l’
impressione che l’ agenzia di spionaggio per l’ estero, sotto la gestione di Stewart Menzies,
ufficiale del Royal Army, l’ esercito britannico, non funzionasse più a dovere,
e i vertici della Royal Navy intendevano chiedere al Primo ministro, Sir
Winston Churchill, la sua rimozione così da sostituirlo con un ammiraglio,
come lo erano stati i suoi due predecessori, oppure l’ autorizzazione a formare un
nuovo servizio segreto d’ ampio respiro, direttamente gestito da loro. Prima di
dare il via a questa iniziativa, tuttavia, l’ ammiraglio Godfrey ordinò a
Fleming di fare un’ inchiesta sulla vicenda e di presentargli rapporto, e
questi consigliò di abbandonare il progetto e semplicemente rinvigorire l’ MI6
con nuovi agenti. Convinti i suoi superiori nella Marina a rinunciare al
progetto, sostenendo che abbassare il livello dell’ MI6 e formare un servizio
di spionaggio alternativo sarebbe stato «come gettare via il bambino insieme
all’ acqua sporca», e che sarebbe stato meglio «immettere sangue nuovo nell’
organizzazione», gli alti comandi non si rivolsero al 10 di Downing Street. Ci
fu tuttavia una conseguenza imprevista. Tra il «sangue nuovo» che secondo
Fleming doveva rafforzare l’ MI6, l’ anno seguente furono reclutati due nuovi
agenti, Kim Philby e John Cairncross, due dei membri del gruppo di Cambridge,
così chiamato perché formatosi sui banchi della prestigiosa università,
intellettuali di sinistra con simpatie marxiste che in seguito fecero il doppio
gioco per Mosca e infine disertarono in Unione Sovietica, episodio di
particolare imbarazzo nella storia dei servizi segreti britannici.
Una
delle prime e più note proposte di Fleming fu quella di sommergere nel canale
della Manica i blocchi di cemento resi abitabili, per impiegarli come punti di
osservazione degli U-Boot nazisti. L’ idea poteva sembrare bizzarra, più o
meno quanto quella di congelare le nubi sopra la costa britannica per
trasformarle in postazioni di contraerea, ma i tedeschi usarono sistemi altrettanto
bislacchi: per individuare i bersagli sul suolo britannico, ad esempio, si
avvalsero di sensitivi e di esperti del pendolino, come quando vollero localizzare
la prigione a Campo Imperatore di Benito Mussolini, in occasione dell’ Operazione
Quercia. Una delle prime iniziative messe in atto da Fleming fece infuriare i
vertici della Royal Air Force, l’ aviazione britannica: spedì l’ amico Sidney
Cotton, un pilota australiano, a sorvolare alcune zone ritenute poco
controllate, e quando inviò il rapporto sulle intrusioni effettuate impunemente
in spazi aerei considerati a rischio, lo stato maggiore protestò sebbene il
fatto avesse portato a potenziare la rete radar britannica, elemento
fondamentale durante la battaglia d’ Inghilterra. Intanto, Fleming suggerì un
modo semplice ma efficace per attirare navi e sommergibili nazisti verso zone
minate: far trovare documenti falsi, con informazioni fasulle, sui cadaveri di
falsi militari britannici. Un piano del genere, con l’ uso del cadavere di un
finto ufficiale, fu usato nel 1943 per sviare l’ attenzione tedesca dal
programmato sbarco alleato in Sicilia, e con successo. Altrettanto geniale fu l’
Operazione Ruthless, studiata per impossessarsi della macchina Enigma, usata
dai tedeschi per trasmettere messaggi in codice: ideato da Fleming, il piano
prevedeva di far ammarare nel canale della Manica, dopo aver lanciato un SOS,
un aereo tedesco Heinkel He 111 precedentemente catturato dai britannici e con a
bordo un equipaggio con uniformi della Luftwaffe che parlava perfettamente il
tedesco: l’ imbarcazione che si fosse avvicinata per soccorrere gli aviatori,
individuati alcuni dragamine, sarebbe stata catturata dal falso equipaggio e
condotta in un porto britannico. L’ operazione, però, non fu mai messa in
atto.
Nel
1941, Fleming si recò negli Stati Uniti, dove contribuì alla creazione dell’ Office
of Strategic Services, servizio segreto locale, precursore della Central
Intelligence Agency, la CIA, ed entrò in contatto con l’ agente britannico
William Stephenson, che insieme a lui fece saltare la copertura di una spia
giapponese che lavorava al Rockefeller Center. Secondo un biografo, Stephenson
guidava una rete di eliminatori in territorio statunitense, ed è probabile che
Fleming negli anni seguenti si ispirò a essa per creare la Sezione Doppio Zero.
Terminato il soggiorno negli Stati Uniti, Fleming e Godfrey passarono in
Portogallo, allora guidato da António de Oliveira Salazar, di simpatie fasciste
e ufficialmente neutrale, e fecero visita al casinò di Estoril, frequentato da
spie di ogni nazione. Qui, Fleming fu protagonista di una rocambolesca azione
di controspionaggio contro gli agenti segreti del Terzo Reich che operavano nel
Paese iberico: il suo piano prevedeva di battere al casinò gli agenti locali
dell’ Abwehr, il servizio segreto tedesco, a chemin de fer, facendo così
perdere loro tutti i fondi necessari per continuare l’ attività spionistica. La
partita si svolse, anche se non portò risultati, ma Fleming continuò a
ricordarla per il resto dei suoi giorni. Nello stesso periodo, l’ ammiraglio
incaricò il suo assistente di organizzare Golden Eye, una rete di spionaggio e
sabotaggio in territorio spagnolo, da attivare in caso d’ invasione nazista. Dopo,
lavorò come spia a Gibilterra, con il compito di valutare l’ atteggiamento
della Spagna franchista verso i nazisti e di avviare una serie di operazioni atte
a sabotare qualsivoglia tentativo di alleanza con l’ Asse.
Nel
1942, Fleming fu incaricato di dar vita alla 30a Unità d’ assalto, composta di
commando specializzati nello spionaggio, il cui compito consisteva nell’ impossessarsi
di documenti importanti prendendo di mira i posti di comando nemici lungo la
linea del fronte. Pur non operando sul campo, selezionò gli obiettivi e diresse
le operazioni, e fu presente quando l’ unità raggiunse il castello di Tambach,
in cui furono sequestrati gli archivi della Marina tedesca a partire dal 1870. Dalla
30a Unità d’ assalto derivò la Target Force, sempre guidata da Fleming, il cui
compito era individuare e prendere in custodia documenti ed elementi dei
servizi segreti rivali nei territori liberati. Fu allora che accade uno degli
episodi più oscuri della sua vita. Al confronto, la voce che lo vedeva
coinvolto nell’ ideazione del misterioso volo in Scozia nel 1941 di Rudolf Hess,
un uomo tra i più influenti del Terzo Reich, impallidì: infatti, secondo quanto
sostiene lo scrittore John Ainsworth-Davis, nel 1945, appena dopo la fine della
guerra, si recò nella Berlino occupata dall’ Armata Rossa per recuperare a nome
dei servizi segreti britannici niente meno che Martin Bormann, successore di
Hess alla guida del Partito Nazionalsocialista Tedesco dei Lavoratori e
segretario personale del Führer, che si consegnò ai britannici ottenendo la
salvezza in cambio di informazioni. Sempre secondo Ainsworth-Davis, durante l’
operazione Fleming usò il nome fittizio di James Bond. L’ autore affermò di
averne le prove, ma non le divulgò mai. Di certo, la sorte di Bormann fu per
molti anni un mistero: si disse che fosse emigrato in Bolivia o fuggito a
Mosca, essendo in realtà una spia sovietica, fino a quando, il 7 dicembre
1972, alcuni operai edili scoprirono resti umani vicino alla stazione di
Lehrter, e accertarono che si trattava di lui, suicidatosi il 2 maggio 1945.
La moglie Anne Geraldine, e una lettera di lui; |
Ian
Fleming uscì dalla guerra profondamente segnato, sebbene non fosse mai stato sul
campo: la sua antica amante, Muriel Wright, conosciuta a Kitzbühel, era infatti
rimasta tragicamente uccisa in un bombardamento aereo nel marzo 1944, mentre
serviva nelle forze contraeree a Belgravia, elegante quartiere della Londra
centrale.
Tra
il 1945 e il 1959 tornò al giornalismo, lavorando a The Sunday Times e, come
capo dei servizi esteri, per la catena di giornali Kemsley. Nel 1946 comprò una
tenuta in Giamaica, presso la baia di Oracabess, sulla costa settentrionale,
comprendente i quindici acri adiacenti, e che chiamò Goldeneye, come la rete
spionistica progettata per tenere d’ occhio il Caudillo de España, e che molto
amò: per sua ammissione impiegò ben sei anni a conoscere lo Stato insulare
delle Grandi Antille, dedicandosi a svaghi quali la pesca subacquea e il golf, e
passando molto tempo a bere e fumare copiosamente. Il 24 marzo 1952 sposò Anne
Geraldine Rothermere, contessa di Charteris, già incinta e della quale era
amante da qualche tempo, nonostante la morte di Muriel Wright lo avesse reso diffidente
verso il matrimonio, mentre quella del padre e del fratello Michael, deceduto
dopo essere stato ferito e catturato nell’ ottobre 1940 in Normandia, ove
prestava servizio nella fanteria leggera, lo avessero reso scettico nei
confronti di legami stabili come la famiglia. Anne Geraldine, che cinque mesi
dopo le nozze, il 12 agosto, diede alla luce il figlio Caspar, era un’ aristocratica,
e aveva sposato uomini ricchi. Il suo primo marito era stato Shane O’ Neill, il
terzo barone O’Neill. Dopo la sua morte, avvenuta in un’ azione militare nel
1944, aveva sposato il magnate dell’ informazione Esmond Harmsworth, secondo
visconte Rothermere, il cui padre, Harold, possedeva i due importanti
quotidiani britannici, il Daily Mail e il Daily Mirror, e non aveva nascosto le
proprie simpatie naziste, avendo osannato Mosley ed essendo stato amico del
duca di Hamilton, vicino alla cui tenuta Rudolf Hess si era paracadutato nel
1941. Pare che lo stesso Fleming, chissà quanto ironicamente, avesse suggerito
di affidare l’ interrogatorio del misticheggiante gerarca nazista al «mago» Aleister Crowley. Nel 1948 Anne Geraldine rimase
incinta di Fleming e diede alla luce una bimba nata prematura di un mese, che
visse solo otto ore. Durante entrambi i matrimoni, lei e Fleming erano stati
amanti, e vissero un’ intensa relazione fatta di passione travolgente,
tradimenti e gelosie. A proposito di Harmsworth, in una lettera Anne Geraldine
gli scrisse: «Vorrei che una fata arrivasse con una bacchetta e facesse tutto
bene, dai a Esmond una moglie perfetta e mettimi nel tuo letto con una frusta
di pelle bovina grezza in mano in modo da poterti tenere ben educato per
quarant’ anni.».
La
penna di Fleming fu fortemente influenzata dalla relazione con Anne Geraldine. Lo
testimoniano più di centosessanta lettere scritte dalla coppia nell’ arco di
vent’ anni, messe all’ asta da Fionn Morgan, la figlia di Ann e di Lord Shane O’
Neill, e stimate tra le duecento e le trecentomila sterline. Si tratta di circa
cinquecento pagine battute a macchina o scritte a mano: due delle lettere di lei
furono scritte sul retro di una carta da gioco di ramino e di un grafico della
temperatura corporea di un ospedale. Nelle missive vengono rivelati i passaggi
che portarono alla creazione del personaggio di James Bond, ma non solo:
emergono anche gli argomenti dei rotocalchi dell’ epoca, il punto di vista
dello scrittore sulla società di allora e il filo che lo legava alla donna.
Proprio il rapporto con la moglie è uno dei punti più interessanti delle
lettere: i due avevano una relazione burrascosa, dai tratti sadomasochisti. Lui
le scriveva: «Adoro frustarti, strizzarti e strapparti i capelli neri.». Lei
rispondeva: «Ti bramo anche se mi frusti perché amo essere ferita da te e
baciata dopo.». Dalla collezione all’ asta, però, emerge un aspetto tenero e
dolce di Fleming, soprattutto in una lettera triste scritta sulla carta di
Gleneagles poco dopo aver giocato a golf con il visconte Rothermere, il secondo
marito di lei: «Non ho niente da dire per confortarti dopo tutto questo
travaglio e dolore è amaro. Posso solo inviarti le mie braccia, il mio amore e
tutte le mie preghiere.».
Lui
era anche molto geloso di lei: «Non c’ è nessuna altra nella mia vita, mentre
nella tua c’ è una folla.». Credeva di aver individuato il problema tra loro: «Io
invidio te per la tua vita fatta di feste e tu invidi me per il divertimento
che credi venga dai miei libri. Io invece sono disperato, sono come una bestia
in gabbia e non c’ è nulla che possa fare. Ci stiamo facendo talmente male a
vicenda che la mia vita è diventata insopportabile.». Gabriel Heaton,
specialista in libri e manoscritti, affermò in occasione dell’ asta a cui le
lettere furono battute che James Bond fu proprio un risultato della loro
relazione: «Non è un caso che Ian abbia scritto il suo primo romanzo di Bond
nello stesso anno in cui si sono sposati, sia come sbocco per la sua libido e immaginazione,
sia nel tentativo di fare soldi per una donna che era abituata a essere
spensieratamente ricca. Molto più che lettere d’ amore, questa corrispondenza
traccia l’ ascesa meteorica di Bond e dipinge un’ immagine vivida dell’ alta
società che vive nel mondo postbellico.».
Fleming al lavoro a Goldeneye; |
Proprio
durante il viaggio di nozze, che ebbe luogo nell’ amatissima Goldeneye, Fleming
scrisse «Casino Royale», il primo libro dedicato a James Bond. Il matrimonio,
infatti, come disse più volte, lo costringeva a trovare un metodo per «sfuggire
alla monotonia»: prese quindi l’ abitudine di andare in ritiro per due mesi
all’ anno, gennaio e marzo, retribuiti come da contratto, a Goldeneye per
scrivere romanzi, intraprendendo la carriera di scrittore a tempo pieno. Preparò
in totale dodici romanzi e due raccolte di racconti con protagonista il
comandante della Royal Navy reclutato nell’ MI6, tutti usciti con puntuale
cadenza annuale tra la fine di marzo e l’ inizio di aprile, al suo ritorno dai
Caraibi, sviluppando un metodo di scrittura preciso e razionale che seguì con
minuziosità per ogni opera: sei settimane di lavoro nei due mesi invernali che
trascorreva in Giamaica; quattro ore di lavoro giornaliere dalle 9:00 alle
12:00 al mattino, dalle 18:00 alle 19:00 alla sera; duemila parole al giorno
senza correzioni; un’ ulteriore settimana, la settima, per correggere gli
errori vistosi e riscrivere brevi passaggi. Grazie a questo metodo, dal 1952 in
poi presentò a annualmente le sue opere. Anche grazie a recensioni positive,
spesso firmate da autori illustri come Raymond Chandler, che con gli anni
divenne suo amico personale, e una buona accoglienza all’ estero, i romanzi di 007
divennero prodotti con elevati tassi di vendita in un breve periodo,
catapultando Fleming agli onori della cronaca, rendendolo una vera celebrità:
era appena nato un mito, un mostro sacro. Anzi, due!
Nel
definire James Bond e le sue vicende, Fleming utilizzò ovviamente la propria
conoscenza dell’ ambiente delle spie, alla quale aggiunse le proprie esperienze
biografiche e professionali, nonché una buona dose di fantasia e di esotismo. Sul
piano strettamente letterario, la sua opera fu oggetto di svariate critiche.
Stilisticamente appare meno valida di quella di altri scrittori di romanzi gialli
o di spionaggio contemporanei come John Le Carré, Eric Ambler e Graham Greene,
e meno situazionale, cioè meno preoccupata di coinvolgere i sentimenti del lettore
nella situazione e nello stato d’ animo del protagonista. Per Fleming, che si
era lanciato nell’ ideazione delle avventure di Bond con la totale certezza di
successo pensando di scrivere per un pubblico privilegiato, queste affermazioni
furono fonte di notevole irritazione e amara delusione, ma in realtà «Casino
Royale» è certamente un bel romanzo perché reinventa e attualizza il romanzo
poliziesco e quello di spionaggio, facendo invecchiare di colpo tutti i
classici britannici scritti fino ad allora, affiancandosi con pari dignità alla
scuola hard boiled statunitense. Da questo momento infatti l’ investigatore
divenne anche giudice e giustiziere, o più verosimilmente assassino. E’ la
logica della Guerra fredda, della guerra tra spie: ma in tutto questo l’ intera
società è coinvolta in quanto 007 è pagato con i soldi dei contribuenti in
quanto agente governativo. E per gli avversari, vale il punto di vista opposto,
lui è solo un sicario: bene e male sono solo una questione di schieramenti. Una
presa di posizione talmente cinica, non poteva che infastidire gli illustri
critici letterari, abituati a considerare il delitto una specie di gioco di
società. Tra gli ammiratori più noti dei libri di Bond vi furono Allen Dulles,
direttore della CIA dal 1953 al 1961, che dopo l’ uscita di «Missione
Goldfinger», nel 1959, ordinò ai suoi tecnici di costruire un radar portatile
come quello di Bond; John Fitzgerald Kennedy, che nella lista dei suoi dieci
romanzi preferiti incluse «A 007, dalla Russia con amore»; Lee Harvey Oswald,
militare statunitense accusato dell’ assassinio di Kennedy, nella cui stanza,
dopo l’ attentato di Dallas, l’ FBI trovò due romanzi di Fleming, «Vivi e
lascia morire» e «La spia che mi amava».
Ritratto di Bond fatto da Fleming; |
Amante
del vizio e della bella vita, sempre pronto a concedersi sigarette costituite
di una miscela speciale di tabacco più aromatico, prodotte appositamente per
lui a Londra, Fleming vide la propria salute iniziare a declinare proprio
mentre il suo successo raggiungeva vertici inaspettati. Agli inizi degli Anni
Sessanta, due produttori britannici allora semisconosciuti, Harry Saltzman e
Albert Romolo Broccoli, decisero di trarre una serie di film dai suoi romanzi. Nel
1962 uscì «Agente 007 - Licenza di uccidere», ispirato all’ omonimo romanzo
pubblicato nel 1958, in cui Bond fu impersonato da Sean Connery, e il successo
fu immediato quanto inaspettato incassando cifre inimmaginabili e moltiplicando
l’ esposizione mediatica dei romanzi e di Fleming, che però si godette la
gloria solo per poco tempo: dopo l’ uscita di «A 007, dalla Russia con amore»
del 1963 e poco prima di quella di «Agente 007 - Missione Goldfinger» morì per
infarto a Canterbury, all’ 1:00 di notte del 12 agosto 1964, ad appena cinquantasei
anni, confermando il luogo comune secondo cui gli agenti segreti non muoiono di
vecchiaia. La madre, Evelyn, era defunta solo due settimane prima, il 12
agosto, a settantanove anni. L’ unico figlio, Caspar, un ragazzo molto dotato
ma segnato dalla fama, dalle sregolatezze del padre e dalla sua morte
prematura, spesso sorpreso in possesso di armi e di droga nell’ adolescenza, si
suicidò con un’ overdose di barbiturici il 2 ottobre 1975, a soli ventitré anni,
dopo un primo tentativo avvenuto l’ anno prima, lasciando sconvolta la madre
Anne Geraldine, che si diede al vizio del bere nel tentativo di superare il
dolore finché non venne a mancare nel 1981 a causa del cancro. Giacciono tutti
e tre sepolti sotto un obelisco di pietra vicino alla piccola chiesa del
villaggio di Sevenhampton, nell’ Inghilterra sudoccidentale.
Disse
Sean Connery di Ian Fleming: «Era un terribile snob... e una persona
straordinaria.».
La tenuta di Goldeneye, in Giamaica; |
La
letteratura è da sempre un riflesso della storia, ragion per cui viene spesso
usata per promuovere concetti e valori su cui ragionare. L’ architettura
narrativa, poi, prende in prestito numerosi elementi dal mondo reale, creando
quindi un intreccio che porta ad una particolare verosimiglianza. Eppure,
spesso e volentieri, la fantasia molto di rado riesce a battere la realtà.
Secondo il ben noto proverbio latino qualis pater, talis filius, ossia:
«Quale il padre, tale il figlio», il figlio è simile al proprio genitore. Per
la precisione, l’ antico motto ha un riferimento a qualità non buone o più
semplicemente un tono scherzoso, eppure si direbbe che il concetto sia
particolarmente vero nel caso di Ian Fleming, che modellò il personaggio di
Bond a propria immagine e somiglianza, quasi come se fin dal primo giorno l’
avesse considerato come un figlio scaturito dal proprio essere, sul quale
riversò le proprie speranze e ammirazione. Lo stesso autore un giorno disse con
chiarezza: «James Bond non è altro che un sogno a occhi aperti.». La maggior parte del pubblico, non avendo
familiarità con i romanzi di Fleming ma solo con i film da essi ricavati, identifica
il personaggio, spavaldo, coraggioso, elegante, affascinante, con i volti degli
attori che nei decenni lo hanno interpretato, ossia Sean Connery, George
Lazenby, Roger Moore, Timothy Dalton, Pierce Brosnan e Daniel Craig. L’ interpretazione
rimasta nella memoria collettiva è sicuramente quella di Sean Connery, perfetto
per il ruolo dal punto di vista sia fisico che caratteriale: astuto, elegante,
freddo, seducente, e beffardo. Lazenby offrì una discreta prova d’ attore, ma
le recensioni su di lui furono negative, sebbene in seguito la sua unica
apparizione venne rivalutata e considerata tuttora come molto buona,
specialmente dai lettori di Fleming. Roger Moore, l’ attore più longevo nei
panni di 007, ne diede un’ interpretazione molto ironica, elegante e
carismatica, sulla falsariga di quella della serie Simon Templar e riuscendo a
farsi amare fin da subito: ancora oggi è considerato assieme a Sean Connery il
massimo momento di successo della spia anglosassone. E fu proprio durante la
sua interpretazione, in «Agente 007 – L’ uomo dalla pistola d’ oro», uscito nel
1974, che apparve Christopher Lee, il cugino acquisito di Ian Fleming, nella
parte dell’ inquietante Francisco Scaramanga, il migliore sicario al mondo, pagato
un milione di dollari a bersaglio: a sua volta giovanissimo ufficiale nei
ranghi dell’ esercito britannico nel conflitto contro la Germania, Lee era stato
fondamentale nelle manovre degli Alleati in Italia in virtù delle sue
importanti parentele materne, il cui lignaggio vantava un tracciato
lunghissimo, risalente probabilmente fino a Carlo Magno, e partecipò allo
sbarco in Sicilia e venne impiegato in diverse attività di spionaggio e di
sabotaggio nel corpo della Special Operations Executive per poi, finita la
guerra, far parte di una commissione istituita dai governi delle potenze
vincitrici della Seconda Guerra Mondiale che si occupava di rintracciare i
gerarchi nazisti che dovevano essere processati per vari crimini di guerra,
esperienza su cui l’ attore non rivelò mai alcuna informazione ed è probabile
che il suo ruolo in tale contesto fu, più che altro, da mediatore visti i vari
agganci che la sua famiglia poteva vantare in tutta Europa e le sue esperienze
avute nel periodo della guerra. Al contrario di Moore, Timothy Dalton diede un
ritratto di Bond più cupo e serio: il nuovo interprete spinse infatti per una
rinnovata enfasi sul realismo crudo dei romanzi di Ian Fleming invece su trame fantastiche
e umorismo, rendendo il personaggio più duro e pertanto più vicino all’ idea
del Bond letterario in un misto di eleganza e professionalità, con un tocco di simpatia
che tradì anche una certa durezza e serietà. Pierce Brosnan riavvicinò 007 a
Moore, che ammirava tantissimo, mentre Daniel Craig presentò un Bond più
realistico e cupo, non invincibile ma anche più serio e violento, spesso
vulnerabile e inesperto rispetto ai film precedenti.
I romanzi di Bond scritti da Fleming; |
Ian
Fleming e James Bond sono due personalità, una reale e l’ altra immaginaria,
così simili tra loro da poter costituire un vero e proprio intreccio, una fusione
intensa sia biografica che psicologica. L’ agente segreto dei romanzi di
Fleming è molto diverso dal James Bond cinematografico. Se da un lato lo 007
letterario fu modellato su diverse caratteristiche dello stesso autore, tra l’
amore per la bella vita, la buona cucina, il golf, il gioco e l’ alcol, dall’
altro lo scrittore si era ispirato agli agenti segreti e ai commando della
Royal Navy con i quali aveva collaborato gomito a gomito in tempo di guerra: militari
professionali e spietati, fredde macchine calcolatrici dalla grande
intelligenza e arguzia, e, per contro, dai tanti vizi e limiti. Lo 007
letterario ha infatti diversi tratti caratteriali più da criminale psicopatico
che da supereroe: fuma settanta sigarette al giorno, esattamente come Fleming,
e ha una personalità nervosa, tormentata, torva, violenta e, alle volte,
indiscutibilmente instabile. E’ maschilista, sessista e, leggendo i primi
libri, anche razzista. Donnaiolo spietato, i suoi celeberrimi incontri amorosi
con quelle che saranno poi chiamate Bond girls sono spesso molto poco
romantici: il Bond letterario vive il sesso in modo distaccato, al limite della
violenza e della morbosità. Come narrò Fleming in «Al servizio segreto di Sua
Maestà»: «Se c’ era una cosa che davvero toccava l’ animo di James Bond era
essere sorpassato con velocità da una bella ragazza...». Il suo aspetto fisico
è quello di un uomo di circa trentasette anni con una vistosa cicatrice su una
guancia che «somiglia a Hoagy Carmichael, ma c’ è qualcosa in lui di freddo e
spietato» o che «certamente ha una bella presenza. I capelli neri ricadono sul
suo sopracciglio destro. Ma c’ è qualcosa di crudele nella sua bocca e i suoi
occhi sono freddi». Quando Fleming lo creò, la sua idea non era quella di un
uomo invincibile, anzi: nelle prime pagine di «Casino Royale» sembra di avere a
che fare con un individuo freddo e calcolatore, ma ben presto, in appena
qualche capitolo, le cose cambiano. Sono gli eventi che mettono alla prova
Bond. Il primo 007 era molto più fragile di quello che oggi vediamo al cinema,
e per una valida ragione: erano i tempi del dopoguerra e James Bond era una
metafora perfetta per rappresentare la Gran Bretagna che non si arrende mai
rialzandosi e tornando in pista. Sul piano della caratterizzazione ideologica,
Bond non è certo un cavaliere senza macchia e senza paura, anzi è ben
consapevole di essere un piccolo ingranaggio in un grande meccanismo. Così come
sa bene che con il suo lavoro di spia e assassino protegge un sistema
capitalista e imperfetto, ma che tutto sommato ai suoi occhi è migliore di
quello che i sovietici o le organizzazioni criminali vorrebbero imporre. Un
eroe solo e solitario in lotta contro i suoi antagonisti, quindi, e non il
paladino del bene che combatte il male. Tra i tanti tratti che Fleming proiettò
su questo alter ego letterario vi è il gusto per lo stile e l’ eleganza. Si
legge in un romanzo: «La valigia era una Revelation di cinghiale usata, che un
tempo doveva essere costata molto cara. Il contenuto si addiceva perfettamente
all’ aspetto esterno: un abito da sera; un abito pied-de-poule bianco e nero
per la campagna e il golf; scarpe da golf Saxon; un vestito blu scuro in ‘tropicale’
uguale a quello che Bond indossava; qualche camicia di seta bianca e qualcuna
sportiva di color azzurro scuro, con le maniche corte e il colletto chiuso.».
Ma se Fleming non si era mai potuto permettere abiti sartoriali della
celeberrima Savile Row di Londra, Bond sfoggia costosissimi completi
confezionati a mano dai migliori sarti britannici: tradizione preservata anche in
molti film della saga cinematografica, fino a quando negli Anni Novanta non
adottò completi della casa di moda italiana Brioni, per poi passare alla statunitense
Tom Ford.
Ian Fleming e Sean Connery sul set di 007; |
Nella
sua vasta produzione, Fleming descrisse coinvolgenti avventure di chiara
impostazione hitchcockiana, fatte di intrighi internazionali, amori conturbanti
e impossibili, tranelli e tradimenti, rischi mortali e acrobatiche peripezie.
Il tutto condito da suggestive ed esotiche atmosfere, sicari spietati, armi e
attrezzature tecnologiche e letali, avventure galanti tra spie del fronte
avverso, inseguimenti frenetici che si svolgono a bordo di strepitose
automobili, lussuosi panfili e antichi treni dal sapore nostalgico come l’ Orient
Express. Contrariamente al personaggio cinematografico, praticamente un eroe
atemporale, il James Bond letterario ha alle spalle una precisa biografia: nato
l’ 11 novembre 1924 dallo scozzese Andrew Bond e dalla svizzera Monique
Delacroix, rimane orfano a undici anni di entrambi i genitori a causa di un
incidente alpinistico vicino a Chamonix. Allevato da una zia, Charmian Bond, in
un villaggio vicino a Canterbury, studia a Eton e all’ Università di Ginevra,
distinguendosi sia come studente indisciplinato che come sciatore e scalatore eccellente.
Nel 1941 si dichiara più vecchio di due anni e si arruola nella Royal Navy grazie
all’ aiuto di un amico del padre. Gli viene accordato il grado di tenente di
vascello del Servizio Speciale del Royal Naval Reserve e termina la guerra con
il grado di capitano di fregata in virtù dei suoi servizi soddisfacenti.
Approda poi all’ MI6, divenendo un agente Doppio 0. Si sposa con la timida Tracy
Di Vicenzo, ex moglie di un conte italiano, cosa piuttosto singolare per un
rapace e impenitente donnaiolo, ma la sua luna di miele si trasformerà ben
presto nell’ incubo che più di ogni altra segnerà il suo carattere cupo e
tormentato: la sua neosposa sarà eliminata per errore dal diabolico Ernst
Stavro Blofeld, capo dell’ organizzazione criminale internazionale SPECTRE, che
da qualche tempo combatte.
Timothy Dalton, lo 007 più fedele ai romanzi; |
Inoltre,
tra le pagine dei libri di Fleming vi sono infiniti rimandi alla sua vita, che
fanno di Bond un suo riflesso non solo caratteriale ma anche biografico. Tanto
per cominciare, il personaggio, come lui amante dell’ alpinismo e dello sci, fu
ideato a Goldeneye, la casa giamaicana che prendeva nome dall’ operazione a cui
il romanziere aveva partecipato in guerra, e la partita a carte descritta in
«Casino Royale» altro non fu che la reinterpretazione di quella avvenuta al
casinò in Portogallo contro le spie naziste. Il personaggio di M, direttore
dell’ MI6 e quindi capo di Bond, si ispirò all’ ammiraglio Godfrey, già famoso
per i meriti militari, e la lettera usata come suo nome in codice altro non era
che il modo in cui Fleming chiamava la propria madre. Il personaggio di Vesper
Lynd fu modellato sulla figura di Muriel Wright, così come quello di Tracy Di
Vincenzo riflesse quello della moglie Anne Geraldine, sebbene la sua morte si
ispirò a quella della stessa Wright, uccisa da una scheggia entrata dalla
finestra durante i bombardamenti di Londra. Felix Leiter, agente speciale della
CIA statunitense, buon amico e compagno di alcune missioni di Bond, prese il
nome di due amici statunitensi di Fleming, ossia Ivar Felix Bryce e Tommy
Leiter, che in particolare lo presentò a John Fitzgerald Kennedy. «Vivi e
lascia morire», il secondo libro della serie, si svolge in Giamaica, terra
tanto cara a Fleming. Auric Goldfinger, il gioielliere e contrabbandiere d’ oro
che appare in «Missione Goldfinger», ricavò il proprio nome dall’ architetto
ungherese Ernő Goldfinger, che in tutta la Gran Bretagna demoliva palazzi
vittoriani per sostituirli con discutibili edifici modernisti attirandosi lo
sdegno di Fleming, e la partita a golf che l’ agente segreto e il bieco
trafficante giocano nel romanzo basa la propria ispirazione sulla cocente
sconfitta che Fleming subì nel 1957 ai campionati del Berkshire Golf Club.
Pussy Galore, pilota di aerei reclutata da Goldfinger, si basa sulle caratteristiche
di Blanche Blackwell, vicina di casa di Fleming a Goldeneye e sua amante, dalla
quale ricevette in dono una barca di nome Octopussy, da cui egli in seguito
avrebbe ricavato il titolo di una raccolta di racconti: il nome del personaggio
peraltro costituisce un divertente doppio senso, in quanto è composto da pussy,
termine che indica in maniera scherzosa la vagina ma che fu anche il nome in
codice di un agente segreto donna conosciuto da Fleming in guerra, e galore,
avverbio traducibile con espressioni come «a bizzeffe», «in abbondanza», ma che
può essere tradotto anche in «topa a volontà» lasciando quindi intendere di
essere tanto carina. Piz Gloria, il rifugio della SPECTRE sulle Alpi europee in
«Al servizio segreto di Sua Maestà», si sviluppò dopo che Fleming lesse «La
montagna incantata di Thomas Mann». Il Lector, l’ apparecchio decifratore che
Bond riesce a trafugare in «A 007, dalla Russia con amore», è simile a Enigma,
la macchina tedesca che Fleming aveva progettato di rubare durante la guerra. Il
malvagio dottor Julius No di «Licenza di uccidere» commercia guano come la
famiglia di Ivar Bryce, amico d’ infanzia di Fleming. L’ eliminazione di un
crittografo giapponese fu una delle prime missioni di Bond, come quella di
Fleming nel 1941, mentre la sua morte simulata in «Si
vive solo due volte» sembra ricalcata sul presunto decesso del fratello
maggiore di Fleming, Peter, dato per disperso durante la Seconda Guerra
Mondiale e poi inaspettatamente ricomparso: lo stesso Peter, anche lui
scrittore, nel 1940 pubblicò un romanzo, «La visita volante», in cui immagina
che l’ aereo di Hitler venga colpito durante un volo sul suolo britannico,
costringendolo a un atterraggio di emergenza. Appena un anno dopo, qualcosa di
molto simile accadde a Rudolf Hess. In «Casino Royale» e «Moonraker: il grande
slam della morte», Bond viene descritto come somigliante al compositore,
pianista, cantante e attore statunitense Hoagland Howard Carmichael, e con una
cicatrice lungo la guancia destra, rimediata in guerra: lo stesso Fleming, che
si era rotto il naso durante una partita di calcio ai tempi degli studi
scolastici, aveva una placca di rame nel setto nasale, che gli conferiva un’
aria vissuta e un’ emicrania persistente.
Perfino
la scelta del nome di James Bond merita di essere ricordata: all’ inizio, infatti,
Fleming era alla ricerca di un nome semplice, e un giorno si trovò sottomano il
libro «Birds of the West Indies», rimanendo colpito dal nome dell’ autore,
James Bond, un ornitologo statunitense alla cui moglie, Mary Wickham, scrisse
peraltro in seguito: «Mi ha colpito questo nome breve, poco romantico,
anglosassone: era proprio quello di cui avevo bisogno, così è nato un altro
James Bond.».
La tomba dei Fleming; |
E’
importante considerare come un personaggio creato negli Anni Cinquanta, nell’
immediato dopoguerra europeo, si sia lentamente adattato come un camaleonte
alla nostra epoca. Oggi Bond è un riconoscibilissimo agente segreto,
addestrato, efficiente e profondamente umano. Non usa mai nomi in codice e non
nasconde nemmeno ai suoi nemici i suoi piani. Le dichiarazioni di Daniel Craig,
a proposito, sono state piuttosto significative: basta con il sessismo. James
Bond non è più così. Con il tempo, insomma, anche uno dei marchi di fabbrica del
personaggio, il maschilismo, è stato cancellato. E’ molto probabile che nei
prossimi anni, non subito dopo Craig, il nuovo 007 sarà nero o persino donna. La
versatilità di questo personaggio si vede anche in questo, e forse soprattutto
in questo. Non esistono preconcetti troppo convenzionali perché James Bond non
possa cambiare, per quanto alla fine si allontanerà sempre di più dalla visione
originaria avuta da Fleming. Forse perché 007 è più che altro un’ idea, soprattutto
al cinema: l’ idea di un certo intrattenimento filmico e la risposta a un’ esigenza
umana dello spettatore di eroismo. Non quello fantascientifico e fumettistico,
ma uno più vicino a noi, più brutale e che, quando serve, non si prenda troppo
sul serio. Dimenticate le penne esplosive e le donne in bikini, il modello
villoso alla George Clooney, il comandante Bond è destinato a cambiare e
perdurare. E’ l’ eroe di cui cinema e letteratura avranno sempre bisogno.
E
con Sam Mendes, la sua importanza e il suo significato si sono quasi infoltiti:
nell’ era digitale, in cui ogni cosa può essere violata e rubata, un uomo che
continua a farsi largo tra i suoi nemici a mani nude, sparando e investigando
alla vecchia maniera, è un’ eccezione, e anche positiva, su cui fare
affidamento. In molti, vedendo «Skyfall», hanno fatto un comprensibile
parallelo con «Il cavaliere oscuro - Il ritorno» di Christopher Nolan, un film
epico che parla del ritorno dell’ eroe e di quanto, nonostante tutto, sia
ancora necessario alla società che gli sta intorno. Ma non sono la sua forza
bruta o la sua capacità di cavarsela sempre che fanno di Bond un personaggio
fondamentale della cinematografia contemporanea: è al contrario la sua umanità.
James Bond è importante perché umano, veritiero, plausibile. Perché è capace di
sbagliare, rimediare, redimersi e migliorare. Anche se chi si trova ad
affiancarlo in un’ indagine di solito muore…
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