L’
umanità ha da sempre l’ abitudine di abusare delle risorse e degli strumenti di
cui dispone. E l’ intelligenza artificiale, sistema informatico o di
automazione pensato per essere a immagine e somiglianza della mente umana eppure
più immediata e precisa così da poter svolgere a comando compiti difficili
senza sforzi o pericoli, rischia paradossalmente di divenire la nostra più
grande rovina, poiché sarà così efficace che le faremo fare tutte quelle cose a
cui invece possiamo e dobbiamo provvedere da noi stessi. Un simile errore di
valutazione ci costerà caro, perché affidandole sempre più compiti e mansioni
smetteremo di esercitare le nostre capacità e addirittura di prendere decisioni,
atrofizzandoci, e cessando di condurre vite operose e trarre soddisfazione del
frutto delle nostre attività, finendo con il passare le nostre giornate
semplicemente a goderci la vita, riposando al sole nella spensieratezza più
assoluta, senza più un obiettivo o un desiderio, mentre l’ intelligenza
artificiale, nostra creazione, nella sua affascinante tortuosità otterrà il
controllo pieno e attivo del mondo. E non basteranno le Tre leggi della
robotica di Isaac Asimov a difenderci…
La
scienza cibernetica promette di essere la più grande rivoluzione nella storia
umana, e tra pochi anni avrà ampiamente sorpassato quella nucleare, eguagliando
la bioingegneria per quanto riguarda l’ impatto sulla nostra vita quotidiana.
Si tratta infatti di un settore della scienza pura e applicata basato sullo
studio e la realizzazione di dispositivi e macchine capaci di simulare le
funzioni del cervello umano, autoregolandosi per mezzo di segnali di comando e
controllo in circuiti elettrici ed elettronici o in sistemi meccanici. L’
intelligenza artificiale è il suo obiettivo fondamentale, e, dopo di essa, l’
androide, una macchina dalle fattezze umane, riprodotte per favorire l’
interazione con le persone, destinato in virtù di resistenza e capacità di
sopravvivenza in condizioni ostili a funzioni che la società umana trova
pericolose o sgradevoli come la raccolta e il trasporto di materiali pesanti
oppure tossici.
Il
quesito fondamentale, che oggi sempre più esperti e appassionati si pongono, è
se l’ intelligenza artificiale possa divenire autonoma e indipendente, come una
mente umana. Nel 1936 il dottor Alan Turing, matematico, logico e crittografo
britannico tra i padri dell’ informatica moderna, pose le basi per i concetti
di computabilità che in seguito sarebbero stati chiamati «macchina di Turing»,
e nel 1950 scrisse l’ articolo «Computing machinery and intelligence», in cui
proponeva quello che sarebbe divenuto noto come Test di Turing, dicendosi
convinto che si potesse ottenere un’ intelligenza artificiale solo seguendo gli
schemi del cervello umano. Su questa pubblicazione si basa buona parte dei
successivi studi cibernetici, e la maggioranza degli esperti attuali ritiene
che una macchina può essere considerata intelligente se il suo comportamento,
osservato da un essere umano, sia analogo e quindi indistinguibile da quello di
una persona. Da allora si è verificata una vera e propria febbre dell’ oro
scientifica di proporzioni sbalorditive, ossia la furibonda e avventata corsa
alla commercializzazione dell’ intelligenza artificiale. Questa impresa è stata
portata avanti con estrema rapidità, con le prime teorie di reti neurali, di intelligenza
artificiale forte e debole, e le applicazioni industriali dagli Anni Ottanta in
poi, ma con un così scarso dibattito equanime da impedire una piena
comprensione della sua portata e delle conseguenti implicazioni. Attualmente,
l’ intelligenza artificiale è ormai al centro delle scelte tecnologiche di
imprese e governi, nonché parte della vita quotidiana della gente comune. La
teoria dell’ intelligenza artificiale forte sostiene che le macchine siano in
grado di sviluppare una coscienza di sé ed è supportata dal campo di ricerca
che studia sistemi in grado di replicare l’ intelligenza umana. Quella dell’ intelligenza
artificiale debole, invece, ritiene possibile concepire macchine in grado di
risolvere problemi specifici senza avere coscienza delle attività svolte perché
prive delle abilità cognitive degli umani. Un esempio noto del modello debole è
un programma per giocare a scacchi.
E’
assolutamente evidente che l’ obiettivo fondamentale della ricerca cibernetica
sia proprio l’ intelligenza artificiale forte: una macchina pensante, un
sistema somigliante a una mente umana, autonomo e indipendente, capace di
portare avanti milioni di operazioni complesse con precisione assoluta, portato
ad imparare, capire e affrontare nuove situazioni, quindi a evolversi ed
adattarsi. Sarà incaricata di fare tutto, di gestire ogni cosa. Come disse Elon
Musk, il noto pioniere dell’ industria tecnologica e informatica: «Arriverà il
punto in cui non sarà più necessario alcun lavoro: puoi avere un lavoro se lo
desideri, per soddisfazione personale. Ma l’ intelligenza artificiale farà
tutto. E’ sia un bene sia un male, una delle sfide del futuro sarà come trovare
un significato nella vita.».
Nel
corso della storia, lo scopo di un’ invenzione è sempre stato chiaro, ossia risolvere
un problema e soddisfare un bisogno. Deve basarsi su di un’ intuizione atta a
migliorare le condizioni in cui è stata pensata la sua applicazione, e deve
rimanere uno strumento controllato dalle persone. L’ intelligenza artificiale è
invece un errore in partenza, perché è destinata a sostituirsi all’ essere
umano di cui replica i meccanismi e capacità mentali a livello esponenziale:
per sua natura è portata a privarlo di qualcosa, poiché progettata per essere
come e meglio di lui. Perfino da una prospettiva pratica, il controllo su di
uno strumento tanto perfetto come si intende far diventare l’ intelligenza
artificiale potrebbe seriamente non essere così concreto, e addirittura venire
a mancare. Nel contesto delle forme di vita biologiche di questo mondo, l’
evoluzione ci ha insegnato che la vita alla fine supera sempre ogni ostacolo,
si espande in nuovi territori e abbatte tutte le barriere, dolorosamente e
spesso anche pericolosamente. A partire dagli Anni Ottanta sono state sviluppate
le prime applicazioni di intelligenza artificiale in ambito industriale e oggi essa
rappresenta uno dei principali ambiti di interesse della comunità scientifica.
Le aziende informatiche stanno investendo sempre di più in questo settore e i
progressi tecnologici sono sotto gli occhi di tutti. Ma la mancanza di attenzione
e cautela che si sta dimostrando di fronte ad un potere così elevato è
sconvolgente, ben pochi vedono il pericolo insito in questo particolare campo
di ricerca. Oggi, la potenza dell’ intelligenza artificiale è la più dirompente
di tutte, e noi ce ne serviamo con l’ incoscienza di un bambino che gioca con
la pistola del padre, poiché non l’ abbiamo mai disciplinata: semplicemente,
stiamo tentando di ottenere un risultato il più rapidamente possibile per poi
brevettarlo e venderlo come a suo tempo è stato per gli elettrodomestici. Siamo
così desiderosi di arrivare a questo risultato che neppure ci siamo chiesti se
sia giusto o sbagliato. E una volta che avremo sistemi di intelligenza
artificiale perfetti e funzionanti, come li si potrà controllare? Un’
intelligenza artificiale è chiaramente una macchina pensante che può divenire cosciente
e autonoma, portata a difendersi per sopravvivere, anche violentemente se
necessario.
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Dottoressa Natalia Kosmyna; |
Molto probabilmente non correremo il rischio di un’ intelligenza artificiale che si ribelli all’ umanità lanciando qua e là per la Terra missili nucleari, come fa Skynet nella serie cinematografica di Terminator, iniziata proprio negli Anni Ottanta, in tarda Guerra fredda, quando si discuteva con una certa inquietudine circa i sistemi informatici militari e la corsa agli armamenti atomici era più forte che mai, tuttavia il pericolo di impoverirci a causa dell’ intelligenza artificiale è qualcosa di reale e presente, come confermato da uno studio condotto dal MIT, il Massachussets Institute of Technology di Cambridge, secondo cui l’ uso massiccio dell’ intelligenza artificiale per compiti di scrittura può ridurre la connettività cerebrale umana addirittura del cinquantacinque percento, con il rischio di divenire più conformisti e meno capaci di imparare e pensare in modo autonomo e attivo. Il solo titolo di questa ricerca lascia poche incertezze: «Il tuo cervello e ChatGPT: accumulazione di debito cognitivo nell’ usare un assistente di intelligenza artificiale per compiti di scrittura». La ricercatrice Natalia Kosmyna, dotata di un dottorato in informatica e dedita agli studi sull’ interazione fra computer e cervello umano, ha condotto quest’ indagine con vari neuroscienziati e studiosi del linguaggio, formando tre gruppi da un campione di cinquantaquattro volontari, incaricando ciascuno dei componenti di scrivere tre brevi testi per altrettante sessioni successive su temi predefiniti, in un periodo esteso su un trimestre. Il primo gruppo poteva scrivere solo sulla base delle proprie risorse mentali, senza accesso a internet o a uno schermo. Il secondo gruppo aveva accesso al motore di ricerca di Google e il terzo gruppo invece aveva accesso all’ intelligenza artificiale generativa, in particolare ChatGPT di Open AI. Il cervello dei partecipanti a tutti e tre i gruppi è stato analizzato connettendolo a elettrodi da elettroencefalografia mentre svolgevano il compito richiesto, e i risultati sono stati sorprendenti, sia sul breve che sul lungo termine: i componenti dei tre gruppi hanno manifestato un’ attivazione molto diversa delle rispettive menti, relativamente al livello del gruppo che scriveva senza supporto digitale, poiché il gruppo con accesso al solo motore di ricerca ha registrato una connettività cerebrale fra il trentaquattro e il quarantotto percento più bassa e il gruppo con accesso a ChatGPT ha mostrato una connettività cerebrale del cinquantacinque percento più bassa. In sostanza, più consistente è il supporto e più si riduce l’ ampiezza dell’ attività del cervello. Il primo gruppo ha evidenziato invece un’ attivazione delle aree del cervello connesse con l’ ideazione creativa, con l’ integrazione dei significati fra loro e con l’ automonitoraggio: insomma, tutte le funzioni necessarie a generare contenuti, pianificarli e rivederli. Affidarsi all’ intelligenza artificiale favorisce il conformismo di pensiero e porta a difficoltà nel citare frasi dai propri stessi testi già pochi minuti dopo averli consegnati, contrariamente a tutti coloro che hanno invece lavorato da soli, i quali sono riusciti a citare frasi dai testi appena scritti quasi esattamente, mostrando molta più attenzione al contenuto e al senso del lavoro svolto. L’ uso dell’ intelligenza artificiale ha reso le persone sottoposte all’ esperimento semplici assemblatori di concetti che non vengono assimilati dagli stessi autori.
Ma
quel che è accaduto dopo ha dato ancora di più da pensare. In un’ ulteriore
sessione della prova le parti si sono invertite, al gruppo che ha usato l’ intelligenza
artificiale è stato chiesto di comporre un testo a tema fisso senza alcun
supporto digitale e viceversa. Il risultato ha aperto un dibattito sulla
pericolosità dell’ uso dell’ intelligenza artificiale: chi si è abituato ad
usare ChatGPT ha mostrato difficoltà a ricreare il tipo di consistente attività
cerebrale, ricca di connessioni, che occorre per sostenere un’ attività di
creazione autonoma di contenuti. Fra loro si è evidenziato quello che la
dottoressa Kosmyna ha definito «debito cognitivo»: il tema dello scritto
richiesto era uguale a quello di scritti precedenti, ma coloro che si erano
abituati a ChatGPT sono riusciti a citare un elemento qualunque appena due su
dieci, ora che potevano contare solo sulla propria mente. Invece chi aveva
contato solo sul proprio cervello all’ inizio, allenandolo in modo autonomo, è
riuscito a produrre testi più ricchi e precisi proprio grazie all’ uso dell’
intelligenza artificiale nella sessione finale. Anche l’ elettroencefalografia
ha confermato i risultati: chi si è abituato a contare su ChatGPT ha mostrato un’
attivazione cerebrale più debole quando è rimasto senza supporto digitale, come
se la mente fosse divenuta più pigra e incapace di creatività, giudizio di
merito e memoria profonda, e chi aveva già imparato a pensare e lavorare in
autonomia ha potenziato le proprie capacità cognitive con ChatGPT. Le
conclusioni dello studio sono tristemente chiare: quando i partecipanti riproducono
i suggerimenti dell’ intelligenza artificiale senza valutarne l’ esattezza o la
pertinenza, rinunciano non solo ad appropriarsi delle idee espresse, ma
rischiano di interiorizzare prospettive superficiali o distorte. In altri
termini, si diventa individui più manipolabili da ogni sorta di propaganda o
interesse, e le implicazioni per la democrazia e per la scuola o l’ università
non potrebbero essere più grandi: una società di persone libere e capaci di
elaborare idee e un giudizio autonomo usa l’ intelligenza artificiale, ma solo
dopo aver allenato molto bene e a lungo quella naturale. Invece chi usa Google
fa lavorare soprattutto la corteccia occipitale e visuale: le aree che
presiedono ad assimilare tramite la vista l’ informazione ottenuta sullo
schermo e poi raccoglierla. Infine, chi usa ChatGPT attiva soprattutto le aree
per funzioni pressoché automatiche e entro un’ impalcatura esterna.
Il
risultato dello studio della dottoressa Natalia Kosmyna è tra i più
significativi circa i rischi e il lato meno roseo dell’ intelligenza
artificiale. A chi la considera la più grande scommessa per il futuro va fatto
notare per esempio l’ impatto sul mondo del lavoro: già oggi il software è in
grado di svolgere le funzioni di un centralino, di tradurre e confezionare
notizie. Bisognerà dunque supportare quei professionisti che rischiano di
essere travolti da questo cambiamento. Inoltre, come per tutte le cose, vi è il
rischio di un cattivo uso che si potrebbe fare di uno strumento tanto potente,
dallo sviluppo di sostanze pericolose alla creazione di notizie false e alla
violazione del diritto d’ autore. Inoltre, occorre tenere presente l’ impatto
ambientale dei server: l’ intelligenza artificiale richiede molta più energia
di internet, e i server hanno bisogno di moltissima acqua per raffreddarsi.
Secondo quanto riporta il professor Mario Rasetti, docente emerito di fisica al
Politecnico di Torino, l’ addestramento di Gpt-3 ha portato al consumo di ben
settecentomila litri di acqua mentre una conversazione tra un utente medio e
una conversazione testuale o vocale equivale all’ incirca al consumo di una
bottiglia di acqua.
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Professor Stephen Hawking; |
Tra
le voci più autorevoli che negli anni hanno espresso contrarietà all’
intelligenza artificiale vi è stato l’ indimenticabile professor Stephen
Hawking, tra i più rispettati scienziati del nostro tempo per intelletto e
mentalità. Prima di morire manifestò la propria paura circa il futuro, nel
quale vedeva persone potenziate dall’ ingegneria genetica e, insieme, tecnologie
e armamenti intelligenti troppo perfetti. Come scrisse nella sua ultima opera
divulgativa, «Le mie risposte alle grandi domande», sosteneva la necessità di
vigilare sullo sviluppo dell’ intelligenza artificiale, che «in futuro potrebbe
sviluppare una propria volontà indipendente, in conflitto con la nostra». Affermò
a chiare lettere che la corsa ai sistemi intelligenti va fermata sul nascere,
chiedendosi che cosa accadrebbe se si verificasse, in questo settore, un
episodio come il crollo del 6 maggio 2010, l’ improvvisa spirale al ribasso
dell’ indice Dow Jones, della borsa valori di New York, causata da un ordine
verosimilmente errato che mandò al tappeto l’ intero mondo finanziario. Il
rischio più grande dell’ intelligenza artificiale, precisò il geniale
astrofisico, non è tanto lo sviluppo di un’ indole malvagia, ma la sua stessa capacità:
«Un’ IA superintelligente sarà estremamente brava a raggiungere i suoi
obiettivi, e se questi non saranno allineati ai nostri, saremo nei guai.
Probabilmente non siete degli odiatori di formiche che calpestano questi
insetti per cattiveria, ma se siete responsabili di un progetto idroelettrico
sostenibile e c’ è un formicaio nella regione che dovete allagare, andrà a
finire male per le formiche. Cerchiamo di non mettere l’ umanità nella
posizione delle formiche.».
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Samuel Butler; |
L’
intelligenza umana è vasta e meravigliosa, e nel corso dei millenni, fin dalla
lontana Preistoria, ha concepito strumenti grandiosi che hanno innegabilmente
portato a svariati benefici nella vita delle persone: la selce, la ruota, l’
ago e perfino le armi, che prima di essere usate per la guerra erano
fondamentali per la caccia. E ognuna di esse ha bisogno di noi per entrare in
funzione. L’ intelligenza artificiale rappresenta invece un esempio a parte,
verrà infatti il giorno in cui per sua natura diverrà autonoma. Sarà così
capace ed esperta nel condurre tutte quelle operazioni che le delegheremo ogni
cosa, divenendo di fatto una sorta di genere di cicale perennemente oziose al
sole nel corso di vite vuote e inutili, senza neppure il bisogno di sterminarci
come i più pessimisti hanno temuto per anni. Come Samuel Butler, autore
britannico contemporaneo di Charles Darwin, scrisse nel 1863: «Cosa
succederebbe se la tecnologia continuasse ad evolversi così tanto più
rapidamente dei regni animale e vegetale? Ci sostituirebbe nella supremazia del
pianeta? Così come il regno vegetale si è lentamente sviluppato dal minerale, e
a sua volta il regno animale è succeduto a quello vegetale, allo stesso modo in
questi ultimi tempi un regno completamente nuovo è sorto, del quale abbiamo
visto, fino ad ora, solo ciò che un giorno sarà considerato il prototipo
antidiluviano di una nuova razza... Stiamo affidando alle macchine, giorno dopo
giorno, sempre più potere, e fornendo loro, attraverso i più disparati ed
ingegnosi meccanismi, quelle capacità di autoregolazione e di autonomia d’ azione
che costituirà per loro ciò che l’ intelletto è stato per il genere umano.».
Ma
la questione di fondo, indipendentemente dai dettagli tecnici, è una e molto
semplice: nonostante la sua complessità e ingegnosità da un punto di vista
scientifico, l’ intelligenza artificiale è del tutto superflua poiché ciò che
cerchiamo si trova già in noi, nella nostra mente, che, come psicologi e
psichiatri ammettono in tutta sincerità, risulta ancora oggi sconosciuta e
quindi inutilizzata in quasi tutti gli aspetti. Il potere della nostra mente è
tuttora in larga parte ignorato e latente, esplorarlo richiede un tempo molto
lungo e attraverso un sentiero imprevedibile, mentre l’ intelligenza
artificiale rappresenta la via più breve, ma non per questo la più giusta. Un
cervello positronico, splendidamente descritto da Isaac Asimov nelle sue storie
di genere cibernetico, ben difficilmente reggerebbe al confronto con il potere
di quel sistema complesso e dinamico qual’ è una mente umana disciplinata e
regolarmente in esercizio, le cui capacità interagiscono tra loro in modo
complesso e intricato. Ciò che dobbiamo sviluppare davvero siamo noi stessi…