Il Buddha; |
La
spiritualità è una parte molto importante nella vita di una persona. Persino
molti atei ne sentono il bisogno, dal momento che il termine indica tutto ciò
che fa bene alla parte spirituale e psicologica dell’ individuo, senza
necessariamente legarsi a un culto o a un credo particolare. Da parte sua, il
Buddhismo è una filosofia molto antica e profonda. Il suo insegnamento si
rivolge direttamente all’ essere umano, che descrive come il motore della sua
realizzazione spirituale, un’ entità completa che non ha bisogno di propiziarsi
alcuna divinità per compiere appieno la propria natura. Il Buddha parlò molto
chiaramente in proposito: «Nessuno ci salva tranne che noi stessi. Nessuno ne è
capace e nessuno potrebbe. Noi stessi dobbiamo prendere il cammino.».
Negli
ultimi decenni la via buddhista ha riscosso un notevole e crescente interesse
in Occidente, dal momento che rappresenta una forma di spiritualità rivolta a
tutti, senza imporsi però a nessuno, eppure vari aspetti dei suoi intensi e
suggestivi concetti vengono tuttora fraintesi, destando opinioni e giudizi
piuttosto inesatti: c’ è chi afferma, ad esempio, che invogli ad abbandonare il
mondo per dedicarsi giorno e notte alla meditazione, al sicuro da ogni
tentazione, che induca il praticante a una passiva indifferenza o che lo porti
addirittura a maturare una certa disapprovazione nei riguardi dell’ esistenza,
fonte inesauribile di patimenti e dispiaceri. Invece, il cuore dell’
insegnamento del Buddha incita ad adoperarsi attivamente per migliorare il
mondo, nella convinzione che per essere liberi non sia indispensabile lasciare
i propri beni materiali, ma eliminare l’ egoismo in favore di un atteggiamento
armonioso. Chi pratica il Buddhismo avverte continuamente sensazioni buone e
cattive, ma non si lascia guidare dal desiderio e nemmeno turbare dalle
esperienze negative. Tra i versetti del Dhammapada, la scrittura buddhista più
nota e contenente le parole pronunciate direttamente dal Maestro in svariate
occasioni, viene riportata una massima in tal senso molto particolare. In
queste semplici parole si rispecchia non soltanto il nucleo filosofico da lui
trasmesso in quarantacinque anni di insegnamento, ma tutta quanta la
spiritualità, nel suo significato più puro ed esteso, scevro da qualsivoglia
confessione religiosa: «Astenersi dal male; fare il bene; essere sempre
consapevoli. Questo è l’ insegnamento del Risvegliato.».
Il
Buddha, così esprimendosi, evidenziò tre concetti fondamentali: la rinuncia, la
compassione e la saggezza. Nel linguaggio spiritualista orientale, e
soprattutto buddhista, esse assumono un significato molto preciso, ma in
Occidente il loro senso viene facilmente alterato. La rinuncia viene infatti
scambiata per l’ ascesi. Prima di illuminarsi, ovvero comprendere la vera
natura delle cose e della vita, il Risvegliato visse effettivamente come
asceta, abbandonando ogni cosa e andando a vivere in una caverna, quasi morendo
di fame, finché in un secondo momento comprese l’ inutilità dell’ ascetismo in
quanto estremo da evitare. Tuttavia, per rinuncia nel Buddhismo si intende il
desiderio di essere liberi dalla sofferenza e dalle sue cause. A questo
obiettivo si giunge soprattutto domando il desiderio egoistico, la bramosia.
Questo non impone l’ abbandono delle comodità o delle cose che si amano,
piuttosto implica lo sforzo di risolvere i problemi causati dall’ attaccamento
e dagli eccessi collegati a queste cose: si può infatti trarre piacere da tutte
le cose e dalla compagnia di ogni persona in totale assenza di attaccamento,
dato che l’ ingordigia per qualcosa o qualcuno crea dipendenza, dunque nuovi
problemi. La moderazione, nel linguaggio occidentale, è il perfetto sinonimo
della rinuncia buddhista, dell’ astensione dal male. Da parte sua, la
compassione è un altro grande concetto spesso e volentieri male interpretato in
Occidente, per quanto rappresenti un principio fondamentale comune al
Cristianesimo. Per i buddhisti la compassione non è un sentimento di pena e
pietà ma un agire altruistico, del tutto motivato dal bene e dalla felicità
altrui. Tale generosità non si traduce mai in passività e accettazione di ogni
cosa, dando sempre a tutti ciò che vogliono: se per esempio un drogato desidera
una nuova dose o un ubriaco chiede di guidare l’ automobile, la compassione, il
fare il bene, abbinata a un’ opportuna riflessione, impone agli altri di non
soddisfare tali desideri. Talvolta occorre agire con forza, per impedire che
accadano fatti gravi e dolorosi. E’ sempre meglio agire con nonviolenza per
prevenire o correggere situazioni difficili, ma se l’ unico modo per sgominare
un pericolo è un’ azione forte non c’ è scelta, altrimenti si cade nella
passività. Tra tutti, infine, la saggezza, l’ essere consapevoli, è il termine
con cui il comune occidentale denota maggiore dimestichezza. In ambito
buddhista indica la conoscenza della vacuità, che si acquisisce con la
meditazione e l’ intuizione, attraverso cui si raggiunge direttamente il
Risveglio: tutte le cose sono interdipendenti e soggette a mutamento, nessuna
di esse esiste separata, come entità propria. Tutto è unito, parte senza
distinzioni dello stesso insieme, ma il vuoto di cui si parla nel Buddhismo non
equivale alla non esistenza e al vuoto, bensì a un pieno di tutto.
Non
occorre essere buddhisti per apprezzare il significato della particolare
massima citata nel Dhammapada. In queste semplici parole si racchiude una
spiritualità di altissimo livello. Dedicarsi alla cura dello spirito non
significa recitare una preghiera, andare in un tempio o, più in generale,
aderire a una fede. Per quanto, entro certi limiti, siano cose importanti, è
fondamentale guardare dentro sé stessi con i propri occhi, migliorarsi e agire
positivamente sia per noi che per gli altri con le proprie forze e trarre ogni
conclusione per mezzo dell’ esperienza personale, più che della fede.
Nessun commento:
Posta un commento