«Italiani, io
muoio: ricordatevi di me non come una principessa ma come una vostra sorella
italiana.» ultime parole della principessa Mafalda;
Mafalda di Savoia; |
A
seguito del referendum istituzionale del 1946, il Regno d’ Italia divenne una
Repubblica. Per un lungo ventennio il regime fascista aveva soppresso numerose
libertà in nome della sicurezza, e in appena sei anni la Seconda Guerra
Mondiale aveva ridotto la raffinata Europa in un cumulo di macerie ricoperte di
cadaveri, e l’ intera popolazione non chiedeva altro che voltare pagina il più
velocemente possibile nella speranza che il futuro si rivelasse più sereno.
Molto
si è detto e scritto sull’ era della Ricostruzione dell’ Italia, sostenendo
peraltro le più diverse opinioni, ma per quanto riguarda Casa Savoia, la
deposta famiglia reale indotta ad un esilio sancito dalla XIII Disposizione
Transitoria della Costituzione repubblicana, calò una densa cortina del
silenzio, talvolta infranta da giudizi molto severi animati più dall’ ideologia
politica dominante del momento che da realistici ricordi storici. Oggi,
tuttavia, si tende sempre più a chiedersi se fosse veramente necessario
costringere al bando perpetuo Umberto II, il Re di Maggio, la moglie Maria José
del Belgio e i giovanissimi quattro figli, peraltro requisendo l’ intero
patrimonio dinastico situato entro i confini nazionali, dal momento che nessuno
aveva mai pensato a rivalersi sui membri superstiti della famiglia di Benito
Mussolini, ormai morto nel disonore e successivamente esposto a un disgustoso
eccesso di spregio a Piazzale Loreto: la vedova Rachele Guidi, i quattro figli
e i vari nipoti vissero una vita modesta e senza clamore sul suolo italiano
senza mai dover rispondere di quanto compiuto dal Duce.
Vittorio
Emanuele III fu senz’ altro connivente con il regime fascista, ma a questo
proposito occorre ricordare il clima sociale e politico alla fine degli Anni
Dieci e all’ inizio degli Anni Venti, reso assai precario dalla vittoria mutilata
riportata con la Grande Guerra, dalla grande crisi economica e dall’ aggravarsi
della paura comunista: in uno scenario del genere il Fascismo era
effettivamente apparso come una garanzia di durevole stabilità, soprattutto
agli occhi del sovrano che non aveva più le idee chiare su come procedere dal
decisivo trionfo a Vittorio Veneto. Meno giustificabili furono invece l’
approvazione delle leggi fascistissime e la tolleranza nei confronti dell’
avvicinamento del Regno d’ Italia alla Germania, dell’ introduzione delle leggi
razziali e dell’ entrata in guerra nonostante l’ antipatia più volte dimostrata
verso Adolf Hitler.
L’
ondata di risentimento che il regnante lasciò dietro di sé fu tale che le
correnti antimonarchiche, sia di destra che di sinistra, dipinsero facilmente i
Savoia come un elemento negativo della storia italiana, inducendo più o meno
intenzionalmente le nuove generazioni a confondere Monarchia con Fascismo.
Le
guerre, come è noto, provocano vittime in ogni luogo e contesto sociale, e nel
cupo conflitto avvenuto tra il 1939 e il 1945 anche Casa Savoia ebbe il suo
martire: la principessa Mafalda, figlia secondogenita di Vittorio Emanuele ed
Elena, arrestata dagli ufficiali nazisti per puro spirito di vendetta dal
momento che il Führer si era sentito vilmente tradito dal monarca italiano, che
aveva sostituito Mussolini con Badoglio e lasciato Roma per salvare le
istituzioni dello Stato come un novello Pompeo in fuga da Cesare, promuovendo
infine l’ Armistizio di Cassibile, con cui il Regno d’ Italia cessò ogni
ostilità con gli Alleati.
Quello
di Mafalda è un personaggio singolare, che il clima di propaganda
antimonarchica non ha saputo fortunatamente scalfire.
Mafalda e il marito Filippo d' Assia; |
Mafalda
Maria Elisabetta Anna Romana di Savoia nacque a Roma il 19 novembre 1902. Dotata
di animo vivace e dolce, mite e obbediente, semplice e indulgente, era
straordinariamente intelligente e colta, ricordata come benevola e amabile,
sempre pronta ad aiutare gli altri. Dalla madre, Elena del Montenegro, ereditò
il senso della famiglia, i valori umani e la passione per la pittura, il canto
e l’ arpa. Devotissima cattolica, trascorse l’ infanzia in un ambiente più
familiare che nobiliare, accanto alla madre e alle sorelle, denotando un
temperamento piuttosto allegro, tanto che la regina la descriveva come la sola persona
al mondo in grado di far ridere il re.
Durante
la Prima Guerra Mondiale, la giovane principessa maturò un profondo senso di
empatia per i bisognosi e i disagiati, e seguì la madre e le sorelle nelle
frequenti visite ai soldati e agli ospedali, venendo coinvolta con entusiasmo
nelle attività di conforto e cura alle truppe tanto care alla sovrana.
Donna
di grande classe e finezza di tratti, guardò favorevolmente l’ ascesa del
Fascismo, e il 23 settembre del 1925 sposò Philipp von Hessen-Kassel und Hessen-Rumpenheim,
principe e langravio di Assia, da cui ebbe quattro figli nonostante la salute
piuttosto cagionevole. Sposa e madre esemplare, per vivere accanto all’ amato consorte
sopportò i rigori del clima tedesco finché i medici glielo impedirono. Nel
1930, il marito Philipp, eccitato dalle idee naziste, aderì al Partito. All’
indomani dell’ ascesa di Hitler alla Cancelleria di Berlino, nel 1933, fu
nominato governatore della Provincia di Assia-Nassau, per poi ottenere un
seggio nel Reichstag. In seguito divenne intermediario tra Mussolini e Hitler,
e nel 1939, allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, divenne un distinto ufficiale
delle SS.
Sul
finire dell’ agosto 1943 la situazione politica e militare in Italia era sull’
orlo del baratro, e Mafalda, dotata di uno spirito sensibile, decise di partire
per Sofia, in Bulgaria, nel desiderio di assistere la sorella Giovanna, il cui
marito, il re Boris, era molto malato. Temendo che potesse eventualmente
informare il marito, agli ordini del Führer nel suo quartier generale, il padre
Vittorio Emanuele e nessun altro famigliare la mise al corrente dei molti
pericoli e dei preparativi in corso atti ad aprire le trattative con gli
Alleati, pertanto si mise in viaggio per la capitale bulgara, ma prima di
arrivare a destinazione fu informata della morte del cognato, probabilmente fatto
uccidere da Hitler per non essersi schierato con la Germania, e durante la
permanenza nel regno orientale apprese la notizia dell’ Armistizio. Subito dopo
i funerali decise di tornare a Roma, ma una volta giunta a Pescara seppe che i
genitori e il fratello Umberto erano salpati da Ortona, senza avvertirla.
Rientrata
finalmente nella capitale, ora occupata dai nazisti, si ricongiunse ai figli,
tre dei quali erano stati condotti per sicurezza in Vaticano per disposizione
della regina Elena, e sicura di poter contare sull’ assistenza del Terzo Reich perché
cittadina tedesca, informò l’ ambasciata del suo arrivo. Il colonnello Kappler,
tuttavia, il 22 settembre la attirò in trappola con la scusa di una telefonata
da parte di Philipp: una volta arrivata, l’ ufficiale la arrestò e la trasferì a
Monaco, da dove poi fu portata a Berlino e, infine, imprigionata nel lager di
Buchenwald.
Il lager di Buchenwald; |
Ormai
prigioniera con un falso nome, Frau von Weber, fu assegnata a una baracca ai
margini del campo, che condivise con un ex ministro socialdemocratico, e venne
sottoposta a un regime durissimo, seppur privilegiato rispetto a quello di
altri prigionieri dal momento che riceveva cibo più abbondante e di migliore qualità.
Nondimeno la vita del campo e l’ intenso freddo invernale deperirono
ulteriormente il suo già gracile e provato fisico, rimasto segnato dal tifo di
cui aveva sofferto nel 1923, e i tentativi di nascondere la sua vera identità
furono presto resi vani: i prigionieri italiani sentirono infatti parlare di
lei, e un medico italiano ivi rinchiuso le prestò soccorso. Secondo le
testimonianze fece sentire tutta la sua vicinanza agli altri detenuti, in
particolare ai suoi compatrioti, soprattutto dividendo la maggior parte del
cibo che le veniva destinato.
Nell’
agosto del 1944 gli Alleati bombardarono Buchenwald. La baracca in cui la
principessa era prigioniera venne distrutta, e lei riportò gravi ustioni e
contusioni su tutto il corpo. I soccorsi non furono solleciti, e quando venne
estratta dalle macerie venne ricoverata nell’ infermeria della casa di
tolleranza degli del campo, dove fu assistita dalle prostitute, che la medicarono
con una semplice fasciatura al braccio sinistro, rimasto maciullato. Dopo quattro
giorni le sue condizioni si aggravarono con l’ insorgenza della cancrena, e i
medici delle SS decisero di amputarle il braccio: il chirurgo eseguì una
minuziosa operazione avvalendosi dell’ anestesia generale, ma la principessa era
troppo debole per sostenere tale narcosi e una così abbondante perdita di
sangue. L’ intervento ebbe una durata dalla lunghezza sconvolgente, e quando
finalmente terminò, Mafalda venne abbandonata a sé stessa ancora addormentata
in una stanza del postribolo, ove in poche ore morì dissanguata la notte del
giorno 28.
Busto commemorativo in Alessandria; |
Il
suo corpo venne completamente spogliato e gettato sul mucchio dei cadaveri del
bombardamento, per essere cremato, ma padre Joseph Tyl, monaco cattolico dell’
ordine degli Agostiniani Premostratensi e di nazionalità boema, dopo molti
sforzi riuscì a farlo seppellire in una bara di legno, in una fossa senza nome
ove registrata con il numero 262.
Secondo
il dottor Fausto Pecorari, radiologo internato a Buchenwald, che subito dopo
essere rientrato a Trieste si recò personalmente a Roma per informare il
principe Umberto, Mafalda venne intenzionalmente operata in ritardo e con una
procedura molto precisa al fine di provocarne la morte: sembra che il metodo
delle operazioni esageratamente lunghe fosse già stato regolarmente applicato a
Buchenwald da parte delle SS su soggetti di cui ci si desiderava sbarazzare
senza destare sospetti.
Il
triste destino della principessa Mafalda, la cui tomba venne scoperta dopo
alcuni mesi da sette marinai di Gaeta internati a Buchenwald, cosa che permise
di spostarne le spoglie nel piccolo cimitero degli Assia, al castello di
Kronberg im Taunus, nei pressi di Francoforte sul Meno, suscitò una generale
commozione, al punto che alla vigilia del cinquantesimo anniversario della sua
morte i massimi esponenti dell’ Unione Monarchica Italiana lanciarono al
Vaticano un appello per la sua beatificazione.
Attualmente,
il suo ricordo vive in oltre centocinquanta vie, piazze e giardini pubblici a
lei intitolati, anche in città tradizionalmente legate alle correnti di
sinistra, prime tra tutte Forlì e Modena. Un comune della provincia di
Campobasso porta il suo nome, e in tutta Italia, da nord a sud, sono stati
eretti in suo onore cippi e monumenti che vanno ad assommarsi alle numerose richieste
di intitolazioni topografiche.
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