«Le migliaia di
criminali che ho visto in quarant’ anni di applicazione della legge hanno avuto
una cosa in comune: ognuno di loro era un bugiardo.» J. Edgar Hoover;
Passeggiando
per le vie di Washington D.C. e raggiungendo l’ angolo tra la 9° strada e
Pennsylvania avenue ci si imbatte in un grande palazzo progettato per essere
guardato dai cittadini con un misto di rispetto e soggezione: il J. Edgar
Hoover Building, colossale sede della famosa FBI, dedicata alla memoria del suo
famosissimo direttore.
Per
quanto in Europa e in Italia rimanga una figura poco conosciuta, J. Edgar
Hoover fu un uomo estremamente potente, temuto e discusso in ogni angolo degli
Stati Uniti d’ America, il cui nome veniva mormorato con prudenza e timore in
ogni luogo, dalle stanze del potere di Washington alle strade delle periferie.
Meglio di tutti, infatti, quest’ uomo assai rude ed egocentrico dimostrò la
validità del noto proverbio di origine latina: «Sapere è potere.». Per
quarantotto anni mantenne saldamente nelle proprie mani un potere immenso, di
cui nessuno intravide mai i veri limiti, con il quale influenzò molto l’
operato di ben sei Presidenti, da Franklin Delano Roosevelt a Richard Nixon.
Pur proclamandosi devoto servitore della legge e della giustizia, impiegò ripetutamente
metodi illeciti e addirittura indegni per contrastare chiunque osasse
tagliargli la strada. Turbato da numerose e profonde fissazioni e costantemente
assillato dalle maldicenze sulle sue abitudini sessuali, predispose un
monumentale e ben organizzato archivio di schedari con cui per anni tenne sotto
scacco i suoi molti avversari. Convinto sostenitore del Maccartismo, ostacolò
la Corte suprema, intralciò il movimento dei diritti civili e ricattò i
Kennedy.
Il
suo operato presenta tuttora determinati punti oscuri, soprattutto a proposito
dei suoi contatti con la malavita e del motivo per cui ostacolò le indagini sui
delitti di John e Robert Kennedy e quello di Martin Luther King, ma è certo che
senza di lui l’ FBI non sarebbe mai divenuto l’ autorevole ente investigativo
di oggi.
John
Edgar Hoover nacque a Washington D.C., il 1 gennaio 1895, in una famiglia di
discendenza tedesca, britannica e svizzera. Suo padre, Dickerson, lavorava per
la Us Coast and Geodetic Survey, mentre la madre, Anna Marie Scheitlin, era una
donna autoritaria, convinta assertrice degli antichi valori, che gli inculcò il
rispetto per la tradizione: nei suoi riguardi provò sempre un rispetto
intimorito. Discendente da due generazioni di funzionari statali, il giovane
John Edgar, ultimo di quattro figli e spesso definito «il classico figlio di
mamma», si iscrisse alla George Washington University, e trovò lavoro come
fattorino presso la Biblioteca del Congresso, il più grande archivio del mondo.
Laureatosi in legge nel 1917, grazie ad uno zio magistrato entrò nel
Dipartimento di Giustizia, e dopo pochi mesi divenne il favorito del
Procuratore generale, Alexander Mitchell Palmer, che lo volle come suo
assistente speciale.
In
quel tempo il Dipartimento di Giustizia disponeva di una piccola divisione di
indagine, il BOI, ossia Bureau of Investigation, fondato nel 1908 dal
Procuratore generale Carlo Giuseppe Bonaparte e dedito ai sospetti
rivoluzionari di ideale comunista: Hoover entrò a farne parte, gettandosi come
un lupo affamato nella lotta al comunismo. Influenzato dal suo lavoro presso la
Biblioteca del Congresso, decise di dare vita ad un enorme archivio che gli
consentì di schedare tutti i sospetti e i presunti rivoluzionari. Il 7 novembre
1919, secondo anniversario della Rivoluzione russa, fece arrestare oltre
diecimila sospettati, tra comunisti e anarchici, in più di venti città
statunitensi: sebbene dovette rilasciarne la maggior parte per mancanza di
prove, portandoli in tribunale intuì la necessità di inserire nei suoi monumentali
archivi anche i nomi di ogni avvocato che, praticamente senza compenso, si era
assunto l’ onere di difendere gli imputati, e in un secondo momento poté
dimostrare che l’ anarchica Emma Goldman, a dispetto dei trentaquattro anni
vissuti sul suolo statunitense, fosse da ritenere una pericolosa sovversiva: al
termine di un processo serrato la fece deportare in Unione Sovietica.
Le
sue retate ebbero effetti devastanti sul Partito Comunista statunitense, che
quasi scomparve dal suolo nazionale vedendo calare ad appena seimila i propri
iscritti, un tempo oltre ottantamila.
Nel
1921, il giovane Hoover venne promosso a vicedirettore del Bureau, e tre anni
dopo, per volere del nuovo Procuratore generale, Harlan Fiske Stone, ne divenne
direttore provvisorio: in quel tempo l’ ente investigativo, corrotto e
inefficiente, contava soltanto seicento agenti operativi, e per prima cosa fece
piazza pulita dei raccomandati, instaurando una disciplina ferrea, con metodi
rigidissimi di addestramento e selezione. Diede vita a una serie di reparti
attivi e ben organizzati, introdusse il metodo scientifico nelle indagini e
predispose una vera e propria accademia che formasse i nuovi agenti. Durante il
suo mandato il Bureau raggiunse i seimila agenti operativi, ma si trattava
soltanto di un organismo di controllo e di osservazione, ragion per cui nel
1934 Hoover spinse per ottenere dal Presidente Roosevelt poteri illimitati
tramite la firma di provvedimenti anticrimine che conferirono all’ ente la
facoltà di compiere arresti e di disporre delle misure proprie delle altre
forze di polizia, come l’ uso di armi, convertendo il Bureau in una vera e
propria macchina di lotta alla criminalità: nacque l’ FBI, il Federal Bureau of
Investigations.
Devotissimo
e sottomesso alla propria madre, con cui visse fino alla sua morte nel 1938,
follemente appassionato alle corse ippiche, a cui presenziava quasi ogni sabato
scommettendo, ossessionato dalla caccia ai comunisti, avverso ai capelli
lunghi, alla barba, ai baffi e alle cravatte rosse, che vietò categoricamente
nel Bureau, soffriva di una certa fobia nei riguardi delle mani sudaticce,
delle mosche, dei germi e del sesso. La sua grande amicizia con Clyde Tolson,
il suo braccio destro, reclutato nel 1927 e divenuto vicedirettore nel 1930,
alimentò presto svariati pettegolezzi sull’ esistenza di un rapporto
omosessuale tra loro, tanto che il giornalista Ray Tucker ne parlò apertamente
sulla rivista «Collier»: l’ FBI rispose inserendo il suo nome tra i sospettati
di attività sovversive, lasciando trapelare anche determinate indiscrezioni
compromettenti sul suo conto. Qualche tempo dopo, Meyer Lansky, il noto capo
della criminalità ebraica, ricattò per anni i federali sostenendo di aver
ottenuto le prove fotografiche dell’ omosessualità del loro direttore,
riuscendo a proteggere i propri affari delinquenziali.
Maestro
del ricatto, Hoover riuscì sempre a mantenere una completa autonomia dal
Dipartimento di Giustizia e dalla Casa Bianca, nonché un vantaggio strategico
sui rivali, accumulando le prove di qualcosa di compromettente a proposito di
Presidenti, ministri, senatori e imprenditori, che al momento opportuno metteva
al corrente dichiarando che nel corso di un’ indagine aveva casualmente
scoperto tali informazioni, assicurando che nessuno ne sarebbe mai venuto a
conoscenza: da quel momento il direttore dell’ FBI teneva in pugno il proprio
bersaglio. Probabilmente i famigerati fascicoli non custodivano sempre notizie
sicure, ma nessuno ebbe mai il coraggio di accusare Hoover di barare, ragion
per cui egli mantenne sempre pieni poteri e libertà.
Durante
gli Anni Quaranta, Hoover procurò al Bureau un laboratorio scientifico
pionieristico, e la concessione da parte di Roosevelt di indagare anche nei
casi di spionaggio internazionale, particolare elemento che gli diede ulteriore
potere nella caccia ai comunisti. Notoriamente ostile al Presidente Truman, a
cui diede perfino del bugiardo, si convinse che alcuni membri del suo governo
fossero in realtà membri del Partito Comunista sovietico, e quando il
Presidente gli ordinò di lasciar cadere l’ indagine, predispose una disastrosa
fuga di notizie con cui compromise gli alti funzionari di Stato.
Al
culmine del suo potere, poco dopo l’ inizio del Maccartismo, Hoover varò il
COINTELPRO, un programma di infiltrazione e controspionaggio interno dell’ FBI,
che rimase segreto fino al 1971, atto a neutralizzare la crescita dei movimenti
dei diritti civili soprattutto di sinistra e afroamericani, ma anche di estrema
destra, nonché di personaggi illustri come Martin Luther King. Fece pubblicare
un opuscolo contenente i nomi di centocinquantuno artisti, registi e scrittori
considerati potenziali sovversivi rossi. Uno dei suoi bersagli più noti fu
Charlie Chaplin, già vittima del Maccartismo. La sua mania per il pericolo
comunista fu tale che nel 1959 ben quattrocentottantanove agenti si occupavano
di spionaggio rosso, e quattro soltanto erano assegnati al crimine organizzato,
ma grazie ad abili manovre pubblicitarie la sua direzione passò alla storia per
aver combattuto a lungo la criminalità, togliendo di mezzo individui come John
Dillinger e George Kelly. Consapevole del grande potere della pubblicità,
promosse un’ attenta e grande campagna nel corso della quale approvò film e
sceneggiati sull’ FBI e servizi in cui lui stesso veniva presentato come un
grande e impavido eroe nazionale.
Nel
1960, John Fitzgerald Kennedy divenne il nuovo Presidente degli Stati Uniti, e
insieme al fratello Robert, suo Procuratore generale, concordò un piano per
sostituire Hoover, ormai incontrollabile. Il direttore del Bureau, però,
vantava già il possesso di varie informazioni assai delicate sul loro conto e
della loro famiglia, non esclusi il padre, le rispettive mogli e le amanti. Il
piano, già compromesso, naufragò completamente nel 1963, con l’ assassinio del
Presidente a Dallas. Negli anni successivi, i suoi attacchi a Martin Luther
King, amico dei Kennedy, si fecero più aggressivi: lo accusò di essere un
«volgare mentitore» e un «mandrillo dagli istinti sessuali ossessivi e
degenerati», e gli fece spedire una lettera anonima per indurlo al suicidio, e
all’ annuncio del suo assassinio nel 1968 alcuni agenti dell’ FBI applaudirono.
Quando
Lyndon B. Johnson, vicepresidente di Kennedy, divenne Presidente, revocò per il
direttore dell’ FBI l’ obbligo di pensionamento a settant’ anni, ma lo tenne
sempre sotto stretta sorveglianza. Alla ricerca di utili alleati, Hoover
considerò con sempre più attenzione Richard Nixon, con cui aveva relazioni
personali fin da quando era vicepresidente di Eisenhower: nel 1969, quando
divenne Presidente, si vantò apertamente e con un certo fondamento con i propri
collaboratori di avergli assicurato la via per lo Studio Ovale. Da parte sua,
ben cosciente di avere a che fare con una forza incontrollabile e paranoica,
Nixon tentò due volte di licenziarlo, ma senza successo. Pur essendo riuscito a
tenersi la carica, Hoover subì seri danni e, per ripicca, piantò i semi che,
negli anni, avrebbero portato allo scandalo Watergate.
Colto
da un attacco cardiaco, Hoover morì il 2 maggio 1972. Scapolo e senza figli,
aveva settantasette anni, ed era stato direttore dell’ FBI per ben quarantotto
anni. Gli vennero tributati funerali di Stato, e il Congresso autorizzò l’
esposizione della salma nella Rotonda del Campidoglio, un onore concesso solo
ad altri ventuno statunitensi, tra Presidenti, statisti ed eroi di guerra. Al
fine di proteggerne il corpo da vandali e comunisti, o da eventuali attacchi
nucleari, l’ FBI lo fece sigillare in una bara rivestita internamente di piombo
e pesante oltre quattro quintali: due dei giovani militari che la portarono a
spalla si procurarono un’ ernia, mentre una delle guardie d’ onore cadde
svenuta.
Dopo
le esequie solenni, i dirigenti del Bureau discussero della successione e su
cosa fare dei suoi temutissimi schedari segreti, che però erano stati
prontamente distrutti dalla sua segretaria personale, Helen Tandy. Clyde
Tolson, il vecchio amico di Hoover, assunse la direzione ad interim dell’ FBI e
venne sostituito dopo appena un giorno da L. Patrick Gray, nominato da Nixon.
Due settimane più tardi, Tolson lasciò il Bureau e morì tre anni dopo.
La
direzione di Hoover rimane tuttora la più lunga della storia statunitense:
Nixon decise che da quel momento la direzione del Bureau non avrebbe superato i
dieci anni. Nel 1979 il Comitato per le indagini sugli omicidi, dopo aver
riaperto le indagini sull’ assassinio di Kennedy, dichiarò che Hoover si
sarebbe comportato in modo non adeguato sulla «possibile cospirazione tesa ai danni
di Kennedy», e fu l’ inizio di una rivalutazione non sempre lusinghiera della
reputazione e del suo operato. Da allora si è sempre più sospettato di atti di
violenza nel corso delle più importanti e delicate indagini, come quelle
relative all’ assassinio di Martin Luther King. Oltre all’ appoggio al senatore
McCarthy e alla condivisione totale delle sue idee, contribuì in prima persona
a diffondere il clima di caccia alle streghe degli Anni Cinquanta, e promosse
una grave restrizione delle libertà civili a danni anche di persone innocenti.
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