Il principe Filippo nel 2008; |
«E’ una mia
consuetudine invariabile quella di dire qualcosa di carino all’ inizio per
essere poi scusato se dovessi dire qualcosa di inappropriato più avanti.»
Filippo, Principe di Edimburgo;
Al
pensiero di sovrani, principi e nobili in genere vengono subito in mente
castelli, carrozze, maggiordomi e servitù come nei racconti romantici e nelle
fiabe. Una vita dorata e ovattata, in cui tutto è assolutamente buono e
meraviglioso. Eppure, la vita vera di reali e aristocratici è ben più ferrea,
scandita da privilegi e insieme da crucci, che spesso e volentieri la rendono un
peso a cui pochi si offrirebbero volontari. Lo stesso termine aristocrazia, dal
greco antico ἀριστοκρατίᾱ, ossia «aristokratíā», significa «governo dei
migliori», e indica una cerchia di persone ritenute competenti nella guida di
una nazione perché ne incarnano le virtù fondamentali ornate da un forte
spirito di servizio. Nelle quarantatré Monarchie attualmente ancora presenti al
mondo, essere un Re, un principe ereditario, una Regina consorte o un
aristocratico è una grandissima responsabilità che deve essere condotta
costantemente, e in accordo con i tempi.
Quanto sia dura la vita di un reale fu ben noto ad un personaggio singolare e suggestivo nel vasto e sfaccettato panorama monarchico del Continente Antico, ma non solo: il principe Filippo di Edimburgo, ex reale di Grecia e Danimarca, Consorte della sovrana del Regno Unito e degli altri Reami del Commonwealth per ben sessantanove anni, due mesi e tre giorni, durante i quali compì ventiduemiladuecentodiciannove incarichi personali e tenne cinquemilaquattrocentonovantatré discorsi, un primato che molto difficilmente verrà battuto dai successori. Un gentiluomo bello e distinto, molto amato dal popolo, non soltanto britannico, per i modi schietti e sinceri, liberi dal protocollo e spesso irriverenti o fuori dalle righe, oltre che per gli scivoloni in pubblico spesso ampiamente enfatizzati dai mezzi di comunicazione. Figlio del fratello minore del Re degli Elleni, poco dopo la sua nascita la famiglia venne deposta in occasione del colpo di Stato da parte dei colonnelli e, nascosto in una cassa di arance, venne trasportato fino ad un incrociatore britannico che condusse via i famigliari dalla natia Culla della civiltà occidentale. Membro cadetto di una famiglia reale decaduta, si preparò ad una vita in esilio tra Francia, Gran Bretagna e Germania. Ufficiale diligente e impeccabile della Royal Navy britannica, di lignaggio distinto ma dai mezzi limitati, conquistò il cuore della giovanissima erede al trono del potente ma in declino Impero britannico. In guerra partecipò ad azioni sul campo ottemperando al suo dovere con coraggio e costanza, e una volta tornato dal fronte sposò la sua amata principessa. Signore dai molti tratti, simpatico, intelligente e concreto, legato alla tradizione eppure di indole innovatrice, fermo e insieme allergico al protocollo, sempre incline a dire liberamente ciò che pensava, Filippo visse gran parte della propria esistenza tre passi rispettosamente indietro alla moglie, ponendosi in evidenza per il grandissimo e dignitoso spirito di servizio quanto per la tendenza a lasciarsi sfuggire battute poco adatte ad un reale, che per ironia della sorte gli valsero più di ogni altra cosa l’ affetto e la simpatia da parte dei sudditi. Re senza corona, vincolato ad un ruolo istituzionale che gli negava un peso effettivo nella vita pubblica britannica, rimediò ampiamente come consigliere privato e molto stimato della consorte regnante, promuovendo una serie di idee con cui l’ antica Corona britannica godette di una ventata di modernizzazione e riforme che molto contribuì a rimetterla in sesto e a rinforzarne l’ immagine presso la sudditanza.
Senza
di lui, oggi sarebbe molto difficile immaginare la sopravvivenza quanto la
popolarità della Monarchia più famosa per eccellenza, che lui soprannominava «l’
Azienda»…
Andrea e Alice di Grecia; |
Filippo
nacque il 10 giugno 1921 presso Villa Mon Repos, sull’ sola di Corfù, quinto e
unico figlio maschio e del principe Andrea, di Casa
Schleswig-Holstein-Sonderburg-Glücksburg di Grecia, ramo degli Oldenburg di
Danimarca che ebbe origine con Re Giorgio I, incoronato Re degli Elleni nel
1863. La madre, Alice di Battenberg, apparteneva a un casato fortemente legato
ai Windsor di Gran Bretagna, ed era bisnipote per vie materne della Regina
Vittoria, di Casa Hannover. Il piccolo principe apparteneva quindi ad un
lignaggio famigliare strettamente tedesco. Villa Mon Repos aveva avuto un
glorioso passato, ma era priva di acqua calda corrente, gas, elettricità e
riscaldamento, e il bambino stesso venne al mondo sul tavolo della cucina.
Imparentato
con i Romanov per via della nonna paterna Olga, dopo il battesimo, celebrato con
rito ortodosso alcuni giorni dopo la sua nascita, in virtù della sua
discendenza diretta da Giorgio I di Grecia e Cristiano IX di Danimarca, Filippo
fu titolato a succedere ad entrambi i troni come principe di Grecia e Danimarca.
Otto mesi dopo la sua nascita, però, il Regno di Grecia perse la guerra contro
la Repubblica di Turchia, retta da Mustafa Kemal Atatürk, che voleva
riprendersi il possesso dei territori dell’ Anatolia e della Tracia assegnati
alla Grecia con il trattato di Sèvres del 10 agosto 1920, il quale aveva
sancito la pace nella Grande Guerra. Con la vittoria, i turchi ottennero i
confini attuali, mentre per la Grecia la fine del conflitto, noto nella storia
ellenica come Catastrofe dell’ Asia Minore, provocò lo sconvolgimento dell’ assetto
demografico e culturale dell’ intero Paese. I colonnelli Nikolaos Plastiras e
Stylianos Gonatas presero il potere con un colpo di Stato contro Re Costantino
I, zio di Filippo, che abdicò ritirandosi in esilio in Italia, mentre il
principe Andrea, al comando di una divisione dell’ esercito coinvolta nella
guerra e ritenuto fra i responsabili della sconfitta greca e delle ingenti
perdite territoriali, venne arrestato insieme ad altri e subì un ridicolo
processo al cui termine venne condannato a morte. Tuttavia, Re Giorgio V di
Gran Bretagna intervenne per vie diplomatiche e riuscì a far mutare la condanna
a carico suo, della consorte, che era una sua cugina, e dei figli in una all’
esilio. Ordinò quindi alla nave da guerra HMS Calypso di andare subito in
Grecia a prenderli. Il piccolo Filippo vi fu condotto nascosto in una cassa di
arance.
Filippo in tenera età; |
Privati
di regno e patrimonio, gli Schleswig-Holstein-Sonderburg-Glücksburg di Grecia si
prepararono ad affrontare tempi molto difficili. Avevano svariati parenti in
ogni famiglia reale d’ Europa pronti ad aiutarli, ma la prospettiva dell’
esilio a vita li spaventava. La principessa Marie Bonaparte, che aveva sposato
il principe Giorgio di Grecia, altro fratello maggiore di Andrea, li accolse a
Parigi e assegnò loro una casetta di campagna nella periferia di Saint-Cloud,
che sebbene fosse dotata di tutte le comodità faceva rimpiangere Villa Mon
Repos. Alice non resse alla tensione fisica e fu preda di una crisi nervosa che
durò a lungo. Sorda dalla nascita, aveva problemi a comunicare con gli altri e
con fatica aveva imparato a leggere il labiale e a parlare il tedesco e l’
inglese. Ma alla fine tenne duro, tra i numerosi ricoveri per schizofrenia.
Andrea, invece, si ritirò a Montecarlo abbandonando moglie e figli e beandosi
nella mondanità per compensare la caduta della sua dinastia.
Filippo,
che parlava un perfetto tedesco, crebbe quindi in Francia ma, nel 1928, per
volere di suo zio Lord Louis Mountbatten, I conte Mountbatten di Burma e
fratello minore di Alice, fu inviato in Gran Bretagna per frequentare la Cheam
School. Visse quindi con la nonna materna Vittoria Alberta d’ Assia a
Kensington Palace e con lo zio Giorgio, altro fratello della madre, a Lynden
Manor, e venne educato alla maniera britannica.
Lord Louis Mountbatten; |
Alla
continua ricerca di una figura paterna e con una madre con cui i contatti erano
difficili benché lei si sforzasse di essere premurosa, capì di aver trovato
nello zio Louis la giusta risposta. Lord Mountbatten era un personaggio che
nella vita non si era fatto mancare assolutamente nulla, e che incarnava
perfettamente l’ ideale dell’ aristocratico novecentesco tra il matrimonio di
convenienza con l’ ereditiera e dama del bel mondo Edwina Ashley, la folgorante
carriera militare, l’ esperienza nelle colonie e la grande competenza
diplomatica, senza dimenticare una mai celata passione per le auto fiammanti,
il polo e i lussi in generale, in una vita indubbiamente dedicata all’ Impero. Nato
nel 1900 a Frogmore House, presso Windsor, figlio del celebre e potentissimo
principe Luigi di Battenberg, il brillante ufficiale della Royal Navy divenuto Primo
Lord del Mare, ossia comandante della Royal Navy e dell’ intero servizio
navale, comprendente Royal Fleet Auxiliary, Royal Marines e servizi a terra,
nel 1917 aveva vissuto con disappunto il cambio di cognome voluto da Re Giorgio
V, appartenente alla Casa tedesca dei Sassonia-Coburgo-Gotha, che in
considerazione dei sentimenti antitedeschi del popolo britannico aveva
rinunciato ai titoli germanici assumendo il cognome Windsor chiedendo ai
parenti di fare altrettanto. Il cognome dei Battenberg derivava dal nome di una
cittadina dell’ Assia: Berg in tedesco significa «montagna», e quindi a Luigi era
stato proposto Battenhill, ma lui aveva scelto Mountbatten, più orecchiabile, e
ad esso era seguita la nomina a I marchese di Milford Haven. Peggio ancora,
sempre in risposta al sentimento antitedesco da parte dei sudditi, il principe
era poi stato portato a dimettersi dalla sua posizione nell’ Ammiragliato. Lord
Louis vedeva tali imposizioni come un’ umiliazione ad un uomo che molto si era
distinto per il Paese e aveva deciso di seguirne le orme, riuscendoci
magnificamente con una sfolgorante carriera in Marina e anche grazie a potenti
amicizie, specie quella con il Principe di Galles. Eroe di guerra nella Royal
Navy come ammiraglio, aveva ricevuto nelle sue mani la resa dei giapponesi il
12 settembre 1945 a Singapore, dopo essere stato in Asia per combattere le
potenze dell’ Asse. Era stato l’ ultimo Viceré dell’ India, incarico svolto
fino al 1947, nella cui veste era stato una delle prime persone a recarsi sul
luogo del delitto del Mahatma Gandhi, tranquillizzando la folla sul fatto che
non fossero stati i musulmani a uccidere il patriota indiano, gestendo infine
la Partizione tra India e Pakistan che gli era valsa un forte rimprovero da
parte del Primo ministro, Sir Winston Churchill, che da allora non gli aveva
più rivolto la parola per via delle deportazioni e di massacri tra indù e
musulmani che ne erano derivati. Anche negli Stati Uniti si era pensato che
quell’ immane tragedia fosse colpa sua, eppure nulla era bastato a solleticare
la sua elevatissima reputazione.
A
sua volta Primo Lord del Mare, Lord Louis fu per il giovane Filippo un padre,
un amico e un confidente, il parente che tutti vorrebbero avere: intelligente,
complice, ricco e influente, sempre prodigo di saggi consigli. Amava tessere
piani e combinare matrimoni, quindi si mosse fin dal primo giorno in modo tale
che a Buckingham Palace si accorgessero del promettente e bel nipote. Occorreva
poi trovargli una moglie, in un’ unione conveniente.
Studente a Gordonstoun; |
Nel
1933, Filippo fu inviato alla Schule Schloss Salem in Germania, diretta da uno
dei suoi cognati, il margravio Bertoldo di Baden, tuttavia con la salita al
potere del Nazismo, il fondatore della scuola, l’ ebreo Kurt Hahn, fu costretto
a scappare a causa delle persecuzioni antisemite e a trasferirsi in Scozia, a
Elgin, ove fondò la Gordonstoun School. Filippo si vi trasferì immediatamente,
e in seguito affermò con entusiasmo che tale istituzione lasciò un segno profondo
sul suo carattere. Hahn era considerato un pedagogo pionieristico, dai metodi
discussi ma efficaci, convinto che i mutamenti sociali in corso potessero seriamente
danneggiare le nuove generazioni e quindi andavano corretti. Sosteneva che i
nuovi mezzi di comunicazione mutassero le persone in spettatori, limitandone l’
iniziativa personale. La fretta e l’ agitazione del mondo moderno portavano la
gente ad avere poca empatia nel prossimo e quindi occorreva insegnare ai
giovani a essere premurosi e al servizio altrui. Mente e corpo, poi, erano saldamente
connessi tra loro, ragion per cui l’ esercizio fisico era importante quanto lo
studio e andavano alternati continuamente tra lezioni, ginnastica e spedizioni
in luoghi che avrebbero fornito nuove esperienze. Il principe greco germanico
amò moltissimo quella scuola, eccelleva in ogni materia, era atletico,
propositivo, sempre pronto a gettarsi in nuove iniziative. Quello della Gordonstoun
School gli parve il modello ideale di insegnamento, e decise che un giorno ci
avrebbe mandato i propri eventuali figli.
Il primo incontro con la principessa Elisabetta; |
Nel
1939, ormai diciottenne, dopo aver lasciato Gordonstoun entrò al Britannia
Royal Naval College di Dartmouth per intraprendere la carriera di ufficiale
della Royal Navy. Amava moltissimo il mare, e si diplomò in un anno come
miglior cadetto del suo corso. Lord Mountbatten ne rimase molto compiaciuto,
convinto com’ era che chi appartenesse a un buon casato eppure fosse
squattrinato, con il Royal Naval College avrebbe avuto un radioso futuro
dinnanzi a sé. Proprio durante la sua formazione ebbe un incontro che avrebbe
profondamente influito sulla sua esistenza. Il 22 luglio di quell’ anno, zio
Lord Louis organizzò la visita di Re Giorgio VI, suo lontano cugino, e della
Regina consorte, Elizabeth Bowes-Lyon, a Dartmouth, avendo cura di includere
nell’ invito anche le giovani principesse Elisabetta e Margaret, e di assegnare
al nipote Filippo il compito di intrattenerle mentre i genitori si attenevano
alle formalità previste. Elisabetta aveva tredici anni, ed era nel pieno della
sua formazione di erede al trono imperiale. Il principe decaduto si ritrovò d’
un tratto praticamente da solo nello svolgimento dell’ incarico di provvedere
alle due reali fanciulle, dato che, forse per paura, tutti i compagni avevano
scoperto di essere indisposti. Ma non era abituato a scoraggiarsi, anzi: per
tutta la visita fu brillante e spiritoso, pieno di iniziativa e pronto a
suggerire alle figlie dei sovrani qualcosa di buffo per divertirsi. Elisabetta,
sua cugina, ne rimase affascinata e non perse mai l’ occasione per guardarlo e
cercarlo alle proprie spalle. Se ne innamorò profondamente, un dono raro e
fortunato tra aristocratici in generale e tra reali in particolare. Lo trovava «bello
come un vichingo», come confidò in seguito alla sorella.
Filippo, secondo a destra, Elisabetta, terza a sinistra; |
In
una foto scattata all’ Accademia, lei era tutta presa dai suoi doveri e intenta
a osservare qualcosa, mentre alle sue spalle il cadetto Filippo rideva
sguaiato, immaginando qualche scherzo da fare. La governante delle
principessine, Marion Crawford, giudicava eccessive le libertà che lui si era
preso con l’ erede al trono, eppure alla diretta interessata queste non
dispiacevano. Avevano fatto amicizia con un bicchiere di limonata, giocato a
tennis e fatto un giro in barca. Lui poi era stato invitato per un tè sull’ HMY
Victoria and Albert, il panfilo reale, e tutti lo avevano trovato gioviale e simpatico.
Le chiacchiere però non dimenticavano che era un po’ greco, un po’ tedesco e
danese, e che non aveva un soldo. Eppure, era un discendente della Regina
Vittoria e di sangue reale ne aveva più di Elisabetta, figlia di un sovrano e
di una semplice contessa. Quando la visita di Giorgio ed Elizabeth terminò e l’
HMY Victoria and Albert ripartì, Filippo salì su una barca a remi e lo seguì
con la giovane principessa che lo guardava dalla balaustra, nel più romantico e
silenzioso degli arrivederci, finché Re Giorgio non intervenne invitandolo ad
andarsene, nella tipica veste di un padre dinnanzi al corteggiamento
irriverente e incalzante di un ragazzo. Il principe si fermò e rimase a
guardare la vecchia imbarcazione da diporto allontanarsi con l’ adolescente che
gli aveva rubato il cuore.
Dopo
l’ incontro a Dartmouth, Elisabetta e Filippo si scrissero per lungo tempo
molte lettere. Si intendevano su ogni cosa, e tra le poche differenze vi era la
passione per la lettura: lui teneva sul comodino libri di filosofia, storia e
poesia, mentre lei non era una gran lettrice. Le manovre di Lord Mountbatten
erano state produttive, ma le sue attenzioni nei riguardi dei due giovani si
fecero così assidue che Filippo a un certo punto lo invitò a farsi i fatti
propri, scrivendogli con tutta la diplomazia possibile: «Non voglio essere
rude, ma è evidente che gradisci essere il direttore generale di questo piccolo
spettacolo, e temo che lei potrebbe non apprezzare il fatto così docilmente
come faccio io.».
Ufficiale della Royal Navy; |
Nel
giro di poche settimane, però, la storia si fece dolorosamente sentire sull’
Europa. Il 3 settembre Francia e Gran Bretagna dichiararono guerra alla
Germania nazista, che aveva occupato la Polonia. Per la seconda volta, nella
vita di molti, si era nuovamente in guerra contro i tedeschi. Nel 1940, Filippo
fu assegnato al servizio attivo e fece con dedizione il proprio dovere:
trascorse quattro mesi sulla nave da battaglia HMS Ramillies, con il compito di
proteggere i convogli dell’ Australian Expeditionary Force nell’ Oceano
Indiano. Dopo un imbarco di due mesi sulla HMS Kent, sulla HMS Shropshire e in
Ceylon, fu trasferito dall’ Oceano Indiano alla nave da battaglia HMS Valiant
nel Mediterraneo. Il 1º febbraio 1941 venne assegnato alla frequenza di una
serie di corsi a Portsmouth, qualificandosi agli esami e venendo promosso da guardiamarina
a sottotenente. Fu coinvolto nella battaglia di Creta ed ottenne note di merito
per il suo servizio durante la battaglia di Capo Matapan, ottenendo altresì la
Croce di guerra greca al valore. Nel giugno del 1942 fu assegnato sulla HMS
Wallace, coinvolta nelle operazioni dello sbarco alleato in Sicilia per la
liberazione della penisola italiana. Promosso a tenente di vascello il 16
luglio 1942 alla età di soli ventuno anni, nell’ ottobre dello stesso anno
divenne primo tenente di vascello della HMS Wallace e uno dei più giovani
ufficiali della Marina britannica. Nel 1944 si imbarcò su un nuovo
cacciatorpediniere, il HMS Whelp, dove prestò servizio nel Pacifico, nella 27ª
flottiglia britannica. Era presente nella baia di Tokyo quando fu firmata la
resa del Giappone, il 2 settembre 1945, che sancì la fine effettiva della
guerra.
Soltanto
nel gennaio del 1946 venne riassegnato sul suolo britannico, sulla HMS Whelp, e
in seguito fu nominato istruttore presso la HMS Royal Arthur, il campo d’ addestramento
della Marina a Corsham.
Durante la guerra, la corrispondenza tra i due principi era aumentata. A Elisabetta piaceva molto scrivere al suo amato in guerra, come tutte le ragazzine di allora. Nel 1943 era stato invitato alla pantomima che la famiglia reale aveva tenuto a Windsor, che la guerra non era parsa abbastanza da far annullare. Si era rappresentato Aladino, una commediola che Elisabetta aveva scritto e in cui lei e la sorella, insieme a vari parenti, avevano impersonato. Era stata la prima volta in cui Filippo, seduto in prima fila, aveva visto le gambe della diciassettenne Elisabetta, inguantate nel costume da paggio. L’ anno dopo, nel 1944, dopo cinque anni trascorsi senza rivedere nessun parente, il padre Andrea era morto a Montecarlo.
Filippo con Elisabetta, il Re e la Regina; |
Tornato
dalla guerra con numerose file di nastrini e medaglie, oltre che con l’ encomio
dei suoi comandanti, circondato da generali simpatie e consensi, nell’ estate
1946 Filippo decise di chiedere a Re Giorgio la mano di Elisabetta. Il sovrano
acconsentì, a patto che si aspettasse a dare l’annuncio dopo il compimento dei
ventun anni della figlia, il 21 aprile 1947. Contrariamente al marito, la Regina
Elizabeth non era affatto convinta delle nozze: ai suoi occhi il giovane
principe era troppo povero per sposare una futura Regina. In effetti, al
momento dell’ annuncio del fidanzamento, il giovane non se la passava molto bene:
sul conto in banca aveva sei sterline e mezza, come ufficiale ne guadagnava
undici alla settimana e dal padre aveva ereditato giusto un pennello da barba e
due abiti piuttosto sgualciti. Il fidanzamento fu ufficializzato nella data
stabilita, e venne annunciato al pubblico nel successivo mese di luglio. Alle
critiche di natura finanziaria se ne aggiunsero altre, più politiche: Filippo
era nato all’ estero e le sorelle maggiori, Margherita, Teodora, Cecilia e Sofia,
si erano sposate con aristocratici tedeschi legati al Nazismo. Marion Crawford
scrisse: «Alcuni consiglieri del Re non lo ritennero abbastanza adeguato per lei.
Era un principe senza una Casa e senza regno. Alcuni giornali dissero di tutto
sulle sue origini straniere.».
Il matrimonio dei principi; |
Ma
i piani di quest’ unione proseguirono senza intoppi, e Filippo rinunciò ai
titoli greci e danesi, e quindi ad ogni rivendicazione ai relativi troni, divenendo
cittadino e suddito britannico e assumendo il cognome della madre, Mountbatten,
da cui ottenne il titolo di Lord. Si convertì all’ Anglicanesimo e ricevette i
titoli di Duca di Edimburgo, Conte di Merioneth e Barone Greenwich, parte della
parìa britannica. Si predispose dunque una cerimonia misurata secondo i
consueti livelli, in rispetto del difficile dopoguerra, ma abbastanza decorosa
da ricordare a tutti che il mondo non era finito e che anzi si preparava a
rinascere, con la principessa ereditaria nella veste di simbolo di una nuova
primavera britannica ed europea. Filippo ed Elisabetta, entrambi discendenti
della Regina Vittoria, si sposarono il 20 novembre 1947 nell’ Abbazia di
Westminster, sotto i riflettori della BBC e seguita da duecento milioni di
persone in tutto il mondo. Non si era reputato accettabile che i parenti
tedeschi di lui fossero tra gli invitati, ma fu presente la madre Alice. Parteciparono
invitati di tutte le Case reali al mondo, duemila ospiti complessivamente.
Elisabetta ebbe otto damigelle. In virtù dell’ unione dei due giovani reali, la
Corona britannica ricevette un’ immensità di doni, provenienti da tutto il
mondo, tanto che a Buckingham Palace diverse stanze furono adibite all’ esposizione
di ogni dono ricevuto, dai regali più comuni come la libreria, la tiara e la
serie di gioielli lasciati in eredità dalla Regina Mary, ai più curiosi e
sorprendenti, arrivati da Paesi molto lontani, come le cinquecento scatole di
ananas inviate dallo Stato australiano del Queensland, pensiero unico e
caratteristico, un centrino da tavola in cotone bianco, cucito dal Mahatma
Gandhi con il famoso filatoio utilizzato per realizzare tutti i suoi capi, idea
suggerita da Lord Mountbatten, e che sulle prime la Regina Madre, Mary di Teck,
e la principessa Margareth avevano scambiato per un vecchio perizoma indossato
dallo stesso pioniere della Satyāgraha.
Il
giorno dopo la cerimonia nuziale, Filippo ottenne il trattamento di Altezza
Reale.
La famiglia reale nel 1951; |
I
coniugi si trasferirono temporaneamente a Buckingham Palace, in attesa che
Clarence House, una residenza ufficiale di Londra situata sul Mall, adiacente a
St. James’ s Palace, con cui condivide il giardino, fosse ristrutturata dopo
anni di abbandono. Vissero una felice esistenza coniugale, ricca di armonia. Lui
continuò a svolgere il ruolo di ufficiale della Royal Navy alla sede dell’
Ammiragliato. Dapprima prestò servizio presso lo Stato Maggiore della Marina e
successivamente all’ Accademia navale di Greenwich. I primi due figli furono
Carlo, nato nel 1948, e Anna, classe 1950. Qualche settimana prima erano state
emesse lettere patenti affinché i rampolli della coppia potessero godere di
diritti principeschi e reali, cosa a cui altrimenti non avrebbero avuto diritto
perché sarebbero stati considerati come figli di un duca. Nel 1950 Filippo fu
promosso al grado di capitano di corvetta e ottenne il comando dell’ HMS
Magpiesul, mentre il 2 febbraio 1952 fu promosso a capitano di fregata.
Tuttavia,
la salute di Re Giorgio, già cagionevole e indebolita dallo stress degli eventi
della guerra insieme alla sua abitudine di fumatore incallito, iniziò seriamente
a declinare, pertanto Elisabetta e Filippo furono nominati suoi consiglieri
privati, dopo aver fatto un viaggio da costa a costa in Canada. Il 31 gennaio
1952 i due principi partirono da Heathrow a nome e per conto del monarca, ormai
troppo malato per poter viaggiare, in una visita che avrebbe toccato l’ Africa,
l’ Australia e la Nuova Zelanda. In contrasto con i consigli dei medici,
Giorgio VI volle accompagnarli in aeroporto, fino alla scaletta, forse
consapevole che non avrebbe più rivisto la figlia, cosa che infatti avvenne
poiché si spense nel sonno il successivo 6 febbraio a Sandringham House, la sua
residenza di campagna più amata. Figlia e genero erano in Kenya al momento
della sua morte, all’ Aberdare National Park, in un villaggio turistico le cui
stanze erano appoggiate sui rami di un gigantesco e vetusto albero di fico per
consentire agli ospiti di osservare gli animali che si abbeveravano al laghetto
di fronte. La vita in quel luogo era scomoda ma eccitante. Fu Filippo ad essere
informato per primo, e rimase visibilmente annichilito, come se il mondo gli
fosse caduto addosso. Raggiunse la moglie sul prato del lodge e le riferì l’
accaduto. Le parlò a lungo, e lei, seria, non pianse: amava molto il padre ma
come le precedenti generazioni della sua famiglia aveva imparato ad anteporre
il dovere alle proprie emozioni, con la sola eccezione dello zio Edoardo VIII,
il fratello maggiore di Giorgio, che nel 1936 aveva abdicato per poter sposare
una divorziata statunitense, Wallis Simpson, cosa che in quanto Re e Governatore
Supremo della Chiesa anglicana, che non ammette il divorzio, gli sarebbe stata
preclusa.
Tornati
immediatamente a Londra nella veste di coppia reale, i due si immersero nei
preparativi dei funerali di Stato del sovrano e della successiva incoronazione.
Filippo comprese che la sua vita sarebbe profondamente mutata per sempre.
Sapeva che prima o poi sarebbe accaduto, ma aveva sperato che il destino gli
desse un po’ più di tempo. D’ ora in poi avrebbe dovuto restare sempre tre
passi indietro alla sua Regina, esserne l’ ombra, imbrigliato in un costante
secondo piano. Avrebbe perfino dovuto rinunciare alla Royal Navy e all’
amatissimo mare. Eppure si era sforzato fin dal principio di accettare tanto i
privilegi quanto i tormenti che il ruolo di Principe consorte della sovrana del
Regno Unito e degli altri Reami del Commonwealth gli avrebbe imposto.
Incoronazione di Elisabetta II; |
Il
2 giugno 1953 si tenne l’ incoronazione di Elisabetta II quale Regina di Regno
Unito, Canada, Australia, Nuova Zelanda, Sudafrica, Ceylon e Pakistan, nonché capo
del Commonwealth, l’ organizzazione intergovernativa delle ex colonie ora Stati
indipendenti, del quale voleva essere una sorta di sviluppo su base volontaria.
Costata quattro milioni di dollari e resa possibile dopo ben sedici mesi di
preparativi, con la prima riunione della Commissione per l’ Incoronazione nell’
aprile 1952 sotto la presidenza di Filippo, che fu il primo membro della
famiglia reale a viaggiare in elicottero, passando in rassegna le truppe che
avrebbero preso parte alla cerimonia, il rituale seguì un protocollo molto
simile ai precedenti, tenendosi presso l’ Abbazia di Westminster e coinvolgendo
la parìa britannica e il clero anglicano. Fu inoltre la prima incoronazione ad
essere trasmessa dalla BBC e trasmessa in eurovisione, anche se parti della
processione successiva alla precedente cerimonia svoltasi per Giorgio VI erano
già state registrate dalla stessa emittente.
Gli
ospiti camminarono in processione di fronte a quasi tre milioni di spettatori
per le strade londinesi. Più di duecento microfoni furono stazionati sul
percorso e all’ interno dell’ Abbazia, con settecentocinquanta giornalisti che
trasmisero in trentanove lingue diverse. Più di venti milioni di persone nel
mondo seguirono l’ evento in televisione. La processione incluse capi di Stato
e reali stranieri che raggiunsero Westminster in opulente carrozze. La carrozza
reale lasciò Buckingham Palace e percorse il Mall, seguita dall’ Irish State
Coach con a bordo la Regina Madre, Elizabeth. Elisabetta II seguì il tragitto
dalla reggia attraverso Trafalgar Square a bordo del Gold State Coach, indossando
sulle spalle il Robe of State, un mantello di seta lungo cinque metri e mezzo,
che richiese l’ assistenza delle sette damigelle d’ onore. Dopo la posa della
corona sul capo da parte dell’ Arcivescovo di Canterbury cominciò la sfilata
dei nobili, che in ordine di importanza le resero omaggio e le giurarono
fedeltà e obbedienza. Il primo a farlo fu Filippo. Dal Balcone di Buckingham
Palace, la Regina e il Principe consorte salutarono una folla immensa, mentre
gli aerei della RAF sfrecciavano sul Mall e poi sulla reggia.
Fu
un giorno memorabile, in cui i fasti di un migliaio di anni di Monarchia
britannica dispiegarono il proprio fascino e magnificenza. Dopo il regno di Re
Giorgio VI, il cui evento centrale era stata la guerra contro la Germania, durante
la quale aveva saputo conquistarsi la stima e l’ affetto dei sudditi rimanendo
sempre saldamente al proprio posto e rifiutando ogni fuga, contribuendo anzi
con i suoi discorsi radiofonici a tenere alto il morale del Paese durante la
resistenza all’ attacco nazista, promuovendo poi la ripresa economica e sociale,
la Gran Bretagna e le restanti colonie volsero lo sguardo alla nuova Regina,
apparentemente così minuta e fragile eppure così salda e determinata, attorno a
cui si sarebbero tutti schierati nell’ ingresso in quella che Sir Winston
Churchill definì solennemente «la nuova epoca elisabettiana». Si narra che Filippo
non rinunciò a far ridere l’ amata moglie sussurrandole in riferimento alla
corona sul capo: «Ma dove hai preso quel cappello?».
Filippo durante un discorso; |
Ora
Principe consorte, Filippo si preparò ad una vita di impegni reali
particolarmente intensa, durante la quale dimostrò perenne irritazione contro i
limiti di azione che questa gli imponeva: gli era permesso commentare,
suggerire, tenere conferenze ma non adoperarsi per realizzare ciò che
auspicava. Elisabetta stessa, in quanto Regina, svolgeva il ruolo di capo di Stato,
e la Corona aveva un valore simbolico di unità e identità nazionale, ragion per
cui i poteri che le erano riconosciuti erano perlopiù formali ed esercitati dal
Primo ministro e dal governo, sebbene esercitasse tre diritti essenziali:
quello di essere consultata, di consigliare e di mettere in guardia. La aiutò
molto e con costanza nei suoi obblighi istituzionali, accompagnandola alle
cerimonie, alle cene di Stato e nei viaggi sia all’ estero che in patria. Uno
dei suoi dispiaceri maggiori fu il pessimo rapporto con i giornali, che lo
trattavano male fin dall’ inizio in una vera e propria guerra aperta che
peggiorò a seguito dell’ incidente ai Caraibi del 1956, quando a una funzionaria
di un ospedale che stava visitando e che si scusava per le molte zanzare qui
presenti, disse: «Voi avete le zanzare, io ho la stampa.». L’ affermazione
causò una valanga di proteste e la pretesa di scuse formali, che il Principe di
Edimburgo poi presentò. Ogni volta che vedeva un giornalista attorno a sé,
Filippo perdeva visibilmente la pazienza. Un giorno era in Scozia, al timone
della sua barca, quando venne infastidito dai continui scatti di un fotografo
che lo seguiva, e a cui infine urlò: «Vuoi anche una dannata foto del buco del
mio orecchio sinistro?» Il giorno seguente, il Daily Herald riferì l’ episodio
pubblicando in prima pagina una grande foto del suo orecchio sinistro. In
seguito, a Gibilterra, la cui rocca è famosa per le fastidiose e invadenti
bertucce che la popolano, appena sceso dall’ auto vide un gruppo di giornalisti
in attesa e domandò se fossero loro le scimmie.
Ma tra tutte le questioni che lo investirono nel suo ruolo, una in particolare fu per lui motivo di forte dispiacere: il non poter trasmettere ai figli il proprio cognome. La questione si era dibattuta per lungo tempo nei circoli conservatori, senza che ne restasse traccia in pubblico, in attesa che Elisabetta salisse al trono ponendo effettivamente il problema. Ma a far esplodere il vero scandalo era stato Lord Louis Mountbatten, che in occasione di una cena in casa propria alla morte di Giorgio VI aveva beatamente proposto un brindisi: «Ora regna Casa Mountbatten!». Qualcuno tra i presenti lo aveva riferito alla Regina Nonna, Mary di Teck, madre del defunto Giorgio, che stizzita ne aveva parlato alla nuora, Elizabeth, la quale a sua volta ne discusse con Elisabetta. L’ episodio era giunto perfino alle orecchie di Churchill, che reagì molto categoricamente: mai e poi mai i futuri sovrani britannici avrebbero potuto portare un cognome tedesco. Per sconfiggere la Germania si era versato abbondante sangue britannico, Londra era ancora piena di macerie e la gente era in fila nei negozi con le tessere del razionamento. C’ era stato un precedente con il principe Albert di Sassonia-Coburgo-Gotha, marito della Regina Vittoria, entrambi appartenenti a dinastie germaniche, e tutti i loro figli avevano preso il cognome di lui, ma nel 1917 Re Giorgio V aveva adottato il nome Windsor, in onore al luogo ove sorgeva il celebre castello tanto caro alla storia della Corona britannica, per rispetto dei sentimenti antigermanici della sudditanza. Non si poteva quindi fare un passo indietro con Mountbatten, per quanto fosse una derivazione pasticciata da un cognome tedesco. Churchill lo aveva detto chiaramente alla Regina, tenuta costituzionalmente ad obbedire in simili occasioni al suo governo e al Parlamento. Filippo esplose in una sonora sfuriata anche in pubblico: «Conto meno di un’ ameba, sono l’ unico uomo in questo Paese che non può dare il proprio nome ai figli!». Per sposarsi aveva già rinunciato ai titoli di principe di Grecia e Danimarca e al ruolo in Marina, e ora si riduceva a un’ ombra.
Elisabetta ne era profondamente addolorata, ma non vi era nulla da fare. Per ricompensarlo delle distanze che aveva dovuto prendere dal mare e dalla Marina, la Regina nel 1956 gli permise di compiere un lungo viaggio sull’ HMY Britannia, il panfilo reale varato nel 1953, con la scusa di dover inaugurare le Olimpiadi di Melbourne e visitare le isole più sperdute del Commonwelth. Si rividero di nuovo un anno dopo, quando l’ HMY Britannia ormeggiò a Lisbona, ove lei era in visita. Lui scese in terra con una cravatta di cuoricini e la lunga barba, ma la moglie, che non sopportava i volti non rasati, gliela fece subito tagliare. Poi dispose che fosse nominato suo consigliere privato. Subito dopo, lui si recò in Antartide, e a seguito di questa visita si impegnò per sensibilizzare l’ opinione pubblica sul rapporto tra uomo e ambiente, tema sul quale pubblicò alcuni scritti e che negli anni gli valse molta stima. Nel 1957 Elisabetta lo fece Principe del Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda del Nord, titolo nobiliare concesso attraverso l’ emissione di lettere come espressione della volontà reale, mentre nel 1960, complici la morte della Regina Nonna Maria di Teck e l’ uscita di scena dal governo da parte di Churchill, sancì che figli e nipoti potessero fregiarsi del cognome Mountbatten-Windsor, che però venne utilizzato solo se strettamente necessario, ovvero quando fosse necessaria la produzione di atti ufficiali da parte di un’ autorità diversa da quella reale che necessitasse di distinguere il destinatario degli atti stessi proprio affibbiando a quello un cognome utile a ciò.
Filippo e il figlio maggiore, Carlo del Galles; |
Negli
anni, la coppia reale ebbe altri due figli, Andrea e Edoardo, nati
rispettivamente nel 1960 e nel 1964. Elisabetta non si curava molto dei figli, non
sembrava interessata a ciò che facevano. Chi la conosceva sosteneva che tale
atteggiamento fosse dovuto non a una mancanza di affetto ma all’ ottemperanza
del suo ruolo di Regina: i bambini fanno spesso ciò che desiderano, e l’ idea
di dover insistere e minacciare per essere obbedita era del tutto lontana da
ciò che il suo ruolo le imponeva. Inoltre era tipico per l’ aristocrazia e più
in generale per le classi agiate delegare la cura e l’ educazione della prole a
bambinaie e precettori. Demandò pertanto il problema a Filippo, che forse non
era la persona più adatta per risolverlo, non perché non fosse affettuoso, ma
per una semplice questione di mentalità e maniere. Il Principe di Edimburgo fu
un genitore molto severo ed esigente con i propri figli, soprattutto con il
primogenito Carlo. Lui ed Elisabetta avevano deciso di farlo nascere a
Buckingham Palace, nell’ appartamento che il Re aveva concesso loro, scegliendo
con l’ appoggio della Regina Elizabeth di non far presenziare all’ avvenimento
il Ministro degli Interni, rompendo una tradizione di cui nessuno conosceva l’
origine ma a cui tutti i reali si erano sempre attenuti, sebbene dopo
determinate discussioni parve dovuta semplicemente al caso, dettata dalla
normalità di una visita dei ministri del Governo di Sua Maestà ad un reale
indisposto anziché ad una effettiva necessità. Filippo giocava a squash in una
sala del palazzo quando Elisabetta partorì, e andò a trovarla solo al termine
della partita. Fu sempre molto criticato per questo, ma ingiustamente perché
allora i mariti erano sempre allontanati al momento del parto in quanto visti
come motivo di confusione. Crescendo, il principe Carlo pareva totalmente
opposto al padre: sensibile, gentile e dolcissimo, assai timido. Filippo
pensava che dovesse trovare la sua strada nel mondo e decise di impedire che
venisse viziato. Gli impose la scuola pubblica, prima volta per un erede al
trono britannico, convinto che fosse la migliore medicina alla sua
insopportabile timidezza, ma negli anni ricevette dagli insegnanti rapporti che
trovò deludenti circa l’ andamento del suo primogenito, che dimostrava
attitudini pratiche ma non intellettuali, rivelandosi uno studente disastroso.
Concluse che per trovare la sua strada dovesse seguire il suo stesso duro
percorso, e lo inviò a Gordonstoun. A differenza del padre, però, Carlo odiò
quella scuola al punto da paragonarla ad un lager nazista, e al termine di ogni
vacanza non ci voleva mai tornare.
Negli
anni, i rapporti tra padre e figlio sarebbero sempre stati tesi. Secondo alcune
fonti, il principe ereditario da bambino era totalmente intimidito dalla
personalità energica di suo padre, allevato spartanamente e che lo rimproverava
spesso per la sua debolezza di carattere o gli mostrava il suo disprezzo con
commenti sarcastici, facendolo piangere. Pare che il Duca di Edimburgo non
risparmiasse il suo sarcasmo nemmeno alla secondogenita Anna che, sicura ed
estroversa, reagiva mentre Carlo, più sensibile, timido e solitario languiva,
si perdeva.
Filippo con la barba; |
Pur
fortemente limitato a livello istituzionale, Filippo negli anni seppe
rigorosamente stare al proprio posto, all’ ombra della moglie Regina,
rimediando ad un ruolo di importanza assai maggiore in privato, tra le mura
domestiche, come suo consigliere. Aveva regolarmente accesso alla famosa scatola
rossa, il contenitore in stile valigetta rivestito in pelle rossa utilizzato
per trasmettere quotidianamente i documenti riservati dal governo al monarca quale
capo di Stato. Affiancò la sua sovrana costantemente nei viaggi ufficiali nel
Commonwealth e nel mondo, apparendo agli occhi del pubblico. Fu anche un noto
sportivo, dedito soprattutto al polo, e patrono di una serie di organizzazioni,
settecentottanta in tutto, incluso il The Duke of Edinburgh’ s Award, un premio
che fondò assieme a Kurt Hahn per premiare i giovani che avessero dimostrato
grande senso di responsabilità verso le loro comunità. Fu inoltre a capo delle
Università di Cambridge e di Edimburgo come cancelliere.
Non
perse mai l’ occasione di parlare direttamente alla gente, e quindi concedersi
affermazioni scherzose ampiamente riprese dai mezzi di comunicazione. Ad un
istruttore di guida scozzese, ad esempio, domandò: «Come riesce a tenere i
nativi lontani dall’ alcol per il tempo necessario perché passino l’ esame di
guida?». Visitando un museo di arte primitiva etiope, invece, commentò: «Sembrano
proprio il tipo di cose che mia figlia porterebbe a casa dalle sue lezioni di
arte.». Incontrando un capo degli aborigeni australiani chiese: «Vi tirate
ancora le lance l’ un l’ altro?». In occasione di una visita in Piemonte per la
raccolta del tartufo gli venne regalata una crema pregiata ottenuta da questo
fungo, e osservandola con cura volle sapere: «Non va bene per farmi la barba?».
Durante un progetto per la salvaguardia delle tortore nell’ isola caraibica di
Anguilla nel 1965 rifletté: «I gatti uccidono più uccelli degli uomini. Perché
non fate uno slogan: ‘Uccidi un gatto e salva un uccello’?». Storica fu invece
una sua affermazione: «La gente pensa che ci sia un rigido sistema di classi
sociali qui, ma è successo più volte che il duca abbia sposato la ballerina.
Alcuni hanno sposato delle statunitensi.». Una volta ironizzò persino sul ruolo
della Regina: «Mia moglie ha un buon posto, abbastanza sicuro, ma così noioso.».
Tutte
queste battute e commenti, molto probabilmente pensate attentamente,
suscitarono sempre ilarità e stima, contribuendo facilmente all’ immagine di un
reale informale e simpatico, ben lontano dalla consueta figura austera e seria
a cui da secoli la sudditanza era riguardosamente abituata, soprattutto nei
momenti in cui la Corona visse momenti davvero difficili, come alla fine degli
Anni Sessanta: le spese per le cure dei palazzi e la conservazione di un decoro
adeguato al ruolo dell’ istituzione e gli stipendi del personale erano saliti
moltissimo e Filippo nelle conferenze stampa diceva che Casa Windsor si sarebbe
dovuta cercare una casa più piccola e rinunciare a varie comodità. Lui stesso
avrebbe dato l’ esempio per primo rinunciando al polo, sua grande passione.
Disse un giorno a Ottawa, rivolto ai canadesi affinché i britannici sentissero:
«Se volete che ce ne andiamo si può fare senza chiasso, lasciandoci da amici.
Il futuro della Monarchia dipende dalle decisioni della comunità, e alla
comunità soltanto spetta la decisione finale.». Proprio in quei giorni, il
principe perse la madre Alice, dopo una vita tra ricoveri, viaggi in India,
visite a Londra, nuovi ritorni e fughe in Grecia. Riconosciuta in Israele come
Giusta fra le Nazioni per aver dato rifugio a diversi ebrei durante l’ occupazione
nazista di Atene, morì a Buckingham Palace nel 1969 senza lasciare una sola
sterlina in eredità. Filippo ed Elisabetta la fecero seppellire sul Monte degli
Ulivi di Gerusalemme, dove lei voleva, in un cimitero ortodosso.
L’
appoggio della gente va e viene a seconda degli umori, del momento politico,
delle mode e dell’ economia. La società britannica stava rapidamente mutando:
le gonne si accorciavano e i tacchi si alzavano insieme al volume della musica
dei Beatles, degli Who e dei Rolling Stones. La legge autorizzava l’ aborto e
la pena di morte era stata abrogata. L’ omosessualità cessava dopo secoli di
essere punita come un crimine. L’ Inghilterra vinceva la Coppa del Mondo di
calcio, si volava sul Concorde e sulle autostrade si andava ai cento allora.
Nel 1965 Sir Winston Churchill era morto, portandosi nella bara un passato che
i giovani non volevano più ricordare a netto vantaggio del nuovo. E in quel
rifiuto rischiava di finire coinvolta la stessa Monarchia. Ci si domandava se
una società moderna avesse davvero bisogno di una Corona, e la stessa Elisabetta
era attaccata per i vestiti, la voce troppo alta e i modi «troppo saccenti».
Nel 1963 venne perfino fischiata entrando nel palco reale dell’ Aldwych Theatre
di Londra con Filippo, la Regina madre Elizabeth e i reali di Grecia, ossia
Paolo, cugino primo del marito, e Federica di Hannover. Alla Regina e al
Principe consorte fu spiegato che i fischi erano rivolti a Federica per le sue
idee politiche, reputate degne di una nazista, ma lo sgomento restò enorme: per
la prima volta dai tempi della Regina Vittoria il popolo si rivoltava contro il
proprio monarca.
Filippo
ebbe un ruolo importantissimo nella modernizzazione e quindi nel salvataggio
della Monarchia, che lui chiamava «l’ Azienda». Lui ed Elisabetta dialogavano
ogni sera prima di addormentarsi come ogni coppia sposata, consultandosi con i
pochi veri amici, come l’ onnipresente Lord Louis Mountbatten e, magari con più
discrezione, con qualche direttore di giornale ed esperti di comunicazione. Era
necessaria una svolta visibile e significativa, che facesse capire alla gente
che il ruolo dei Windsor e della Regina non era solo quello di andare in giro
in carrozza salutando la gente con la mano, ma che a Buckingham Palace si svolgeva
un duro lavoro di cui nessuno aveva la minima idea. Come già aveva sintetizzato
la Regina Elizabeth nel 1945, era finito il tempo in cui la legittimità della
famiglia reale era garantita in quanto tale, in futuro sarebbe stato necessario
ottenerla di volta in volta. Filippo stesso disse: «Per noi le elezioni si
tengono ogni giorno.». Molte delle innovazioni introdotte alla reggia furono
farina del suo sacco. Fu lui a suggerire nel 1958 l’ annullamento della
presentazione delle debuttanti alla reggia, un rito ormai antiquato che ogni
anno vedeva sfilare per due giorni circa millecinquecento ragazze davanti a
Elisabetta. Fu lui a insistere perché il tradizionale messaggio di Natale si
tenesse in TV e non più via radio, e così via discorrendo. Tenne migliaia di
discorsi, dicendo spesso cose sagge, come quando insisteva senza essere
ascoltato che l’ industria britannica doveva evolversi per non morire: «Alcuni
anni fa, tutti dicevano che avremmo dovuto prendercela con più calma, che
stavamo lavorando troppo. Adesso che tutti se la stanno prendendo comoda, ci si
lamenta perché non c’ è lavoro. La gente non sa mai quello che vuole.». Il suo
supporto era tale che lei lo definì pubblicamente «la sua roccia». Il suo ruolo
accanto alla sovrana più famosa e rispettata al mondo fu sempre esemplare, non
vi era evento importante in cui lui non la seguisse, comportandosi con grande
tenerezza che veniva ricambiata. Era il solo che la trattava come una persona
normale, mandandola qualche volta persino al diavolo, come accadde una volta
mentre erano in auto con Lord Mountbatten. Filippo guidava così forte che lei
continuava a chiedergli di rallentare, ma lui rispose accostando: «Se non ti
piace come guido scendi da questa macchina!». Era anche l’ unico a cui
Elisabetta potesse rispondere male, intimandogli di tacere o persino
lanciandogli contro qualche oggetto, come accadde in Australia il 6 marzo 1954,
quando marito e moglie erano in un cottage a ottanta chilometri da Melbourne e
una squadra cinematografica che attendeva in giardino per le riprese di un
documentario sulla visita reale vide la porta spalancarsi e riprese il Principe
di Edimburgo uscire di corsa seguito da una racchetta da tennis e un paio di
scarpe, con la Regina che, uscita a sua volta, gli intimava di tornare in casa.
Dopo alcuni minuti, lei si presentò al gruppo: «Spiacente per l’ interludio ma,
come sapete, sono cose che succedono in ogni matrimonio. Cosa volete che
faccia?». I nomignoli che Filippo usava in privato per rivolgersi a Elisabetta
erano «cavolo» e «salsiccia». Lei parlò sempre di lui con grande affetto,
iniziando tutte le frasi con «mio marito e io». E lui rispettò sempre la regola
reale relativa ai tre passi indietro, non dimenticando mai chi avesse in testa
la corona. Era un eccellente pilota, navigatore, giocatore di polo, un pittore
con gli acquerelli di talento e, fino agli ottant’ anni, uno spericolato
conducente di carrozze nelle corse con tiro a quattro.
Per
tutta la sua vita come Principe consorte, fu così ingiustamente massacrato dai
giornali britannici, e quindi da quelli di tutto il mondo, che la sua immagine
pubblica divenne presto equivalente a quella di un uomo goffo e inutile, sempre
pronto a imbarazzanti battute di spirito a cui non sapeva resistere. Quando si
chiede ai vecchi giornalisti il motivo per cui la stampa britannica smise di
essere riguardosa verso la famiglia reale, ad eccezione ovviamente della Regina,
tuttora considerata intoccabile, ci si sente rispondere che la causa fu Rupert
Murdoch, il magnate australiano che nel 1969 acquisì The Sun. Profondamente
repubblicano, pretese che i reali fossero trattati come comuni britannici.
Andava pubblicato tutto su di loro, soprattutto il materiale scottante. Da
allora scoppiò una guerra senza quartiere per conquistare i lettori, quasi
nessun giornale si risparmiò e Filippo rimase l’ obiettivo privilegiato dei
fotocronisti, a cui sempre rispose per le rime.
I
membri di una famiglia reale fanno pochissime cose da soli. Sono costantemente
seguiti da uno stuolo di valletti, scudieri, paggi, assistenti e specialisti di
mestieri che oggi non esistono più. Nessun Windsor sopravvivrebbe senza il
proprio valletto se maschio o una cameriera personale e dame di compagnia se
femmina. Filippo aveva due valletti che garantivano a turno la continuità del
servizio alla sua persona, come tutti i reali. I suoi abitavano a Buckingham
Palace, al piano di sopra al suo e avevano a disposizione una camera con bagno
e salotto a cui si aggiungeva una stanza di servizio ove sistemavano le sue
cose. Considerava gli addetti alla sua persona come una squadra di cui lui era
il comandante: chi rendeva al cento percento non se ne sarebbe pentito, e guai
agli altri. Aveva momenti molto confidenziali con i suoi valletti, e si
interessava della loro vita privata senza ovviamente rivelare nulla della sua.
Come Elisabetta, non sopportava di essere circondato da guardie del corpo.
Filippo ed Elisabetta; |
Attento
al futuro della Corona e di Casa Windsor, prese a cuore la vita famigliare del
primogenito Carlo, che come futuro Re ere tenuto ad assicurare il trono ad un’
altra generazione.
Dopo
varie avventure di breve durata e scarsa importanza, il Principe di Galles aveva
avuto una storia d’ amore con Amanda Knatchbull, nipote di Lord Louis
Mountbatten, che progettava un loro matrimonio. Nell’ agosto 1979, però, il
famoso prozio venne ucciso da alcuni terroristi dell’ IRA. La morte di Lord
Mountbatten fu un colpo durissimo per la Corona, e la giovane dama preferì
tenere le distanze dalla famiglia reale. Filippo scrisse al figlio all’ inizio del
1981 consigliandogli di sposare Lady Diana Spencer, appartenente ad una
dinastia di conti emersa come una cospicua famiglia di possidenti terrieri del
Northamptonshire a partire dal XV secolo, accedendo alla nobiltà all’ epoca
degli Stuart, rompendo in tal modo la relazione con Camilla Parker-Bowles, una
donna sposata che peraltro era bisnipote di Alice Keppel, amante di re Edoardo
VII dal 1898 al 1910. Su pressione anche della madre, l’ erede al trono avanzò
la proposta di matrimonio a Lady Diana nel febbraio dello stesso anno: sei mesi
dopo i due si sposarono. Fu un matrimonio prestigioso, a cui parteciparono
oltre duemila invitati, tra cui esponenti delle famiglie reali straniere e numerosi
politici e diplomatici. Le nozze da favola furono trasmesse in mondovisione e
seguite da oltre settecentocinquanta milioni di persone, mentre furono seicentomila
quelle che inondarono le strade di Londra per vedere la sposa durante il
tragitto che l’ avrebbe portata alla
Cattedrale di San Paolo a Londra, scelta perché offriva più posti a
sedere rispetto all’ Abbazia di Westminster, tradizionalmente usata per i
matrimoni reali. Dal 1992, però, il matrimonio, da cui erano nati i principi
William e Harry nel 1982 e nel 1984, cominciò a incrinarsi. Filippo ed
Elisabetta cercarono di trovare un accordo per riconciliare i due, ma senza
successo. Lui in particolare scrisse alla Principessa di Galles, esprimendole
il suo disappunto sia per le relazioni adulterine di Carlo, che aveva ripreso a
vedersi con Camilla, sia per le sue, chiedendole di esaminare le loro colpe da
un altro punto di vista. Lady Diana trovò la lettera dura da accettare, eppure
apprezzò il buon intento del suocero. La situazione peggiorò senza alcuna
possibilità di rimedio, tanto che nel dicembre del 1992 il Primo ministro John
Major annunciò al Parlamento la separazione formale dei Principi di Galles, che
divorziarono ufficialmente il 28 agosto 1996: Lady Diana perse il titolo di
Altezza Reale ma preservò quello di Principessa di Galles in quanto madre di un
principe ereditario, cosa mai avvenuta prima nella storia del Regno Unito che,
nella persona di Carlo, un giorno sarebbe stato retto da un Re divorziato nonostante
il ruolo di Governatore Supremo della Chiesa anglicana per diritto
costituzionale.
Lady
Diana Spencer era una donna proveniente da un mondo completamente diverso da
quello dei Windsor. Di lignaggio nobiliare di tutto rispetto, era vissuta in un
mondo ben più libero, alla maniera di una giovane e ricca ereditiera più che di
una nobile classica, mentre il principe Carlo era nato e vissuto a corte,
educato fin da bambino al futuro mestiere di Re, pertanto le difficoltà
coniugali erano derivate da un modo di pensare profondamente diverso tra moglie
e marito. In molti la paragonavano alla popolare Sisi, o meglio Elisabetta di
Wittelsbach, duchessa in Baviera divenuta Imperatrice d’ Austria e Regina
apostolica d’ Ungheria come consorte di Francesco Giuseppe I di Asburgo. All’
inizio, Filippo aveva tentato di aiutarla ad adattarsi alla corte. Anche lui
era passato attraverso quel clima di ostilità che servi e cortigiani
riservavano ai nuovi arrivati nella famiglia reale. Ovviamente non vi era mai
un’ aperta mancanza di rispetto, che sarebbe stata fatta pagare cara, piuttosto
si percepiva qualcosa di vago che metteva a disagio e fuori luogo. Il Principe
consorte sapeva che, appena approdato a Buckingham Palace, nelle cucine e nei
corridoi era chiamato «il Greco», e ricordava di quando Elisabetta voleva farlo
colonnello di uno storico reggimento delle guardie, ma le era stato fatto
rispettosamente sapere che la sua nomina non sarebbe stata accettata poiché nessun
tedesco doveva comandare truppe britanniche. Ci erano passati tutti, persino il
celebre Albert, Principe consorte tedesco che aveva lottato per anni riuscendo
infine a farsi amare da nobiltà e sudditi, come poi avvenne per lo stesso
Filippo. Ma per lei non vi era stato purtroppo nulla da fare, e le cose
precipitarono ulteriormente a un anno dal divorzio, quando rimase uccisa in un
drammatico incidente automobilistico a Parigi, il 31 agosto 1997.
Al
momento della tragedia, in cui morì anche l’ allora compagno della Principessa
del Galles, Dodi Al-Fayed, imprenditore, produttore cinematografico e
produttore discografico egiziano figlio di Mohamed Al-Fayed, milionario ex
proprietario dei magazzini Harrods, i Windsor erano in vacanza al castello di
Balmoral, in Scozia, un luogo che era stato molto caro alla Regina Vittoria. La
Regina, supportata da Filippo e dalla figlia Anna, decise di porre attenzione
ai giovanissimi nipoti, William e Harry, tenendoli lontani dal pubblico e dai
cronisti. I due orfani vollero partecipare alla messa del mattino dopo, e vi
furono accompagnati molto presto dai due nonni. Dopo tale apparizione pubblica,
per cinque giorni consecutivi la famiglia reale non si mostrò in pubblico: il
ritiro autoimposto e il rifiuto di issare la bandiera a mezz’ asta sopra
Buckingham Palace, mosso del semplice fatto che ormai non vi erano più legami
famigliari con Lady Diana, suscitò una reazione di forte disappunto presso la
popolazione, che di fatto obbligò Filippo ed Elisabetta a far ritorno a Londra,
da dove lei trasmise un messaggio televisivo il 5 settembre rivolto alla
nazione, esprimendo la sua ammirazione per la Principessa di Galles e i suoi «sentimenti
di nonna» nei confronti dei due principi. Subito dopo il messaggio, gran parte
dell’ ostilità nei confronti della sovrana svanì, convertendosi in profondo
rispetto.
Filippo al corteo funebre di Lady Diana; |
Il
giorno dei funerali, Filippo presenziò dignitosamente e mestamente insieme a William,
Henry, Carlo e il IX Conte Spencer, fratello di Diana, dietro la bara in segno
di grande lutto e rispetto per tutta la nazione.
Mohammed
Al-Fayed accusò fin dai primi giorni Filippo e Casa Windsor di essere i
mandanti dell’ incidente, in virtù del ritrovamento di una lettera scritta da
Lady Diana in persona alcuni mesi antecedenti la morte, in cui lei descrisse la
paura di venire uccisa tramite incidente stradale orchestrato dall’ ex marito. I
motivi che avrebbero spinto la famiglia reale a uccidere la donna sarebbero da
riscontrarsi nella sua relazione con Dodi, di cui Diana sarebbe rimasta
incinta: un figlio di origini arabe, che quindi sarebbe diventato fratellastro
dell’ erede al trono, avrebbe creato una situazione molto imbarazzante per la Corona
britannica. Tuttavia, l’ inchiesta che venne condotta stabilì che non vi fu un
ruolo da parte di Casa Windsor, così come di Filippo, nella morte di Lady Diana,
sebbene il sospetto di un possibile coinvolgimento dei servizi segreti in un’
azione autonoma rimanga plausibile al fine di tutelare l’ immagine pubblica dei
reali: a sostegno di un loro serio coinvolgimento vi sarebbero le dichiarazioni
dell’ ex agente dismesso, Richard Tomlinson, secondo cui l’ incidente sarebbe
stato provocato da alcuni uomini dell’ MI6, l’ agenzia di spionaggio per l’
estero resa famosa da Ian Fleming con i romanzi di James Bond, che utilizzarono
un raggio laser per accecare l’ autista di Lady Diana e Dodi, così da farlo
sbandare. Ciò confermerebbe le testimonianze di chi affermava di aver visto un
forte bagliore subito prima dello schianto.
Filippo durante una visita ufficiale; |
Dopo
i drammatici eventi di Parigi, la vita dei Windsor tornò gradualmente alla
normalità. Nell’ ultimo decennio l’ istituzione monarchica era stata sempre più
soggetta ad attacchi e critiche da parte della stampa e della popolazione. In
un inusuale discorso di carattere personale, Elisabetta II aveva dichiarato che
qualunque istituzione deve aspettarsi critiche, ma chiese che queste fossero
mosse con «un tocco di umorismo, gentilezza e comprensione». Nonostante il
momento difficile, gli indici di gradimento della sovrana continuavano a
rimanere alti e il sentimento repubblicano restava una minoranza. Gli attacchi
e le critiche, infatti, non erano rivolti direttamente alla persona della Regina
o ai suoi comportamenti, quanto piuttosto all’ istituzione in sé e ai comportamenti
tenuti da vari membri del casato reale.
Nel
novembre 1997, la Regina celebrò insieme al marito Filippo il cinquantesimo
anniversario del loro matrimonio, tenendo un ricevimento presso la Banqueting
House di Whitehall, a Londra, la meglio conservata delle case dei banchetti
fatte costruire dai sovrani britannici. Durante la serata tenne un discorso ed
elogiò il marito per il suo ruolo di Principe consorte, riferendosi a lui come «mia
forza e mio sostegno», mentre nel 2002 i festeggiamenti del Giubileo d’ Oro di
Elisabetta quale Regina del Regno Unito da cinquant’ anni contribuirono a
risollevare l’ immagine pubblica della Corona. Anche in quest’ occasione, al
Principe di Edimburgo furono resi gli onori per i cinquant’ anni di ruolo di Principe
consorte magistralmente condotto, tra propositi di riforma, valide affermazioni
e qualche scivolone e situazione imbarazzante con cui si era invariabilmente
imposto per intelligenza, simpatia e stile agli occhi della sudditanza. Dieci
anni dopo, nel 2012, in occasione del Giubileo di Diamante, marito e moglie
partirono per un lungo giro del Regno Unito, mentre i figli e i nipoti
partirono a nome di Elisabetta per viaggi nei Paesi del Commonwealth. Nel novembre
dello stesso anno, la Regina e il marito festeggiarono il sessantacinquesimo
anniversario di matrimonio. Appena un anno prima, lui aveva ricevuto dalla
moglie il regalo più gradito di tutta la sua vita con la nomina di Lord High
Admiral, il più alto titolo onorifico della Royal Navy.
Con
l’ avanzare dell’ età, Filippo cominciò a soffrire di determinati problemi di
salute che lo portarono a pianificare una riduzione degli incarichi e, fatto
inedito per un reale, ad un pensionamento. Doveva presenziare a circa trecento
eventi all’ anno, più di qualsiasi altro membro della famiglia reale ad eccezione
della figlia Anna. Nell’ ottobre 2007 fu resa pubblica l’ esistenza di problemi
cardiaci di cui soffriva sin dal 1992, pur essendosi rifiutato di rinunciare ai
propri doveri di Principe consorte. Nell’ aprile 2008 venne ricoverato al King
Edward VII Hospital per la cura di un’ infezione polmonare, dalla quale si riprese
velocemente, trascorrendo la convalescenza al castello di Windsor. Nel
frattempo gli fu diagnosticato un tumore alla prostata, su cui Buckingham
Palace chiese di mantenere la riservatezza.
Il
4 maggio 2017, infine, gli organi ufficiali della reggia annunciarono il ritiro
del Principe consorte da tutti gli impegni pubblici a partire dall’ agosto
seguente. Il 2 agosto, ormai novantaseienne, svolse il suo ultimo incarico
ufficiale dopo ben sessantacinque anni di servizio, congedandosi dalla vita
pubblica assistendo nei giardini di Buckingham Palace alla sfilata dell’ amatissima
Royal Navy britannica in occasione della ricorrenza della sua fondazione nel
1664. Poté finalmente tirare un sospiro di sollievo e iniziare a godersi un
tranquillo ritiro, assai invidiato da Elisabetta che, pur delegando sempre più
compiti e viaggi ai principi ereditari Carlo e William e ad altri famigliari
proseguì con la maggior parte delle proprie funzioni di capo di Stato non
avendo alcuna intenzione di abdicare, atto «contrario alla sua mentalità» e in
rispetto al giuramento compiuto nel 1947 in uno storico discorso radiofonico: «Io
dichiaro davanti a voi tutti che la mia intera vita, sia essa lunga o breve,
sarà dedicata al vostro servizio e al servizio della nostra grande famiglia
imperiale alla quale tutti apparteniamo.».
La famiglia reale in età avanzata; |
Nel
febbraio 2021, mentre fervevano i preparativi per il suo centesimo compleanno,
venne ricoverato a causa di un’ infezione con susseguenti complicazioni
cardiache al King Edward VII Hospital di Londra, venendone dimesso il 16 marzo
seguente. Poco più tardi, però, il 9 aprile, si spense nel castello di Windsor,
a soli due mesi e un giorno prima del suo compleanno. L’ amata Elisabetta era
al suo fianco al momento della sua morte, che suscitò commozione e partecipazione
in ogni angolo del mondo e di cui non venne dichiarata la causa.
Principe
consorte e discendente della Regina Vittoria più longevo nella storia britannica,
avendo superato la di lei nipote Alice di Albany che morì nel 1981 a
novantasette anni, la sua morte avviò l’ Operazione Forth Bridge, il nome in
codice dato al piano per l’ organizzazione della sua cerimonia funebre, che si
svolse il 17 aprile nella Cappella di San Giorgio al castello di Windsor. Un
omaggio misurato ma molto commosso, in cui la Regina, a pochi giorni dal suo
novantacinquesimo compleanno, lo salutò per l’ ultima volta aggrappandosi come
sempre allo stoicismo di un ferreo senso del dovere, eppure ripiegata nella
solitudine del crepuscolo senza poter nascondere un dolore umano profondo,
segnato da qualche inusuale lacrima inghiottita a stento, in piedi dinanzi alla
bara. Il funerale, non di Stato eppure solenne, prescritto dalle minuziose
volontà dello stesso Filippo e sancito dalle non meno rigorose indicazioni fissate
da Elisabetta per garantire che tutti i riflettori del tributo nazionale
fossero puntati sul marito, si svolse secondo le cronometriche cadenze militari
che il defunto amava. Tutto il Regno si fermò per un minuto in silenzio, dal
Primo ministro Boris Johnson in poi, senza fronzoli o clamori fuorché una
militante ambientalista che si esibì a distanza in monokini, quasi inosservata.
La bara venne tumulata nella cripta reale della Cappella di San Giorgio, a
Windsor, e alla morte della Regina le spoglie saranno trasferite nella Cappella
Memoriale di Giorgio VI all’ interno della medesima chiesa, dove i due saranno
sepolti uno accanto all’ altra.
Un passo indietro la Regina; |
Con
la morte di Filippo, grande sostegno della famiglia reale e della stessa
Monarchia, figli e nipoti si susseguirono in una serie di toccanti ricordi,
soprattutto nel corso di uno straordinario documentario della BBC in cui tutta
la famiglia reale, Elisabetta II esclusa, lo ricordò rivelando retroscena e
particolari inediti. Il principe Carlo fu il solo ad averlo visitato durante l’
ultimo ricovero in ospedale, un atto interpretato da molti come un superamento
delle difficoltà passate nella loro relazione. Pur non negando la figura di un
padre a volte difficile, diretto fino all’ asprezza o alla battuta più
spregiudicata, ne parlò come di un pilastro sempre presente per la famiglia, ed
esaltandone «l’ incredibile energia profusa per sostenere la mamma, e così
tanto a lungo», ma anche il suo spirito libero, il probabile desiderio di
essere «ricordato come un individuo per suo conto». Un individuo dalla «schiettezza
memorabile», rievocando come Filippo «non potesse soffrire le persone inclini a
scegliere con cura le parole», sostenendo che l’ avesse ereditata dalla propria
madre, l’ anticonformista principessa Alice. Il Principe di Galles aggiunse che
non rinunciò al suo umorismo propriamente britannico nemmeno in punto di morte.
Durante conversazione avuta telefonicamente con il padre il giorno prima che morisse,
infatti, iniziò a parlargli dei festeggiamenti per i suoi cento anni, che
avrebbe compiuto il successivo 10 giugno: «Stiamo discutendo del tuo
compleanno, papà.». Ma Filippo, che ci sentiva poco negli ultimi anni, non
capì, così Carlo dovette ripetere a voce più alta: «Stiamo preparando il tuo
compleanno, papà!». E l’ anziano Principe consorte allora rispose: «Beh, dovrei
essere vivo per festeggiarlo, giusto?». Il figlio, che lo conosceva bene,
commentò: «Sapevo che avresti detto così.». Zara Tindall, figlia della
principessa reale Anna e del suo primo marito, il capitano Mark Phillips, confessò
poi che il nonno «stava invecchiando sempre di più e lui non lo sopportava. Era
il peggior paziente del mondo!». Il principe ereditario, il Duca William di
Cambridge, aggiunse che alcuni anni prima si trovavano a Balmoral nei giorni
del «Duke of Edinburgh Award», a cui teneva molto. Durante un giro in macchina,
i due principi si fermarono di fianco ad alcuni ragazzi che avrebbero
partecipato alla manifestazione. Filippo abbassò il finestrino e disse
amichevolmente ai giovani: «Allora, come va?». E loro: «Smamma, vecchio!».
Filippo si lasciò scappare un bel: «Ah, i giovani di oggi!».
Dopo
la morte del Principe consorte, in molti si domandarono chi avrebbe beneficiato
dalla sua eredità testamentaria, ma tale curiosità pare proprio che verrà
soddisfatta con un certo ritardo poiché l’ Alta Corte di Londra stabilì che, al
fine di «proteggere la dignità della Regina e della famiglia reale», le sue
volontà rimarranno segrete per novant’ anni dal decesso. I testamenti dei
defunti di Casa Windsor non sono aperti all’ ispezione pubblica, a differenza
dei testamenti comuni. Andrew McFarlane, che come giudice più anziano dell’ Alta
Corte inglese custodiva testamenti dei reali risalenti anche a più di un secolo
addietro, come ad esempio quello del principe Francesco di Teck, fratello
minore della Regina Mary, morto quarantenne nel 1910, chiarì che lui stesso era
ignaro di cosa fosse stabilito nel documento del Principe di Edimburgo: «Ho
accettato la tesi secondo cui, sebbene possa esserci generale curiosità per gli
accordi privati di un membro della famiglia reale nel proprio testamento, non
vi sia un vero interesse pubblico nel conoscere queste informazioni del tutto
private.». E ancora: «E’ necessario rafforzare la protezione offerta agli aspetti
veramente privati della vita di questo gruppo di individui, al fine di
mantenere la dignità della Regina Elisabetta e dei membri stretti della sua
famiglia.».
Nonostante
la decisione dei magistrati londinesi, la stampa britannica proseguì con le proprie
speculazioni, presumendo che a beneficiare della fortuna di Filippo, un
patrimonio di circa trenta milioni di sterline, pari a quasi quarantadue
milioni di dollari, a cui si aggiungevano migliaia di oggetti di valore
inestimabile sparsi nelle varie residenze reali, sarebbero stati in massima
parte Elisabetta, con una fetta destinata ai quattro figli. Pare che nel testamento
vi fosse qualcosa a beneficio anche del personale reale. Una fonte vicina ai
Windsor rivelò a The Sun: «A differenza di altri reali, Filippo è stato
generoso anche con i tre uomini che si prendevano cura di lui.». Nelle sue
ultime volontà avrebbe incluso «il suo segretario privato, brigadiere Archie
Miller Bakewell, il suo paggio William Henderson e il cameriere Stephen
Niedojadlo.». La stampa britannica suppose che avrebbero ricevuto qualcosa
anche i nipoti e i bisnipoti. Lady Louise Windsor, figlia di Edoardo nonché
nipote preferita della Regina, ottenne il cocchio del nonno, un dono piuttosto
azzeccato poiché aveva sempre condiviso con il compianto l’ amore per le corse
a cavallo con cocchio.
Dopo
molti e lunghi decenni di vita pubblica, il principe Filippo si guadagnò
meritatamente lo stato di icona ed elemento vincente della Monarchia britannica
e di Casa Windsor. Con la sua morte lasciò un vuoto incolmabile sia nella vita
dello Stato che in quella di Elisabetta, rimasta sola e sostenuta soltanto
dalla forza dei ricordi di oltre settantatré anni trascorsi insieme. E insieme fecero
davvero un’ infinità di cose, generando quattro figli e accogliendo una bella
schiera di nipoti e bisnipoti. Visitarono ogni angolo mondo, mangiarono i cibi
più diversi e sorprendenti, incontrarono i capi politici e sociali più
importanti, presero parte a qualsivoglia tipo di inaugurazione. Giorni felici
consegnati all’ immortalità dai ricordi di chi li ha vissuti ma anche da tante,
bellissime foto.
Dalla
morte del marito in poi, la comunicazione pubblica della Regina mutò
fermamente. Elisabetta prese a lasciarsi andare a battute, un tempo prerogativa
di Filippo, e a manifestazioni pubbliche di affetto nei suoi confronti, ma
anche degli altri familiari. Gli osservatori reali fecero notare che era come
se fosse cambiato l’ approccio alle emozioni: la sovrana ora lasciava
intravedere anche il suo volto più privato, dopo decenni di «mai lamentarsi,
mai spiegare». Ogni cosa al momento giusto. Otto mesi dopo, in un discorso di
Natale insolitamente toccante e intimo, indossante un abito rosso e il classico
giro di perle, la Regina parlò seduta a un tavolo, accanto a una foto con l’ amato
marito scattata nel 2007 in occasione del sessantesimo anniversario di
matrimonio. Sull’ abito, aveva appuntato una spilla di zaffiri con diamanti,
che indossava in luna di miele e al loro anniversario di nozze. Rivolse gli
auguri ai suoi sudditi in diretta televisiva, nel tradizionale messaggio del 25
dicembre, affermando che a lei e alla sua famiglia mancava molto il principe: «Il
Natale può essere difficile per chi ha perso i propri cari. Soprattutto quest’
anno capisco il motivo.». Aggiunse poi che «il suo senso del dovere, la
curiosità intellettuale e la capacità di tirare fuori il divertimento da ogni
situazione erano tutti irrefrenabili».
Come
dimenticare il principe Filippo?
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