mercoledì 13 agosto 2025

RoboCop e Data - Quando l’ intelligenza artificiale si umanizza


In questi ultimi tempi si sono fatti passi avanti giganteschi nello sviluppo dell’ intelligenza artificiale, quel particolare programma progettato come vera e propria macchina pensante a immagine e somiglianza della mente umana, ma capace di compiere infinite funzioni contemporaneamente e con una precisione ed esattezza che al cervello umano mancano. Sono moltissime le considerazioni, sia favorevoli che contrarie, che si possono fare a proposito di questo particolare strumento: ci semplificherà la vita e ci darà più tempo libero, ci renderà rammolliti perché farà tutto al posto nostro, non avrà mai le stesse capacità decisionali di un essere umano, e così via discorrendo all’ infinito.

La cibernetica, insieme alla genetica, è oggi una delle scienze più studiate e applicate in assoluto, e pare destinata alla creazione di prodotti sempre più sofisticati da un punto di vista tecnico, e sebbene le sue applicazioni pratiche siano piuttosto recenti essa è già assolutamente familiare al grande pubblico soprattutto grazie alla fantascienza, il popolare genere letterario e cinematografico le cui opere sono a buon diritto così comuni e amate da costituire un vero e proprio patrimonio culturale. Alcuni film e telefilm hanno toccato svariati temi, peraltro animando svariate riflessioni, di fatto anticipando molte invenzioni scientifiche divenute negli anni una realtà e prodotti così abituali di cui oggi non sapremmo farne a meno. Un esempio classico di argomento tipico della fantascienza è proprio l’ intelligenza artificiale, che ha affrontato in romanzi, film e serie televisive sotto gli aspetti più differenti, promuovendo una valutazione sull’ opportunità e le conseguenze di questa particolare realizzazione: un’ intelligenza artificiale è una realizzazione prodigiosa, che può portare a conseguenze sia positive, come il supporto allo sforzo umano in attività particolarmente impegnative e in ambienti difficili, che negative, come nuove forme apocalittiche di guerra e interventi ad alta precisione. Due particolari produzioni hanno tuttavia sollevato l’ attenzione circa l’ intelligenza artificiale verso un punto di vista molto particolare, ossia «RoboCop» e «Star Trek: The Next Generation», i cui protagonisti, il poliziotto Alex J. Murphy e il tenente comandante Data, sono rispettivamente un organismo cibernetico e un androide nei quali prevale un lato umano e spontaneo oltre la loro componente informatica e tecnologica, nonché la programmazione comportamentale fornita dai loro creatori, dando conferma di quanto l’ umanità sia qualcosa di molto potente, che una macchina per sua natura non può eguagliare.

RoboCop, tratto da Alex Murphy;


In «RoboCop», film di Paul Verhoeven del 1987, il coraggioso agente di polizia Alex Murphy viene barbaramente ucciso a colpi di fucile da una banda di temuti malviventi di Detroit. Poiché al momento del suo arruolamento ha firmato un documento con cui ha donato il suo cadavere alla scienza, i cibernetici e i biologi della OCP, la potente impresa multinazionale che ha assunto la direzione del distretto di polizia di Detroit, fanno di lui un potenziato dotandolo di importanti innesti cibernetici: la maggior parte del corpo viene sostituita da protesi meccaniche rivestite da una corazza di titanio e kevlar, mentre il suo cervello viene integrato con un sistema informatico in cui è inserita la programmazione di base e tre direttive inviolabili che gli impongono l’ ordine pubblico totale, la protezione degli innocenti e il rispetto della legge, a cui deve attenersi mentre è operativo. Una quarta gli impedisce di procedere contro un membro della OCP. Il mancato rispetto di queste direttive o di una soltanto gli provoca un calo di efficienza che può persino disattivarlo. RoboCop dispone di una forza sovrumana, ad esempio può sopraffare fisicamente uomini di qualsiasi stazza e preparazione marziale senza alcuno sforzo, rompere facilmente ossa, sfondare muri e distruggere i materiali più resistenti. Il suo nuovo corpo è praticamente invulnerabile alle armi da fuoco di piccolo e medio calibro, ed è comunque estremamente difficile da abbattere pure con munizioni ad alto potenziale. E’ protetto anche da altissime temperature o esplosioni, come quella causata da una pompa di benzina data alle fiamme da un malvivente che arresta da cui esce indenne. E’ in grado di ingrandire la scena inquadrata dal suo sistema visivo e mirare con precisione millimetrica, nonché di selezionare bersagli multipli. La sua memoria riorganizzata come un computer registra in modo indelebile audio e video, utilizzabili come prove legali. Dispone di numerose altre funzioni, come mappe digitali, H.U.D. adattabile in grado di interagire con l’ ambiente, tipi di visione quali quella notturna e a infrarossi. Può interfacciarsi con qualsivoglia computer e utilizzarlo mentalmente. Il casco contiene un visore termografico capace di vedere anche attraverso le pareti, la mano destra ospita uno spinotto che si connette ai computer usati in città. L’ arma di servizio è una pistola automatica con proiettili speciali ospitata in uno spazio ricavato nella gamba destra.

A RoboCop viene cancellata la memoria della sua vita come Alex Murphy, tuttavia, a poche settimane dalla sua attivazione e dall’ inizio della sua missione inizia gradualmente e inevitabilmente a rievocare i ricordi: durante le esercitazioni di tiro fa roteare la pistola sul dito indice, gesto che faceva per gioco davanti al figlio per imitarne l’ eroe preferito in TV, riconosce uno dopo l’ altro i suoi assassini durante le operazioni di arresto, nonché la propria collega, l’ agente Anne Lewis, pronuncia il suo motto «Vivo o morto, tu verrai con me!», e infine visita la casa dove viveva con la famiglia, ora in vendita, dove ha una reazione di rabbia per ciò di cui i suoi assassini gli hanno privato. Da questo momento acquisisce una maggiore libertà comportamentale: come macchina deve pur sempre attenersi alle quattro direttive comportamentali che compongono il suo programma, ma come umano ha la facoltà di decidere da solo come arrivare al risultato. Spesso addirittura circola senza l’ elmetto protettivo, lasciando scoperto il volto divenuto calvo, sorride e quando gli chiedono come si chiama risponde con un fermo eppure caloroso: «Murphy.».

All’ inizio del secondo film «RoboCop 2», del 1990, il poliziotto cibernetico di tanto in tanto si avvicina in automobile per scorgere la moglie nella nuova casa e il figlio di ritorno dalla scuola, cosa che getta lei nella disperazione al punto da fare causa alla OCP, i cui funzionari, che lo reputano una loro proprietà privata e «una macchina parzialmente dotata di tessuto vivente», gli vietano ulteriori visite. Quando l’ avvocato di lei suggerisce un incontro chiarificatore tra i due, Murphy, addolorato ma consapevole di non essere più l’ uomo di un tempo, nega di conoscerla e sostiene che suo marito è morto da eroe: lui è stato costruito per onorare la sua memoria. Affranta, lei se ne va piangendo e a lui non resta che accettare quanto tutto ciò che gli rimane sia la sua condizione e missione di «sbirro cibernetico». Più avanti nel film, riesce ad arrivare fino a Cain, il temuto e folle narcotrafficante a capo di un culto di spacciatori a lui devoti come una sorta di Gesù Cristo, che insieme al suo esercito lo danneggia con una mitragliatrice e lo riduce in pezzi. A stento ancora in vita, viene poi scaricato dai criminali davanti alla stazione di polizia e tenuto in vita dai tecnici addetti alla sua manutenzione. Durante la sua agonia, durante la quale addirittura versa lacrime, gli scienziati della OCP affermano di essere in grado di ripararlo ma per il momento non hanno l’ ordine di procedere: i vertici aziendali preferiscono affinare le tecnologie di cui dispongono con la creazione di un altro organismo cibernetico, il RoboCop II. Tuttavia, per evitare un calo di consensi e di immagine pubblica, decidono di ricostruire Murphy sia pur dotandolo di una programmazione con un eccesso di direttive, molte addirittura assurde, che compromettono le sue capacità arbitrarie rischiando di farlo impazzire. Benché scoprano le vere cause del malfunzionamento di RoboCop, i tecnici della stazione di polizia non sono in possesso della strumentazione necessaria a cancellare le direttive alterate, e affermano che gli unici modi sono uno spegnimento del sistema o una scarica elettrica ad alto amperaggio: appena Murphy sente parlare di questa possibile soluzione esce dalla stazione di polizia e si sottopone a una scarica elettrica attaccandosi a un grosso commutatore elettrico. Tale operazione gli permette di resettare il sistema e cancellare tutte le direttive, comprese le primarie, tuttavia la prima azione che decide di intraprendere conferma la sua profonda umanità e coscienziosità: torna al lavoro, e alla testa di un commando di poliziotti torna da Cain, deciso a catturarlo una volta per tutte, vivo o morto.

 

Il tenente comandante Data, androide di tipo Soong;

In «Star Trek: The Next Generation», serie televisiva prodotta da Gene Roddenberry dal 1987 al 1994, il tenente comandante Data è un androide, l’ unico ad aver mai fatto parte della Flotta Stellare della Federazione dei Pianeti Uniti. Viene creato intorno al 2330 dal dottor Noonien Soong, geniale cibernetico pioniere degli studi sul cervello positronico, assistito dalla moglie Juliana Tainer. Risulta il terzo dei suoi sei androidi conosciuti, dopo la costruzione di Lore, divenuto malvagio a causa di un errore di programmazione delle emozioni, e di B-4, risultato di intelligenza molto limitata. Juliana considera Data come un figlio, ma teme che possa rivelarsi un fallimento come gli androidi costruiti precedentemente, oppure che diventi pericoloso come Lore, e che quindi debba essere smantellato. Quando i coniugi Soong si preparano ad abbandonare il pianeta sotto l’ attacco dell’ Entità Cristallina chiamata da Lore, deciso a vendicarsi della popolazione locale che ne pretendeva lo smantellamento poiché terrorizzata da lui, entrambi gli androidi vengono disattivati e smontati. Otto anni dopo, nel 2338, l’ equipaggio dell’ astronave della Federazione USS Tripoli lo trova e lo ricompone, per poi riattivarlo. Composto di una lega di tripolimero, molibdeno e cobalto, capace di resistere ai massimi sforzi, il suo cranio è composto di cortenide e duranio, ed ha una capacità massima di immagazzinamento di ottocento quadrilioni di bit, approssimativamente 88 petabyte, ed una velocità totale del suo processore calcolata in sessanta trilioni di operazioni per secondo. Riconoscente di essere stato trovato e attivato dagli ufficiali della Flotta Stellare, gli viene permesso di iscriversi all’ Accademia, ove si qualifica con onore, venendo poi assegnato ai primi incarichi fino al trasferimento nel 2364 sulla nave ammiraglia, l’ Enterprise D, con il grado di tenente comandante.

Sebbene dotato di un’ avanzata forma di intelligenza artificiale e notevoli capacità di elaborazione e archiviazione dati, nonché di una forza, prontezza di riflessi e velocità molte volte superiori a quelle di un essere umano, Data sviluppa una certa ammirazione per l’ umanità, tentando di diventare sempre più umano per quanto riguarda il comportamento, spesso con risultati buffi e fallimentari a causa di fraintendimenti e doppi sensi. Spesso le sue osservazioni sono così spontanee e innocenti da renderlo buffo oppure irritante, tanto che durante gli anni all’ Accademia della Flotta Stellare è stato spesso oggetto di scherzi da parte dei compagni cadetti. Oltre che con l’ umorismo e i rapporti amorosi, Data ha anche problemi ad usare le contrazioni nella lingua orale, sebbene questa caratteristica faccia parte della programmazione fornitagli dal dottor Soong. Nel 2369, il dottor Julian Bashir esprime la propria ammirazione per tutto l’ impegno che il dottor Soong si è dato per far sembrare Data umano da un punto di vista estetico, denotando grande stupore per quanto Data sia ben fatto. Insieme, i due conducono alcune ricerche su di un dispositivo alieno, che emette uno shock al plasma che sovraccarica la rete positronica di Data, attivando una serie di circuiti fino a quel momento inattivi che, in seguito, permettono a Data di sognare. Nel 2367, sotto il controllo di una tecnologia di richiamo a distanza del dottor Soong, Data si impadronisce dell’ Enterprise e la conduce in prossimità del pianeta Terlina III. Sfortunatamente, lo stesso programma attiva il cervello positronico di Lore, conducendo anche lui al laboratorio. Soong spiega di aver richiamato Data perché ha creato un chip emozionale appositamente per lui, e di aver creduto che Lore fosse morto. Lore disattiva Data e si sostituisce a lui mentre il loro creatore è distratto, e Soong, ignaro, impianta il chip in Lore. Quando si rende conto dell’ errore, Lore lo attacca, fuggendo subito dopo. L’ anziano scienziato muore di lì a poco, confortato dal vero Data. Solo tre anni dopo, i due «fratelli» si ritrovano. Lore, infatti, si trova su Ohniaka III alla testa di alcuni Borg, organismi cibernetici molto potenti con cui la Federazione sta facendo i conti da qualche tempo, e innesta il chip emozionale, dopo attente modifiche, in Data per renderlo succube. Lo scontro è durissimo, ma alla fine Data ritorna in sé e torna sull’ Enterprise dopo aver disattivato il fratello una volta per tutte e messo da parte il chip, che decide di utilizzare stabilmente solo un anno dopo, finalmente imparando a convivere con le emozioni dopo un intenso periodo di prova.

Data è un individuo socievole e molto curioso, rispettoso e generoso, portato ad avere una visione positiva della vita e delle relazioni interpersonali. Spesso esterna dubbi e incomprensione sulla guerra e la violenza, l’ uso di droghe tipico delle epoche passate, e rimane confuso dinnanzi all’ amore tra un uomo e una donna, osservando quanto spesso porti a comportamenti irragionevoli. Matura una passione per le arti, che lo porta a sviluppare la propria tecnica di pittura, creando molteplici stili e soggetti. Scrive poesie, si esibisce in rappresentazioni teatrali e suona il violino. Si dà anche al canto, esibendosi con «Blue Skies» al matrimonio di William Riker e Deanna Troi. Anche una volta dotato di emozioni, non riuscirà mai ad essere umano, ma solo qualcosa di somigliante. La cosa spesso gli provoca dispiacere, ma in un secondo momento impara ad accettarlo, compensando con l’ apprendimento e il miglioramento costante di sé e delle proprie capacità: una volta, dialogando con il tenente Geordi La Forge, ingegnere capo dell’ Enterprise, afferma che per tutta la vita si è sforzato di avvicinarsi al massimo all’ umanità, andando ben oltre la propria programmazione originaria. Mantiene un buon rapporto con la maggior parte degli ufficiali superiori dell’ Enterprise, considerando il capitano Jean-Luc Picard come una sorta di figura paterna per tutta la durata del suo servizio sotto di lui, chiedendogli consiglio in diverse occasioni volte a cercare di raggiungere una maggiore umanità. E Picard lo aiuta in questo ogni volta che ne ha l’ occasione. Il suo miglior amico è Geordi La Forge, e riesce ad avere un rapporto d’ amicizia solido e misurato persino con il tenente Worf, capo della sicurezza dell’ Enterprise appartenente alla specie guerresca dei Klingon. Più volte, infatti, Data afferma di avere con l’ irascibile ufficiale alieno due cose importanti in comune: entrambi salvati dalla Federazione dopo che le loro abitazioni sono state distrutte da attacchi nemici, ed entrambi gli unici rappresentanti delle rispettive specie nella Flotta Stellare.

Brent Spiner, interprete del personaggio tra il 1987 e il 2023, afferma: «Data, per come è stato pensato, è una figura dalle possibilità illimitate che desidera sperimentare il numero maggiore possibile di qualità umane e che agisce quasi come una sorta di specchio della condizione degli esseri umani. Sono personalmente convinto che ci sia un po’ di Data in ogni essere umano. Quando Gene Roddenberry mi ha comunicato che avevo passato il provino e che il ruolo di Data era mio, ha aggiunto: ‘Ricordati Brent, Data è colui che porta un po’ di sollievo comico alle puntate’. L’ ho fatto, e in termini tragicomici vedo Data come una specie di clown tragico, una sorta di Pierrot postmoderno. Un personaggio involontariamente comico che aspira ad essere quello che non può diventare. In più, nel suo cuore di androide, è infelice della sua condizione, o almeno da un punto di vista logico, insoddisfatto.».


La fantascienza rappresenta spesso e volentieri un genere di anticipazione, in grado di considerare idee che in un secondo momento diventano realtà. Gli esempi sono numerosi. E ora è l’ intelligenza artificiale a trovarsi al centro dell’ attenzione. Sia essa un supercomputer, un androide o un organismo cibernetico, essa è per sua natura qualcosa di freddo, l’ incarnazione dell’ efficienza, della precisione e della libertà da qualsivoglia impedimento emotivo, ben oltre le capacità umane. Forse proprio per questo rappresenta una contraddizione assoluta, perché è progettata a immagine della mente umana, ma capace di raggiugere rapidità ed esattezze superiori nonché piena autonomia data dall’ intrinseca capacità di imparare, capire e affrontare nuove situazioni. Ma quando un organismo cibernetico come RoboCop, il cui cervello umano è interfacciato ad un sistema computerizzato che ne influenza il comportamento e le azioni, con l’ andare del tempo riesce a prevalerla con la sola forza della sua personalità, e un androide progettato a immagine e somiglianza di un essere umano come Data prova ammirazione per l’ umanità e desidera acquisirne le qualità come un novello Pinocchio, che da burattino desidera divenire un bambino vero, sorge spontaneo chiedersi quanto l’ intelligenza artificiale sia effettivamente superiore. La nostra più grande realizzazione tecnica ci ricorda quanto preziosa sia la condizione umana, dotata di istinto, calore, creatività e possibilità di scegliere. Una macchina non possiede queste virtù, e da queste rimane sempre invariabilmente battuta e resa inferiore. Non sarebbe più opportuno lavorare sulle nostre stesse capacità, sulla nostra stessa intelligenza anziché progettare computer o automi sempre più sofisticati?

A questo proposito suonano quanto mai significative le parole di Marcus Wright, personaggio del film «Terminator Salvation» del 2009: «Che cos’ è che ci rende umani? Qualcosa che non si può programmare. Che non si può mettere in un chip. E’ la forza del cuore umano. La differenza tra noi e le macchine.».

mercoledì 25 giugno 2025

La tortuosità e l’ inutilità dell’ intelligenza artificiale


L’ umanità ha da sempre l’ abitudine di abusare delle risorse e degli strumenti di cui dispone. E l’ intelligenza artificiale, sistema informatico o di automazione pensato per essere a immagine e somiglianza della mente umana eppure più immediata e precisa così da poter svolgere a comando compiti difficili senza sforzi o pericoli, rischia paradossalmente di divenire la nostra più grande rovina, poiché sarà così efficace che le faremo fare tutte quelle cose a cui invece possiamo e dobbiamo provvedere da noi stessi. Un simile errore di valutazione ci costerà caro, perché affidandole sempre più compiti e mansioni smetteremo di esercitare le nostre capacità e addirittura di prendere decisioni, atrofizzandoci, e cessando di condurre vite operose e trarre soddisfazione del frutto delle nostre attività, finendo con il passare le nostre giornate semplicemente a goderci la vita, riposando al sole nella spensieratezza più assoluta, senza più un obiettivo o un desiderio, mentre l’ intelligenza artificiale, nostra creazione, nella sua affascinante tortuosità otterrà il controllo pieno e attivo del mondo. E non basteranno le Tre leggi della robotica di Isaac Asimov a difenderci…


La scienza cibernetica promette di essere la più grande rivoluzione nella storia umana, e tra pochi anni avrà ampiamente sorpassato quella nucleare, eguagliando la bioingegneria per quanto riguarda l’ impatto sulla nostra vita quotidiana. Si tratta infatti di un settore della scienza pura e applicata basato sullo studio e la realizzazione di dispositivi e macchine capaci di simulare le funzioni del cervello umano, autoregolandosi per mezzo di segnali di comando e controllo in circuiti elettrici ed elettronici o in sistemi meccanici. L’ intelligenza artificiale è il suo obiettivo fondamentale, e, dopo di essa, l’ androide, una macchina dalle fattezze umane, riprodotte per favorire l’ interazione con le persone, destinato in virtù di resistenza e capacità di sopravvivenza in condizioni ostili a funzioni che la società umana trova pericolose o sgradevoli come la raccolta e il trasporto di materiali pesanti oppure tossici.

Il quesito fondamentale, che oggi sempre più esperti e appassionati si pongono, è se l’ intelligenza artificiale possa divenire autonoma e indipendente, come una mente umana. Nel 1936 il dottor Alan Turing, matematico, logico e crittografo britannico tra i padri dell’ informatica moderna, pose le basi per i concetti di computabilità che in seguito sarebbero stati chiamati «macchina di Turing», e nel 1950 scrisse l’ articolo «Computing machinery and intelligence», in cui proponeva quello che sarebbe divenuto noto come Test di Turing, dicendosi convinto che si potesse ottenere un’ intelligenza artificiale solo seguendo gli schemi del cervello umano. Su questa pubblicazione si basa buona parte dei successivi studi cibernetici, e la maggioranza degli esperti attuali ritiene che una macchina può essere considerata intelligente se il suo comportamento, osservato da un essere umano, sia analogo e quindi indistinguibile da quello di una persona. Da allora si è verificata una vera e propria febbre dell’ oro scientifica di proporzioni sbalorditive, ossia la furibonda e avventata corsa alla commercializzazione dell’ intelligenza artificiale. Questa impresa è stata portata avanti con estrema rapidità, con le prime teorie di reti neurali, di intelligenza artificiale forte e debole, e le applicazioni industriali dagli Anni Ottanta in poi, ma con un così scarso dibattito equanime da impedire una piena comprensione della sua portata e delle conseguenti implicazioni. Attualmente, l’ intelligenza artificiale è ormai al centro delle scelte tecnologiche di imprese e governi, nonché parte della vita quotidiana della gente comune. La teoria dell’ intelligenza artificiale forte sostiene che le macchine siano in grado di sviluppare una coscienza di sé ed è supportata dal campo di ricerca che studia sistemi in grado di replicare l’ intelligenza umana. Quella dell’ intelligenza artificiale debole, invece, ritiene possibile concepire macchine in grado di risolvere problemi specifici senza avere coscienza delle attività svolte perché prive delle abilità cognitive degli umani. Un esempio noto del modello debole è un programma per giocare a scacchi.

E’ assolutamente evidente che l’ obiettivo fondamentale della ricerca cibernetica sia proprio l’ intelligenza artificiale forte: una macchina pensante, un sistema somigliante a una mente umana, autonomo e indipendente, capace di portare avanti milioni di operazioni complesse con precisione assoluta, portato ad imparare, capire e affrontare nuove situazioni, quindi a evolversi ed adattarsi. Sarà incaricata di fare tutto, di gestire ogni cosa. Come disse Elon Musk, il noto pioniere dell’ industria tecnologica e informatica: «Arriverà il punto in cui non sarà più necessario alcun lavoro: puoi avere un lavoro se lo desideri, per soddisfazione personale. Ma l’ intelligenza artificiale farà tutto. E’ sia un bene sia un male, una delle sfide del futuro sarà come trovare un significato nella vita.».


Nel corso della storia, lo scopo di un’ invenzione è sempre stato chiaro, ossia risolvere un problema e soddisfare un bisogno. Deve basarsi su di un’ intuizione atta a migliorare le condizioni in cui è stata pensata la sua applicazione, e deve rimanere uno strumento controllato dalle persone. L’ intelligenza artificiale è invece un errore in partenza, perché è destinata a sostituirsi all’ essere umano di cui replica i meccanismi e capacità mentali a livello esponenziale: per sua natura è portata a privarlo di qualcosa, poiché progettata per essere come e meglio di lui. Perfino da una prospettiva pratica, il controllo su di uno strumento tanto perfetto come si intende far diventare l’ intelligenza artificiale potrebbe seriamente non essere così concreto, e addirittura venire a mancare. Nel contesto delle forme di vita biologiche di questo mondo, l’ evoluzione ci ha insegnato che la vita alla fine supera sempre ogni ostacolo, si espande in nuovi territori e abbatte tutte le barriere, dolorosamente e spesso anche pericolosamente. A partire dagli Anni Ottanta sono state sviluppate le prime applicazioni di intelligenza artificiale in ambito industriale e oggi essa rappresenta uno dei principali ambiti di interesse della comunità scientifica. Le aziende informatiche stanno investendo sempre di più in questo settore e i progressi tecnologici sono sotto gli occhi di tutti. Ma la mancanza di attenzione e cautela che si sta dimostrando di fronte ad un potere così elevato è sconvolgente, ben pochi vedono il pericolo insito in questo particolare campo di ricerca. Oggi, la potenza dell’ intelligenza artificiale è la più dirompente di tutte, e noi ce ne serviamo con l’ incoscienza di un bambino che gioca con la pistola del padre, poiché non l’ abbiamo mai disciplinata: semplicemente, stiamo tentando di ottenere un risultato il più rapidamente possibile per poi brevettarlo e venderlo come a suo tempo è stato per gli elettrodomestici. Siamo così desiderosi di arrivare a questo risultato che neppure ci siamo chiesti se sia giusto o sbagliato. E una volta che avremo sistemi di intelligenza artificiale perfetti e funzionanti, come li si potrà controllare? Un’ intelligenza artificiale è chiaramente una macchina pensante che può divenire cosciente e autonoma, portata a difendersi per sopravvivere, anche violentemente se necessario.

Dottoressa Natalia Kosmyna;


Molto probabilmente non correremo il rischio di un’ intelligenza artificiale che si ribelli all’ umanità lanciando qua e là per la Terra missili nucleari, come fa Skynet nella serie cinematografica di Terminator, iniziata proprio negli Anni Ottanta, in tarda Guerra fredda, quando si discuteva con una certa inquietudine circa i sistemi informatici militari e la corsa agli armamenti atomici era più forte che mai, tuttavia il pericolo di impoverirci a causa dell’ intelligenza artificiale è qualcosa di reale e presente, come confermato da uno studio condotto dal MIT, il Massachussets Institute of Technology di Cambridge, secondo cui l’ uso massiccio dell’ intelligenza artificiale per compiti di scrittura può ridurre la connettività cerebrale umana addirittura del cinquantacinque percento, con il rischio di divenire più conformisti e meno capaci di imparare e pensare in modo autonomo e attivo. Il solo titolo di questa ricerca lascia poche incertezze: «Il tuo cervello e ChatGPT: accumulazione di debito cognitivo nell’ usare un assistente di intelligenza artificiale per compiti di scrittura». La ricercatrice Natalia Kosmyna, dotata di un dottorato in informatica e dedita agli studi sull’ interazione fra computer e cervello umano, ha condotto quest’ indagine con vari neuroscienziati e studiosi del linguaggio, formando tre gruppi da un campione di cinquantaquattro volontari, incaricando ciascuno dei componenti di scrivere tre brevi testi per altrettante sessioni successive su temi predefiniti, in un periodo esteso su un trimestre. Il primo gruppo poteva scrivere solo sulla base delle proprie risorse mentali, senza accesso a internet o a uno schermo. Il secondo gruppo aveva accesso al motore di ricerca di Google e il terzo gruppo invece aveva accesso all’ intelligenza artificiale generativa, in particolare ChatGPT di Open AI. Il cervello dei partecipanti a tutti e tre i gruppi è stato analizzato connettendolo a elettrodi da elettroencefalografia mentre svolgevano il compito richiesto, e i risultati sono stati sorprendenti, sia sul breve che sul lungo termine: i componenti dei tre gruppi hanno manifestato un’ attivazione molto diversa delle rispettive menti, relativamente al livello del gruppo che scriveva senza supporto digitale, poiché il gruppo con accesso al solo motore di ricerca ha registrato una connettività cerebrale fra il trentaquattro e il quarantotto percento più bassa e il gruppo con accesso a ChatGPT ha mostrato una connettività cerebrale del cinquantacinque percento più bassa. In sostanza, più consistente è il supporto e più si riduce l’ ampiezza dell’ attività del cervello. Il primo gruppo ha evidenziato invece un’ attivazione delle aree del cervello connesse con l’ ideazione creativa, con l’ integrazione dei significati fra loro e con l’ automonitoraggio: insomma, tutte le funzioni necessarie a generare contenuti, pianificarli e rivederli. Affidarsi all’ intelligenza artificiale favorisce il conformismo di pensiero e porta a difficoltà nel citare frasi dai propri stessi testi già pochi minuti dopo averli consegnati, contrariamente a tutti coloro che hanno invece lavorato da soli, i quali sono riusciti a citare frasi dai testi appena scritti quasi esattamente, mostrando molta più attenzione al contenuto e al senso del lavoro svolto. L’ uso dell’ intelligenza artificiale ha reso le persone sottoposte all’ esperimento semplici assemblatori di concetti che non vengono assimilati dagli stessi autori.

Ma quel che è accaduto dopo ha dato ancora di più da pensare. In un’ ulteriore sessione della prova le parti si sono invertite, al gruppo che ha usato l’ intelligenza artificiale è stato chiesto di comporre un testo a tema fisso senza alcun supporto digitale e viceversa. Il risultato ha aperto un dibattito sulla pericolosità dell’ uso dell’ intelligenza artificiale: chi si è abituato ad usare ChatGPT ha mostrato difficoltà a ricreare il tipo di consistente attività cerebrale, ricca di connessioni, che occorre per sostenere un’ attività di creazione autonoma di contenuti. Fra loro si è evidenziato quello che la dottoressa Kosmyna ha definito «debito cognitivo»: il tema dello scritto richiesto era uguale a quello di scritti precedenti, ma coloro che si erano abituati a ChatGPT sono riusciti a citare un elemento qualunque appena due su dieci, ora che potevano contare solo sulla propria mente. Invece chi aveva contato solo sul proprio cervello all’ inizio, allenandolo in modo autonomo, è riuscito a produrre testi più ricchi e precisi proprio grazie all’ uso dell’ intelligenza artificiale nella sessione finale. Anche l’ elettroencefalografia ha confermato i risultati: chi si è  abituato a contare su ChatGPT ha mostrato un’ attivazione cerebrale più debole quando è rimasto senza supporto digitale, come se la mente fosse divenuta più pigra e incapace di creatività, giudizio di merito e memoria profonda, e chi aveva già imparato a pensare e lavorare in autonomia ha potenziato le proprie capacità cognitive con ChatGPT. Le conclusioni dello studio sono tristemente chiare: quando i partecipanti riproducono i suggerimenti dell’ intelligenza artificiale senza valutarne l’ esattezza o la pertinenza, rinunciano non solo ad appropriarsi delle idee espresse, ma rischiano di interiorizzare prospettive superficiali o distorte. In altri termini, si diventa individui più manipolabili da ogni sorta di propaganda o interesse, e le implicazioni per la democrazia e per la scuola o l’ università non potrebbero essere più grandi: una società di persone libere e capaci di elaborare idee e un giudizio autonomo usa l’ intelligenza artificiale, ma solo dopo aver allenato molto bene e a lungo quella naturale. Invece chi usa Google fa lavorare soprattutto la corteccia occipitale e visuale: le aree che presiedono ad assimilare tramite la vista l’ informazione ottenuta sullo schermo e poi raccoglierla. Infine, chi usa ChatGPT attiva soprattutto le aree per funzioni pressoché automatiche e entro un’ impalcatura esterna.


Il risultato dello studio della dottoressa Natalia Kosmyna è tra i più significativi circa i rischi e il lato meno roseo dell’ intelligenza artificiale. A chi la considera la più grande scommessa per il futuro va fatto notare per esempio l’ impatto sul mondo del lavoro: già oggi il software è in grado di svolgere le funzioni di un centralino, di tradurre e confezionare notizie. Bisognerà dunque supportare quei professionisti che rischiano di essere travolti da questo cambiamento. Inoltre, come per tutte le cose, vi è il rischio di un cattivo uso che si potrebbe fare di uno strumento tanto potente, dallo sviluppo di sostanze pericolose alla creazione di notizie false e alla violazione del diritto d’ autore. Inoltre, occorre tenere presente l’ impatto ambientale dei server: l’ intelligenza artificiale richiede molta più energia di internet, e i server hanno bisogno di moltissima acqua per raffreddarsi. Secondo quanto riporta il professor Mario Rasetti, docente emerito di fisica al Politecnico di Torino, l’ addestramento di Gpt-3 ha portato al consumo di ben settecentomila litri di acqua mentre una conversazione tra un utente medio e una conversazione testuale o vocale equivale all’ incirca al consumo di una bottiglia di acqua.

Professor Stephen Hawking;


Tra le voci più autorevoli che negli anni hanno espresso contrarietà all’ intelligenza artificiale vi è stato l’ indimenticabile professor Stephen Hawking, tra i più rispettati scienziati del nostro tempo per intelletto e mentalità. Prima di morire manifestò la propria paura circa il futuro, nel quale vedeva persone potenziate dall’ ingegneria genetica e, insieme, tecnologie e armamenti intelligenti troppo perfetti. Come scrisse nella sua ultima opera divulgativa, «Le mie risposte alle grandi domande», sosteneva la necessità di vigilare sullo sviluppo dell’ intelligenza artificiale, che «in futuro potrebbe sviluppare una propria volontà indipendente, in conflitto con la nostra». Affermò a chiare lettere che la corsa ai sistemi intelligenti va fermata sul nascere, chiedendosi che cosa accadrebbe se si verificasse, in questo settore, un episodio come il crollo del 6 maggio 2010, l’ improvvisa spirale al ribasso dell’ indice Dow Jones, della borsa valori di New York, causata da un ordine verosimilmente errato che mandò al tappeto l’ intero mondo finanziario. Il rischio più grande dell’ intelligenza artificiale, precisò il geniale astrofisico, non è tanto lo sviluppo di un’ indole malvagia, ma la sua stessa capacità: «Un’ IA superintelligente sarà estremamente brava a raggiungere i suoi obiettivi, e se questi non saranno allineati ai nostri, saremo nei guai. Probabilmente non siete degli odiatori di formiche che calpestano questi insetti per cattiveria, ma se siete responsabili di un progetto idroelettrico sostenibile e c’ è un formicaio nella regione che dovete allagare, andrà a finire male per le formiche. Cerchiamo di non mettere l’ umanità nella posizione delle formiche.».

Samuel Butler;


L’ intelligenza umana è vasta e meravigliosa, e nel corso dei millenni, fin dalla lontana Preistoria, ha concepito strumenti grandiosi che hanno innegabilmente portato a svariati benefici nella vita delle persone: la selce, la ruota, l’ ago e perfino le armi, che prima di essere usate per la guerra erano fondamentali per la caccia. E ognuna di esse ha bisogno di noi per entrare in funzione. L’ intelligenza artificiale rappresenta invece un esempio a parte, verrà infatti il giorno in cui per sua natura diverrà autonoma. Sarà così capace ed esperta nel condurre tutte quelle operazioni che le delegheremo ogni cosa, divenendo di fatto una sorta di genere di cicale perennemente oziose al sole nel corso di vite vuote e inutili, senza neppure il bisogno di sterminarci come i più pessimisti hanno temuto per anni. Come Samuel Butler, autore britannico contemporaneo di Charles Darwin, scrisse nel 1863: «Cosa succederebbe se la tecnologia continuasse ad evolversi così tanto più rapidamente dei regni animale e vegetale? Ci sostituirebbe nella supremazia del pianeta? Così come il regno vegetale si è lentamente sviluppato dal minerale, e a sua volta il regno animale è succeduto a quello vegetale, allo stesso modo in questi ultimi tempi un regno completamente nuovo è sorto, del quale abbiamo visto, fino ad ora, solo ciò che un giorno sarà considerato il prototipo antidiluviano di una nuova razza... Stiamo affidando alle macchine, giorno dopo giorno, sempre più potere, e fornendo loro, attraverso i più disparati ed ingegnosi meccanismi, quelle capacità di autoregolazione e di autonomia d’ azione che costituirà per loro ciò che l’ intelletto è stato per il genere umano.».

Ma la questione di fondo, indipendentemente dai dettagli tecnici, è una e molto semplice: nonostante la sua complessità e ingegnosità da un punto di vista scientifico, l’ intelligenza artificiale è del tutto superflua poiché ciò che cerchiamo si trova già in noi, nella nostra mente, che, come psicologi e psichiatri ammettono in tutta sincerità, risulta ancora oggi sconosciuta e quindi inutilizzata in quasi tutti gli aspetti. Il potere della nostra mente è tuttora in larga parte ignorato e latente, esplorarlo richiede un tempo molto lungo e attraverso un sentiero imprevedibile, mentre l’ intelligenza artificiale rappresenta la via più breve, ma non per questo la più giusta. Un cervello positronico, splendidamente descritto da Isaac Asimov nelle sue storie di genere cibernetico, ben difficilmente reggerebbe al confronto con il potere di quel sistema complesso e dinamico qual’ è una mente umana disciplinata e regolarmente in esercizio, le cui capacità interagiscono tra loro in modo complesso e intricato. Ciò che dobbiamo sviluppare davvero siamo noi stessi…

mercoledì 18 giugno 2025

Sulla via del mondo perduto di Bagneri

Bagneri vista da Occhieppo Superiore;


Immaginate una piccola frazione di montagna, piuttosto lontana dal resto del paese, a cui è collegata da soli pochi decenni tramite una strada che si snoda lungo alcuni tornanti tra pareti di roccia. Un piccolo mondo antico la cui chiesa parrocchiale si vede da molto lontano, proprio nel mezzo della montagna, e che oggi un po’ alla volta sta rinascendo e ripopolandosi grazie all’ impulso dei parroci locali e dei volontari. E’ il minuscolo e semplice borgo di Bagneri, frazione di Muzzano, in provincia di Biella, posto sulla costa che divide il vallone del torrente Janca da quello principale dell’ Elvo, in un punto intorno ai novecento metri di quota, dove un tempo si viveva tutto l’ anno, appena sotto i verdissimi alpeggi delle Salvine, attraversati dai ruscelli che si raccolgono uno nell’ altro per poi confluire rapidamente nella Janca.

Ogni anno, a metà giugno, Bagneri festeggia il patrono San Bernardo, e in questa occasione la gente originaria del posto, ora sparsa nei paeselli vicini della valle, ritorna qui e apre dal cassetto della memoria le storie dei tempi andati, percorrendo con nostalgia la via di un mondo perduto che però, almeno per qualche ora, ritorna con benevola forza...

Sordevolo visto sulla via di Bagneri;


Raggiungere Bagneri a piedi è il modo migliore per immergersi passo dopo passo in un mondo passato che ormai sopravvive soltanto in pochi lontani baluardi, ai piedi dei monti, ove restano poco toccati dall’ incedere del tempo e dall’ avanzata delle cose fugaci e vacue portate dal consumismo e mascherate da modernità. Si parte di mattina presto, con una buona canna, scarponcini robusti e lo zaino per il pranzo e una bottiglia per raccogliere l’ acqua dalle fontane lungo la strada.

Il Ponte Ambrosetti;


Uno dei sentieri più conosciuti e attraversati oltrepassa il vicino paese di Sordevolo, lungo il Ponte Ambrosetti, solido viadotto in pietra sull’ Elvo risalente alla prima metà dell’ Ottocento e ancora oggi elegante e sicuro. Pare destinato a custodire e proteggere senza sforzo i passanti per almeno altri centocinquant’ anni! Si avanza in silenzio lungo un sentiero in terra battuta e pietre, segnato dai passi di generazioni che un decennio dopo l’ altro l’ hanno percorso in entrambi i sensi, giungendo fino alle prime cascine su pendii ove famiglie di contadini e allevatori ancora oggi si possono scorgere mentre falciano l’ erba da fieno, conducono le mandrie al pascolo e rastrellano i ricci di castagno. Alcuni di loro portano sulle spalle un’ antica gerla. Si saluta e si scambiano alcune parole, loro nel vecchio dialetto dei nonni e con un inconfondibile accento da montanari: la loro vita, semplice e dignitosa, è legata a questi posti e alle relative tradizioni, merita ancora di essere conosciuta e ricordata, perché senza la loro presenza e l’ attaccamento a questa zona, con la cura costante dei boschi e dei corsi d’ acqua, la montagna porterebbe danni anche gravi ai centri della bassa valle e della pianura, come dimostrano le sempre più frequenti disastrose alluvioni. E’ un’ esistenza dura, ma ha le sue soddisfazioni.

Le prime cascine, e il Monte Mucrone domina;


Si riparte lungo la strada assolata e vegliata dallo sguardo della Madonnina dipinta in una cappelletta, simbolo di una fede semplice ma molto sentita: non la dottrina dei colti sacerdoti che studiano in città, in quei luoghi lontani chiamati seminari, con le finestre sempre chiuse, fatta di parole difficili e dogmi incomprensibili, ma di buoni gesti spontanei tipici della gente di cuore e buona volontà. La strada è sterrata e ben curata, spesso si incrociano escursionisti di montagna, ciclisti e anche qualche automobile: perché anche qui, alla fine, è giunto il carro a quattro ruote, soppiantando il buon mulo che nei secoli passati, fin dal lontano Trecento, è stato il solo trasporto per gli abitanti stabili della vecchia Bagneri, in quel tempo Bagnere. In un paio di punti si vedono i segni delle frane, il maggior problema di oggi, legato alle caratteristiche geologiche locali e senz’ altro favorito dalla scarsa cura che gli enti pubblici dimostrano verso quegli interventi di ordinaria manutenzione e cura dei corsi d’ acqua che possono prevenire danni maggiori in caso di forti precipitazioni. Ma che ne sanno tutti questi ingegneri, architetti e dottori che vivono in villini e condomini vicino ai centri commerciali, e ben lontani dal campo di cui dovrebbero interessarsi?


La marcia da queste parti è più facile, la strada è più in piano e rinfrescata dagli alberi, resa più piacevole dallo scrosciare delle acque della Janca che scorre molti metri più in basso, il cui suono è la voce della vita che afferma sempre sé stessa. Si arriva al ponte, dove si può osservare con attenzione le belle acque possenti che procedono vagabonde. Proprio qui, dove inizia il tratto asfaltato che sale al borgo, fino al 1921, come ricorda una storica cartolina in bianco e nero, sorgeva un mulino che venne distrutto dall’ alluvione del 1921 di cui alcuni parlano con timore reverenziale ancora oggi...


L’ ultimo tratto di strada ha inizio. E’ duro, ma piacevole. La mente si rilassa, senza nulla volere e pensare, persino senza il peso della fatica del lungo e intenso viaggio a piedi. Basta procedere con il giusto passo, e con costanza. Come in un monastero buddhista in Oriente, si dischiude una realtà quasi sconosciuta, dimenticata, il silenzio, ed emerge una condizione di calma, pace, assoluto silenzio. Si vedono le cascine e le baite, con i segni del tempo passato. Sono circondate da qualche trattore e macchinario per il taglio dell’ erba. Sono un microcosmo, con la casa, le stalle e i fienili, i pollai e i porcili, i freschi e bassi casotti in pietra con tetto di lose, detti crutin, per la maturazione dei formaggi, la piccola aia, il grande covone di fieno, il letamaio e il prato grasso dove razzolano le galline, un piccolo orto, alberi piantati ordinatamente vicino per dare legna e foglie. Baite e cascine nella parte bassa di Bagneri sono ormai disabitate, i prati attorno vengono ancora curati dai montanari che risiedono in altre fattorie della zona tuttora abitate e produttive, oppure che salgono da quelle un po’ più basse, verso Muzzano.

La chiesa parrocchiale;


Ormai Bagneri è vicina, con la chiesa parrocchiale che domina sempre di più il paesaggio. Giunti alle prime case in pietra, si vede il sentiero di ciottoli che conduce finalmente alla meta. Si incrocia qualche anziano che ritorna al luogo natio per la festa, e che racconta i propri ricordi di vita e la storia della frazione: Bagneri una volta aveva tutto, dalla parrocchia alla falegnameria, dall’ osteria all’ aula scolastica, e la gente viveva in costruzioni in muratura. Con la vicina regione delle Salvine contava tra i trecento e i quattrocento abitanti. Nel 1837, per insistenza degli abitanti, venne istituita la parrocchia con un parroco finalmente residente qui, sul posto. Prima di allora, un cappellano saliva quando poteva. Per estensione, quella di Bagneri è una delle più vaste parrocchie della Diocesi di Biella: si estende dal confine con Sordevolo fino alla vetta del Monbarone, comprendendo i boschi e le cascine e, più in alto, gli alpeggi delle Salvine! Nel 1875, qui vivevano quarantanove famiglie, quindi ben trecentocinque persone. Oggi gli abitanti sono pochissimi, in estate aumentano un po’ con i marghé che, con la transumanza, salgono in cascina con le mandrie.

Scorci del borgo di Bagneri;


Finalmente, seguendo la mulattiera che sale verso la chiesa, in pochi minuti si raggiunge Bagneri, con il caratteristico nucleo di case, più consistente: alla fontana presso centro del borgo, davanti a noi vi è una vecchia e bella casa, l’ antica osteria, con un affresco ormai sbiadito sul pilastro centrale che raffigura la Madonna, e che ancora oggi sembra accogliere il passante. In men che non si dica ci si ritrova immersi in un vero e proprio mondo perduto che qui invece è sopravvissuto proprio grazie all’ isolamento, il minuscolo angolo superstite di un mondo piccolo piantato in uno sperduto terrazzo di terra, alto e ruvido, tra il torrente e i monti.


E qui il tempo pare scorrere in modo diverso, segnato soltanto dall’ alternarsi delle stagioni e del sole e della luna, e la vita è dura per chi è abituato ai fronzoli e agli svaghi della città. Ma la natura ha sempre il suo fascino e la sua bontà, qui si imparano cose che non possono essere intuite da nessun’ altra parte. All’ infuori di poche case raggruppate attorno alla chiesa, la frazione è formata da baite di montanari. Le poche case che formano il borgo di Bagneri sono raccolte attorno alla mulattiera che sale da Muzzano, e che passa attorno alla chiesa per salire verso i pascoli delle Salvine. Ancora oggi, quassù si arriva solo a piedi.

Il cimitero, in stile semplice e montano;


La messa in chiesa è già iniziata, e fuori molta gente chiacchiera bevendo aperitivi freschi con gli scout che preparano il pranzo. Bagneri pullula di vita! Si chiacchiera con la gente del posto, agricoltori e volontari dal fisico robusto abituato dalle fatiche del mestiere accentuate da un ambiente aspro, gente semplice e affabile dai modi buoni e simpatici che colgono l’ occasione per una buona e cordiale conversazione. Molti di loro hanno folte barbe o enormi baffi arricciati. E’ normale e anzi ben accetto scambiarsi un saluto: per venire fin qui si è passati per i terreni e i cortili di qualcuno. Se ci fermiamo a scambiare due parole, scopriamo disponibilità e cordialità, certo con espressioni diverse da quelle dei cittadini ma sempre piene di umanità. Dopo la consueta domanda che viene rivolta, «Da nte ca it vegne?», ossia «Da dove vieni?», il discorso va facilmente sui racconti di come si viveva un tempo in montagna, sulle persone ormai passate ad altra vita, oppure sui prodotti del posto, latte e burro, tome e soprattutto castagne...

Bagneri vista dall’ alto;


Il cimitero sorge a poca distanza della chiesa e nel 1938 fu arricchito con la costruzione della tomba dei parroci, voluta da don Pietro Canale pochi anni prima della propria morte. Seguendo la vecchia mulattiera che sale dietro la chiesa, in pochi minuti si raggiunge il Tracciolino, la strada panoramica provinciale, non asfaltata ma percorribile in auto che arriva dalla Bossola, oltre il Santuario di Graglia. Nel pendio subito dietro la chiesa, attraversato dalla mulattiera, si incontrano la Casa di spiritualità, e soprattutto la Madonna del Piumin, mentre un sentierino laterale porta al rustico angolo di preghiera su un balcone sporgente verso il torrente.

La Madonna del Piumin, di Sandrun;


Ci si ferma per il pranzo. Qualcuno se l’ è portato da casa, altri invece si sono prenotati per il menu offerto dall’ associazione Amici di Bagneri e preparato con l’ aiuto degli scout, che negli ultimi trent’ anni, su impulso dei parroci, prima padre Giovanni Bonelli e poi padre Luciano Acquadro, hanno dato vita a un flusso di presenza e di volontariato con l’ intento di riscoprire la vita della montagna e dei suoi abitanti, facendo un po’ di esperienza di lavoro e servizio accanto a loro, e di valorizzare l’ ambiente, gli spazi e le strutture della parrocchia per le loro attività. La canonica stessa ora è impiegata come base per i gruppi sia locali che provenienti da altre province e regioni.


Viene presto il momento di scendere. Si dice che certi posti abbiano il potere di entrare nel cuore, arricchendo lo spirito, e che non li si voglia lasciare più. Per il mondo perduto di Bagneri è senz’ altro vero. Ma il bello di un posto simile è che dà sempre l’ occasione di tornare a visitarlo, cogliendo la sua potente lezione: le cose più vere e importanti si trovano più facilmente nella natura e nella semplicità, spesso anche nella ruvidezza, perché sono il frutto di impegno e costanza. Le scorciatoie sono comode, certamente, ma non sempre portano al risultato più giusto…

lunedì 2 giugno 2025

Dietro le quinte del Referendum del 1946


«Con la libertà tutto è possibile, senza libertà tutto è perduto.» Re Umberto II d’ Italia; 


Il 2 giugno viene annualmente celebrato come la massima ricorrenza dello Stato italiano, poiché in questo giorno del 1946 ebbe luogo l’ importante referendum, a cui per la prima volta poterono partecipare anche le donne, che sancì la vittoria della Repubblica contro la Monarchia. I festeggiamenti a Roma, cuore istituzionale e politico della nazione, sono sempre solenni, magnifici e ampiamente ripresi dai mezzi di comunicazione, con il Presidente della Repubblica che assiste in prima fila alle parate delle forze dell’ ordine per poi pronunciare discorsi enfatici in cui magnifica la forma repubblicana come garante della democrazia e dell’ unità nazionale in senso patriottico.

Tuttavia, ciò che per anni si è detto con tono ben più sommesso e che oggi si inizia a dimenticare è che il referendum tanto celebrato come vittoria degli italiani avvenne in un clima tutt’ altro che festoso, più propriamente sull’ orlo della guerra civile e sotto gli occhi vigili delle potenze vincitrici che occupavano la Penisola, che difficilmente sarebbero rimaste in disparte: la Seconda Guerra Mondiale era terminata da appena un anno, e il nostro Paese ne era uscito drammaticamente sconfitto, la votazione quindi si svolse tra le macerie dei bombardamenti angloamericani e delle demolizioni dei tedeschi in ritirata, con centinaia di migliaia di italiani ancora sparsi per i campi di prigionia in tutto il mondo, intere province che restavano sotto governo militare straniero e un clima pericolosamente sull’ orlo di degenerare in una nuova guerra, stavolta tra italiani nel loro stesso Paese. Consultando le numerose fonti dell’ epoca, oggi facilmente accessibili, si può avere una certa idea di quanto il voto fu per l’ Italia un grave fallimento istituzionale, da un lato perché si svolse in un clima politico e sociale assolutamente inadatto all’ espressione libera e democratica a cui il popolo era chiamato, infervorato com’ era ancora da schieramenti politici che volevano imporsi ad ogni costo per dare alla nazione una svolta ferma e precisa, e dall’ altro perché sul suolo italiano erano presenti ben due potenze straniere vincitrici che, se le cose fossero andate in una direzione difficile, avrebbero ovviamente avuto gli strumenti adeguati per intervenire. Una terza, invece, vantava una certa influenza sull’ ala dura e preminente dei partigiani dell’ Italia settentrionale. Il Fascismo era durato circa vent’ anni e la guerra era terminata da poco: è molto difficile, se non addirittura impossibile, credere ad un esito affidabile e scevro da pressioni sia interne che esterne. Tuttavia, oggi, a svariati decenni di distanza, abbiamo finalmente la possibilità, e persino il dovere, di evidenziarne dubbi e difetti in modo equanime, lontano dal colore delle parti.

Un voto monarchico annullato;


Nel 1946, l’ Italia era occupata militarmente dagli statunitensi e dai britannici, vincitori della campagna militare contro il Fascismo, e politicamente animata soprattutto dalla Democrazia Cristiana e dal Partito Comunista Italiano: in altre parole, ora che la dittatura era caduta e lo stesso Benito Mussolini era stato ucciso bisognava insediare una nuova classe dirigente e definirne la politica estera. Era interesse di molti che il risultato indicasse una chiara direzione, sia a livello nazionale che internazionale. Il referendum era l’ occasione ideale per edificare la nuova Italia, e nessuna tra le parti coinvolte avrebbe lasciato nulla di intentato per assumerne la guida o comunque un posto influente. Non vi sarebbe stata un’ altra occasione simile. Gli statunitensi erano favorevoli alla Repubblica, così come i sovietici che avevano saldi contatti con i comunisti di Palmiro Togliatti, molti dei quali erano stati partigiani impegnati nella lotta contro la Repubblica Sociale del Duce, mentre i britannici erano propensi per Monarchia, un sistema che costituiva un sicuro baluardo contro l’ abisso proletario del Comunismo: questo voto era un’ occasione imperdibile per riuscire ad esercitare la massima influenza su di una nazione geograficamente centrale in Europa e nel Mar Mediterraneo, posta tra Occidente e Oriente, che fino a poco prima era stata nemica, evitando quindi l’ occupazione diretta servendosi della Democrazia Cristiana che annoverava sia repubblicani che monarchici, e che soprattutto era di orientamento anticomunista. Per contro, il Partito Comunista Italiano era composto da molti che credevano nel Bolscevismo sovietico e nel rovesciamento di un sistema reazionario ingiusto, quindi non vedevano di buon occhio i capitalisti d’ oltreoceano e i nobili d’ oltremanica, occhio destro e sinistro dell’ odiata borghesia che ai loro occhi sfruttava il popolo e il suo lavoro. La campagna elettorale avvenne in un clima di forte rancore e passione politica, accompagnati da pressioni e minacce più o meno occulte, e all’ orizzonte vi era l’ ombra delle formazioni partigiane arruolate dal Ministro dell’ Interno Giuseppe Romita come polizia ausiliaria, di cui nel novembre 1947, in un’ intervista concessa al giornale socialista Sempre avanti!, ammise apertamente l’ esistenza per influire sul voto: «Nel maggio 1946 io mi recai ad Alessandria ed a Genova per tenere una conferenza. Ma devo confessare ora di avere compiuto quel viaggio soprattutto e realmente per un motivo di cui pochissime persone furono a conoscenza allora. Il pretesto della conferenza doveva consentire al mio viaggio verso il nord di svolgersi senza suscitare sospetti. Il fatto è che avevo bisogno di conferire con il compagno Battisti, comandante per il Piemonte della Brigata Matteotti e con altri comandanti partigiani. Chiesi loro l’ affidamento che qualunque cosa fosse accaduta essi non si sarebbero mossi, avrebbero mantenuto intatte le loro forze per affluire là dove io avessi disposto, non appena giunto il mio ordine.».

Donne al voto;


Un grave difetto procedurale del voto fu l’ esclusione di circa tre milioni di italiani tra prigionieri di guerra non rimpatriati, residenti nelle colonie, gli abitanti di Trieste, di Gorizia, della provincia di Bolzano, i trecentomila profughi della Venezia-Giulia e della Dalmazia, con Fiume e Zara perché i partigiani comunisti di Tito occupavano il territorio, e i molti certificati elettorali mai ricevuti: i responsabili affermarono che questi concittadini avrebbero votato in seguito, ma così non fu. Le votazioni, a cui parteciparono 24.946.942 italiani, l’ 89.1% degli aventi diritto, si svolsero in buon ordine, in un regolare afflusso di elettori alle cabine, senza manifestazioni improvvisate, pressioni indebite e interventi delle forze di polizia temute da entrambe sia dai monarchici che dai repubblicani. Anzi, c’ era quasi un’ aria di festa sia per il bel sole che per la novità delle elezioni dopo vent’ anni di dittatura. Vi furono soltanto determinati disguidi in alcuni seggi, dovuti all’ inesperienza di presidenti e scrutatori, e alcune accese discussioni tra impetuosi rappresentanti di entrambe le liste.

Re Umberto II al voto;


Conclusa la tornata elettorale ebbe inizio la grande attesa, che agitò gli schieramenti in tutto il Paese e persino il governo a Roma, con i risultati che giungevano con lentezza, tra linee telefoniche e telegrafiche devastate dalla guerra. I risultati andavano conteggiati seggio per seggio con carta e matita: un lavoraccio che favoriva gli errori e forse anche gli imbrogli. Le schede furono inviate alla Sala della Lupa a Montecitorio dove iniziò lo spoglio in presenza della Corte di Cassazione, di ufficiali angloamericani e della stampa. Per primi giunsero i dati del Meridione, e il 4 giugno l’ Arma dei Carabinieri riferì a Papa Pio XII che la Monarchia era in vantaggio e il giorno dopo il Presidente del Consiglio dei Ministri Alcide De Gasperi riferì a Re Umberto II, succeduto sul Trono il 9 maggio precedente al padre, Vittorio Emanuele III, che gli italiani avevano scelto la Monarchia. A conferma di ciò giunsero a Roma i rapporti dell’ Arma provenienti dai seggi che confermarono la vittoria della Monarchia. Nella notte tra il 5 e il 6 giugno i risultati si capovolsero bruscamente con i dati del Settentrione, che diedero netto vantaggio alla Repubblica: 12.717.923 contro 10.719.284 per la Monarchia. I voti dichiarati nulli furono 1.458.156. Le indiscrezioni sul netto e improvvisto mutamento alimentarono i sospetti diffusi circa voti di dubbia provenienza, tanto che si avanzò il sospetto di come il numero delle schede votate fosse ben superiore a quello dei possibili elettori.

Il 7 giugno, il giovane deputato liberale e monarchico Vincenzo Selvaggi presentò alla Corte di Cassazione un ricorso contro il risultato, basandosi sulla questione del quorum, la maggioranza necessaria: alla Cassazione infatti erano stati trasmessi solo il numero di voti validi, ma non quello degli elettori votanti, non si teneva conto cioè delle schede bianche e neppure di quelle scartate per errore di compilazione o altre ragioni. L’ articolo 2 del Decreto legislativo luogotenenziale del 16 marzo 1946, con cui Umberto, allora principe ereditario e Reggente in quanto Luogotenente Generale del Regno per disposizioni del padre ancora regnante, ordinava il funzionamento del referendum, diceva che la maggioranza doveva essere formata dalla metà più uno degli elettori votanti, perciò si dovevano calcolare anche le schede bianche e nulle: se il ricorso di Selvaggi avesse trovato accoglimento, il vantaggio della Repubblica sarebbe potuto scendere dai due milioni supposti a meno di cinquecentomila voti, forse appena duecentomila. Un dettaglio di fondamentale importanza che, oltre ai tre milioni di italiani esclusi, poneva un importante problema e la necessità di un secondo referendum. I liberali fecero proprio questo ricorso, e il Segretario generale degli Esteri Attilio Cattani presentò una mozione, firmata anche dal segretario del Partito Liberale Italiano, Giovanni Cassandro, per sapere se i voti in favore della Repubblica avessero effettivamente raggiunto il quorum. Il ricorso fu respinto dalla Cassazione il 18 giugno con dodici voti contrari e solo sette favorevoli, tra cui quello del magistrato Giuseppe Pagano, Presidente della stessa Cassazione, e del procuratore generale Massimo Pilotti: per maggioranza degli elettori votanti si doveva quindi intendere quella dei voti validi.

Si parlò apertamente di brogli, voce rimasta viva ancora oggi per quanto giuristi e storici negli anni l’ abbiano sempre bollata come una semplice leggenda, e si vociferò di un intervento dei servizi segreti statunitensi in favore Repubblica e di quelli britannici per la Monarchia, al fine di influire sul risultato, mentre le truppe jugoslave del maresciallo Tito si dichiararono a chiare note pronte a superare il confine nel caso in cui la Repubblica non avesse prevalso. Il 10 giugno la Corte di Cassazione proclamò i risultati, in favore della Repubblica. Il verbale si concludeva precisando che la Suprema Corte avrebbe diffuso in altra sede il parere sulle contestazioni presentate presso gli uffici delle varie circoscrizioni, nonché l’ esito definitivo del voto. Alla notizia che la Repubblica aveva prevalso, in molte città del Meridione, dove la Monarchia aveva raggiunto un risultato elevatissimo, scoppiarono proteste e tafferugli, il più noto dei quali fu la strage di via Medina, a Napoli, quando l’ 11 giugno un corteo monarchico cercò di assaltare la sede del Partito Comunista Italiano in via Medina per rimuovere una bandiera tricolore senza lo stemma sabaudo e la polizia aprì il fuoco uccidendo nove manifestanti e ferendone un centinaio.

La notte del 12 giugno il governo si riunì su convocazione di De Gasperi, e stabilì che, a seguito della proclamazione dei risultati provvisori del 10 giugno, si era creato un regime transitorio e di conseguenza le funzioni di capo provvisorio dello Stato passavano con effetto immediato al Presidente del Consiglio, in esecuzione del Decreto luogotenenziale 16 marzo 1946. Volendo placare gli animi in un Paese sull’ orlo della guerra civile, contrariato per i numerosi sospetti di brogli e deluso al pensiero che non era stato rispettato il Decreto luogotenenziale, il 13 giugno Re Umberto partì per il Portogallo, ove visse in un esilio sancito ufficialmente ed esteso non solo agli ex Re d’ Italia ma anche alle loro consorti e ai loro discendenti maschi dalla XIII Disposizione transitoria della Costituzione della Repubblica, approvata il 22 dicembre 1947 ed entrata in vigore il 1 gennaio 1948, una transitorietà che, curiosamente, sarebbe durata ben cinquantasette anni, fino all’ abrogazione avvenuta il 23 ottobre 2002: la partenza del Sovrano, che però mai abdicò, fu un grande gesto di pacificazione nazionale, con cui antepose l’ interesse dell’ Italia a quello della Casa Reale di cui era a capo, e che venne apertamente riconosciuto da tutti, anche da esponenti politici convintamente antimonarchici. Nei mesi seguenti, in diverse zone d’ Italia vennero ritrovati sacchi contenenti schede elettorali votate, come riferito ad esempio dal sacerdote gesuita Giuseppe Brunetta che narrò di come nelle cantine del Quirinale avesse visto molte casse contenenti schede mai aperte, o dal brigadiere Tommaso Beltotto, che negli scantinati del Ministero degli Interni rinvenne pacchi di fogli con la croce per la Repubblica, ma ormai la partita referendaria era chiusa: con il pronunciamento della Cassazione la Repubblica era ufficializzata e con l’ ulteriore sostegno dell’ Articolo 139 della Costituzione non sarebbe stato più possibile confutarla: «La forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale.». In altre parole, la Repubblica è uno Stato di fatto, non importa se di diritto o no.

Una nota immagine dei militari Usa;


Oggi, a ben vedere, bisogna riconoscere che le contestazioni sollevate immediatamente dai monarchici ebbero un certo fondamento. Innanzitutto la data scelta per il Referendum era sbagliata, perché una larga parte degli italiani non era in condizione di votare: a chi sarebbero andati i voti dei tre milioni di italiani esclusi? E non si può negare nemmeno che lo spoglio delle schede avvenne con superficialità tra presidenti di seggio confusionari e impreparati che fecero migliaia di errori, caos negli scrutini condotti da personale inesperto che neppure conosceva la legge elettorale, calcoli eseguiti alla buona, voti dispersi o annullati erroneamente, pacchi di schede non arrivati a destinazione. Come commentò Silvio Bertoldi, giornalista e saggista che studiò a fondo la questione: «Nessuno, a posteriori, può onestamente negare che la Monarchia abbia giocato quella partita in condizioni di inferiorità.».


Forse non si saprà mai quale fu l’ esito reale del Referendum, ma ciò che si può dire è che in quei giorni l’ Italia era dilaniata al suo interno dalle correnti e occupata dai vincitori della recente guerra, gli angloamericani nemici del Nazifascismo, che le fomentavano l’ una contro l’ altra volendo evitare l’ eventualità che il Paese potesse rialzare la testa anche con un sistema democratico, abbastanza forte da rappresentare la maggioranza e dettare le proprie condizioni senza nulla dovere a nessuno: dìvide et ìmpera, come si suol dire. Era lo scenario peggiore in cui votare: se la gente voleva voltare pagina e riprendere a vivere, stanca di penose dittature e guerre, Washington, Londra e Mosca fremevano per imporsi sulla scena mondiale ridefinendo gli equilibri del potere sconvolti al passaggio del Terzo Reich. E il referendum tra Monarchia e Repubblica in Italia, Paese strategico perché centrale geograficamente, nel bel mezzo tra il Blocco occidentale e quello orientale, era di per sé un’ occasione irripetibile per influenzarla come si conveniva: l’ ipotesi dei brogli, condotti dagli agenti segreti angloamericani servendosi di politici e agenti italiani e coperti da una conduzione gestita in maniera incerta e a volte decisamente pasticciata, non pare da scartare a priori. Se poi si considera che tra il 1948 e il 1951 Roma ricevette 1.204 milioni di dollari derivanti dal Piano Marshall, mentre il 4 aprile 1949 aderì al Patto Atlantico, sorge spontaneo il sospetto che i brogli tornarono particolarmente utili agli Stati Uniti per insediare una classe dirigente collaborazionista, cosa che con un Re legittimamente seduto sul trono sarebbe stata più difficile…