La lunga e inquietante ombra del vampiro... |
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«‘Nosferatu: Una
Sinfonia dell’ Orrore’ dovrebbe essere il più bel film realizzato su Dracula.
Un capolavoro. Un film possente che dimostra la profondità della nostra
ossessione per i vampiri.» Francis Ford Coppola;
Secondo
l’ antica filosofia cinese, ogni cosa ha un suo opposto di cui contiene il fondamento.
Tutti gli elementi sono interdipendenti, hanno un’ origine reciproca e non
possono esistere senza il proprio opposto, come la luce e la tenebra, la vita e
la morte, il calore e il freddo, la pace e la violenza. E tra tutto questo vi è
un equilibrio che mantiene unito e in armonia l’ intero universo. Questo, molto
probabilmente, spiega il fascino che nella letteratura e al cinema vanta il
personaggio cattivo. Leggendo un racconto epico o guardando un film, a chi non
è mai capitato di rimanere intrigato da un personaggio palesemente malvagio e
di rimanerci male nel vederlo sconfitto in conseguenza delle sue cattive azioni?
Significa forse che siamo attratti dal male o, piuttosto, che gli autori sono
stati capaci di presentare in maniera affascinante qualcosa o qualcuno di
moralmente scorretto? Riflettendo sul successo delle tragedie greche, dei
combattimenti tra i gladiatori nell’ antica Roma e delle esecuzioni pubbliche
nei Paesi laddove sussiste la pena di morte, a livello superficiale si direbbe che
l’ umanità prediliga la violenza, ma ad una più attenta valutazione si intuisce
quanto ognuno di noi, in periodi di crisi e forte tensione tenda a perdere l’
equilibrio tra bene e male facendo emergere il proprio lato peggiore, che in
condizioni normali si tiene imbrigliato e che quindi, in epoche caratterizzate
da guerre e soprusi, l’ essere spettatore di un episodio tragico rappresenti un
momento di evasione dalla realtà e dalle proprie disgrazie. E in una società scandita
da consuetudini, numeri, impegni e soprattutto fondata sull’ immagine, la
persona ha bisogno di qualcosa che la stupisca: e cosa vi è pertanto di meglio
di vedere un individuo che sfida il comune buonsenso, o che perde i freni
inibitori, vivendo momenti di trasgressione o addirittura di follia? Non è
forse il sogno di ognuno di noi quello di poter finalmente dire tutto ciò che
pensa e fare tutto ciò che vuole, senza ripercussioni o senso di colpa? Ed ecco
che l’ eroe nel senso tradizionale del termine diventa solo un seccatore, colui
per il quale è giusto fare il tifo e che ci riporta alla realtà, ricordandoci
che è bene essere in un determinato modo e che la bontà vince sempre sulla
malvagità, quindi che il cattivo paga perché ha sbagliato, per quanto fosse di
bell’ aspetto, ironico e con qualche imperfezione che lo rendeva particolare e
unico, portato a combattere, a rialzarsi ancora più forte e animato da passioni
e vivesse conflitti interiori alla base di una possibile redenzione.
Il
malvagio è affascinante perché psicologicamente complesso e non scontato, nelle
sue vesti lo spettatore rivede una piccola parte di sé. Vedendo le sue azioni il
pubblico si sente «più buono» perché alla fin fine comprende che i propri
problemi ed errori sono molto meno gravi e quindi più facilmente recuperabili.
Sotto tale ottica, quindi, non sorprende affatto che un particolare personaggio
del cinema, presentato al pubblico in un periodo molto difficile della storia
recente, i ruggenti Anni Venti, con la sua lunga ombra si sia tanto facilmente
imposto nell’ immaginario collettivo divenendo sinonimo di male eppure di
fascino, di oscurità nondimeno di attrazione: il conte Orlok di Transilvania,
meglio noto come Nosferatu, il primo volto vampiresco comparso sul grande
schermo segnando un fortissimo primo impatto nell’ immaginario collettivo. Un
personaggio il cui nome soltanto incute spavento, e che negli ultimi cento anni
si è prestato a numerose e approfondite interpretazioni e chiavi di lettura
concettuali che gli hanno permesso un’ eredità culturale vastissima, per certi
aspetti addirittura superiore se paragonata a quella dell’ iconico Dracula a
cui i suoi autori si ispirarono. Un simbolo eloquente di demonismo, oscurità ed
empietà ma anche della natura vasta e sfaccettata dell’ umanità. Introdotto
sulla scena nel 1922, con il film muto «Nosferatu: Una Sinfonia dell’ Orrore», che
ben presto avrebbe affrontato una lunga serie di vicissitudini legali, questo
tenebroso individuo dall’ inquietante ombra fu generato in un Paese martoriato
dalla pesante sconfitta riportata nella Grande Guerra, dalla conseguente crisi
economica, dalla repressione della rivolta spartachista e dalla tetra nube del
Nazionalsocialismo che si addensava sempre più, portando magistralmente sul
grande schermo l’ incubo, la deformazione e la paura che in molti già stavano
vivendo quotidianamente...
Il conte Orlok, detto Nosferatu; |
Nel
1921, l’ imprenditore Enrico Dieckmann e l’ architetto, occultista e artista Albin
Grau fondarono a Berlino la Prana-Film G.m.b.H., una piccola casa di produzione
cinematografica dedita al genere del mistero e del sovrannaturale che
chiamarono con il termine prāṇa, che in
sanscrito significa «vita», «respiro», «spirito». Grau ebbe l’ idea di girare
un film sui vampiri traendo l’ ispirazione dai ricordi della tragica Grande
Guerra, a cui aveva partecipato prestando servizio sul fronte orientale, in
Serbia: nell’ inverno del 1916, infatti, un contadino locale gli aveva detto
che il padre era un vampiro, un morto vivente. Lui e Dieckmann assegnarono a
Henrik Galeen, sceneggiatore, regista e attore austriaco discepolo di Hanns
Heinz Ewers, scrittore tedesco di letteratura dell’ orrore, il compito di preparare
una sceneggiatura ispirata al romanzo «Dracula», dello scrittore dublinese Bram
Stoker, benché la casa di produzione non detenesse i diritti legali per un suo
adattamento cinematografico. Lo sceneggiatore dovette inventarsi il titolo, «Nosferatu:
Una Sinfonia dell’ Orrore», e mutare i nomi dei personaggi e dei luoghi,
trasferendo la vicenda dalla Gran Bretagna di fine Ottocento al borgo
immaginario di Wisborg, in Germania settentrionale, ambientandola nel 1838, convertendo
la figura di Dracula nel conte Orlok, nome tratto dalla parola ungherese ordog, ossia «diavolo», e dal termine
slovacco vrolok, cioè «vampiro» o «lupo
mannaro». In considerazione della recente pandemia di influenza spagnola,
manifestatasi tra il gennaio 1918 e il dicembre 1920, aggiunse l’ idea del
vampiro portatore di pestilenza tramite i ratti presenti nella nave su chi si
era imbarcato. La grande influenza aveva ucciso dai venti ai cento milioni di
persone nel mondo, pertanto la storia di un mostro che conduceva con sé un’
epidemia avrebbe ricordato un terrore che la gente del tempo aveva sperimentato
sulla propria pelle. Nosferatu, il suo soprannome, derivò quindi dal romeno nosferat, vale a dire «non spirato», e
dal termine greco nosophoros,
traducibile in «portatore di pestilenza». Per il resto, la vicenda calcava
chiaramente le vicende narrate nelle pagine «Dracula», a proposito di un
giovane agente immobiliare inviato nei Carpazi presso un vecchio e misterioso
conte che viveva tra le pericolanti vestigia di un antico castello e desideroso
di trasferirsi in una zona più centrale del continente europeo, che poi si
sarebbe dimostrato un vampiro dai terrifici poteri demoniaci, noto alla
popolazione locale da lui terrorizzata, e che intendeva riversare la propria
nefasta influenza su una nuova e più ampia zona, venendo infine sconfitto nel
tentativo di impadronirsi dell’ anima di una bellissima e innocente fanciulla.
Dieckmann
e Grau vollero come regista il giovane Friedrich Wilhelm Murnau, classe 1888, proveniente
da una famiglia di ricchi commercianti e datosi al teatro, divenendo dapprima
assistente del grande regista e produttore Max Reinhardt e poi uno dei i
massimi esponenti dell’ Espressionismo e del Kammerspiel tedeschi, le cui poche
pellicole oggi sopravvissute sono considerate dai critici e dagli studiosi di
storia del cinema come capolavori assoluti. Grau si occupò della direzione
artistica, delle scenografie e dei costumi: caratterizzò Nosferatu con svariati
riferimenti esoterici e mistici seminascosti, come ad esempio il criptico
contratto di locazione tra il conte Orlok e il signor Knock, titolare dell’
agenzia immobiliare, scritto con un linguaggio enochiano dagli evidenti simboli
alchemici ed esoterici. Ebbe anche l’ idea nella definizione dell’ aspetto
verminoso ed emaciato del conte. La musica fu composta da Hans Erdmann. Per la
parte di Nosferatu venne scelto l’ attore teatrale Max Schreck, nato nel 1879 a
Berlino, allora poco famoso e attorno a cui nacquero ben presto strane leggende
soprattutto a causa del suo nome, che in tedesco significa letteralmente «Massimo
Terrore»: si vociferò che sotto il pesante trucco di Orlok si fosse calato lo
stesso Murnau, o che si fosse recato nei Carpazi alla ricerca di un vero vampiro.
In realtà, a dispetto della coincidenza del nome, peraltro sfruttata dal
regista medesimo per ragioni promozionali, Schreck era una persona normale e un
attore competente la cui carriera era confermata dagli annali del teatro: si
era formato presso il Berliner Staatstheater e aveva fatto una serie di
spettacoli di due anni lavorando per esempio a Zittau, Erfurt, Brema, Lucerna,
Gera e Francoforte sul Meno.
Il protagonista in una nota scena del film; |
Le
riprese di «Nosferatu: Una Sinfonia dell’ Orrore» ebbero inizio nel luglio
1921, con le scene in esterni girate a Wismar, in Germania. Altre ambientazioni
furono il Wassertor, la Heiligen-Geist-Kirche e il porto. A Lubecca, le rovine
dei magazzini del sale ormai in disuso servirono come nuova residenza di
Nosferatu a Wisborg. Il cimitero della Aegidienkirche fu utilizzato per la casa
di Hutter, e lungo il Depenau sfilò una processione di bare delle vittime della
peste. Le scene in esterni ambientate in Transilvania furono girate nella
Slovacchia settentrionale, incluso il Castello di Orava, scelto per essere il maniero
di Orlok. Gli interni furono generalmente filmati presso gli studi di Berlino. Per
questioni economiche, il cineoperatore Fritz Arno Wagner ebbe a disposizione
soltanto una cinepresa, e solo un negativo originale del film venne approntato.
Murnau seguì diligentemente la sceneggiatura scritta di Galeen, ottemperando
alle indicazioni in materia di inquadrature, luci, e così via disccorrendo, ma
riscrisse completamente dodici pagine del copione, soprattutto il finale, nel
quale Ellen si sacrifica e il vampiro viene distrutto dall’ esposizione ai
primi raggi del sole albeggiante.
Il
film debuttò il 4 marzo 1922 al cinema Marmorsaal, all’ interno del giardino
zoologico di Berlino. L’ evento venne programmato come un importante
avvenimento mondano dal titolo «Festival di Nosferatu», e agli ospiti fu
richiesto di venire vestiti con costumi d’ epoca in stile Biedermeier. La prima
del film a livello nazionale avvenne il 15 marzo 1922 a Berlino presso il
cinema Primus-Palast. La distribuzione fu un successo, e l’ opera portò Murnau
alla ribalta del pubblico. La stampa si occupò ampiamente di questa
realizzazione, parlandone in termini assai favorevoli. Fu definita una
produzione affascinante e una storia dal coinvolgente tema psicologico, complici
le atmosfere oniriche che le diedero una logica nascosta e decifrabile solo in
modo oscuro, che destinava a presentarla con un carattere forte e accattivante.
Qualcuno addirittura sottolineò che lo stile visivo, la tecnica e la chiarezza
delle immagini erano così perfette che non si adattavano al genere dell’ orrore,
che Orlok fosse troppo corporeo e illuminato per apparire davvero
spaventosamente. Il film ricevette recensioni estremamente positive, e divenne
da subito un influente capolavoro del cinema muto, forte dell’ atmosfera
inquietante e gotica e da una prestazione agghiacciante e superlativa da parte
di Schreck.
Il vampiro si appresta a nutrirsi di sangue; |
Essendo
un libero adattamento di «Dracula», realizzato senza aver ottenuto in i diritti
legali dell’ opera dagli eredi di Stoker, «Nosferatu: Una Sinfonia dell’
Orrore» fu oggetto di una causa per violazione dei diritti d’ autore intentata dalla
vedova dell’ autore irlandese, Florence Balcombe. La donna venne a conoscenza
dell’ esistenza del film germanico per mezzo di una lettera anonima speditale
da Berlino, che conteneva un programma di sala per una proiezione del film avvenuta
allo Zoologischer Garten. In quel tempo la Balcombe si trovava in difficoltà
finanziarie, e, notoriamente protettiva nei confronti dell’ opera del marito, la
sua reazione fu pronta ed energica: chiese che le venissero pagati i danni e
che tutti i negativi e le stampe del film, che non vide mai, venissero
immediatamente distrutti. Una volta avviata la causa a danno della Prana-Film
G.m.b.H., venne rappresentata dagli avvocati della British Incorporated Society
of Authors. Il contenzioso si trascinò a lungo perché all’ epoca le leggi sulla
paternità artistica erano ancora agli albori e non esistevano precedenti
consistenti in materia, ma nel luglio 1925 la donna riuscì a far distruggere
tutte le copie esistenti del film, tranne una che venne salvata da Murnau in
persona. Nell’ autunno dello stesso anno, la Balcombe entrò a far parte della
Film Society of London e scoprì con grande disappunto che l’ associazione era
in possesso di una copia sopravvissuta di «Nosferatu: Una Sinfonia dell’
Orrore», conservata negli archivi non a fini commerciali ma a scopo di
preservazione storica. Chiese spiegazioni all’ organizzatore Ivor Montagu, e
venne a sapere che tale copia era stata donata da una fantomatica società
chiamata Sargent’ s Trust Ltd con sede negli Stati Uniti d’ America, dove non
erano in vigore le leggi sul diritto d’ autore riconosciute in Europa.
Tuttavia, Montagu non riuscì a nascondere a lungo la copia dall’ annientamento.
Quando, quattro anni dopo, la Film Society fece un altro tentativo di mostrare
il film, la vedova Stoker prevalse e la copia fu distrutta. Nel frattempo, lei
aveva iniziato i negoziati con la Universal Pictures sui diritti
cinematografici di «Dracula». Lo studio cinematografico statunitense acquistò i
diritti per quarantamila dollari e produsse il primo adattamento
cinematografico autorizzato nel 1931, «Dracula», di Tod Browning, in cui il
protagonista fu impersonato dall’ indimenticabile Bela Lugosi. Nonostante gli
sforzi di Florence Balcombe di distruggere ogni copia esistente di «Nosferatu:
Una Sinfonia dell’ Orrore», alcune di esse rimasero in circolazione. Il film
era già stato venduto all’ estero, soprattutto Stati Uniti, e fu così che uno
dei più rilevanti film dell’ era del muto sopravvisse nel tempo.
Alcuni
commentatori ironizzarono sul fatto che, da bravo vampiro, Nosferatu non accettasse
di morire, e che la sua maledizione si fosse abbattuta su coloro che lo avevano
creato. Già afflitta da vari problemi economici, la Prana-Film G.m.b.H. fallì
nel 1923 dovendo far fronte alle spese giudiziarie e non potendo trarre ricavi
economici dalla distribuzione del film, che di fatto rimase la sua sola
produzione. Nel 1931, nove anni dopo l’ uscita del suo film più importante, Friedrich
Wilhelm Murnau, quasi quarantatreenne e approdato gloriosamente a Hollywood, morì
in un incidente automobilistico durante il quale il quattordicenne filippino
Garcia Stevenson, suo valletto e amante, perse il controllo della vettura scontrandosi
frontalmente con un camion. Per una curiosa coincidenza, appena un mese prima
aveva debuttato il film di Dracula con Bela Lugosi. Max Schreck morì
improvvisamente per infarto nel 1936 a Monaco di Baviera, a cinquantasei anni, dopo
aver recitato in teatro nei panni del grande inquisitore nel «Don Carlos», tragedia
in cinque atti di Friedrich Schille. Quasi un secolo dopo, nella notte del 15
luglio 2015, ignoti tombaroli si recarono al cimitero di Stahnsdorf, presso
Berlino, forzarono la cappella della famiglia Murnau e rubarono il teschio del
grande regista. Intorno al sacrario vennero identificate tracce di cera
liquefatta che fecero pensare a un rito satanico. L’ attore Gerd J. Pohl offrì
una ricompensa per riavere il cranio trafugato, che però non è stato ancora
riconsegnato.
Il conte soccombe dinnanzi al sole levante; |
Film
pionieristico nell’ impiego degli effetti speciali e nella gestione del ritmo
della narrazione, «Nosferatu: Una Sinfonia dell’ Orrore» è ancora efficace
nell’ inquietare lo spettatore e nel mettere in scena un orrore onirico e
straniante che, complice l’ onnipresente binomio luce-ombra, ha il sapore di
una fiaba gotica opprimente e malinconica, nonostante la liberatoria
purificazione del finale. E anche per questa sua anima allegorica, il film si
presta a numerose interpretazioni: dall’ atto di accusa alle tirannie alla
riflessione sul tema della morte, passando attraverso la chiave psicanalitica
che vedrebbe il viaggio di Hutter come l’ avvicinarsi al proprio doppio più
oscuro. Fu soggetto di svariate interpretazioni e persino di letture
ideologizzate. Oltre ai paesaggi selvaggi, il regista presentò nel film una
gran varietà di flora e fauna: un polpo, una pianta carnivora, una iena,
cavalli e soprattutto ratti. In tal modo Murnau simboleggiò il rapporto tra il
vampirismo e la natura nell’ implacabile legge della catena alimentare, dove «il
più forte si nutre del più debole», rendendo «normale la funzione del vampiro»,
incorporandolo nella natura intrinseca del mondo, e rendendolo ancora più
sinistro in quanto naturale e quindi irrevocabile. In qualità di non morto, il
vampiro è «oltre i concetti morali di colpa e rimorso». Con l’ ambientazione
della storia agli albori dell’ Ottocento e del suo Naturalismo, Murnau seguì
una tendenza degli Anni Venti nel cercare una visione trasfigurante e romantica
dei tempi preindustriali. Nel film si nota una tendenza alla fuga verso il
passato, a un’ epoca più semplice e idealizzata, priva della modernità e degli
sconvolgimenti della società del dopoguerra. Essendo una pellicola uscita pochi
anni dopo gli eventi della Grande Guerra, si riflettono le turbolenze del
periodo postbellico. La figura del conte Orlok venne vista come una sorta di
Attila, un flagello di Dio, un sanguinario tiranno, il simbolo metafisico della
dittatura politica e dell’ oscurantismo medievale. Come molte figure simili nei
film muti di quel tempo, egli è malvagio solo perché sente di non essere amato,
e il suo potere può essere sconfitto solamente attraverso l’ amore. Il rapporto
di reciproca dipendenza che lega tra loro i personaggi principali e la
manipolazione alla quale sono sottoposti, possono anche essere trasferiti nell’
ambito della sessualità. Quando Ellen concede «finalmente» al vampiro l’ accesso
alla sua camera da letto, questo può essere visto come una rappresentazione del
vecchio detto popolare circa il fatto che una fanciulla innocente possa salvare
una città dalla peste. D’ altra parte, sembra anche che con un gesto del
genere, la giovane donna si ribelli alle consuetudini insite nell’ istituzione
forzata del matrimonio, cercando di superare la frustrazione sessuale del suo
rapporto con il fidanzato. Contrariamente alla quasi asessuata figura di
Hutter, il compagno di Ellen, il vampiro, nonostante il suo ripugnate aspetto,
simboleggerebbe «la sessualità repressa che irrompe nella vita idilliaca, ma
fondamentalmente casta, degli sposi». Thomas Elsaesser si spinse anche oltre e
vide nel film una connotazione sessuale biografica da parte del regista: l’ omosessuale
Murnau trasfigurò nella figura di Orlok «lo spostamento e la repressione del
proprio desiderio omosessuale, che riflette il lato oscuro della propria
sessualità».
L’
allestimento realistico del film diede l’ impressione che i processi
soprannaturali che avvengono nella storia fossero ancorati nel mondo reale.
Nella rappresentazione del vampiro come figura magica, eppure reale, e a conoscenza
del potente mondo dell’ occulto, l’ influenza dell’ esoterismo sul film divenne
lampante. Questa influenza è riscontrabile soprattutto nella lettera che Knock
riceve dal conte all’ inizio del film. In due brevi inquadrature, visibili solo
per pochi secondi, è possibile scorgere un testo cifrato con simboli della Cabala,
il cui codice, secondo l’ esperto Sylvain Exertier, è abbastanza facilmente
interpretabile: oltre a caratteri come la croce maltese e la svastica, è possibile
riconoscere le lettere dell’ alfabeto ebraico e simboli di astrologia. Exertier
interpretò il testo come l’ annuncio dell’ arrivo a Wisborg di Orlok attraverso
un viaggio, anche spirituale. Presenti anche alcuni disegni decorativi di un
teschio, un serpente e un drago, che Exertier considerò più spettacolari che
autentici. Non è chiaro se la lettera sia una «civetteria del regista o un
occhiolino agli occultisti da parte di Albin Grau», che effettivamente si
interessava di esoterismo.
Il conte Orlok nel film del 1979; |
Primo volto vampiresco comparso sul grande schermo, Nosferatu è fondamentalmente una rilettura della tradizionale immagine del vampiro nelle credenze popolari slave. Il suo aspetto sinistro è sottolineato anche dal suo modo di muoversi: si sposta da una stanza all’ altra, cammina come se non poggiasse i piedi a terra fluttuando in aria. L’ ombra di Orlok dà al personaggio un’ aura di terrore e di potere: lo si vede in particolare nella scena finale, quando l’ ombra sale le scale fino alla camera di Ellen, estendendosi su tutto il muro. Il vampiro è fuori campo, lo spettatore vede solo l’ ombra che cresce e le lunghe dita che si avvicinano alla porta e successivamente sembrano quasi stritolare il cuore di Ellen. Nel periodo in cui fu girato il film si diffondevano le teorie di Sigmund Freud in tema di psicoanalisi e interpretazione dei sogni: se nel romanzo di Stoker la figura di Dracula, contrapponendosi alla repressiva e perbenista società vittoriana, incarnava il desiderio e il timore di sovversione delle regole sociali e morali, Murnau attuò una più specifica interpretazione psicoanalitica. Orlok, in questa chiave, è l’ alter ego di Hutter, sfogo delle pulsioni nascoste nell’ inconscio del giovane, presentato come un individuo dalla chiara immaturità emotiva e sessuale che trova sfogo nella sessualità deviata e aberrante del conte, il quale diventa a sua volta la risposta all’ inappagamento sessuale di Ellen, al tempo stesso tentata ed inorridita dal mostro. Una più ampia lettura vede anche in Orlok il precursore del Nazismo. Tale teoria venne espressa da Siegfried Kracauer: «Gli orrori descritti in Nosferatu sono provocati da un vampiro che si identifica con la pestilenza. E’ lui l’ incarnazione della pestilenza, oppure l’ immagine della pestilenza viene evocata per caratterizzarlo? Se egli fosse soltanto l’ incarnazione della natura distruttrice, l’ influenza di Mina, Ellen nella pellicola, sulle sue azioni non sarebbe nient’ altro che magia, priva di senso in questo contesto. Come Attila, Nosferatu è un ‘flagello di Dio’, e soltanto in quanto tale identificabile con la pestilenza. E’ una figura di tiranno assetato di sangue che succhia sangue, vagante in quelle sfere dove miti e fiabe s’ incontrano. E’ facile comprendere come da tali parole possa scaturire una teoria: Nosferatu, il ribelle alle regole, che preconizza l’ ascesa al potere di un uomo, Adolf Hitler.».
Nosferatu e Dracula a confronto; |
Sarebbe
corretto e sbagliato allo stesso tempo considerare il conte Orlok una copia di
Dracula, avendo caratteristiche sia in comune con lui che proprie. Non è sempre
facile stabilire se ci si trova di fronte a uno e quando all’ altro. In diversi
film infatti il personaggio è chiamato Dracula ma ha le caratteristiche di
Nosferatu, in altre si chiama Nosferatu ma le caratteristiche sono quelle di
Dracula. Tuttavia, con l’ andare del tempo, Orlok acquisì un’ individualità
tutta sua, che ne privilegiò la figura al punto da influenzare il panorama
vampiresco ed essere citata in modi diversi in moltissimi altri prodotti.
Innanzitutto il suo aspetto è agli antipodi dello stile nobiliare e raffinato a
cui il cinema ci ha abituati e molto più fedele al concetto di morto vivente
delle tradizioni slave. Orlok è magro, con la testa glabra, le orecchie
appuntite, gli incisivi da ratto, il naso adunco e le unghie lunghe. Rispetto a
Dracula, che è stato interpretato come un male più vigoroso, sensuale e
attraente, è una ripugnante manifestazione su due gambe della peste, quasi una
malattia venerea vivente, detestabile ma che al contempo incarna qualcosa di
irresistibile. Tale aspetto fisico valicò i limiti del cinema e del genere per
diventare una delle icone più note e diffuse del nostro secolo, presente su
loghi, manifesti, murales, opere pittoriche, serie televisive e film. Con il
tempo acquisì un’ importanza privilegiata sull’ iconografia del vampiro
classico, basti pensare al concetto del vampiro che muore una volta esposto al
sole e si riduce in cenere, che non proviene dal romanzo originale ma proprio
con il debutto di Orlok nel 1922. Stoker specificò soltanto che i non morti non
possono muoversi liberamente quando il sole non è tramontato, perciò l’ idea
della mortalità della luce è dovuta proprio alla fine di Nosferatu in questo
film, venendo poi integrata nei media successivi.
Ormai
segno visivo affascinante e inquietante carico di significati, un po’ per i
suoi tratti e un po’ per l’ eccellente prestazione del suo interprete,
Nosferatu ha prestato le proprie fattezze come base per lo sviluppo di altri
personaggi immaginari. In «Star Trek - La nemesi», i remani, specie umanoide
originaria del pianeta Remus considerata una casta indesiderabile nella
gerarchia dell’ Impero Romulano, e ben nota per i suoi guerrieri formidabili,
impegnati negli scontri più violenti e possessori di abilità telepatiche, hanno
l’ aspetto esteriore del conte Orlok, e come lui vivono in un mondo oscuro e
vantano una reputazione crudele che incute paura. Nel film «Batman il ritorno»
di Tim Burton, noto estimatore del genere dell’ orrore che ha ripreso in chiave
fantastica e alle volte persino umoristica, l’ avido, cinico e immorale
capitalista di Gotham City, capace di macchinazioni sottili e occulte, assai
concrete e catastrofiche, che raggira il deforme Pinguino per usarlo nel buon
esito delle sue faccende poco limpide si chiama proprio Max Schreck in omaggio
all’ attore protagonista di Nosferatu.
Un remano di «Star Trek»; |
La
qualità di una storia dipende in gran parte dallo spessore dei suoi personaggi.
Per quanto riguarda il conte Orlok, gli autori si sono concentrati soprattutto
sulla sua grandiosa presenza scenica e i suoi demoniaci poteri, giungendo ad
una caratterizzazione iconica, principalmente visiva, in cui appare come
elemento malvagio inserito ai soli fini narrativi, non arricchito da riferimenti
sul suo passato o spiegazioni che giustifichino in alcun modo il suo modo di
agire. La sua natura sintetica snellisce la trama, e si presta alle più differenti
interpretazioni. Eppure, il vampiro transilvano è la forza narrativa
fondamentale attorno a cui gravitano la storia ed i personaggi, in termini
narrativi è la «causa scatenante», la forza di base che mette in movimento la vicenda
creando una necessità d’ intervento, lo squilibrio verso il male che può portare
il mondo alla rovina. Ma come gli spettatori più attenti hanno imparato da
tempo, spesso in una storia c’ è più di quanto sembra, e Orlok non può
sottrarsi a questa felice regola. Solitamente i malvagi letterari o
cinematografici non sono cattivi per il solo gusto di esserlo: quasi sempre è
possibile ricondurre la loro svolta verso la strada del male ad un dolore o ad
un torto da loro subìto o che, nella loro mente deviata, ritengono di aver
subìto. Come reazione agiscono contro l’ etica comune per ottenere vendetta o «giustizia».
Se Orlok segue questo schema, da qualche parte nel suo passato deve esserci
stato un elemento scatenante che lo ha deviato sul binario del male. Forse un
pensiero ossessionante, un timore, non importa se reale o solo un’ esasperazione
della sua mente. Essendo un aristocratico della Transilvania, aspra e
pericolosa terra di passaggio in cui convergevano i confini di potenti imperi,
come il Sacro Romano Impero Germanico, il Sublime Stato ottomano e, prima
ancora, l’ Impero romano d’ Oriente, deve essersi ritrovato in mezzo a
sanguinose lotte di potere, intrighi e tradimenti a cui dovette reagire con
altrettanta durezza, in base al detto: «Uccidi, o sarai ucciso». Si può ragionevolmente
desumere che la sua vita fosse perennemente appesa ad un filo, ed è facile
capire come ambisse ad una certa sicurezza pensando ai vicini imperi, più
centrali e saldi del suo modesto potentato. Preda di un sentimento di paura di
soccombere dinnanzi a giganti più vigorosi di lui, deve aver ceduto alla
collera dinnanzi alla propria inferiorità, una reazione talmente aggressiva da
fargli abbracciare metodi feroci fino ad apprendere le vie esoteriche che gli
avrebbero garantito un potere ben al di sopra di quello umano, portandolo a
tramutarsi in un vampiro, sacrificando la propria umanità in cambio del potere
di distruggere anziché essere distrutto, legandosi indissolubilmente al Male,
divenendone veicolo e utilizzatore al tempo stesso. Ma il Male non regala
niente a nessuno: Orlok non possiede un legame simbiotico con esso, subendo un orrido
deterioramento che lo consuma e divora giorno dopo giorno, portandolo a
nutrirsi di sangue, simbolo per eccellenza della Vita. Per quanto divenuto
demoniaco e mostruoso, rimane profondamente umano nella motivazione, un’
emotività basata su paura, collera e aggressività, ma contro ogni prudenza ha
perduto la scintilla della propria umanità in cambio del potere oscuro,
illudendosi di poterlo controllare ma rimanendone vittima e senza alcuna
speranza di redenzione.
Nel
1979, il regista, sceneggiatore, produttore scrittore e attore tedesco Werner
Herzog girò il rifacimento del capolavoro di Murnau, «Nosferatu, il principe
della notte», rielaborandolo a modo proprio e dandogli significati
completamente nuovi, adattandolo ancor più al romanzo originario di Bram
Stoker. Pur affermando di considerare «Nosferatu: Una Sinfonia dell’ Orrore» la
pellicola più importante mai prodotta in Germania e di voler stabilire
attraverso il proprio film un collegamento tra il grande cinema tedesco del
passato e il cosiddetto «nuovo cinema tedesco», scelse, forse per esigenze
commerciali, di utilizzare il nome del personaggio di Stoker, mantenendo
comunque nel personaggio interpretato da Klaus Kinski tutte le caratteristiche fisiche
della figura di Orlok. Rispetto al vampiro di Murnau, la creatura di Herzog è
visibilmente più umana e sensibile, con atteggiamenti romantici tipici degli
eroi dei romanzi dell’ Ottocento. Inoltre presenta un elemento davvero
innovativo rispetto al precedente: la parola. La voce del conte è flebile,
spezzata e sembra avere un valore catartico. Il desiderio della parola come
espressione dell’ io è pari solo al desiderio d’ amore per Lucy, trasmesso alla
donna quasi per telepatia. Per il Nosferatu di Herzog la pena più crudele non è
la morte ma un’ esistenza senza amore: «La mancanza d’ amore è la più abbietta
delle pene, è una condanna peggiore della morte.». Questa reinterpretazione lo
rende più completo e complesso, offre un più ampio panorama della sua umanità e
oscurità. Probabilmente ci rifiutiamo di credere che in tutti noi ci sia
qualcosa di Orlok, e non di rado ben più di «qualcosa». Eppure tra Nosferatu
che si danna e noi comuni mortali non esiste affatto l’ abisso che in un primo momento
ci illudiamo di scorgere. Dinanzi alla tentazione e al peccato, anche al
desiderio di compiere il più feroce dei crimini, nessuno di noi è immune. Se di
pochi è la colpa, di tutti è la tentazione. La vicenda del conte transilvano è
una vicenda di colpa, di «peccato», di cedimenti, di dannazione. A lui questa
lezione costa la vita e tutto ciò che la rende degna di essere vissuto: è più
facile diffondere pestilenza e calamità e far levitare un oggetto con il
pensiero, piuttosto che credere nel Bene. Sprofondato com’ è nel Male, non può
immaginare che una piccola scintilla di Bene persista ancora intorno a sé. Non
vede i due opposti in base ai quali è possibile l’ equilibrio. Questa «miopia»
è il suo punto debole. Per quanto malvagia possa essere, ogni persona contiene in
sé questa variabile, che influenza più o meno significativamente le sue azioni.
La lunga ombra di Nosferatu ce lo ricorda con chiarezza…
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