Il Monastero di Tashilunpo, residenza dei Panchen Lama; |
In
Tibet, tra il XVII e il XX secolo il Panchen Lama è stato la seconda autorità
spirituale del Buddhismo locale, e insieme al Dalai Lama si è imposto come
caposaldo della trasmissione dell’ insegnamento e della gerarchia della scuola
dei Berretti Gialli. Eppure, in accordo con gli spietati interessi terreni
della politica e a conferma della natura mutevole di tutte le cose, oggi questo
elevato lignaggio religioso è stato violato dal governo della Cina, che nonostante
le belle e ostentate dichiarazioni di rispetto per l’ autonomia amministrativa
e culturale della «Regione Autonoma Tibetana» lo ha degradato alle condizioni
di burattino le cui buone azioni assicurano un forte e diretto controllo sulla
società tibetana e la particolare tradizione buddhista ivi fiorita.
Analogamente
al Dalai Lama, il Panchen Lama è un lama reincarnato, più precisamente un tulku,
termine che in tibetano significa «corpo dell’ emanazione» e che indica coloro
che hanno maturato il Risveglio ma, spinti da bodhicitta, ossia la ferma,
irremovibile, spontanea intenzione di aiutare gli altri, posticipano il più a
lungo possibile il proprio ingresso nel Nirvana continuando a rinascere di vita
in vita praticando e trasmettendo la Via del Buddha. Il titolo di Panchen Lama
significa «Grande Erudito», e si compone di due termini: il primo, panchen, deriva
dal sanscrito pandit, ossia «erudito», e khenpo, che in tibetano significa «grande»,
mentre il secondo, lama, viene dal solo tibetano, traducibile in «maestro». I tibetani
si rivolgevano a lui con un termine sanscrito equivalente, Mahapandita, o come
Panchen Rinpoche. Egli era lama e monaco della scuola dei Berretti Gialli, la
stessa del Dalai Lama, e per tradizione era abate del Monastero di Tashilhunpo,
nei pressi di Shigatse, fondato nel 1447 dal I Dalai Lama. Persona di elevato
prestigio e influenza in Tibet, il suo scopo era di contribuire allo sviluppo e
alla preservazione della dottrina buddhista, e al suo insegnamento, mentre la
sua autorità era soggetta soltanto a quella del Dalai Lama, al contrario del
quale non esercitava mai alcun potere temporale. Nei secoli, tra il Grande
Erudito e l’ Oceano di Saggezza era maturato un legame di stima, cordialità e
collaborazione così profondo che i tibetani li ritenevano uniti come il sole e
la luna. Tale rapporto si fondava su due principi: la ricerca delle rispettive
reincarnazioni e il successivo rapporto tra maestro e discepolo. Mentre il
Dalai Lama è considerato la reincarnazione di Avalokiteshvara, il Bodhisattva
della Compassione, il Panchen Lama è invece ritenuto la personificazione di Amitabha,
il Bodhisattva della Conoscenza.
Il IX Panchen Lama; |
L’
istituzione del titolo del Panchen Lama risale al XVII secolo, quando il V
Dalai Lama, primo sovrano assoluto del Tibet e massima autorità spirituale del
Buddhismo, lo conferì al suo grande insegnante, Lobsang Chökyi Gyaltsen, affidandogli
peraltro la guida di Tashilhunpo. Considerato reincarnazione di tre saggi e
profondi lama, Gyaltsen decise di trasmettere questo importante titolo ai suoi
predecessori, divenendo il IV Panchen Lama. Nei secoli successivi, tra l’
Oceano di Saggezza e il Grande Erudito si stabilirono legami spirituali sempre
più stretti, animati talvolta da contrasti a cui normalmente seguiva una
riconciliazione, cosa che non mise mai in dubbio la fedeltà dell’ uno verso l’
altro. Sebbene ufficialmente i Panchen Lama non svolsero mai alcun ruolo
politico, nei dintorni di Shigatse la loro influenza si estese presto e con
grande rilievo anche in molti aspetti della vita sociale e ammnistrativa: nel
XVIII e nel XIX secolo in particolare, acquisirono un’ autorità ben maggiore di
quella dei Dalai Lama, dal momento che molti Oceani di Saggezza morirono troppo
giovani per poter consolidare la propria posizione politica e religiosa. I Grandi
Eruditi non ebbero pertanto rapporti con Lhasa, la capitale del Tibet, ormai
abitualmente in mano ai Reggenti, e tra i dignitari di Tashilhunpo si affermò
sempre più l’ idea che l’ area di Shigatse avesse il diritto di sviluppare una
certa autonomia amministrativa e politica dal governo centrale: le proprietà
del Panchen Lama, sulle quali vivevano migliaia di nomadi, divennero immense e
sfiorarono la ricchezza e la magnificenza di quelle del Dalai Lama. Al Panchen
Lama era riconosciuto il controllo di tre piccoli distretti attorno alla città
di Shigatse, ma non sulla città, la quale rimase sotto il controllo di un
prefetto nominato da Lhasa.
Il X Panchen Lama; |
La
crisi vera e propria tra i due grandi lama reincarnati iniziò nel 1913: di
ritorno dal suo esilio in Mongolia e Cina, il XIII Dalai Lama, seriamente
deciso a riformare il Regno delle Montagne, volle che Shigatse pagasse le tasse
come ogni altra regione tibetana, ma i dignitari del IX Panchen Lama, ormai abituati
alla secolare lontananza del potere centrale, irritarono profondamente la
capitale opponendo un netto rifiuto. All’ Oceano di Saggezza in particolare tornarono
alla mente le indiscrezioni secondo cui nel pieno della Spedizione britannica
in Tibet, da cui era sottratto fuggendo in esilio, il IX Panchen Lama, rimasto
invece in patria, o forse qualcuno dei suoi dignitari, sarebbe stato pronto a
chiedere l’ aiuto di Londra per fare di Shigatse un territorio autonomo e
indipendente. Amareggiato, il Grande Tredicesimo aveva tentato di incontrare il
Grande Erudito per verificare la fondatezza di tali dicerie, ma senza successo in
virtù dell’ opposizione da parte delle stanze del potere di Tashilhunpo. La sua
posizione effettiva non venne mai del tutto chiarita, ma pare che il IX Panchen
Lama, descritto come un grande uomo dedito alla spiritualità, gentile e acuto
osservatore, molto bene informato su quanto avveniva in Tibet, fosse vittima di
intrighi mossi in suo nome e a sua insaputa dai suoi ambiziosi e infidi
dignitari, interessati più al potere temporale che alle realizzazioni
spirituali. Negli Anni Venti i rapporti tra i due massimi lama reincarnati precipitarono
sempre di più: nel 1922 il IX Panchen Lama volle l’ intervento di Londra per
mediare le contese con Lhasa, ma gli venne risposto che il governo di Sua Maestà
non poteva interferire nelle questioni interne di un altro Paese, mentre nel
1924, a seguito di un’ oscura questione di tasse e privilegi, gli venne fatto
credere dai suoi ingannevoli consiglieri che la sua libertà fosse in pericolo, pertanto
si rifugiò nella Mongolia Interna lasciando ai propri lama e monaci una lettera
in cui si dispiaceva amaramente della situazione, pur confidando vivamente
nella possibilità di chiarirsi con il Dalai Lama e tornare velocemente in
Tibet. A Lhasa, invece, nell’ intento di contenerne il potere e l’ autorità
soprattutto nella regione di Shigatse, l’ Oceano di Saggezza vietò ai lama e ai
monaci fedeli al Panchen Lama di ricoprire qualsiasi incarico nel governo
centrale del Tibet, e proibì ai suoi dipendenti e ufficiali di lasciare Lhasa,
mentre in un secondo momento requisì il suo patrimonio rimasto sul suolo
tibetano allo scopo di coprire un quarto delle spese militari, evitando che
Shigatse divenisse indipendente. Sempre più manovrato dai consiglieri, il Grande
Erudito si appellò ai cinesi del Kuomintang, i quali, volendo annettere il
Tibet alla Cina, sfruttarono prontamente la carta del Panchen Lama in esilio,
usandola contro il Dalai Lama. L’ abate di Tashilhunpo collaborò molto
attivamente con i cinesi, recandosi persino a Pechino nel 1925, divenendo
Commissario Speciale per i Territori Occidentali, ma non pensò mai di ritornare
in Tibet con la forza. Molto preoccupato di un suo eventuale ritorno sotto
scorta cinese, nel 1932 il Dalai Lama rispose a una sua lettera affermando che
ovviamente sarebbe stato sempre il benvenuto, ma a patto che riconoscesse l’
autorità di Lhasa su Shigatse e rinunciasse alla scorta cinese: tale invito,
purtroppo, non ebbe seguito. Negli anni dell’ esilio il IX Panchen Lama
collaborò comunque in modo costante e positivo ad alcuni importanti piani di
sviluppo per un Tibet moderno, ma in patria fu accusato di essere favorevole
molto più alla causa cinese che a quella tibetana: si dice infatti che sostenesse
le idee di Sun Yat-sen, analogamente al rivoluzionario Pandatsang Rapga, che
tradusse le opere del politico cinese in lingua tibetana. La morte del XIII
Dalai Lama, avvenuta nel 1933, lo colpì profondamente, e insieme al V Reting
Rinpoce, altro grande lama reincarnato, scelto come Reggente del governo
tibetano, ebbe un ruolo molto importante nella ricerca della sua
reincarnazione, un bambino nato nel 1935 in un villaggio dell’ Amdo. Morì nel
1937 a Gyêgu, in Cina.
A
seguito della perdita del Grande Erudito, i cinesi intuirono facilmente che il suo
successore sarebbe divenuto uno strumento persino migliore di lui nei loro
piani atti a consolidare la propria influenza nella politica interna tibetana:
Lhasa e Tashilhunpo avviarono due ricerche distinte atte ad indentificarne la
reincarnazione, trovando ciascuna un proprio candidato. Il 3 giugno 1949 gli
emissari del IX Panchen Lama annunciarono ufficialmente di avere trovato la
reincarnazione in un bambino di undici anni nato nell’ Amdo, la stessa regione
di provenienza del XIV Dalai Lama, e il successivo 11 giugno condussero una
cerimonia di insediamento sotto la supervisione di alcuni ufficiali cinesi che
ne avevano approvato il riconoscimento. Educato da grandi lama e assistito da
consiglieri leali alla Cina, che ne seguiva costantemente le vicende, divenne
presto un fantoccio: sostenne apertamente la pretesa di sovranità sul Tibet da
parte della Cina e le sue politiche di riforma, tanto che Radio Pechino trasmise
il suo invito a «liberare il Tibet», mentre nel 1951 fu invitato a Pechino come
parte della delegazione tibetana che firmò l’ Accordo dei 17 punti. Venne
riconosciuto dal XIV Dalai Lama e dai suoi dignitari come X Panchen Lama solo
nel loro primo incontro, nel 1952. Nel 1954 accompagnò l’ Oceano di Saggezza a
Pechino e in un lungo viaggio attraverso la Repubblica Popolare Cinese atto a
negoziare con il governo cinese a proposito dell’ occupazione tibetana da parte
della stessa Cina, da poco divenuta comunista, ma il tentativo di mediazione si
rivelò infruttuoso, e nel 1956 lo seguì in pellegrinaggio in India, la terra
originaria del Buddha. Successivamente, il 10 marzo 1959, il movimento di
resistenza tibetano scatenò una grande sollevazione a Lhasa, che fu duramente
repressa dall’ Esercito Popolare di Liberazione: migliaia di uomini, donne e
bambini vennero massacrati nelle strade della capitale e in altri luoghi.
Convinto di dover rendere pubblica la grave situazione in cui versava il suo
Paese e di dover ottenere il sostegno della comunità internazionale, il XIV
Dalai Lama fuggì dal Tibet la notte del successivo 17 marzo, giungendo in India
esattamente due settimane dopo. Sostenuto da Nehru, primo capo di governo dell’
India autonoma, prese residenza a Dharamsala con un seguito di centoventimila
tibetani, e formò un governo in esilio, divenendo così il primo Dalai Lama
costretto a vivere a tempo indefinito al di fuori del Tibet. Al X Panchen Lama
fu invece concesso di rimanere in Tibet esercitando le proprie funzioni, ma si
accorse presto delle reali conseguenze dell’ occupazione. Nel 1962, dopo un
viaggio attraverso il Regno delle Montagne, presentò al Primo Ministro cinese
Zhou Enlai, che in seguito incontrò personalmente, una petizione a favore del
popolo tibetano, in cui denunciò la difficile vita dei tibetani, oppressi dalle
ferree regole cinesi. Inizialmente questo documento fu accolto favorevolmente,
ma nel successivo mese di ottobre Mao e le autorità cinesi manifestarono un
notevole risentimento per quel provvedimento. Nel 1964 venne pubblicamente
umiliato e dichiarato «nemico del popolo tibetano», per poi venire imprigionato
e torturato negli anni della Rivoluzione culturale. Nell’ ottobre 1977, venne scarcerato
e tenuto agli arresti domiciliari a Pechino fino al 1982. Nel 1979 sposò Li
Jie, una donna cinese, e nel 1983 ebbe una figlia, Yabshi Pan Rinzinwangmo:
questo comportamento fu considerato da molti indegno, del tutto inconciliabile
con la sua posizione di lama della scuola di Gelug. Dopo il suo rilascio venne
persuaso a mantenere un atteggiamento pacifico, e come soggetto «politicamente
riabilitato» gli fu assegnata la carica di Vicepresidente del Congresso
Nazionale del Popolo. Nel 1989 rivolse pubblicamente alcune critiche contro il
governo cinese, e cinque giorni dopo morì appena cinquantunenne in circostanze
mai chiarite del tutto, tanto che ancora oggi molti pensano che venne ucciso
tramite avvelenamento, piuttosto che da un infarto naturale come sostenuto
ufficialmente da Pechino. Alla sua morte, il XIV Dalai Lama decise di
riabilitare il nome del Grande Erudito affermando che, in quel determinato contesto
storico, il suo modo di agire poté sembrare ambiguo e non consono alla carica
che ricopriva, ma ogni sua azione fu volta a tutelare il popolo tibetano.
Il Dalai Lama e il Panchen Lama; |
La
questione del Panchen Lama rimane tuttora una delle maggiori cause di ostilità
tra il governo cinese e il popolo tibetano. All’ indomani della morte del X
Panchen Lama iniziarono le ricerche per individuarne la reincarnazione. Chadrel
Rinpoche, grande lama a capo della delegazione di ricerca, riconobbe la
rinascita in un bambino di sei anni, Gedhun Choekyi Nyima, e ne comunicò
prontamente la notizia al Dalai Lama. Tuttavia, quando l’ Oceano di Saggezza
annunciò al mondo l’ avvenuto ritrovamento della reincarnazione del Grande
Erudito, le autorità cinesi arrestarono immediatamente Chadrel Rinpoche e lo
sostituirono con Sengchen Lobsang Gyaltsen, un fiero oppositore sia del Dalai
Lama che del Panchen Lama, incaricandolo di formare una nuova commissione di
ricerca con cui individuare una diversa incarnazione. Gedhun Choekyi, ritenuto «una
scelta illecita fomentata dalla cricca del Dalai Lama per destabilizzare dall’
interno l’ unità cinese», venne rapito insieme alla sua famiglia e fatto
sparire nel nulla. La delegazione di lama filocinesi compilò una nuova lista di
candidati, e qualche mese dopo, l’ 11 novembre 1995, nel corso di una cerimonia
fasulla a Lhasa, nel Tempio di Jokhang, a cui presenziò persino il Presidente
della Repubblica Popolare Cinese, Jiang Zemin, fu insediato come XI Panchen
Lama un bambino cinese di cinque anni, figlio di esponenti di rilievo del
Partito Comunista. A seguito della celebrazione, il piccolo Jizun Losang Qamba
Lhunzhub Qoigyijabu Baisangbu fu trasferito in Cina, ove trascorse tutta la sua
infanzia, in chiara chiave antitibetana, crescendo nel rispetto degli usi e dei
costumi della «madrepatria socialista», visitando il Tibet soltanto in rare
occasioni, ricevendo sempre una fredda accoglienza dai monaci. Peraltro, fin
dall’ inizio ha ricevuto l’ educazione di lama praticanti il culto di Dorje
Shugden, entità spirituale del Buddhismo tibetano di cui il Dalai Lama ha
vietato la pratica, pur essendo stato un praticante lui stesso, definendola «un
demone dal terribile potere mondano». Questi lama, gli unici che opportunità
politiche hanno riconosciuto il candidato imposto dai cinesi, oggi formano una
coalizione ostile al Dalai Lama, che accusano di sopprimere la libertà
religiosa, di cui la Cina si serve come strumento ideale per combattere l’
influenza dell’ Oceano di Saggezza sulla comunità tibetana sia in Tibet che
all’ estero. Il Grande Erudito cinese è a sua volta praticante del culto dello
spirito controverso, e considerato dal governo di Pechino «il supremo lama del
Tibet».
Ancora
oggi si ignorano il luogo in cui è detenuto il Panchen Lama legittimo e le
esatte condizioni della sua incarcerazione. Molti lo ritengono il più giovane
prigioniero politico della storia. Nel maggio 1996 l’ ambasciatore cinese presso
le Nazioni Unite disse che era stato messo sotto la protezione del governo dietro
richiesta dei suoi genitori, e le autorità cinesi affermano soltanto che è «un perfetto
ragazzo ordinario, alto 165 centimetri, in uno stato di eccellente salute, e
che i suoi genitori non vogliono essere disturbati», ma di fronte alle
richieste di chiarimenti inoltrate da organizzazioni umanitarie e gruppi di
sostegno alla causa tibetana, movimenti sindacali, partiti politici e
parlamentari di numerose nazioni si rifiutano ostinatamente di dare qualsiasi
altra indicazione che possa portare a rintracciarlo.
Gedhun Choekyi Nyima; |
Il
caso del Panchen Lama, purtroppo, non è l’ unico esempio di interferenza cinese
nelle questioni sociali e religiose del Tibet, dal momento che il governo di
Pechino ha imposto i propri candidati alla reincarnazione di altri lignaggi di
lama enorme rilievo, come ad esempio quello di Reting Rinpoce, che analogamente
a quello del Panchen Lama era per tradizione coinvolto nella ricerca della
reincarnazione del Dalai Lama: la nomina del XV Dalai Lama avverrà formalmente
per mezzo di loro, in accordo con la costituzione cinese, da cui la carica di
Dalai Lama «è sempre dipesa». Nessuno dei tulku presentati dai cinesi è mai
stato riconosciuto dai lama tibetani, se non da quelli filocinesi e ostili all’
Oceano di Saggezza per ragioni puramente terrene, ma, per contro, intromissioni
di questo tipo sono aumentate notevolmente negli anni, al punto che nell’ agosto
2007 Pechino rese nota una nuova ordinanza in base alla quale le reincarnazioni
dei vari «Buddha viventi» dovranno essere approvate tramite un attestato
rilasciato dall’ Ufficio per gli Affari Religiosi, pena severe sanzioni.
Fortunatamente, sempre più tibetani riescono a mettere in salvo le nuove
generazioni di lama reincarnati, inviandoli in gran segreto in India, Nepal e
Bhutan, dove possono entrare in monasteri capaci di educarli come veri lama o
ghesce, ricevendo il valore e la sostanza tradizionali del Buddhismo tibetano.
Il Dalai Lama stesso ha recentemente fatto sapere che dal Tibet gli vengono
ripetutamente fatte richieste di nuovi sapienti da inviare oltre il confine.
Gli
stessi monasteri, oggi, sono mere vetrine di un passato ormai lontano, in cui i
monaci sono soggetti all’ autorità di funzionari del Partito Comunista di Cina
attentamente scelti che stabiliscono l’ orario e l’ argomento delle lezioni, in
buona parte delle quali si studia l’ ideologia comunista e si promuove una
campagna tesa a sconfessare l’ autorità del Dalai Lama. Ciò sta comportando una
rapida diminuzione della qualità dell’ istruzione dei monaci, ragion per cui
stanno venendo a mancare maestri capaci di ereditare il posto degli anziani. Lo
stesso Monastero di Tashilhunpo oggi è sede di circa quattromila monaci
tibetani, dagli Anni Ottanta è aperto al pubblico come superficiale risorsa
turistica del Tibet o museo vivente…
Complimenti, solo una piccolissima imprecisione, Amitabha non è un bodhisattva, anche se lo fu, ma un Buddha trascendente.
RispondiEliminaCi farebbe piacere se postasse anche sulla nostra pagina FB
https://www.facebook.com/sainsanaaviaggi/
Alfredo
Correzione accolta con vivo piacere. Ho adottato il termine bodhisattva perché di solito viene usato questo in riferimento alla figura spirituale di riferimento. Pubblicherò sulla vostra pagina con estremo piacere.
RispondiEliminaGrazie per la disponibilità Giacomo e per questo interessante articolo
RispondiEliminaE' un vero piacere.
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