«La guerra di
Spartaco fu la più legittima che mai sia stata intrapresa.» Montesquieu;
Gladiatori; |
Uno degli aspetti più caratteristici dell’ antica Roma, e che
ancora oggi suscita un certo fascino nell’ immaginario collettivo, fu il fenomeno
degli spettacoli dei gladiatori, particolari lottatori il cui nome derivava
dalla spada corta che usavano nei loro combattimenti, il gladio. L’ origine di
tali duelli proveniva dall’ Etruria, e con il tempo tra i romani riscossero
enorme popolarità, tanto che i più ricchi e i più potenti acquisirono l’ abitudine
di offrirli a proprie spese al popolo in occasione di particolari circostanze,
per esempio in occasione del funerale di un congiunto, di determinate festività
o per celebrare particolari occasioni.
Nella società romana il coraggio era considerato la massima
virtù, ragion per cui i gladiatori, figure imponenti che incutevano paura e
rispetto, insieme ai generali e ai soldati erano visti come veri e propri divi,
ammirati dagli uomini e desiderati dalle donne, grandi esempi di eroismo ed
eccezionalità agli occhi di tutto il popolo. Alcuni di loro erano schiavi e prigionieri
di guerra, oppure uomini originariamente condannati a morte, ma non di rado
erano uomini liberi attratti dalla celebrità e dalle sfide, dalle alte
ricompense e dalla gloria con cui contavano di collocarsi dignitosamente nella
società, lasciandosi per sempre alle spalle la povertà da cui provenivano. Chi
fra loro aveva successo diventava un eroe osannato e immensamente ricco: alcuni
tra i migliori gladiatori mai vissuti vennero retribuiti molto più dei generali
più valorosi, con denaro e oggetti in oro.
Ovviamente,
quella dei gladiatori non era affatto una vita facile: il loro addestramento
era durissimo, e il loro ingresso nelle arene veniva atteso con grande ansia
dagli spettatori, che gioivano alla vista del sangue, applaudendo il vincitore
e invocando spesso la morte di quello sconfitto.
Duello tra gladiatori; |
Il gladiatore più famoso di cui oggi conserviamo
il ricordo è senza dubbio Spartaco, uomo intelligente e carismatico che, alla
testa di una massa di schiavi ribelli organizzata come un vero e proprio
esercito, scatenò tra il 73 e il 71 prima di Cristo la Terza Guerra Servile
contro la Repubblica romana, una grande sollevazione con cui mise in grave pericolo
il dominio romano sull’ Italia meridionale. Una persona destinata a restare per
molti versi un eterno enigma, dotata di elevate doti di comando e combattente
che rovesciò duramente contro coloro da cui le aveva apprese.
La giovinezza di Spartaco è tuttora
avvolta nel mistero. Pare che fosse un trace, per la precisione appartenente
alla tribù dei Maedi, ma nel I secolo prima di Cristo il termine «trace» indicava
anche una nota classe di gladiatori, pertanto non si è sicuri se fosse trace
per nazionalità o stile di combattimento. Alcune fonti lo descrivono
appartenente a una famiglia di pastori e sposato con una sacerdotessa della sua
tribù, ma che, ridotto in povertà, si arruolò nell’ esercito romano, combattendo
in Macedonia come milite ausiliario, fino al giorno in cui avrebbe disertato a
causa di una disciplina troppo dura e una serie di gravi atti di razzismo
ripetutamente subiti, cosa che gli valse una condanna alla schiavitù. Secondo
altre cronache fu un prigioniero di guerra dal momento che la sua tribù era
alleata di Mitridate VI del Ponto, ma c’ è anche chi afferma che fosse figlio
di un proprietario terriero campano che ottenne la cittadinanza romana subito
dopo la conclusione della guerra italica.
I dati più sicuri sulla sua vita risalgono
intorno al 75 prima di Cristo, quando venne venduto a Gneo Cornelio Lentulo
Batiato, uno dei più famosi e apprezzati lanisti del suo tempo, proprietario di
una rinomata palestra con arena per gladiatori di Capua in cui, immerso nel
lusso, riceveva gli esponenti più ricchi e potenti dell’ aristocrazia romana,
tra patrizi, senatori e cavalieri, per i quali organizzava grandiosi duelli tra
gladiatori che gli rendevano immense ricchezze. Curiosamente, «Spartaco» non
era neppure il vero nome, ma un soprannome che Lentulo Battiato presumibilmente
ricavò forse da Sparadakos, ossia
«famoso per la sua lancia» o Spartakos,
un termine presumibilmente indicante un particolare luogo della Tracia o il
nome di un qualche leggendario sovrano della regione, oppure un riferimento a
Sparta, la celebre polis guerriera.
Dopo un durissimo addestramento, questo
nuovo gladiatore venne mandato a combattere nell’ anfiteatro campano contro
altri lottatori, misurandosi addirittura con varie belve feroci, divertendo
ampiamente i facoltosi clienti di Battiato.
Nel
73 prima di Cristo, circa duecento gladiatori concepirono un piano di fuga, ma vennero
prontamente scoperti, e in men che non si dica settanta di loro si impossessarono
di attrezzi da cucina e carri contenenti armi e armature per gladiatori, con cui
insorsero con violenza aprendosi le porte della palestra. Sconfitto il modesto
presidio di Capua, gli insorti saccheggiarono la zona circostante, accogliendo
tra loro altri schiavi, quasi tutti prigionieri di guerra abituati all’ uso
delle armi, braccianti, contadini poveri, pastori, gente ridotta in miseria,
sbandati, espropriati, diseredati e scontenti, asserragliandosi poi sul Vesuvio,
in una posizione inattaccabile. Spartaco assunse ben presto il comando della
ribellione, circondandosi di luogotenenti come i galli Crixo, Gannico e Casto ed
Enomao, e iniziò una relazione sentimentale con Varinia, una tra le più
avvenenti schiave di Battiato, proveniente dalla Dacia meridionale.
Informata
di quanto stava accadendo, Roma mandò contro di loro tremila soldati al comando
del pretore Gaio Claudio Glabro, che sottovalutò ampiamente la situazione
ritenendola un’ incursione contro una banda di razziatori, bloccando la loro unica
via di uscita nota e attendendo fino al momento in cui la fame e gli stenti li
avrebbero costretti ad arrendersi. Spartaco e i suoi si servirono di funi e
scale adoperando il legno delle vigne e degli alberi che crescevano sulle
pendici del vulcano per scenderne le pareti dalla parte opposta alle forze di
Glabro, attaccandole alle spalle e trucidandole. Una seconda spedizione, guidata
dal pretore Publio Varinio, fu a sua volta sconfitta dagli schiavi: Varinio
scampò alla cattura ma gli schiavi entrarono in possesso dell’ equipaggiamento
dei soldati romani, e grazie a questi successi un numero sempre maggiore di
schiavi si unì alle forze originarie di Spartaco, che arrivarono a contare ben
settantamila uomini.
Sempre
più numerosi, i ribelli decisero di muoversi dal Vesuvio in cerca della libertà
con l’ assenso di Spartaco, che finì per scontrarsi con Crixo: il primo voleva
infatti raggiungere le terre di origine degli schiavi in Gallia e nei Balcani,
mentre l’ altro aveva intenzione di saccheggiare l’ Italia meridionale. Gli insorti
pertanto si divisero nella primavera del 72 prima di Cristo: il gruppo di
Spartaco, il più numeroso, forte di trentamila uomini, si diresse a nord, verso
le Alpi, mentre Crixo e gli altri, prevalentemente galli e germanici, vennero
raggiunti e sterminati dalle forze del console Lucio Gellio Publicola sul Monte
Gargano. Quando ebbe la notizia della tragica fine dei compagni, Spartaco ne
onorò la memoria alla maniera degli aristocratici romani, ossia con giochi
funebri nei quali trecento romani, ormai prigionieri di guerra, furono
costretti a combattere sino alla morte come gladiatori.
Di
fronte alla crescente indignazione derivante dalla scia di sangue, dei
saccheggi e degli stupri commessi dai ribelli, il Senato romano ne prese
maggiormente in considerazione la minaccia e nel dicembre del 72 prima di
Cristo, mentre Spartaco, per ragioni mai chiarite, tornava in Lucania anziché
sfuggire oltre le Alpi, affidò al pretore Marco Licinio Crasso, in quel momento
il miglior stratega militare della capitale, il comando di otto legioni. Crasso
dispose le proprie legioni e forzò i ribelli a ritirarsi attraverso la Lucania
fino allo stretto di Messina. Spartaco si accordò con i pirati cilici per farsi
trasportare assieme ai suoi uomini in Sicilia, dove avrebbe incitato altri
schiavi alla rivolta, ma una volta intascate le ricchezze provenienti dalle
razzie i pirati tradirono i patti abbandonando gli insorti, costringendoli a
ritirarsi verso Reggio, inseguiti dalle legioni di Crasso, che eressero massicce
fortificazioni tutto intorno all’ istmo di Catanzaro: Spartaco e i suoi si
trovarono sotto assedio, senza rifornimenti e alcuna via di scampo. Peraltro, le
legioni di Gneo Pompeo Magno erano di ritorno in Italia dopo aver messo fine
all’ insurrezione di Quinto Sertorio in Spagna: al condottiero in arrivo fu detto
di raggiungere direttamente l’ Italia meridionale per sostenere Crasso, mentre
dalla Macedonia, sbarcando a Brindisi, sarebbe accorso Lucullo. Crasso si rese
conto che con Pompeo e Lucullo in arrivo avrebbe dovuto superare velocemente lo
stallo, così da prendersi tutto il merito della vittoria.
La battaglia finale di Spartaco; |
I
ribelli raccolsero le ultime forze rimaste e, con un’ impressionante azione, alcuni
di loro ruppero l’ accerchiamento e fuggirono verso le montagne, ma le legioni
romane li inseguirono catturandone una buona parte, agli ordini di Gannico e
Casto, mentre gli altri tornarono indietro ad ingaggiare battaglia con esse. Nello
scontro finale, presso l’ Alta Valle del Sele, i ribelli furono definitivamente
sconfitti: oltre sessantamila, tra cui lo stesso Spartaco, rimasero uccisi, e
più di seimila vennero fatti prigionieri. Come monito contro chiunque covasse
ancora sentimenti ostili nei riguardi di Roma, l’ esercito di Crasso crocifisse
nudi tutti i prigionieri lungo la via Appia, che collegava Capua a Roma.
La
grande rivolta di Spartaco aveva profondamente scosso tutto il popolo romano,
che per prudenza incominciò a trattare meno duramente gli schiavi. I
proprietari terrieri provvidero a ridurre il numero di schiavi impiegati nei
campi, preferendo rivolgersi ai lavoratori liberi. Carichi di gloria per aver soffocato
la più minacciosa ribellione del tempo, Crasso e Pompeo tornarono a Roma alla
testa delle proprie legioni, accampandosi appena fuori dalle mura cittadine e
candidandosi al consolato per l’ anno successivo, sebbene Pompeo non fosse
eleggibile per la giovane età e per non aver ancora servito come pretore o
questore, come richiesto dalla legge della Repubblica. Come previso, nel timore
delle legioni accampate fuori dalla città, entrambi vennero eletti.
Crocifissione dei ribelli sopravvissuti alla battaglia; |
A
dispetto della sua sconfitta sul campo, Spartaco entrò nella storia come lo
schiavo che sfidò un Impero, e per lungo tempo il suo nome venne a malapena sussurrato
con timore. Intorno alla sua figura ruotarono aneddoti e leggende che ne
alimentarono il ricordo, ammantandolo di leggenda. La sua rivolta divenne il
simbolo della lotta degli oppressi contro gli oppressori, e a quasi duemila anni
dalla sua morte, al suo mito si ispirarono i più diversi movimenti politici e
sindacali di ispirazione socialista o populista. Gli vennero dedicati poemi,
romanzi, film e telefilm. Come dimenticare Spartaco, il cui cadavere peraltro
non fu mai trovato sul campo di battaglia?
Nessun commento:
Posta un commento