domenica 27 aprile 2025

La morte di Papa Francesco e l’ ostentazione della sua sofferenza

Le spoglie mortali di Papa Francesco;


Alle 7:35 del 21 aprile 2025, Papa Francesco è morto dopo due mesi di malattia, ed è stato sepolto nel corso di un funerale imponente e riferito con profondo coinvolgimento dai mezzi di comunicazione di massa. Dal giorno della sua morte sono state decantate con una certa enfasi le sue virtù di grande saggezza e semplicità, di affabilità e apertura a tutto e tutti, senza esclusivismi, con la macchina mediatica vaticana impegnata con tanti elogi nel presentarlo sotto una luce di santità. Tuttavia, da non credente e quindi da persona lontana dagli ambienti clericali, credo che sia doverosa fare un’ osservazione che a molti papisti potrà non piacere.

Papa Francesco il giorno di Pasqua;


Il Sommo Pontefice della Chiesa cattolica è un simbolo sia religioso che politico, il rappresentante di Gesù Cristo nel mondo terreno ed erede di San Pietro in virtù del principio della successione apostolica, come scritto nel Vangelo di Matteo 16,13-20: «Ed io altresì ti dico, che tu sei Pietro, e sopra questa roccia io edificherò la mia chiesa e le porte dell’ inferno non la potranno vincere.». E’ una figura spirituale considerata infallibile, secondo il dogma definito nel 1870, durante il Concilio Vaticano I, per volere di Papa Pio IX su prevalente ispirazione dei Gesuiti in base a quanto riferito nei testi di Matteo, Giovanni e Luca, in cui Gesù stesso diede a Pietro il potere di «legare e sciogliere», il compito di «pascere i suoi agnelli» e il ruolo di «confermatore dei suoi fratelli» nella fede. Ogni cosa che il Papa comunica e fa viene evidenziata con attenzione affinché il credente abbia prova oltre ogni dubbio che lo Spirito Santo agisce per mezzo di lui in conferma della parola di Cristo, e perfino la sua malattia viene molto enfatizzata e mostrata il più possibile al mondo, nella convinzione che, in quanto rappresentante di Cristo sulla Terra sia più vicino a lui anche e soprattutto nel dolore, manifestazione evidente di umanità.

Papa Francesco, malato prima e morente poi, è stato ampiamente esibito dai dignitari vaticani al mondo in un triste spettacolo iniziato durante il suo ricovero al Policlinico Gemelli di Roma, iniziato il 14 febbraio 2025. Una volta dimesso il successivo 23 marzo e trasferito alla residenza di Santa Marta, dove avrebbe dovuto trascorrere due mesi di assoluto riposo con assistenza sanitaria ventiquattr’ ore su ventiquattro, i sacerdoti che controllano l’ istituzione del Papa gli hanno permesso di riprendere alcune attività, e lo hanno sfoggiato appena possibile in udienze e riti liturgici vari poiché come Santo Padre aveva un dovere da compiere, non essendo una persona normale. Perfino il giorno Pasqua, il 20 aprile, a ormai un giorno dalla morte, è apparso dalla loggia centrale della Basilica di San Pietro per rivolgere un appello alla pace, venendo poi trasportato in papamobile in Piazza San Pietro per un bagno di folla e, infine, ricevere il Vicepresidente degli Stati Uniti d’ America, J. D. Vance. Non gli è stata consentita una morte serena come era nel suo diritto di essere umano, e mentre le sue spoglie mortali erano ancora calde i cardinali già iniziavano a muoversi per la successione. Si sa, morto un Papa se ne fa un altro…

L’ incontro con J. D. Vance;


In un’ intervista al quotidiano spagnolo Abc avvenuta nel 2022, alla domanda su cosa succede se un Pontefice diviene improvvisamente invalido per problemi di salute o per incidente, Papa Francesco rispose di aver già firmato le proprie dimissioni, per la precisione al tempo del suo insediamento, quando il Cardinale Tarcisio Bertone era ancora Segretario di Stato vaticano: «Le firmai e gli dissi: ‘In caso di impedimento per motivi medici o che so, ecco le mie dimissioni. Ce le avete già. Non so a chi le abbia date il Cardinal Bertone, ma gliele ho date io quando era Segretario di Stato.». E in tono più scherzoso aggiunse: «E’ la prima volta che lo dico. Ora qualcuno andrà a chiederlo a Bertone: ‘Dammi il pezzo di carta!’. Probabilmente lo consegnò al Cardinale Pietro Parolin, nuovo Segretario di Stato.».

Il Santo Padre, quindi, aveva a sua volta preso in considerazione l’ idea della rinuncia papale analogamente al suo immediato predecessore, Benedetto XVI, che il 28 febbraio 2013 aveva stupito il mondo annunciando la propria intenzione di ritirarsi. Tuttavia, il Sommo Pontefice è morto in carica, secondo le convenzioni della Chiesa. Evidentemente, durante la degenza di trentanove in ospedale, non gli è stato permesso di tener fede alla propria parola: sarebbe stato il secondo Papa consecutivo a ritirarsi, troppo per il Vaticano che ancora non aveva dimenticato per vari motivi il passo indietro di Papa Benedetto. Ciò spiegherebbe il motivo per cui durante il ricovero si è tenuto un certo riserbo sulle sue condizioni, un silenzio che ha alimentato dubbi e sospetti sulle sue reali condizioni e i maneggi politici interni alla Santa Sede, tanto da sospingere gli alti dignitari pontifici a trasmettere una registrazione della sua voce affaticata e a pubblicare una fotografia in cui, solo e affaticato, si trova in contemplazione nella cappella ospedaliera.

Una volta dimesso e tornato in Vaticano con la raccomandazione di trascorrere una rigorosa convalescenza, i vertici della Chiesa lo hanno esibito a varie fasi, in nome del dovere. Essere Papa è un impegno continuo, per quanto pesante, si è a capo di un’ istituzione millenaria con regole severe e costanti, si deve fare il possibile anche quando non si sta bene ed è buono e giusto essere esemplari anche nella morte, affinché i cristiani abbiano conferma di ciò che Dio si aspetta da chi agisce e insegna nel suo nome.

Papa Francesco sulla papamobile, a Pasqua;


E ora che Francesco è passato ad altra vita, i cardinali sfilano come divi a passo svelto con le loro stoffe preziose e gli zucchetti, ripetendo una precisa litania: «Non toccherà a me.» Ma ovviamente in cuor loro molti ci sperano eccome, con qualcuno che pronostica: «Sarà lungo, perché tra noi ci conosciamo poco.». Sono agghindati con i loro pesanti crocifissi, l’ abito talare rosso porpora, ma anche, come quelli più sciolti fanno, in vestiti neri di stoffe preziose, le giacche ben tagliate con le asole ricamate, i bottoni di vero corno, segno dell’ opera di sarti di alta professionalità. Un vezzo che di certo non appartiene al Cardinale e Arcivescovo Matteo Zuppi, presidente della Conferenza Episcopale Italiana e tra i pochissimi ad avere un’ autentica aria da ministro del culto.

Ai posteri l’ ardua sentenza, come direbbe il magnifico Alessandro Manzoni. Solo Madame Storia ci dirà se tra questi cardinali davvero verrà identificato un degno erede di Papa Francesco, capace come lui di comunicare in modo semplice e addirittura simpatico il messaggio complesso della cristianità e di rivolgersi ai poveri e ai perdenti: intanto, però, le Loro Eminenze sono entrate in Piazza San Pietro, alcuni provenienti da Porta Sant’ Anna dove hanno prudentemente lasciato Mercedes e autista, lanciando occhiate soprappensiero ai fedeli ancora in coda per raggiungere la Basilica e inginocchiarsi davanti al feretro del defunto Francesco, per poi defilarsi a passi lesti sotto l’ Arco delle Campane o dietro porte misteriose, dentro corridoi in penombra, con odore d’ incenso e di quel certo potere curiale, nella fretta di esibirsi nel grandioso e atteso evento del Conclave. In questo modo sono stati inseguiti dai fotografi e dai cineoperatori, blanditi e riveriti, con chi abbassava la testa e tirava diritto, come il Cardinale Raymond Leo Burke, che si faceva portare il mantello dai chierichetti e, certe volte, quando gli veniva lo sghiribizzo, andava in giro con un cappello a tesa larga che, al confronto, rendeva il fu Benedetto XVI con le sue scarpette rosse piuttosto sobrio. Ma vi era pure chi si fermava, come il Cardinale Gianfranco Ravasi, davanti al microfono di SkyTg24, con una certa arguzia: «Il testamento di Francesco? Semplice, come la sua esistenza.». E, a proposito di semplicità, in questi giorni la corrispondente della televisione giapponese è andata a cercare il Cardinale Tarcisio Bertone, che attualmente vive in un attico di cinquecento metri quadrati, putti alle pareti e lampadari sempre accesi come a Château de Versailles, lo sfarzo più assoluto racchiuso in storie memorabili, come quella della sua festa di compleanno, quando organizzò una strepitosa tartufata vuotando bottiglie di Barolo, perché siccome è di origini piemontesi, gli piaceva celebrare con la tavola imbandita di cose buone della sua terra.

Cardinali in preparazione per il Conclave;


Questi principi della Chiesa, maestosi e distaccati, distinti e non propensi a mischiarsi con la gente comune, così distanti dalla semplicità e dall’ apertura di Francesco, stanno arrivando da tutto il mondo. Quelli destinati a riunirsi per decidere il nome del nuovo erede di Pietro sarebbero centotrentacinque, ma due hanno abbandonato per ragioni di salute. Chi li incontra, e ha un po’ di confidenza, riuscendo a farli parlare, riceve risposte nette: «Escluso, non toccherà a me.». E su tutto questo vi è il giallo del Cardinale Angelo Becciu, che due lettere scritte di pugno da Papa Francesco e siglate con la sua lettera, la F, lo escluderebbero dal Conclave, per quanto lui affermi: «Mi disse che potevo partecipare, saranno i miei confratelli cardinali a decidere.».

Ombre lunghe sul Vaticano...


Chiunque venga scelto per sedere sul soglio di Pietro, prima di rispondere positivamente alla domanda: «Acceptasne electionem de te canonice factam in Summum Pontificem?», rifletta con attenzione di averne la forza caratteriale e l’ intelligenza necessarie. Quella di Santo Padre è infatti una posizione pesante e continua, molto impegnativa, scandita da valori e tradizioni molto rigidi nonché da aspettative che non consentono molto scampo. Non consente tanto spesso di agire di propria iniziativa, perché la parola di Dio e soprattutto la fede in essa hanno un forte peso. E, soprattutto, speri di godere di una lunga e sufficiente salute, oltre che di una morte rapida e serena, onde evitare di essere sballottato per scuse dottrinarie a conferma del principio tipicamente cristiano della sofferenza come anticamera del Paradiso. Forse, se le cose dipendessero unicamente dallo Spirito Santo sarebbero ben più facili. Di sicuro, il fatto che un essere umano ormai in punto di morte venga trascinato in pubblico in ottemperanza alle proprie funzioni perché è il Papa in carica dai membri di un’ istituzione religiosa, come la Chiesa cattolica, che parla di sacralità della vita, impone una seria riflessione su quanto essa stessa abbia dimenticato o addirittura non capito la lezione che trasmette al mondo…

sabato 26 aprile 2025

La Bibbia tra Rivelazione divina e analisi archeologica

Rotolo della Bibbia ebraica;


I testi sacri delle varie religioni rappresentano, data la loro complessità e vastità, una particolare sfida a livello scientifico, ma anche una preziosa testimonianza relativa al panorama storico e culturale delle varie civiltà antiche che li trascrissero. Per migliaia di anni sono stati considerati libri di storia esatti e indubitabili, che gli ordini sacerdotali insegnavano di generazione in generazione e permettevano di capire alla gente comune, tramandando il ricordo dell’ origine del mondo e la comprensione della rivelazione della verità divina così che il popolo si attenesse il più diligentemente possibile ad un comportamento virtuoso e onorasse le divinità esercitando correttamente la liturgia.

Con l’ avvento della Rivoluzione scientifica nel Cinquecento, tuttavia, si innescò un profondo mutamento culturale con la formazione di un nuovo tipo di sapere, e quindi di mentalità, che necessitava del continuo controllo dell’ esperienza, richiedeva un differente tipo di dotto in confronto al tradizionale erudito medievale formatosi con i testi antichi, che quindi non fosse mago, astrologo o sacerdote ma scienziato sperimentale, che con l’ osservazione e la deduzione fondesse la teoria con la tecnica, convalidando un’ ipotesi con un esperimento che necessitasse di prove evidenti. La rivoluzione culturale suscitata da quella scientifica fu ampia e di vasta portata, e toccò anche la religione e la filosofia. Nell’ Europa cristiana ebbe luogo un confronto molto teso tra la nuova scienza e la Chiesa cattolica, secondo la quale tutto ciò che l’ uomo dovesse sapere fosse già riferito nella Bibbia, infallibile perché parola di Dio, e la fede non avesse bisogno di conferme. Ma tale rivoluzione, nonostante le indagini e i processi per eresia portati avanti dai tribunali dell’ istituzione ecclesiastica dell’ Inquisizione, sostenitrice del dogma dell’ infallibilità biblica, non si arrestò, anzi rafforzò l’ evoluzione dell’ Umanesimo, movimento culturale sviluppatosi in Italia nel Quattrocento su ispirazione di autori trecenteschi quali Francesco Petrarca e Giovanni Boccaccio, volto alla riscoperta dei classici latini e greci nella loro storicità e non più nella loro interpretazione allegorica, inserendo quindi anche conoscenze e usanze dell’ antichità nella quotidianità tramite le quali poter avviare una «rinascita» della cultura europea dopo i cosiddetti «secoli bui» del Medioevo, cosa che si compì con più forza nel Rinascimento. L’ Umanesimo portò alle prime indagini e comparazioni tra i diversi credi religiosi, e allo sviluppo della disciplina della storia delle religioni, che indaga il tema delle religioni secondo il procedimento storico ovvero avvalendosi delle documentazioni storiche, archeologiche, filologiche, ma anche di ambito etnologico, antropologico, ermeneutico ed esegetico.

Oggi, grazie a questi preziosi studi, i testi sacri sono considerati dottrinari e culturali ma non storici, importanti fonti antiche dalle cui pagine è possibile dedurre la mentalità dei popoli nelle varie epoche in cui sorsero. E la Bibbia, il libro sacro di ebrei e cristiani, rappresenta qualcosa di unico per la vasta e dettagliata narrazione delle origini del mondo e del popolo eletto, nonché della rivelazione divina svelata per mezzo dei patriarchi, dei profeti e di Gesù Cristo.

 

Il dibattito sulla storicità della Bibbia, e quindi la sua infallibilità in tutto ciò che afferma, è tuttora in corso. Da una parte vede coinvolgi gli scienziati, tra archeologi, storici e filologi, e dall’ altra gli esponenti di alcune denominazioni cristiane, protestanti fondamentaliste e restaurazioniste, come i cristadelfiani, e i testimoni di Geova, che citano la seconda lettera di San Paolo a Timoteo: «Tutta la Scrittura infatti è ispirata da Dio e utile per insegnare, convincere, correggere e formare alla giustizia, perché l’ uomo di Dio sia completo e ben preparato per ogni opera buona.». Altre scuole, come i cattolici, gli ortodossi e i protestanti storici come luterani, calvinisti e anglicani, hanno invece una posizione più moderata, affermando che la Bibbia sia ispirata da Dio e infallibile in materia di fede e morale, ma non necessariamente esente da errori nelle sue parti storiche e scientifiche. A questo proposito il Concilio Vaticano II afferma che la Bibbia riferisce «senza errori la verità che si riferisce alla nostra salvezza», parole molto simili a quelle pronunciate tre da Galileo, secondo cui la Bibbia ha solo lo scopo di insegnare agli uomini le verità «che sono necessarie per la salute loro», e anche a quanto affermato da Origene: «Noi sappiamo che la Scrittura non è stata redatta per raccontarci le storie antiche, ma per la nostra istruzione salvifica.». Lo stesso Concilio Vaticano II, inoltre, afferma che la corretta interpretazione richiede di tenere in conto il genere letterario del testo biblico e il contesto storico culturale dell’ agiografo, ragion per cui anche per quanto riguarda affermazioni con un implicito significato etico occorre distinguere nella sacra scrittura la parola di Dio dal contributo degli scrittori sacri «veri autori nel possesso delle loro facoltà e capacità».

 

Il professor Alessandro Barbero;

La posizione degli scienziati in materia di racconto storico è invece, per ovvie ragioni, ben più scettica. Innanzitutto, da un punto di vista filologico, occorre tenere presente quando la Bibbia venne scritta, e quindi di quanto risenta dell’ influenza della tradizione orale precedente. Il teologo britannico Martyn Percy disse che la Bibbia «non ci è arrivata per fax dal cielo», e il romanziere statunitense Dan Brown aggiunse che è un prodotto dell’ uomo, non di Dio, non caduta magicamente dalle nuvole: «L’ uomo l’ ha creata come memoria storica di tempi tumultuosi ed è passata attraverso innumerevoli traduzioni, aggiunte e revisioni. Nella storia non c’ è mai stata una versione finale del libro.». Infatti, la Chiesa cattolica sancì ufficialmente il canone biblico soltanto nel Concilio di Trento del 1546, in opposizione alla Riforma protestante innescata da Martin Lutero. Una lettura critica del testo biblico richiede consapevolezza di quando fu scritto, da chi e per quale scopo: per esempio, molti accademici concorderebbero sul fatto che la Tōrāh, o Pentateuco, l’ insieme dei primi cinque libri della Bibbia, ossia Genesi, Esodo, Levitico, Numeri e Deuteronomio, fu messa per iscritto poco dopo il VI secolo prima di Cristo, ma non vi è certezza sul periodo preciso. Le date considerate vanno dal XV al VI secolo prima di Cristo. Un’ ipotesi abbastanza condivisa la collega al regno di Giosia, nel VII secolo prima di Cristo. In questa ipotesi, i presunti eventi dell’ Esodo si sarebbero svolti secoli prima della loro narrazione. Gli studiosi sono divisi principalmente in due scuole, ossia i minimalisti e i massimalisti: secondo i minimalisti, la Bibbia è un’ opera principalmente teologica e apologetica, e tutti i racconti che contiene hanno carattere eziologico, ideati su di una base storica fittizia ricostruita secoli dopo, durante e dopo l’ esilio babilonese, e che possiedano al massimo pochi frammenti di ricordo storico genuino, solo quei punti di cui si trova un riscontro nelle scoperte archeologiche. I racconti sui patriarchi biblici sarebbero di fantasia, e gli stessi patriarchi mere figure leggendarie con cui descrivere realtà storiche successive. Inoltre, le dodici tribù di Israele sarebbero una costruzione successiva, le storie dei re Saul e Davide modellate su posteriori esempi irano-ellenistici e non vi sarebbe prova archeologica dell’ esistenza del regno unito d’ Israele, che secondo la Bibbia avrebbe permesso a Davide e Salomone di dominare un impero esteso dall’ Eufrate ad Eilat. I massimalisti, invece, affermano che i resoconti dell’ Antico Testamento, soprattutto quelli dell’ epoca della monarchia davidica, si devono considerare ampiamente storici.

E’ interessante notare quanto gli studi archeologici condotti negli ultimi decenni in Israele, non abbiano dato conferma degli eventi fondamentali descritti nella Bibbia, aumentando il solco tra la sacralità del testo biblico per i credenti, e quindi della verità divina dei fatti in esso raccontati, e i dati della scienza storica, che segue criteri razionali e pratici. A tal proposito, il professor Alessandro Barbero, professore di storia medievale all’ Università degli Studi del Piemonte Orientale Amedeo Avogadro, afferma: «E’ molto facile che il passato ci sorprenda, quindi siamo spesso costretti a scoprire quanto la nostra visione della storia fosse sbagliata. Succede continuamente, e per più motivi. Le cose cambiano e ci si rende conto di essere vittime di un’ interpretazione faziosa.». Ma la storia, per quanto non sia una scienza esatta, poggia su criteri ben precisi e non ragiona sui valori considerati dalla teologia, la disciplina della fede che si fonda sull’ interpretazione: «La Bibbia è qualcosa di particolarmente complicato. E’ il prodotto di un popolo dell’ antichità, che come ogni altro si è costruito la propria mitologia e religione, conservando maggiormente i numerosi scritti, redatti nel corso dei secoli e che hanno costituito la sua memoria storica e il suo immaginario. Gli ebrei non erano neppure un popolo piccolo come tendiamo ad affermare, al contrario: erano numerosi e molto presenti nell’ area mediorientale, soprattutto a seguito della Diaspora. Dal punto di vista di un credente, poi, sorge il problema di dover conciliare la descrizione di Dio che emerge dall’ Antico Testamento, un Dio che sinceramente fa un po’ paura, per quanto la dottrina cristiana sostenga che la venuta di Cristo abbia cambiato tutto. Se l’ Antico Testamento dice: ‘Occhio per occhio’, Gesù afferma: ‘Porgi l’ altra guancia.’.». Da qualsivoglia ottica la si osservi, la Bibbia è un soggetto molto impegnativo, arduo. Ma non pare storicamente molto attendibile, chi desidera avere una visione più esatta deve consultare altre fonti. Sempre il professor Barbero spiega: «Occupandosi della storia degli ebrei, per lungo tempo gli storici hanno sostenuto la versione della Bibbia relativamente all’ antico regno di Israele. Dalle sue pagine si legge che mille anni prima di Cristo era grande e potente, con capitale a Gerusalemme, grande città dagli imponenti edifici come la reggia e il Tempio di Salomone, e governato da gloriosi sovrani quali Davide e il figlio Salomone. L’ unica fonte disponibile era l’ Antico Testamento, gli storici vi si attenevano. Un giorno però gli archeologi israeliani iniziarono a scavare in cerca dei resti di questo antico e grande potentato e della sua capitale. Scavarono e scavarono, fino a raggiungere gli strati del 1000 avanti Cristo senza però trovare nulla, se non qualche focolare di nomadi. Lo ammisero pubblicamente, e il governo israeliano non ne rimase ovviamente soddisfatto, come l’ opinione pubblica. Ma gli archeologi israeliani proseguirono negli scavi e con grande obiettività scientifica, che renderà loro sempre onore, confermarono che nel 1000 avanti Cristo non esistevano un grande regno di Israele, una Gerusalemme con il suo Tempio, ma solo alcuni nomadi che vagavano per la steppa.».

 

Professor Israel Finkelstein;

Il professor Israel Finkelstein, docente di Archeologia all’ Università di Tel Aviv, è uno degli archeologi israeliani che per decenni hanno condotto gli scavi in territorio israelitico. Ha espresso le sue critiche nei confronti della prima generazione di studiosi che avevano interpretato i risultati delle loro campagne di scavo come conferme della narrazione biblica della conquista della Palestina, e si è guadagnato una solida reputazione di «attira fulmini» a causa delle controversie scatenatesi a seguito delle sue considerazioni e delle sue prese di posizione. Sostiene che la Bibbia non sia affidabile da un punto di vista del racconto storico e archeologico, e che solo le prove rinvenute nel terreno possano raccontare la storia dell’ antico Israele: «La Bibbia è un insieme di miti a supporto di politiche espansionistiche.». Nel libro «Le tracce di Mosè», scritto insieme al collega e compatriota Neil Asher Silberman, sintetizza molti anni di studi, ricerche e scavi archeologici: «Buona parte della narrazione biblica è mitologica. Figure come Noè risultano mitiche quanto il racconto del Diluvio universale. Non esistono fonti storiche che confermino la schiavitù ebraica in Egitto, l’ Esodo e la quarantennale peregrinazione dei patriarchi nel deserto. Risulta poco credibile la descrizione e le dimensioni del Tempio di Salomone, mentre la Città Santa del tempo era poco più di un semplice villaggio.». Molte parti dei libri biblici, prosegue, furono scritte in funzione del piano politico ed espansionistico di re Giosia, diciassettesimo re di Giuda e importante riformatore religioso vissuto nel VII secolo prima di Cristo, che intendeva unificare sotto il suo trono il regno di Giuda con il regno di Israele: «Gli scribi reali inventarono molti miti biblici o stravolsero precedenti racconti, come supporto propagandistico alla politica espansionistica di Giosia: dovevano magnificare l’ ascendenza e la potenza del loro signore. La religione nuova costituisce, quindi, come una sorta di istrumentum regni, di collante ideologico dell’ edificazione di un solo Stato sotto una sola divinità e un solo monarca.».

Lo stesso Mosè, fondatore dell’ Ebraismo, pone numerosi problemi di storicità, al pari dell’ Esodo. Entrambi sono stati ampiamente dibattuti in ambito accademico. A chi in passato ha difeso la storicità del personaggio, si contrappongono quanti oggi vi vedono una figura dai contorni mitici o leggendari, pur tenendo presente che una figura simile a Mosè potrebbe essere esistita da qualche parte nel sud della Transgiordania nella seconda metà del XIII secolo prima di Cristo e che l’ archeologia non sia al momento in grado di confermarlo.

Il professor Finkelstein, pur negando la verità storica della narrazione biblica, la considera la mitizzazione di un confronto attinente a una cronologia più bassa della storia d’ Israele intorno al X secolo prima di Cristo, come l’ invasione di Israele da parte del faraone Sheshonq I dopo la morte di Salomone e dello scontro tra il re Giosia e il faraone Necao II, ritenendo quindi che i suoi protagonisti non siano che il risultato di una forma di pia tradizione: «Nuovi strati sarebbero stati aggiunti alla storia dell’ Esodo nei secoli successivi, durante l’ esilio in Babilonia e oltre. Ma ora possiamo vedere come questa composizione sorprendente sia stata creata sotto la pressione di un conflitto crescente con l’ Egitto nel VII secolo prima di Cristo. La saga dell’ Esodo di Israele dall’ Egitto non è né verità storica né finzione letteraria, ma una potente espressione di memoria e speranza nata in un mondo in mezzo al cambiamento. Il confronto tra Mosè e il faraone riflette il confronto storico tra il giovane re Giosia e il nuovo faraone Necao. Ridurre questa immagine biblica a una sola data significa tradire il significato più profondo della storia. La Pasqua si rivela non essere un singolo evento, ma un’ esperienza continua di resistenza nazionale contro i poteri costituiti.». Stessa cosa si può affermare per le reliquie citate dalla Bibbia, come l’ Arca dell’ Alleanza: «La sua storia serviva l’ ideologia del Regno del Nord ai tempi di Geroboamo II, così come i reali bisogni territoriali derivanti dalla dominazione su Giuda, faceva parte di un'ideologia di Israele unito, precursore del concetto successivo della monarchia unita giudaica. La storia dell’ Arca che leggiamo nella Bibbia è affascinante, ma penso che possa esserci utile soprattutto per capire il mondo degli autori della Bibbia.».

 

Padre Giuseppe Pulcinelli;

Anche la Chiesa cattolica, come spiega Giuseppe Pulcinelli, presbitero della diocesi di Roma, teologo e Rettore del Pontificio Collegio Lateranense, la Bibbia non è un libro di storia in senso moderno, né nelle sue parti narrative intende descrivere gli avvenimenti semplicemente per informare il lettore su come essi si siano svolti concretamente: «Mettendo per iscritto dopo secoli di trasmissione orale l’ esperienza di fede del popolo di Israele e dei suoi personaggi più significativi, la sua intenzione è soprattutto quella di formare, di coinvolgere il lettore affinché entri a far parte di questa stessa storia salvifica. Perciò possiamo tranquillamente ammettere che la Sacra Scrittura contenga imprecisioni e incongruenze di tipo storico, anche nel presentare le figure dell’antichità, come quelle dei patriarchi. Più che i fatti concreti conta la loro interpretazione, che già l’autore sacro alla luce della fede ha voluto comunicare attraverso lo scritto. Quel senso che è sempre valido nell’ oggi della sua rilettura credente.». E’ sorprendente che oggi fede e scienza trovino un punto di contatto, concordando sull’ inattendibilità della storicità della Bibbia. Secondo il papato, i primi capitoli della Genesi sono parole ispirate da Dio, ma secondo il modo di intendere della gente di un tempo: «I primi undici capitoli della Genesi riferiscono in un linguaggio semplice e figurato, adattato alle intelligenze di un’ umanità meno progredita, le verità fondamentali presupposte all’ economia della salvezza e in pari tempo la descrizione popolare delle origini del genere umano e del popolo eletto.». In quest’ ottica viene chiaramente ammesso perfino che Adamo ed Eva siano figure simboliche e non personaggi storici: essi sono una profonda riflessione sapienziale sul creato e sull’ umanità voluta da Dio. Il nome Adam significa «uomo» e indica l’ umanità in senso collettivo, tant’ è che in Genesi 2,7 vi sarebbe un gioco di parole in ebraico tra adam e adamah, «suolo», per dire che l’ uomo è «terroso» in quanto tratto dalla terra, mentre il nome Eva, in ebraico Hawwah, dal verbo vivere e quindi «vivente», viene dato da Adam «perché ella fu la madre di tutti i viventi» come detto in Genesi 3,20. Molto più importante dell’ esistenza storica, ciò che conta nei racconti sulla creazione dell’ essere umano uomo-donna è che essi descrivono l’ umanità nella sua altissima dignità essere fatti a immagine e somiglianza di Dio, e insieme nella sua estrema fragilità che si mostra nella caduta. Dio, però, non lo abbandona nel suo peccato, ma promette la salvezza.

 

La Basilica di San Pietro, sede del papato;

L’ apertura alle ricerche scientifiche della Chiesa cattolica nasce con molta probabilità da una necessità pratica di sopravvivere cavalcando i mutamenti sociali e culturali della modernità. Lo spirito critico proprio del razionalismo che animò l’ epoca dei lumi dal Seicento all’ Ottocento fece sì che la Bibbia fosse guardata con crescente diffidenza, venendo considerata leggenda o racconto popolare senza fondamento storico. Gran parte delle critiche si basava sulla mancanza di prove esterne a sostegno di certe affermazioni spirituali tradizionali. Inoltre, si è ritenuto che la Bibbia, essendo uno scritto religioso, tendesse a contenere espressioni in un linguaggio mitologico, specifico del pensiero prescientifico, nel senso che non sono così accurate. Per questo motivo i dettagli di natura storica sono stati ampiamente criticati o, nel migliore dei casi, respinti come irrilevanti.

Sin dalla pubblicazione de «L’ origine delle specie» di Charles Darwin nel 1859, le gerarchie della Chiesa cattolica hanno lentamente affermato la propri posizione sull’ evoluzione, evitando inizialmente di prendere una posizione ufficiale, contrariamente alle chiese protestanti che, maggiormente legate ad una interpretazione letterale della Bibbia, immediatamente avversarono il pensiero darwiniano. Fino ai primissimi anni del Novecento, nel mondo cattolico si riscontrava una generale ostilità all’ evoluzionismo, tuttavia, in quel periodo la Chiesa non prese mai una posizione ufficiale sulla questione. Nei decenni successivi, però, il papato affermò ufficialmente che la fede cattolica e l’ evoluzionismo, in particolare riguardo all’ origine dell’ umanità, non sono in conflitto: diversi papi si espressero favorevolmente sulla conciliabilità dell’ evoluzionismo con la fede cattolica. I rapporti tra scienza e religione sono quindi stati, storicamente, una realtà molto varia e complessa. In quel tempo la Chiesa si sentiva letteralmente sotto assedio: dopo il Risorgimento, la riunificazione nazionale dell’ Italia, dello Stato Pontificio non rimaneva che una piccola area di Roma, il Vaticano, e il potere temporale dei pontefici era cessato aprendo le porte ad un periodo di forti contrasti tra Chiesa e Stato italiano. Dal mondo scientifico arrivavano inoltre dure critiche al Cattolicesimo, descritto spesso come causa di ignoranza, arretratezza e freno del progresso. In questa situazione è facile comprendere l’ esistenza nel mondo cattolico di un generale clima di sospetto o di opposizione nei confronti dell’ evoluzionismo. Ma nonostante queste condizioni la Chiesa non prese mai alcuna posizione sull’ evoluzionismo, né decise in generale di prendere provvedimenti verso quegli intellettuali cattolici che accettavano le nuove teorie avvalorandone la conciliabilità con la dottrina cattolica. Soprattutto dopo il Concilio Vaticano II, la teologia cattolica, confrontandosi con la teoria dell’ evoluzione, fece importanti progressi definendo peraltro alcune fondamentali questioni di fede relative all’ origine dell’ umanità, all’ azione di Dio nel mondo e alla dottrina sul peccato originale. In tutto questo panorama di cambiamenti, la Pontificia commissione biblica, organo del Magistero ecclesiastico, sancì la dottrina della creazione divina del corpo del primo uomo e della creazione immediata dell’ anima umana in ogni nuova persona: al di là di concetti quali creazionismo o evoluzionismo, la vita umana per la Chiesa resta sacra e dovuta all’ atto creativo e infallibile di Dio. Quindi, la Bibbia venne vista con sempre maggiore flessibilità, e meno rigore storico, come un testo essenzialmente dottrinale, una profonda riflessione sapienziale e poetica che, attraverso il ricorso a immagini, al mito e all’ epica vuole trasmettere alcune basilari verità di ordine teologico e filosofico: il mondo è stato creato da Dio, pertanto gli elementi della creazione non vanno divinizzati, come invece avveniva nelle culture antiche, per esempio con il sole o con alcuni animali. Uomini e donne, come immagine di Dio, rappresentano il coronamento del creato, che a essi è affidato. Il male nel mondo è originato dal cattivo uso della libertà, Dio non abbandona l’ umanità nel suo peccato ma promette la salvezza. La tradizione letteraria dell’ Antico Testamento risale a un periodo della storia d’ Israele, in cui si sentiva il bisogno di rafforzare la fede nel Dio unico, onnipotente, infallibile e provvidente.

 

Se, come disse George Santayana, scrittore, poeta e saggista spagnolo, la Bibbia è letteratura e non dogma, i tempi sono finalmente maturi per una lettura attenta e obiettiva di questo particolare testo sacro, basilare per ebrei e cristiani e rispettato dai musulmani. La maggioranza dei cristiani oggi sostiene che i dettagli storici o scientifici della Bibbia siano irrilevanti per la fede e la condotta e che quindi possano contenere errori. Per loro l’ infallibilità e l’ ispirazione del testo sacro vanno limitate alle questioni di fede o di morale e a una lettura complessiva della Bibbia che guidi l’ interpretazione del reale significato e della finalità delle singole affermazioni. I fondamentalisti, invece, sostengono che anche i dettagli scientifici, geografici e storici dei suoi testi originali siano completamente veri ed esenti da errori, come pure che apparenti contraddizioni o errori che ci sembri di trovare dipendano, di fatto, dalla nostra soggettiva percezione o conoscenza, inadeguata o falsata. Un atteggiamento estremo, ma fortunatamente poco condiviso anche all’ interno dello stesso mondo cristiano.

Se la storia passata e il suo ricordo vengono ricostruiti e tramandati secondo i criteri di osservazione, deduzione e dimostrazione tipici della scienza per mezzo di prove evidenti, non bisogna commettere l’ errore di leggere l’ Antico e nemmeno il Nuovo Testamento come una cronaca di fatti storici realmente avvenuti o una serie di biografie, ma ricordare che si trattano di un insieme di testi che riflettono la mentalità del popolo e del tempo presso cui vennero scritti, e che soprattutto l’ Antico venne influenzato dalla cultura e giurisprudenza sumeriche, come confermato dalla stessa narrazione biblica secondo cui Abramo, primo patriarca e capostipite del popolo israelitico, era un sumero originario della città Stato di Ur, l’ attuale Tell el-Mukayyar in Iraq. La lettura delle pagine dell’ Antico Testamento offre quindi numerosi richiami mitologici tipici della mitologia mesopotamica, come il Diluvio, di cui si parla anche nell’ epopea di Gilgamesh, e giudiziari come la legge del taglione e la schiavitù già espresse nel Codice di Hammurabi. E’ peraltro un insieme di testi colmi di violenza. L’ Onnipotente, per esempio, scatenò il Diluvio universale sterminando la maggior parte delle sue creature viventi dando una possibilità solo a pochi graziati che credeva meritevoli. Tempo dopo, però, il mondo ritornò oscurato dal male, e così mandò a Sodoma due angeli emissari che però vennero umiliati dagli abitanti locali. La città venne poi distrutta insieme a Gomorra da una pioggia di fuoco, una strage terribile a cui seguirono le piaghe d’ Egitto e l’ annegamento dei soldati del faraone nel Mar Rosso, i castighi terribili stabiliti dalla Tōrāh, la legge data Dio a Mosè, nella quale si impone senza speranza di appello la pena di morte per chiunque adori divinità differenti da Dio e pratichi la magia, oltre che per gli adulteri. Neppure il Nuovo Testamento, di mentalità grecoromana in quanto trascritto nelle province di lingua e cultura greche dell’ Impero romano, è esente da un simile spirito di durezza, come Gesù stesso afferma in Matteo 10, 34-36: «Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra. Non sono venuto a portare la pace, ma una spada. Sono venuto infatti a mettere in lotta il figlio contro il padre, la figlia contro la madre, la nuora contro la suocera, e i nemici dell’ uomo saranno quelli della sua casa». Lo stesso si comporta in modo aggressivo sempre nel racconto di Matteo, 21,12-13, quando entra nel Tempio di Gerusalemme e scaccia i mercanti e i loro acquirenti, rovesciando i tavoli dei cambiamonete e le sedie dei venditori di colombe. Tutta la violenza descritta nella Bibbia è appunto la conferma dell’ umanità del popolo e del tempo da cui è scaturita.

Lasciandone quindi da parte l’ inesattezza storiografica e riconoscendone il valore più propriamente simbologico e interpretativo, leggendo la Bibbia con un’ ottica storica e culturale vi si può riconoscere un certo valore estetico e intellettuale, una vasta gamma di generi letterari, tra cui poesia, prosa, narrazione storica, e profezia. I Salmi sono apprezzati per la loro bellezza poetica, mentre i libri sapienziali come i Proverbi e l’ Ecclesiaste offrono profonde riflessioni filosofiche. E’ una parte centrale del canone della tradizione occidentale. Ha influenzato profondamente la letteratura, l’ arte, la musica e la filosofia occidentale. Opere letterarie come «Paradiso perduto» di John Milton e «Divina Commedia» di Dante Alighieri sono fortemente influenzate dalla Bibbia, che continua a essere una fonte di ispirazione per artisti, scrittori e pensatori, stimolati dai suoi valori. Esplora temi morali e filosofici fondamentali, come la natura del bene e del male, la giustizia, la misericordia, la fede e la redenzione.

venerdì 25 aprile 2025

L’ antifascismo ha mai funzionato?

Milano festeggia il 26 luglio 1943 la caduta del Duce;


«Affinché il male trionfi, è sufficiente che i buoni non facciano nulla.» Edmund Burke;


La democrazia è un bene infinitamente prezioso, che va tenuto stretto e vissuto consapevolmente dal singolo individuo, e conoscere la storia passata è il modo migliore per intraprendere la strada verso un futuro migliore. Il 25 aprile 2024 ricadono gli ottant’ anni dalla caduta del Fascismo, e in una giornata come questa dovremmo riflettere sul valore e la sostanza della democrazia, ma senza una mentalità politica e di parte come invece abbiamo sempre fatto. E dato che per fortuna quei tragici eventi sono un ricordo sempre più lontano, credo che i tempi siano finalmente maturi per ammettere quanto l’ antifascismo, che esiste fin dagli albori del Fascismo, non sia mai stato affatto efficiente! In tono con la tradizione, oggi si fanno parole, paroloni ed elogi pomposi, pieni di retorica, ma studiando attentamente la storia, cosa oggi molto facile se si desiderano consultare le fonti, e molte di esse sono super partes, si può comprendere quanto l’ antifascismo non abbia mai veramente funzionato a causa dell’ inoperosità degli stessi antifascisti, consegnando il Paese al Fascismo con tutto ciò che ne derivò nel Ventennio.

Il Discorso del bivacco;


Dopo mesi di violenze squadriste contro i partiti e i sindacati di sinistra, tra il 26 e il 30 ottobre 1922 ebbe luogo la marcia su Roma, con circa venticinquemila camicie nere, armate solo in parte e malamente, che affluirono indisturbate nella capitale. Re Vittorio Emanuele III si precipitò in città dalla Tenuta di San Rossore e comunicò al Presidente del Consiglio dei ministri, Luigi Facta, l’ intenzione di decidere personalmente sulla crisi in atto. Sovrano e Primo ministro ebbero due colloqui, sia alla stazione di Roma che a Villa Savoia, nei quali il primo avrebbe detto che si rifiutava di deliberare «sotto la minaccia dei moschetti fascisti» per poi chiedere al Governo di prendere tutti i provvedimenti necessari e da sottoporre poi alla sua approvazione. Per quanto la situazione fosse grave, Facta, convinto fino all’ ultimo che Benito Mussolini imbrogliasse, se ne andò a dormire come se nulla fosse per poi essere svegliato nel cuore della notte dai suoi collaboratori che lo informavano delle occupazioni fasciste e della calata delle colonne di camicie nere su Roma. In mattinata riunì il Consiglio dei ministri, che su precise insistenze del generale Arturo Cittadini, primo aiutante di campo del Re, decise il ricorso allo stato d’ assedio per bloccare la marcia. Ma quando alle 9:00 del mattino Facta si recò al Quirinale per la controfirma del regnante, ricevette un rifiuto in uno scatto di collera di Vittorio Emanuele: «Queste decisioni spettano soltanto a me. Dopo lo stato d’ assedio non c’ è che la guerra civile. Ora bisogna che qualcuno di noi due si sacrifichi.». Pare che il Primo ministro rispose congedandosi: «Vostra Maestà non ha bisogno di dire a chi tocca.». Secondo Renzo De Felice, il maggiore storico del Fascismo, i possibili motivi che potrebbero avere indotto il Re a evitare lo scontro con i fascisti sarebbero stati la debolezza del governo in carica, le incertezze dei vertici militari, i timori per gli atteggiamenti filofascisti del Duca Emanuele Filiberto di Savoia Aosta, secondo nella linea di successione al trono italiano da cui temeva un colpo di mano, e il timore di una guerra civile. Facta presentò le dimissioni, subito accolte dal Re, che il 29 ottobre, consultatosi con i massimi esponenti della classe dirigente politica liberale, da Giolitti a Salandra, e militare, come Diaz e Thaon di Revel, e dopo la bocciatura da parte mussoliniana di un possibile gabinetto Salandra-Mussolini, nel desiderio di far includere il movimento fascista in sede parlamentare e quindi di favorire la pacificazione sociale, affidò a Mussolini, deputato dal 1921, l’ incarico di formare un nuovo governo. E Mussolini si presentò in aula indirizzandosi al Parlamento con tono apertamente minaccioso: «Potevo fare di quest’ aula sorda e grigia un bivacco di manipoli: potevo sprangare il Parlamento e costituire un Governo esclusivamente di fascisti. Potevo: ma non ho, almeno in questo primo tempo, voluto.». Al momento del voto, ricevette una larga fiducia dal Parlamento, ottenendo alla Camera 316 voti a favore, 116 contrari e 7 astenuti. I deputati fascisti erano appena 35. Tra i voti favorevoli spiccarono quelli di Giovanni Giolitti, Benedetto Croce, in seguito il massimo rappresentante dell’ antifascismo liberale, e di Alcide De Gasperi, poi padre della Repubblica italiana, mentre Francesco Saverio Nitti lasciò l’ aula in segno di protesta. In Senato si contarono 196 voti favorevoli e 19 voti contrari.

Il primo governo Mussolini, composto da quattordici ministri e sedici ministeri, con Mussolini come capo del Governo e Ministro ad interim di Esteri e Interni, era formato da nazionalisti, liberali e popolari, tra i quali il futuro Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi, sottosegretario all’ Industria. Insomma, i partiti democratici dell’ epoca, popolari e liberali, votarono una fiducia schiacciante al dittatore, mentre secondo la versione ufficiale di oggi tutta la colpa sarebbe stata del Re, che ancora oggi viene accusato di inattività e persino di complicità.

Il Regno d’ Italia era una Monarchia costituzionale, con i tre poteri, esecutivo, legislativo e giudiziario, regolati e suddivisi da una Costituzione, lo Statuto Albertino del 1848, ma di fatto, anche in considerazione delle forti personalità politiche che guidavano i governi e del peso che assunsero i partiti politici, si era evoluta in una forma di Monarchia più propriamente parlamentare. Nell’ aprile 1924 vennero indette nuove elezioni, che si svolsero tra gravi irregolarità. Il deputato socialista Giacomo Matteotti denunciò coraggiosamente gli abusi con un duro ma circostanziato discorso alla Camera, con il quale chiese di annullare il risultato delle elezioni, ma il 10 giugno venne rapito per poi essere trovato morto il successivo 16 agosto. Il fatto scosse il mondo politico e aprì un semestre di forte crisi interna, risolto infine il 3 gennaio 1925 quando Mussolini, rafforzato sul piano internazionale dal recente incontro con il Primo ministro britannico Neville Chamberlain, rivendicò la responsabilità non materiale dell’ accaduto: «Se il Fascismo è stato un’ associazione a delinquere, io sono il capo di questa associazione a delinquere!». Ebbe perfino l’ audacia di ricordare al Parlamento la procedura di messa in stato d’ accusa conformemente all’ Articolo 47 della carta costituzionale. La Camera, dove per soli sette seggi gli iscritti al Partito Nazionale Fascista erano la maggioranza e l’ opposizione era frantumata nelle molteplici correnti e incapace di accordarsi su strategie condivise, indebolita dalla secessione dell’ Aventino, non procedette per chiedere le dimissioni di Mussolini e neppure elaborò una credibile formazione di governo alternativa. Nemmeno la scelta extraparlamentare dell’ opposizione seppe mobilitare le masse. Re Vittorio Emanuele, come previsto dalle leggi dello Stato allora vigenti, rimase in attesa di un’ iniziativa parlamentare. Quando il senatore Campello gli presentò le prove della responsabilità del Presidente del Consiglio dei ministri nel delitto Matteotti, rispose senza mezzi termini: «Sono cieco e sordo. I miei occhi e le mie orecchie sono la Camera e il Senato.». Nessun parlamentare fece ricorso all’ Articolo 47: fu la prova dell’ inefficienza dell’ alta adunanza dello Stato. Il Re non poteva agire a prescindere dagli organi istituzionali e da quel momento Mussolini si mosse per via procedurale nell’ instaurazione della dittatura fascista divenendo il Duce, approfittando della flessibilità dello Statuto Albertino, che poteva essere modificato o integrato con legge adottata secondo la procedura ordinaria: fu in questo clima che il Re firmò le leggi fascistissime del 1925, che soppressero la democrazia, e le leggi razziali del 1938, per poi destituire Mussolini da capo del governo il 25 luglio 1943 in favore del maresciallo Pietro Badoglio a seguito del voto di sfiducia del Gran Consiglio del Fascismo, divenuto negli anni il massimo organo costituzionale del Regno d’ Italia. Un Re costituzionale o parlamentare non può per legge andare contro le decisioni del governo, così come una dittatura è un fenomeno che comprende sempre molte persone a livello nazionale, e poggia fortemente sul consenso nazionale. Il Fascismo era appoggiato dalla borghesia e dall’ aristocrazia, i pilastri della società di allora in quanto baluardo contro la corruzione del Comunismo, e si orientava alla costruzione di un grande impero coloniale che avrebbe riportato l’ Italia alle glorie e ai fasti dell’ antica Roma. Il popolo fu estasiato dai grandi sogni promessi dal Fascismo, che voleva andare oltre l’ infamia della vittoria mutilata del 1918. Nelle fotografie dell’ epoca, Mussolini era sempre attorniato da una folla esultante. Lui e poche migliaia di fascisti tra gerarchi, camicie nere, ministri e parlamentari proprio non avrebbero potuto controllare l’ intero popolo italiano se questo avesse scelto di non collaborare. Come disse Sir Winston Churchill: «Bizzarro popolo, gli italiani: un giorno 45 milioni di fascisti, il giorno successivo 45 milioni tra antifascisti e partigiani. Eppure questi 90 milioni di italiani non risultano dai censimenti…».

Re Vittorio Emanuele III;


E l’ attuale Repubblica, sorta a seguito del referendum istituzionale del 1946, nonostante il vanto di aver rotto i ponti con il Fascismo, negli anni volle al proprio servizio svariati funzionari fascisti, camice nere e altre figure inquietanti che, benché accusate da Jugoslavia, Grecia, Albania, Francia e dagli angloamericani per crimini di guerra, mai furono processate in Italia o epurate, estradate all’ estero o giudicate dai tribunali internazionali: piuttosto, tutti furono reinseriti negli apparati dello Stato democratico con ruoli di primo piano, divenendo questori, prefetti, capi dei servizi segreti, deputati e ministri. Tra coloro che non si macchiarono di colpe ma che parteciparono al governo fascista e ne condivisero le idee vi furono ad esempio Giovanni Gronchi, sottosegretario al Ministero dell’ Industria nel primo governo Mussolini e poi terzo Presidente della Repubblica; Giuseppe Pella, Vice Podestà della città di Biella e poi secondo Presidente del Consiglio dei ministri e più volte ministro; Amintore Fanfani, che si espresse favorevolmente per il Manifesto della razza e le leggi razziali del 1938, poi padre costituente e Presidente del Consiglio dei Ministri; Aldo Moro, in gioventù di aperte simpatie fasciste avendo aderito ai Gruppi universitari fascisti, favorevole al sostegno italiano alla guerra civile spagnola e all’ intervento nel 1940 a fianco della Germania vedendo nel Fascismo il miglior sistema politico atto a garantire tale integrazione politica, civile e morale, ovvero cristiana, e poi a sua volta Presidente del Consiglio; Giovanni Spadolini, dalle giovanili simpatie per il Fascismo repubblichino fino al 1944, quando lamentò che avesse perso «a poco a poco la sua agilità e il suo dinamismo rivoluzionario, proprio mentre riaffioravano i rimasugli della massoneria, i rottami del liberalismo, i detriti del giudaismo», primo Presidente del Consiglio dei ministri non democristiano. Notevole fu poi il caso di Giuseppe Pièche, uomo di fiducia di Mussolini e poi di Mario Scelba, Presidente del Consiglio negli anni Cinquanta. Altri personaggi cupi che nella neonata Repubblica divennero assai influenti venivano dall’ ala dura dei partigiani, come i comunisti Palmiro Togliatti e Pietro Secchia, di aperte simpatie sovietiche, e Francesco Moranino, capo partigiano responsabile di svariati delitti ed eccidi, prima tra tutte la strage della missione Strassera.