«Sono le azioni
che contano. I nostri pensieri, per quanto buoni possano essere, sono perle
false fintanto che non vengono trasformati in azioni. Sii il cambiamento che
vuoi vedere nel mondo.» Mahatma Gandhi;
Il Mahatma Gandhi; |
Parlare
di un personaggio importante come Gandhi non è affatto semplice, e per molti
aspetti mi impensierisce. In Occidente tutti noi lo abbiamo sentito nominare
almeno una volta nella nostra vita, eppure dalle nostre parti la sua complessa
figura e il suo importante ruolo nella Storia continuano ad essere poco
considerati. A stento siamo in grado di dire che era indiano e che il suo
titolo onorifico, Mahatma, in lingua sanscrita significa «Grande anima».
Recentemente ho parlato con alcuni amici, i quali ciascuno a modo proprio mi
hanno detto la stessa cosa: praticava gli scioperi della fame e combatteva per
la pace, ma per il resto non sapevano praticamente niente di lui. Studiai
Gandhi per la prima volta in terza media, in quanto la mia professoressa di
lettere e storia era talmente illuminata da volerci trasmettere qualche
conoscenza anche sull’ Oriente, culla di civiltà affascinanti e addirittura
importanti quali India, Cina e Giappone, sostenendo che l’ Europa, per quanto
importante fosse stata in passato e tuttora lo fosse, non era il centro assoluto
del mondo. Dedicammo pertanto una discreta quantità di tempo a questo piccolo
grande uomo di un luogo lontano, a cui negli anni seguenti mi sarei incuriosito
scoprendo molte cose interessanti e addirittura sbalorditive.
Gandhi tesseva gli abiti per conto proprio; |
Gandhi
operò su più fronti, essendo avvocato, attivista per i diritti civili degli
indiani dapprima in Sudafrica e poi in India, e, specialmente, guida
spirituale. Fu considerato in modi assai diversi da gente assai diversa: per
George Orwell era un eccentrico reazionario tradizionalista e conservatore che
suscitava una sorta di disgusto estetico, sebbene paragonandolo ad altri
politici del tempo ne riconobbe un certo odore di pulito, mentre Sir Winston
Churchill lo definì un disgustoso fachiro mezzo nudo. Benito Mussolini ne parlò
come di un santone, un genio che, cosa rara, usava la bontà come arma. Albert
Einstein lo ammirò tanto da affermare che le generazioni future avrebbero
faticato a credere che un uomo simile si fosse mai aggirato in carne ed ossa su
questa terra, e infine Aldous Huxley lasciò un giudizio intenso: «Prima o poi
si verificherà che questo sognatore aveva i piedi ben piantati a terra, e che
l’ idealista è il più concreto degli uomini.». Questo essere multiforme e
ampiamente discusso visse in tre grandi regioni del mondo, ossia India, Gran
Bretagna e Sudafrica, in cui entrò in contatto con la cultura occidentale
divenendo un notevole e convinto ponte tra Oriente e Occidente, oltre che un
esempio particolarmente riuscito di un cammino non violento, potente e inarrestabile,
verso due grandi forme di liberazione: quella politica ed economica dell’ India
dall’ Impero britannico, e quella sociale e spirituale del singolo individuo da
qualsivoglia discriminazione.
Gandhi in visita in Gran Bretagna; |
Gandhi
apparteneva a una casta agiata, e studiò giurisprudenza a Londra adattandosi
alle consuetudini britanniche, vestendosi e cercando di vivere come un
gentiluomo. Entrò in contatto con svariati princìpi tipicamente occidentali
come i fondamenti del socialismo libertario di William Morris, l’ anarchismo
cristiano e pacifista di Lev Tolstoj, l’ insegnamento nonviolento di Henry
David Thoreau e il vegetarianismo di Henry Salt, che fece suoi e mantenne per
tutta la vita. Credeva molto nell’ Impero britannico, sostenendo che soltanto
prodigandosi al suo servizio si sarebbe meritato la sua generosa protezione,
tuttavia, nel 1893, quando si trasferì in Sudafrica per difendere una ditta
indiana che commerciava nel Natal, entrò in contatto con il famigerato
apartheid e con le condizioni di quasi schiavitù in cui vivevano i
centocinquantamila indiani ivi trasferitisi. Tutto ciò lo portò a una
profondissima evoluzione interiore: da individuo dolce, timido, politicamente
indifferente e notoriamente imbarazzato all’ idea di parlare in pubblico
divenne ben presto parte particolarmente attiva e rispettata nella lotta contro
i soprusi a cui erano sottoposti gli indiani, ma non sfociò mai nell’ odio
antioccidentale, sostenendo con assoluta convinzione che nonostante le
differenze i britannici in particolare e gli occidentali in generale fossero
fratelli e sorelle provenienti dalla medesima forza di vita, e che la loro
cultura non significava soltanto oppressione e ingiustizia, ma vantava anche
magnifiche conquiste, pertanto sarebbe stato possibile intraprendere un’
opposizione che non toccasse gli estremi della rivolta violenta o del disprezzo
culturale. Sostenne fermamente tale posizione anche in seguito al 18 marzo
1919, quando in India, ove era tornato nel 1914, fu introdotto il Rowlatt Act,
nota serie di proposte legislative che di fatto resero permanenti alcune
limitazioni di libertà dei sudditi indiani di Sua Maestà britannica. Il suo
interesse e la simpatia per l’ Occidente si estesero anche al campo religioso:
induista profondamente legato alla Bhagavad Gita, convinto che il desiderio
fosse sorgente di sofferenza e agitazione per lo spirito, considerò anche il
Buddhismo, l’ Islam e il Cristianesimo, di cui intravide il fondamento nel
celeberrimo Discorso della Montagna.
Spesso
diciamo che Gandhi promosse la resistenza passiva, ma non è affatto vero. Il
suo insegnamento, particolarmente attivo e provocatorio, si basava sulla
satyagraha, ossia «insistenza per la verità», teoria etica e politica
incentrata sulla nonviolenza e la disobbedienza civile: per opporsi
efficacemente contro un sistema autoritario e problematico come quello
britannico in India riteneva fondamentale non collaborare in alcun modo con
esso, violandone pubblicamente e consapevolmente le leggi e i comandi
amministrativi ingiusti e liberticidi, non pagandone le tasse, praticando l’
obiezione di coscienza al servizio militare e accettando le punizioni previste
dalla legislazione vigente per ogni singola violazione commessa. Il buon
rivoluzionario nonviolento di Gandhi non avrebbe mai e poi mai dovuto chinare
inerme la testa di fronte all’ ingiustizia, essenza della passività che noi gli
abbiamo sempre attribuito, ma combatterla con la sola forza delle idee, senza
vibrare alcun colpo e accettando tutti quelli che, al contrario, gli sarebbero
stati inflitti. Avrebbe dovuto combattere la violenza, il male e l’ ingiustizia
nella vita sociale e politica per realizzare la Verità. Dove vi era la minima
ingiustizia, insomma, Gandhi credeva fermamente nella lotta per migliorare le
cose, bastava semplicemente boicottarla insieme a tutte le sue condizioni:
«Ci
sono cose per cui sono disposto a morire, ma non ce ne è nessuna per cui sarei
disposto ad uccidere.».
Per
quanto sottoposto ai peggiori maltrattamenti e alle più gravi iniquità, come
ripeteva, mai e poi mai il rivoluzionario nonviolento avrebbe dovuto ricorrere
alla violenza e alla forza nei riguardi del prossimo: ogni controversia sarebbe
stata possibile da sanare solo con la volontà e il coraggio di sopportare il
male pur di vincere l’ ingiustizia, in opposizione alle pratiche di giustizia
prese in considerazione per migliaia di anni:
«Occhio
per occhio...e il mondo diventa cieco.».
E
ogni volta che i suoi numerosi discepoli perdevano l’ orientamento adottando
atteggiamenti aspri e apertamente violenti ecco che lui intraprendeva la
celebre e dolorosa via del digiuno, che analogamente alla castità e alla
semplicità di vita poneva principalmente in ambito spirituale come mezzo per
allontanarsi dall’ esperienza terrena, pur intendendolo anche come via di
purificazione da ogni colpa, propria o altrui, e potentissima arma politica,
indicandolo tra i mezzi privilegiati che il rivoluzionario nonviolento poteva
utilizzare in nome della causa.
Gandhi durante la Marcia del Sale; |
Sono
assai stupito e deluso al pensiero che in Occidente un uomo di simile levatura
sia ancora così palesemente ignorato, o che se ne parli in maniera così
inesatta. Un grande esempio della grande trascuratezza di cui divenne vittima
nel raffinato e moderno Ovest fu il mancato riconoscimento a suo beneficio del
Premio Nobel per la pace, sebbene avesse ricevuto ben cinque candidature tra il
1937 e il 1948. Il Comitato per il Nobel norvegese rimpianse pubblicamente tale
mancanza una decina di anni dopo il delitto di Nuova Delhi, e nel 1989, quando
fu premiato il XIV Dalai Lama del Tibet, che peraltro in più occasioni disse di
aver trovato la migliore ispirazione nella difesa del suo popolo dall’
occupazione cinese proprio nel Mahatma, il Presidente del Comitato ammise che
tale premiazione era in parte un tributo alla memoria dell’ importante guida
spirituale indiana.
Trovo
che il suo sogno di indipendenza individuale e collettiva, spirituale e
politica puntando sull’ autonomia e l’ autosufficienza economica del suo Paese
attraverso l’ intero utilizzo di beni locali, sia materiali che culturali,
nonché su di un fermo atteggiamento di non collaborazione salda ma pacifica,
sia stato un vero e proprio lampo di genio che nessuno ebbe prima e dopo di
lui. Oggi viviamo in tempi difficili e incerti, in cui la sfiducia verso la
politica e l’ alta società, colpevoli di svariati errori e negligenze, si fa
sempre più chiaramente sentire, e l’ esempio dato da questo grandissimo uomo e
dal suo insegnamento risulterebbero senz’ altro un’ ispirazione ineguagliabile
per noi tutti.
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