«Con la libertà tutto è possibile, senza libertà tutto è perduto.» Re Umberto II d’ Italia;
Il
2 giugno viene annualmente celebrato come la massima ricorrenza dello Stato
italiano, poiché in questo giorno del 1946 ebbe luogo l’ importante referendum,
a cui per la prima volta poterono partecipare anche le donne, che sancì la
vittoria della Repubblica contro la Monarchia. I festeggiamenti a Roma, cuore
istituzionale e politico della nazione, sono sempre solenni, magnifici e
ampiamente ripresi dai mezzi di comunicazione, con il Presidente della
Repubblica che assiste in prima fila alle parate delle forze dell’ ordine per
poi pronunciare discorsi enfatici in cui magnifica la forma repubblicana come
garante della democrazia e dell’ unità nazionale in senso patriottico.
Tuttavia,
ciò che per anni si è detto con tono ben più sommesso e che oggi si inizia a
dimenticare è che il referendum tanto celebrato come vittoria degli italiani avvenne
in un clima tutt’ altro che festoso, più propriamente sull’ orlo della guerra
civile e sotto gli occhi vigili delle potenze vincitrici che occupavano la
Penisola, che difficilmente sarebbero rimaste in disparte: la Seconda Guerra
Mondiale era terminata da appena un anno, e il nostro Paese ne era uscito
drammaticamente sconfitto, la votazione quindi si svolse tra le macerie dei
bombardamenti angloamericani e delle demolizioni dei tedeschi in ritirata, con
centinaia di migliaia di italiani ancora sparsi per i campi di prigionia in
tutto il mondo, intere province che restavano sotto governo militare straniero
e un clima pericolosamente sull’ orlo di degenerare in una nuova guerra,
stavolta tra italiani nel loro stesso Paese. Consultando le numerose fonti
dell’ epoca, oggi facilmente accessibili, si può avere una certa idea di quanto
il voto fu per l’ Italia un grave fallimento istituzionale, da un lato perché si
svolse in un clima politico e sociale assolutamente inadatto all’ espressione
libera e democratica a cui il popolo era chiamato, infervorato com’ era ancora da
schieramenti politici che volevano imporsi ad ogni costo per dare alla nazione una
svolta ferma e precisa, e dall’ altro perché sul suolo italiano erano presenti ben
due potenze straniere vincitrici che, se le cose fossero andate in una
direzione difficile, avrebbero ovviamente avuto gli strumenti adeguati per intervenire.
Una terza, invece, vantava una certa influenza sull’ ala dura e preminente dei
partigiani dell’ Italia settentrionale. Il Fascismo era durato circa vent’ anni
e la guerra era terminata da poco: è molto difficile, se non addirittura
impossibile, credere ad un esito affidabile e scevro da pressioni sia interne
che esterne. Tuttavia, oggi, a svariati decenni di distanza, abbiamo finalmente
la possibilità, e persino il dovere, di evidenziarne dubbi e difetti in modo
equanime, lontano dal colore delle parti.
![]() |
Un voto monarchico annullato; |
Nel
1946, l’ Italia era occupata militarmente dagli statunitensi e dai britannici,
vincitori della campagna militare contro il Fascismo, e politicamente animata soprattutto
dalla Democrazia Cristiana e dal Partito Comunista Italiano: in altre parole,
ora che la dittatura era caduta e lo stesso Benito Mussolini era stato ucciso
bisognava insediare una nuova classe dirigente e definirne la politica estera.
Era interesse di molti che il risultato indicasse una chiara direzione, sia a
livello nazionale che internazionale. Il referendum era l’ occasione ideale per
edificare la nuova Italia, e nessuna tra le parti coinvolte avrebbe lasciato
nulla di intentato per assumerne la guida o comunque un posto influente. Non vi
sarebbe stata un’ altra occasione simile. Gli statunitensi erano favorevoli
alla Repubblica, così come i sovietici che avevano saldi contatti con i
comunisti di Palmiro Togliatti, molti dei quali erano stati partigiani impegnati
nella lotta contro la Repubblica Sociale del Duce, mentre i britannici erano
propensi per Monarchia, un sistema che costituiva un sicuro baluardo contro l’
abisso proletario del Comunismo: questo voto era un’ occasione imperdibile per riuscire
ad esercitare la massima influenza su di una nazione geograficamente centrale
in Europa e nel Mar Mediterraneo, posta tra Occidente e Oriente, che fino a
poco prima era stata nemica, evitando quindi l’ occupazione diretta servendosi
della Democrazia Cristiana che annoverava sia repubblicani che monarchici, e
che soprattutto era di orientamento anticomunista. Per contro, il Partito
Comunista Italiano era composto da molti che credevano nel Bolscevismo
sovietico e nel rovesciamento di un sistema reazionario ingiusto, quindi non
vedevano di buon occhio i capitalisti d’ oltreoceano e i nobili d’ oltremanica,
occhio destro e sinistro dell’ odiata borghesia che ai loro occhi sfruttava il
popolo e il suo lavoro. La campagna elettorale avvenne in un clima di forte
rancore e passione politica, accompagnati da pressioni e minacce più o meno
occulte, e all’ orizzonte vi era l’ ombra delle formazioni partigiane arruolate
dal Ministro dell’ Interno Giuseppe Romita come polizia ausiliaria, di cui nel
novembre 1947, in un’ intervista concessa al giornale socialista Sempre avanti!, ammise apertamente l’
esistenza per influire sul voto: «Nel maggio 1946 io mi recai ad Alessandria ed
a Genova per tenere una conferenza. Ma devo confessare ora di avere compiuto
quel viaggio soprattutto e realmente per un motivo di cui pochissime persone
furono a conoscenza allora. Il pretesto della conferenza doveva consentire al
mio viaggio verso il nord di svolgersi senza suscitare sospetti. Il fatto è che
avevo bisogno di conferire con il compagno Battisti, comandante per il Piemonte
della Brigata Matteotti e con altri comandanti partigiani. Chiesi loro l’
affidamento che qualunque cosa fosse accaduta essi non si sarebbero mossi,
avrebbero mantenuto intatte le loro forze per affluire là dove io avessi
disposto, non appena giunto il mio ordine.».
![]() |
Donne al voto; |
Un
grave difetto procedurale del voto fu l’ esclusione di circa tre milioni di
italiani tra prigionieri di guerra non rimpatriati, residenti nelle colonie,
gli abitanti di Trieste, di Gorizia, della provincia di Bolzano, i trecentomila
profughi della Venezia-Giulia e della Dalmazia, con Fiume e Zara perché i
partigiani comunisti di Tito occupavano il territorio, e i molti certificati
elettorali mai ricevuti: i responsabili affermarono che questi concittadini
avrebbero votato in seguito, ma così non fu. Le votazioni, a cui parteciparono 24.946.942
italiani, l’ 89.1% degli aventi diritto, si svolsero in buon ordine, in un
regolare afflusso di elettori alle cabine, senza manifestazioni improvvisate,
pressioni indebite e interventi delle forze di polizia temute da entrambe sia
dai monarchici che dai repubblicani. Anzi, c’ era quasi un’ aria di festa sia
per il bel sole che per la novità delle elezioni dopo vent’ anni di dittatura.
Vi furono soltanto determinati disguidi in alcuni seggi, dovuti all’
inesperienza di presidenti e scrutatori, e alcune accese discussioni tra impetuosi
rappresentanti di entrambe le liste.
![]() |
Re Umberto II al voto; |
Conclusa
la tornata elettorale ebbe inizio la grande attesa, che agitò gli schieramenti
in tutto il Paese e persino il governo a Roma, con i risultati che giungevano
con lentezza, tra linee telefoniche e telegrafiche devastate dalla guerra. I
risultati andavano conteggiati seggio per seggio con carta e matita: un
lavoraccio che favoriva gli errori e forse anche gli imbrogli. Le schede furono
inviate alla Sala della Lupa a Montecitorio dove iniziò lo spoglio in presenza
della Corte di Cassazione, di ufficiali angloamericani e della stampa. Per
primi giunsero i dati del Meridione, e il 4 giugno l’ Arma dei Carabinieri riferì
a Papa Pio XII che la Monarchia era in vantaggio e il giorno dopo il Presidente
del Consiglio dei Ministri Alcide De Gasperi riferì a Re Umberto II, succeduto
sul Trono il 9 maggio precedente al padre, Vittorio Emanuele III, che gli italiani
avevano scelto la Monarchia. A conferma di ciò giunsero a Roma i rapporti dell’
Arma provenienti dai seggi che confermarono la vittoria della Monarchia. Nella
notte tra il 5 e il 6 giugno i risultati si capovolsero bruscamente con i dati
del Settentrione, che diedero netto vantaggio alla Repubblica: 12.717.923
contro 10.719.284 per la Monarchia. I voti dichiarati nulli furono 1.458.156.
Le indiscrezioni sul netto e improvvisto mutamento alimentarono i sospetti diffusi
circa voti di dubbia provenienza, tanto che si avanzò il sospetto di come il
numero delle schede votate fosse ben superiore a quello dei possibili elettori.
Il
7 giugno, il giovane deputato liberale e monarchico Vincenzo Selvaggi presentò
alla Corte di Cassazione un ricorso contro il risultato, basandosi sulla
questione del quorum, la maggioranza necessaria: alla Cassazione infatti erano
stati trasmessi solo il numero di voti validi, ma non quello degli elettori
votanti, non si teneva conto cioè delle schede bianche e neppure di quelle
scartate per errore di compilazione o altre ragioni. L’ articolo 2 del Decreto
legislativo luogotenenziale del 16 marzo 1946, con cui Umberto, allora principe
ereditario e Reggente in quanto Luogotenente Generale del Regno per
disposizioni del padre ancora regnante, ordinava il funzionamento del referendum,
diceva che la maggioranza doveva essere formata dalla metà più uno degli
elettori votanti, perciò si dovevano calcolare anche le schede bianche e nulle:
se il ricorso di Selvaggi avesse trovato accoglimento, il vantaggio della
Repubblica sarebbe potuto scendere dai due milioni supposti a meno di
cinquecentomila voti, forse appena duecentomila. Un dettaglio di fondamentale
importanza che, oltre ai tre milioni di italiani esclusi, poneva un importante
problema e la necessità di un secondo referendum. I liberali fecero proprio
questo ricorso, e il Segretario generale degli Esteri Attilio Cattani presentò
una mozione, firmata anche dal segretario del Partito Liberale Italiano,
Giovanni Cassandro, per sapere se i voti in favore della Repubblica avessero
effettivamente raggiunto il quorum. Il ricorso fu respinto dalla Cassazione il
18 giugno con dodici voti contrari e solo sette favorevoli, tra cui quello del
magistrato Giuseppe Pagano, Presidente della stessa Cassazione, e del procuratore
generale Massimo Pilotti: per maggioranza degli elettori votanti si doveva
quindi intendere quella dei voti validi.
Si
parlò apertamente di brogli, voce rimasta viva ancora oggi per quanto giuristi
e storici negli anni l’ abbiano sempre bollata come una semplice leggenda, e si
vociferò di un intervento dei servizi segreti statunitensi in favore Repubblica
e di quelli britannici per la Monarchia, al fine di influire sul risultato,
mentre le truppe jugoslave del maresciallo Tito si dichiararono a chiare note
pronte a superare il confine nel caso in cui la Repubblica non avesse prevalso.
Il 10 giugno la Corte di Cassazione proclamò i risultati, in favore della
Repubblica. Il verbale si concludeva precisando che la Suprema Corte avrebbe diffuso
in altra sede il parere sulle contestazioni presentate presso gli uffici delle
varie circoscrizioni, nonché l’ esito definitivo del voto. Alla notizia che la
Repubblica aveva prevalso, in molte città del Meridione, dove la Monarchia
aveva raggiunto un risultato elevatissimo, scoppiarono proteste e tafferugli,
il più noto dei quali fu la strage di via Medina, a Napoli, quando l’ 11 giugno
un corteo monarchico cercò di assaltare la sede del Partito Comunista Italiano
in via Medina per rimuovere una bandiera tricolore senza lo stemma sabaudo e la
polizia aprì il fuoco uccidendo nove manifestanti e ferendone un centinaio.
La
notte del 12 giugno il governo si riunì su convocazione di De Gasperi, e stabilì
che, a seguito della proclamazione dei risultati provvisori del 10 giugno, si
era creato un regime transitorio e di conseguenza le funzioni di capo
provvisorio dello Stato passavano con effetto immediato al Presidente del
Consiglio, in esecuzione del Decreto luogotenenziale 16 marzo 1946. Volendo
placare gli animi in un Paese sull’ orlo della guerra civile, contrariato per i
numerosi sospetti di brogli e deluso al pensiero che non era stato rispettato
il Decreto luogotenenziale, il 13 giugno Re Umberto partì per il Portogallo,
ove visse in un esilio sancito ufficialmente ed esteso non solo agli ex Re d’
Italia ma anche alle loro consorti e ai loro discendenti maschi dalla XIII
Disposizione transitoria della Costituzione della Repubblica, approvata il 22
dicembre 1947 ed entrata in vigore il 1 gennaio 1948, una transitorietà che, curiosamente,
sarebbe durata ben cinquantasette anni, fino all’ abrogazione avvenuta il 23
ottobre 2002: la partenza del Sovrano, che però mai abdicò, fu un grande gesto
di pacificazione nazionale, con cui antepose l’ interesse dell’ Italia a quello
della Casa Reale di cui era a capo, e che venne apertamente riconosciuto da
tutti, anche da esponenti politici convintamente antimonarchici. Nei mesi
seguenti, in diverse zone d’ Italia vennero ritrovati sacchi contenenti schede
elettorali votate, come riferito ad esempio dal sacerdote gesuita Giuseppe
Brunetta che narrò di come nelle cantine del Quirinale avesse visto molte casse
contenenti schede mai aperte, o dal brigadiere Tommaso Beltotto, che negli
scantinati del Ministero degli Interni rinvenne pacchi di fogli con la croce
per la Repubblica, ma ormai la partita referendaria era chiusa: con il
pronunciamento della Cassazione la Repubblica era ufficializzata e con l’
ulteriore sostegno dell’ Articolo 139 della Costituzione non sarebbe stato più possibile
confutarla: «La forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale.».
In altre parole, la Repubblica è uno Stato di fatto, non importa se di diritto
o no.
![]() |
Una nota immagine dei militari Usa; |
Oggi,
a ben vedere, bisogna riconoscere che le contestazioni sollevate immediatamente
dai monarchici ebbero un certo fondamento. Innanzitutto la data scelta per il
Referendum era sbagliata, perché una larga parte degli italiani non era in
condizione di votare: a chi sarebbero andati i voti dei tre milioni di italiani
esclusi? E non si può negare nemmeno che lo spoglio delle schede avvenne con superficialità
tra presidenti di seggio confusionari e impreparati che fecero migliaia di
errori, caos negli scrutini condotti da personale inesperto che neppure
conosceva la legge elettorale, calcoli eseguiti alla buona, voti dispersi o
annullati erroneamente, pacchi di schede non arrivati a destinazione. Come
commentò Silvio Bertoldi, giornalista e saggista che studiò a fondo la
questione: «Nessuno, a posteriori, può onestamente negare che la Monarchia
abbia giocato quella partita in condizioni di inferiorità.».
Forse
non si saprà mai quale fu l’ esito reale del Referendum, ma ciò che si può dire
è che in quei giorni l’ Italia era dilaniata al suo interno dalle correnti e occupata
dai vincitori della recente guerra, gli angloamericani nemici del Nazifascismo,
che le fomentavano l’ una contro l’ altra volendo evitare l’ eventualità che il
Paese potesse rialzare la testa anche con un sistema democratico, abbastanza
forte da rappresentare la maggioranza e dettare le proprie condizioni senza
nulla dovere a nessuno: dìvide et ìmpera,
come si suol dire. Era lo scenario peggiore in cui votare: se la gente voleva
voltare pagina e riprendere a vivere, stanca di penose dittature e guerre,
Washington, Londra e Mosca fremevano per imporsi sulla scena mondiale ridefinendo
gli equilibri del potere sconvolti al passaggio del Terzo Reich. E il referendum
tra Monarchia e Repubblica in Italia, Paese strategico perché centrale
geograficamente, nel bel mezzo tra il Blocco occidentale e quello orientale, era
di per sé un’ occasione irripetibile per influenzarla come si conveniva: l’
ipotesi dei brogli, condotti dagli agenti segreti angloamericani servendosi di
politici e agenti italiani e coperti da una conduzione gestita in maniera
incerta e a volte decisamente pasticciata, non pare da scartare a priori. Se
poi si considera che tra il 1948 e il 1951 Roma ricevette 1.204 milioni di
dollari derivanti dal Piano Marshall, mentre il 4 aprile 1949 aderì al Patto
Atlantico, sorge spontaneo il sospetto che i brogli tornarono particolarmente
utili agli Stati Uniti per insediare una classe dirigente collaborazionista,
cosa che con un Re legittimamente seduto sul trono sarebbe stata più difficile…
Nessun commento:
Posta un commento