mercoledì 25 giugno 2025

La tortuosità e l’ inutilità dell’ intelligenza artificiale


L’ umanità ha da sempre l’ abitudine di abusare delle risorse e degli strumenti di cui dispone. E l’ intelligenza artificiale, sistema informatico o di automazione pensato per essere a immagine e somiglianza della mente umana eppure più immediata e precisa così da poter svolgere a comando compiti difficili senza sforzi o pericoli, rischia paradossalmente di divenire la nostra più grande rovina, poiché sarà così efficace che le faremo fare tutte quelle cose a cui invece possiamo e dobbiamo provvedere da noi stessi. Un simile errore di valutazione ci costerà caro, perché affidandole sempre più compiti e mansioni smetteremo di esercitare le nostre capacità e addirittura di prendere decisioni, atrofizzandoci, e cessando di condurre vite operose e trarre soddisfazione del frutto delle nostre attività, finendo con il passare le nostre giornate semplicemente a goderci la vita, riposando al sole nella spensieratezza più assoluta, senza più un obiettivo o un desiderio, mentre l’ intelligenza artificiale, nostra creazione, nella sua affascinante tortuosità otterrà il controllo pieno e attivo del mondo. E non basteranno le Tre leggi della robotica di Isaac Asimov a difenderci…


La scienza cibernetica promette di essere la più grande rivoluzione nella storia umana, e tra pochi anni avrà ampiamente sorpassato quella nucleare, eguagliando la bioingegneria per quanto riguarda l’ impatto sulla nostra vita quotidiana. Si tratta infatti di un settore della scienza pura e applicata basato sullo studio e la realizzazione di dispositivi e macchine capaci di simulare le funzioni del cervello umano, autoregolandosi per mezzo di segnali di comando e controllo in circuiti elettrici ed elettronici o in sistemi meccanici. L’ intelligenza artificiale è il suo obiettivo fondamentale, e, dopo di essa, l’ androide, una macchina dalle fattezze umane, riprodotte per favorire l’ interazione con le persone, destinato in virtù di resistenza e capacità di sopravvivenza in condizioni ostili a funzioni che la società umana trova pericolose o sgradevoli come la raccolta e il trasporto di materiali pesanti oppure tossici.

Il quesito fondamentale, che oggi sempre più esperti e appassionati si pongono, è se l’ intelligenza artificiale possa divenire autonoma e indipendente, come una mente umana. Nel 1936 il dottor Alan Turing, matematico, logico e crittografo britannico tra i padri dell’ informatica moderna, pose le basi per i concetti di computabilità che in seguito sarebbero stati chiamati «macchina di Turing», e nel 1950 scrisse l’ articolo «Computing machinery and intelligence», in cui proponeva quello che sarebbe divenuto noto come Test di Turing, dicendosi convinto che si potesse ottenere un’ intelligenza artificiale solo seguendo gli schemi del cervello umano. Su questa pubblicazione si basa buona parte dei successivi studi cibernetici, e la maggioranza degli esperti attuali ritiene che una macchina può essere considerata intelligente se il suo comportamento, osservato da un essere umano, sia analogo e quindi indistinguibile da quello di una persona. Da allora si è verificata una vera e propria febbre dell’ oro scientifica di proporzioni sbalorditive, ossia la furibonda e avventata corsa alla commercializzazione dell’ intelligenza artificiale. Questa impresa è stata portata avanti con estrema rapidità, con le prime teorie di reti neurali, di intelligenza artificiale forte e debole, e le applicazioni industriali dagli Anni Ottanta in poi, ma con un così scarso dibattito equanime da impedire una piena comprensione della sua portata e delle conseguenti implicazioni. Attualmente, l’ intelligenza artificiale è ormai al centro delle scelte tecnologiche di imprese e governi, nonché parte della vita quotidiana della gente comune. La teoria dell’ intelligenza artificiale forte sostiene che le macchine siano in grado di sviluppare una coscienza di sé ed è supportata dal campo di ricerca che studia sistemi in grado di replicare l’ intelligenza umana. Quella dell’ intelligenza artificiale debole, invece, ritiene possibile concepire macchine in grado di risolvere problemi specifici senza avere coscienza delle attività svolte perché prive delle abilità cognitive degli umani. Un esempio noto del modello debole è un programma per giocare a scacchi.

E’ assolutamente evidente che l’ obiettivo fondamentale della ricerca cibernetica sia proprio l’ intelligenza artificiale forte: una macchina pensante, un sistema somigliante a una mente umana, autonomo e indipendente, capace di portare avanti milioni di operazioni complesse con precisione assoluta, portato ad imparare, capire e affrontare nuove situazioni, quindi a evolversi ed adattarsi. Sarà incaricata di fare tutto, di gestire ogni cosa. Come disse Elon Musk, il noto pioniere dell’ industria tecnologica e informatica: «Arriverà il punto in cui non sarà più necessario alcun lavoro: puoi avere un lavoro se lo desideri, per soddisfazione personale. Ma l’ intelligenza artificiale farà tutto. E’ sia un bene sia un male, una delle sfide del futuro sarà come trovare un significato nella vita.».


Nel corso della storia, lo scopo di un’ invenzione è sempre stato chiaro, ossia risolvere un problema e soddisfare un bisogno. Deve basarsi su di un’ intuizione atta a migliorare le condizioni in cui è stata pensata la sua applicazione, e deve rimanere uno strumento controllato dalle persone. L’ intelligenza artificiale è invece un errore in partenza, perché è destinata a sostituirsi all’ essere umano di cui replica i meccanismi e capacità mentali a livello esponenziale: per sua natura è portata a privarlo di qualcosa, poiché progettata per essere come e meglio di lui. Perfino da una prospettiva pratica, il controllo su di uno strumento tanto perfetto come si intende far diventare l’ intelligenza artificiale potrebbe seriamente non essere così concreto, e addirittura venire a mancare. Nel contesto delle forme di vita biologiche di questo mondo, l’ evoluzione ci ha insegnato che la vita alla fine supera sempre ogni ostacolo, si espande in nuovi territori e abbatte tutte le barriere, dolorosamente e spesso anche pericolosamente. A partire dagli Anni Ottanta sono state sviluppate le prime applicazioni di intelligenza artificiale in ambito industriale e oggi essa rappresenta uno dei principali ambiti di interesse della comunità scientifica. Le aziende informatiche stanno investendo sempre di più in questo settore e i progressi tecnologici sono sotto gli occhi di tutti. Ma la mancanza di attenzione e cautela che si sta dimostrando di fronte ad un potere così elevato è sconvolgente, ben pochi vedono il pericolo insito in questo particolare campo di ricerca. Oggi, la potenza dell’ intelligenza artificiale è la più dirompente di tutte, e noi ce ne serviamo con l’ incoscienza di un bambino che gioca con la pistola del padre, poiché non l’ abbiamo mai disciplinata: semplicemente, stiamo tentando di ottenere un risultato il più rapidamente possibile per poi brevettarlo e venderlo come a suo tempo è stato per gli elettrodomestici. Siamo così desiderosi di arrivare a questo risultato che neppure ci siamo chiesti se sia giusto o sbagliato. E una volta che avremo sistemi di intelligenza artificiale perfetti e funzionanti, come li si potrà controllare? Un’ intelligenza artificiale è chiaramente una macchina pensante che può divenire cosciente e autonoma, portata a difendersi per sopravvivere, anche violentemente se necessario.

Dottoressa Natalia Kosmyna;


Molto probabilmente non correremo il rischio di un’ intelligenza artificiale che si ribelli all’ umanità lanciando qua e là per la Terra missili nucleari, come fa Skynet nella serie cinematografica di Terminator, iniziata proprio negli Anni Ottanta, in tarda Guerra fredda, quando si discuteva con una certa inquietudine circa i sistemi informatici militari e la corsa agli armamenti atomici era più forte che mai, tuttavia il pericolo di impoverirci a causa dell’ intelligenza artificiale è qualcosa di reale e presente, come confermato da uno studio condotto dal MIT, il Massachussets Institute of Technology di Cambridge, secondo cui l’ uso massiccio dell’ intelligenza artificiale per compiti di scrittura può ridurre la connettività cerebrale umana addirittura del cinquantacinque percento, con il rischio di divenire più conformisti e meno capaci di imparare e pensare in modo autonomo e attivo. Il solo titolo di questa ricerca lascia poche incertezze: «Il tuo cervello e ChatGPT: accumulazione di debito cognitivo nell’ usare un assistente di intelligenza artificiale per compiti di scrittura». La ricercatrice Natalia Kosmyna, dotata di un dottorato in informatica e dedita agli studi sull’ interazione fra computer e cervello umano, ha condotto quest’ indagine con vari neuroscienziati e studiosi del linguaggio, formando tre gruppi da un campione di cinquantaquattro volontari, incaricando ciascuno dei componenti di scrivere tre brevi testi per altrettante sessioni successive su temi predefiniti, in un periodo esteso su un trimestre. Il primo gruppo poteva scrivere solo sulla base delle proprie risorse mentali, senza accesso a internet o a uno schermo. Il secondo gruppo aveva accesso al motore di ricerca di Google e il terzo gruppo invece aveva accesso all’ intelligenza artificiale generativa, in particolare ChatGPT di Open AI. Il cervello dei partecipanti a tutti e tre i gruppi è stato analizzato connettendolo a elettrodi da elettroencefalografia mentre svolgevano il compito richiesto, e i risultati sono stati sorprendenti, sia sul breve che sul lungo termine: i componenti dei tre gruppi hanno manifestato un’ attivazione molto diversa delle rispettive menti, relativamente al livello del gruppo che scriveva senza supporto digitale, poiché il gruppo con accesso al solo motore di ricerca ha registrato una connettività cerebrale fra il trentaquattro e il quarantotto percento più bassa e il gruppo con accesso a ChatGPT ha mostrato una connettività cerebrale del cinquantacinque percento più bassa. In sostanza, più consistente è il supporto e più si riduce l’ ampiezza dell’ attività del cervello. Il primo gruppo ha evidenziato invece un’ attivazione delle aree del cervello connesse con l’ ideazione creativa, con l’ integrazione dei significati fra loro e con l’ automonitoraggio: insomma, tutte le funzioni necessarie a generare contenuti, pianificarli e rivederli. Affidarsi all’ intelligenza artificiale favorisce il conformismo di pensiero e porta a difficoltà nel citare frasi dai propri stessi testi già pochi minuti dopo averli consegnati, contrariamente a tutti coloro che hanno invece lavorato da soli, i quali sono riusciti a citare frasi dai testi appena scritti quasi esattamente, mostrando molta più attenzione al contenuto e al senso del lavoro svolto. L’ uso dell’ intelligenza artificiale ha reso le persone sottoposte all’ esperimento semplici assemblatori di concetti che non vengono assimilati dagli stessi autori.

Ma quel che è accaduto dopo ha dato ancora di più da pensare. In un’ ulteriore sessione della prova le parti si sono invertite, al gruppo che ha usato l’ intelligenza artificiale è stato chiesto di comporre un testo a tema fisso senza alcun supporto digitale e viceversa. Il risultato ha aperto un dibattito sulla pericolosità dell’ uso dell’ intelligenza artificiale: chi si è abituato ad usare ChatGPT ha mostrato difficoltà a ricreare il tipo di consistente attività cerebrale, ricca di connessioni, che occorre per sostenere un’ attività di creazione autonoma di contenuti. Fra loro si è evidenziato quello che la dottoressa Kosmyna ha definito «debito cognitivo»: il tema dello scritto richiesto era uguale a quello di scritti precedenti, ma coloro che si erano abituati a ChatGPT sono riusciti a citare un elemento qualunque appena due su dieci, ora che potevano contare solo sulla propria mente. Invece chi aveva contato solo sul proprio cervello all’ inizio, allenandolo in modo autonomo, è riuscito a produrre testi più ricchi e precisi proprio grazie all’ uso dell’ intelligenza artificiale nella sessione finale. Anche l’ elettroencefalografia ha confermato i risultati: chi si è  abituato a contare su ChatGPT ha mostrato un’ attivazione cerebrale più debole quando è rimasto senza supporto digitale, come se la mente fosse divenuta più pigra e incapace di creatività, giudizio di merito e memoria profonda, e chi aveva già imparato a pensare e lavorare in autonomia ha potenziato le proprie capacità cognitive con ChatGPT. Le conclusioni dello studio sono tristemente chiare: quando i partecipanti riproducono i suggerimenti dell’ intelligenza artificiale senza valutarne l’ esattezza o la pertinenza, rinunciano non solo ad appropriarsi delle idee espresse, ma rischiano di interiorizzare prospettive superficiali o distorte. In altri termini, si diventa individui più manipolabili da ogni sorta di propaganda o interesse, e le implicazioni per la democrazia e per la scuola o l’ università non potrebbero essere più grandi: una società di persone libere e capaci di elaborare idee e un giudizio autonomo usa l’ intelligenza artificiale, ma solo dopo aver allenato molto bene e a lungo quella naturale. Invece chi usa Google fa lavorare soprattutto la corteccia occipitale e visuale: le aree che presiedono ad assimilare tramite la vista l’ informazione ottenuta sullo schermo e poi raccoglierla. Infine, chi usa ChatGPT attiva soprattutto le aree per funzioni pressoché automatiche e entro un’ impalcatura esterna.


Il risultato dello studio della dottoressa Natalia Kosmyna è tra i più significativi circa i rischi e il lato meno roseo dell’ intelligenza artificiale. A chi la considera la più grande scommessa per il futuro va fatto notare per esempio l’ impatto sul mondo del lavoro: già oggi il software è in grado di svolgere le funzioni di un centralino, di tradurre e confezionare notizie. Bisognerà dunque supportare quei professionisti che rischiano di essere travolti da questo cambiamento. Inoltre, come per tutte le cose, vi è il rischio di un cattivo uso che si potrebbe fare di uno strumento tanto potente, dallo sviluppo di sostanze pericolose alla creazione di notizie false e alla violazione del diritto d’ autore. Inoltre, occorre tenere presente l’ impatto ambientale dei server: l’ intelligenza artificiale richiede molta più energia di internet, e i server hanno bisogno di moltissima acqua per raffreddarsi. Secondo quanto riporta il professor Mario Rasetti, docente emerito di fisica al Politecnico di Torino, l’ addestramento di Gpt-3 ha portato al consumo di ben settecentomila litri di acqua mentre una conversazione tra un utente medio e una conversazione testuale o vocale equivale all’ incirca al consumo di una bottiglia di acqua.

Professor Stephen Hawking;


Tra le voci più autorevoli che negli anni hanno espresso contrarietà all’ intelligenza artificiale vi è stato l’ indimenticabile professor Stephen Hawking, tra i più rispettati scienziati del nostro tempo per intelletto e mentalità. Prima di morire manifestò la propria paura circa il futuro, nel quale vedeva persone potenziate dall’ ingegneria genetica e, insieme, tecnologie e armamenti intelligenti troppo perfetti. Come scrisse nella sua ultima opera divulgativa, «Le mie risposte alle grandi domande», sosteneva la necessità di vigilare sullo sviluppo dell’ intelligenza artificiale, che «in futuro potrebbe sviluppare una propria volontà indipendente, in conflitto con la nostra». Affermò a chiare lettere che la corsa ai sistemi intelligenti va fermata sul nascere, chiedendosi che cosa accadrebbe se si verificasse, in questo settore, un episodio come il crollo del 6 maggio 2010, l’ improvvisa spirale al ribasso dell’ indice Dow Jones, della borsa valori di New York, causata da un ordine verosimilmente errato che mandò al tappeto l’ intero mondo finanziario. Il rischio più grande dell’ intelligenza artificiale, precisò il geniale astrofisico, non è tanto lo sviluppo di un’ indole malvagia, ma la sua stessa capacità: «Un’ IA superintelligente sarà estremamente brava a raggiungere i suoi obiettivi, e se questi non saranno allineati ai nostri, saremo nei guai. Probabilmente non siete degli odiatori di formiche che calpestano questi insetti per cattiveria, ma se siete responsabili di un progetto idroelettrico sostenibile e c’ è un formicaio nella regione che dovete allagare, andrà a finire male per le formiche. Cerchiamo di non mettere l’ umanità nella posizione delle formiche.».

Samuel Butler;


L’ intelligenza umana è vasta e meravigliosa, e nel corso dei millenni, fin dalla lontana Preistoria, ha concepito strumenti grandiosi che hanno innegabilmente portato a svariati benefici nella vita delle persone: la selce, la ruota, l’ ago e perfino le armi, che prima di essere usate per la guerra erano fondamentali per la caccia. E ognuna di esse ha bisogno di noi per entrare in funzione. L’ intelligenza artificiale rappresenta invece un esempio a parte, verrà infatti il giorno in cui per sua natura diverrà autonoma. Sarà così capace ed esperta nel condurre tutte quelle operazioni che le delegheremo ogni cosa, divenendo di fatto una sorta di genere di cicale perennemente oziose al sole nel corso di vite vuote e inutili, senza neppure il bisogno di sterminarci come i più pessimisti hanno temuto per anni. Come Samuel Butler, autore britannico contemporaneo di Charles Darwin, scrisse nel 1863: «Cosa succederebbe se la tecnologia continuasse ad evolversi così tanto più rapidamente dei regni animale e vegetale? Ci sostituirebbe nella supremazia del pianeta? Così come il regno vegetale si è lentamente sviluppato dal minerale, e a sua volta il regno animale è succeduto a quello vegetale, allo stesso modo in questi ultimi tempi un regno completamente nuovo è sorto, del quale abbiamo visto, fino ad ora, solo ciò che un giorno sarà considerato il prototipo antidiluviano di una nuova razza... Stiamo affidando alle macchine, giorno dopo giorno, sempre più potere, e fornendo loro, attraverso i più disparati ed ingegnosi meccanismi, quelle capacità di autoregolazione e di autonomia d’ azione che costituirà per loro ciò che l’ intelletto è stato per il genere umano.».

Ma la questione di fondo, indipendentemente dai dettagli tecnici, è una e molto semplice: nonostante la sua complessità e ingegnosità da un punto di vista scientifico, l’ intelligenza artificiale è del tutto superflua poiché ciò che cerchiamo si trova già in noi, nella nostra mente, che, come psicologi e psichiatri ammettono in tutta sincerità, risulta ancora oggi sconosciuta e quindi inutilizzata in quasi tutti gli aspetti. Il potere della nostra mente è tuttora in larga parte ignorato e latente, esplorarlo richiede un tempo molto lungo e attraverso un sentiero imprevedibile, mentre l’ intelligenza artificiale rappresenta la via più breve, ma non per questo la più giusta. Un cervello positronico, splendidamente descritto da Isaac Asimov nelle sue storie di genere cibernetico, ben difficilmente reggerebbe al confronto con il potere di quel sistema complesso e dinamico qual’ è una mente umana disciplinata e regolarmente in esercizio, le cui capacità interagiscono tra loro in modo complesso e intricato. Ciò che dobbiamo sviluppare davvero siamo noi stessi…

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