martedì 10 ottobre 2017

Luci e ombre nella vita del Re Sole

«Ah, se non fossi re andrei in collera!» re Luigi XIV;
Luigi XIV in un dipinto di Rigaud Hyacinthe;


Quando si parla di monarchia e, soprattutto di assolutismo, a tutti viene subito in mente Luigi XIV di Borbone, sessantaquattresimo Re di Francia e quarantaquattresimo di Navarra, simbolo vivente della regalità e del potere dello Stato, divenuto già in vita un’ icona ineguagliabile, tuttora rimasta senza eguali. Figura spesso oscurata da quelle ben più tragiche e discusse di Luigi XVI e Maria Antonietta, fu un personaggio assai complesso e affascinante: da un lato fu pioniere del potere assoluto sancito dal diritto divino e autore di varie guerre sbagliate come quella della Lega d’ Augusta e quella di successione spagnola, dall’ altro fu un politico innovativo, paladino delle arti e della cultura e apportatore di variazioni significative in ambito giuridico e commerciale che svilupparono le industrie e le infrastrutture e che favorirono la nascita di un corpo di polizia moderno, lo stesso che avrebbe smascherato lo scandalo parigino ricordato come l’ Affaire des poisons, l’ Affare dei veleni.

Uomo intelligente e di grandi ambizioni, questo Re visse la propria esistenza nel costante desiderio di unire strettamente e direttamente la Francia sotto la Corona e renderla cuore dell’ Europa attraverso una grande campagna militare, pur riuscendo solo parzialmente nel primo intento e fallendo nel secondo. Grazie ai suoi successi e nonostante i suoi fallimenti, entrò così tanto nella leggenda che oggi la storia sia di Francia che d’ Europa non può evitare di fare i conti con lui. Salito al trono a soli cinque anni, regnò incontrastato per i restanti settantadue, primato che fa tuttora di lui il sovrano che imperato di più nella storia, superando i sessantasei anni del faraone egizio Ramses II. Già dall’ infanzia fu la personificazione del culto dell’ immagine, e in gioventù fu quella del potere assoluto, la simbiosi ideale tra regnante e potere, pubblico e privato in un fenomeno che lo rese immortale: quadri, medaglie, stampe, statue, architetture, monili ma anche libri, poesie, rappresentazioni teatrali, libelli agiografici e polemici sono solo alcuni degli strumenti attraverso i quali l’ immagine dell’ imparagonabile sovrano fu creata, diffusa ed eternata. Mai prima e neppure dopo un uomo pubblico raggiunse tale celebrazione, inserendosi al centro di un progetto perfetto, nel quale ogni minimo dettaglio era accuratamente studiato per non fallire e che trovò probabilmente nella realizzazione dello sfarzoso Château de Versailles la più concreta e incredibile consacrazione, il più riuscito simbolo ed estensione della sua personalità, che il popolo guardava con reverenza e ammirata soggezione, impressionato alla vista di quella che era la più degna residenza di un monarca ordinato da Dio.

Nel 1700, il pittore Hyacinthe Rigaud, uno dei più importanti ritrattisti francesi del suo periodo, di discendenza catalana, raffigurò Luigi in un grande dipinto che, forse a dispetto anche di quanto lo stesso artista pensasse, divenne la sua più famosa rappresentazione: i calzoni alla Ringravio assolutamente alla moda, le calze fermate dalle giarrettiere che mettono in risalto le gambe di cui era particolarmente orgoglioso, le scarpe in seta bianca con il talon rouge rigorosamente proibito a ogni suddito, il giustacuore nella parte superiore, la camicia sbuffante, l’ ampio mantello regale con il ricamo di gigli d’ oro su un ricco sfondo blu, la voluminosa parrucca di ricci, divennero infatti tratti distintivi di una moda che fu non solo motivo stilistico ma anche politico, ostentazione suggestiva di potere di uno dei più grandi Re della storia dell’ umanità, sebbene fossero solo alcuni dei tratti salienti dei ricercati accessori da lui indossati. Tale raffigurazione fu così riuscita che, per riflesso, i sovrani contemporanei e i loro successori adottarono nel desiderio di raggiungere il suo stesso livello di regalità. Come ignorare Louis le Grand? Eppure, non vi è mai luce senza ombra: il mito eretto attorno a questo notevole personaggio, che regnò in un periodo prospero e insieme turbolento della storia francese e occidentale, finì presto con l’ enfatizzarne i soli aspetti positivi, o se non altro i meno negativi, occultando il più possibile il suo lato oscuro, quello dell’ uomo tortuoso ed egocentrico, al di sopra di tutto in quanto scelto da Dio come incarnazione vivente di un antico e onorato Regno e personificazione indiscutibile di ogni potere terreno. Ovunque sorga, il sole getta sempre qualche ombra…

 

Il cardinale Richelieu;

Nel Seicento, i contrasti religiosi tra cattolici e protestanti erano ormai intrecciati con le lotte politiche e sociali in tutta l’ Europa, alimentati da intolleranza e fanatismo che li resero estremamente aspri. Autorità civili e alti dignitari ecclesiastici erano coinvolti in un conflitto sanguinoso che qualche decennio dopo Voltaire definì un vero e proprio un inferno in cui si uccise in nome di un unico Dio, quello cristiano, il medesimo che nella Bibbia sostiene che gli uomini sono tutti fratelli e devono amare la vita, che chiunque ha salvato una vita è come se abbia salvato il mondo e che chiunque l’ abbia distrutta è come se abbia distrutto il mondo. In molti Paesi, la crisi economica e il disordine che ne derivarono indussero al rafforzamento del potere dello Stato, che venne progressivamente a liberarsi dall’ influenza dell’ aristocrazia, la classe dei nobili tradizionalmente detentrice del potere in quanto reputata degna di governare. La monarchia assoluta trovò il proprio terreno ideale in Francia, imponendosi poi anche negli altri Paesi europei. L’ accentramento e l’ assolutizzazione del potere risalivano già alla fine del Medioevo, quando i sovrani francesi e britannici avevano iniziato a porre sotto il proprio controllo l’ alta nobiltà, e presto si era riconosciuto al sovrano un potere ereditario per diritto divino, evidente manifestazione del volere di Dio, peraltro basata sulla ragion di Stato, ossia la convinzione che tutto ciò che fosse utile allo Stato lo fosse anche per l’ intera società: poiché lo Stato si incarnava nella persona del Re, nessuno si poteva opporre al suo volere, dal più umile suddito al più potente signore erano tenuti ad obbedire alle sue disposizioni.

Il trionfo dell’ assolutismo francese fu opera di due grandi Premier ministre, entrambi cardinali: Armand-Jean du Plessis, duca di Richelieu, e Giulio Raimondo Mazzarino. Governando per conto di Luigi XIII, sul trono dal 1610, Richelieu pose fine al potere della nobiltà feudale e debellò la forza politica e militare degli ugonotti, protestanti francesi di confessione calvinista presenti in Francia di cui nel 1628 fece espugnò le fortezze come quella di La Rochelle, la più importante. In politica estera, invece, finanziò i nemici dell’ Austria durante la Guerra dei Trent’ Anni e indusse la Francia a prendervi parte nell’ ultimo periodo. Promosse anche il colonialismo, che valse al Regno i domini di Santo Domingo, Martinica e Guadalupe, nel Mar dei Caraibi. Alla sua morte nel 1642, fu sostituito da Mazzarino, che consolidò il potere regio e il primato francese in Europa.

Il cardinale Mazzarino;


Luigi Deodato di Borbone nacque il 5 settembre 1638 al castello di Saint-Germain-en-Laye, antica residenza dei sovrani francesi, figlio primogenito di Luigi XIII e della moglie Anna d’ Austria. La sua nascita fu considerata un miracolo, essendo avvenuta dopo ben ventitré anni di matrimonio e quattro aborti spontanei, ragion per cui il padre gli conferì il nome Dieudonné, ossia Deodato, «Donato a Dio». Due anni dopo, i sovrani ebbero un secondo figlio, Filippo, duca d’ Orléans. Si dice che Luigi, detto «il Giusto», odiasse la moglie, soprattutto dopo che nel 1622 questa si provocò ingenuamente il primo aborto scivolando lungo un corridoio del Louvre mentre giocava con l’ amica e confidente Madame de Chevreuse. La Regina consorte nutriva un certo disprezzo per il marito che non faceva alcuno sforzo nel mettere al mondo un’ erede, del quale peraltro si diceva che prediligesse la compagnia maschile a quella femminile, sebbene oggi in molti liquidino gli amori extraconiugali del Re solamente come rapporti platonici. Investito del titolo di Dauphin de France, principe ereditario, Luigi salì al trono a quasi cinque anni a seguito della morte improvvisa del padre, colpito da infarto. Divenuta Regina madre, Anna fu nominata Reggente e gestì il potere insieme al cardinale Mazzarino, il quale divenne una figura controversa a causa della sua politica, che indusse alla formazione di un movimento di rivolta e opposizione nel Parlamento di Parigi, la Fronda parlamentare, che esplose nel 1648 a causa del prolungarsi della guerra contro gli Asburgo e del conseguente dissesto delle finanze, cosa che lo costrinse ad una ferrea politica fiscale e di accentramento assolutistico che suscitò l’ avversione della nobiltà e il rancore dei contadini ridotti alla fame oltre che un pericoloso sentimento di rivolta popolare. Il Parlamento si rifiutò di registrare i nuovi provvedimenti finanziari voluti dal cardinale Primo ministro e chiese un maggior controllo pubblico sull’ impiego del denaro statale. Costretto a fuggire dalla capitale, Mazzarino tornò dopo aver fatto alcune concessioni, mentre in politica estera fu piuttosto spregiudicato. Durante la guerra franco-spagnola fra il 1635 ed il 1659, non esitò ad allearsi con i puritani britannici di Oliver Cromwell contro la cattolica Spagna, che non aveva aderito alla Pace di Vestfalia del 1648 per quanto riguardava la parte che prevedeva la pace con la Francia, promettendo al Lord Protettore, in cambio dell’ aiuto, la base navale francese di Dunkerque sul canale della Manica.

Tra le molte malelingue, spesso e volentieri fomentate da dignitari malevoli, se ne diffuse una sia tra la nobiltà che tra il popolo, secondo la quale il piccolo Re e il fratello Filippo fossero il frutto dell’ amore tra Anna e Mazzarino, ma in realtà si trattò di un pettegolezzo privo di qualunque fondamento in quanto Mazzarino era arrivato alla corte borbonica soltanto nel gennaio del 1640. Rimane comunque possibile che la Regina madre e il cardinale fossero stati effettivamente amanti negli anni seguenti, come si può ipotizzare dalle lettere che i due erano soliti scambiarsi, e dal fatto stesso che dopo la morte del consorte, e contro le sue ultime volontà, divenne assieme al religioso Reggente per conto del figlio. E il nuovo sovrano bambino maturò uno strano sentimento, misto di odio e ammirazione, per Mazzarino: lo odiava perché non capiva in che tipo di rapporti fosse con sua madre e perché era lui che di fatto governava il Regno al posto suo, e lo ammirava perché ne riconosceva il talento in politica e ne invidiava la raffinatezza e la magnificenza nel gusto. Durante l’ infanzia, proprio dal suo Primo ministro Luigi apprese due pilastri su cui si sarebbe basata la sua intera vita: il bisogno di creare una Francia fondata sulla centralità assoluta dello Stato e la ricerca della bellezza e dell’ eleganza.

 

Il monarca crebbe con il fratello Filippo nelle stanze della reggia, con Mazzarino come tutore. Malgrado l’ impegno dei suoi diversi precettori, tra cui l’ abate Péréfixe de Beaumont e François de La Mothe Le Vayer, l’ educatore con cui ebbe maggior intesa fu Pierre de La Porte, suo primo valletto di stanza, che egli stesso nominò suo lettore di testi storici, ricevendo da lui corsi di latino, storia, matematica, italiano e disegno. Pur non si rivelandosi mai uno studioso modello, eccelleva in matematica, musica e disegno. Parlava molto bene l’ italiano e lo spagnolo, e sapeva disegnare piante di edifici e giardini. Non era invece portato per le scienze e la storia: di quest’ ultima studiò perlopiù le gesta dei suoi predecessori. Seguendo l’ esempio del cardinale, un notevole collezionista d’ arte, il regnante si dimostrò sempre molto sensibile alla pittura, all’ architettura, alla musica e soprattutto alla danza, che per l’ epoca era considerata essenziale per l’ educazione di un aristocratico: si esercitò infatti nella danza per due ore al giorno dai sette ai ventisette anni. Ebbe anche un’ educazione sessuale straordinariamente moderna per l’ epoca: sua madre predispose che la baronessa di Beauvais, soprannominata Cateau la Borgnesse, si accertasse se e quando egli avesse raggiunto la maturità sessuale. Il rapporto tra madre e figlio fu particolarmente aperto e affettuoso se si considerano i tempi, tanto che le malelingue sostennero ripetutamente che la Regina madre trascorresse la maggior parte del tempo con il figlio ignorando allegramente gli affari di Stato e quindi consentendo a Mazzarino di esercitare un’ influenza sconfinata e costante ad ogni livello della società francese. Lo stesso Luigi riportava nei suoi diari privati: «La natura fu responsabile dei primi nodi che mi legarono a mia madre. Ma i legami instauratisi successivamente furono qualità di spirito che andavano ben oltre i legami di sangue.».

Nel 1653 il Re adottò l’ emblema solare ideato da Louis Douvrier, famoso antiquario dell’ epoca, su cui campeggiava un globo sfolgorante, accompagnato dal motto latino Nec pluribus impar, ossia: «Non inferiore alla maggior parte». Tali parole indicavano chiaramente che egli splendeva come il sole e non poteva essere paragonato a nessun altro.

 

A dieci anni dall’ ascesa al trono, all’ alba di domenica 7 giugno 1654, Luigi XIV venne formalmente incoronato Re di Francia e Navarra alla cattedrale di Reims, comune nella regione Grande Est, a centoquarantaquattro chilometri da Parigi. All’ interno della basilica erano disposti arazzi della Corona e il pavimento era ricoperto di tappeti. Sull’ altare erano disposti i reliquiari di San Remi e San Luigi, mentre per la comodità del sovrano erano stati disposti una sedia e un inginocchiatoio presso l’ altare maggiore e un trono in cima al jubè. Preceduto da musicisti in vesti bianche e da gentiluomini armati di mazzapicchio, scortato da cento guardie oltre a dignitari di Corte e della Corona, il regnante fece ingresso alla cattedrale con il coro che intonava il Vieni Creator. Prelati e canonici portarono all’ altare la sacra ampolla, il tesoro inviato dal cielo da San Remi per l’ incoronazione di Clovis, e diedero il via alla consacrazione di Luigi invitandolo a pronunciare il giuramento: egli si impegnò come i predecessori a garantire al popolo della Chiesa libertà e immunità, a dare pace, giustizia e misericordia al suo popolo, legiferando in base ai comandamenti di Dio.

Memore della lezione acquisita nel periodo della Fronda, durante la quale si era sentito profondamente umiliato per la cacciata da Parigi nonostante fosse il monarca, per tutta la vita si tenne sul chi vive e maturò profonda diffidenza verso il prossimo, soprattutto le classi nobiliari, ragion per cui si orientò con convinzione alla creazione un potere centralizzato gestito soltanto da lui. Di statura media, figura robusta dalle spalle larghe, i lineamenti piacevoli e gli occhi di ghiaccio, amava la caccia, il lusso, i banchetti e le feste. Non amava star fermo, sentiva sempre il bisogno di fare qualcosa, fosse anche il gioco della palla o una lunga passeggiata a piedi. Gradiva molto la compagnia femminile, ed esigeva che le belle signore si presentassero costantemente ingioiellate dalla testa ai piedi, per essere più invitanti, e che mangiassero con appetito alla sua tavola perennemente imbandita. Un Re del genere faceva ovviamente gola alle dame in cerca di una carriera rapida: tutte lo seguivano, lo circondavano, lo volevano. Il primo amore del ventenne Luigi fu niente meno che Maria Mancini, la bella nipote di Giulio Mazzarino, di un anno più giovane di lui e che era stata portata in Francia da Roma nel 1647 per essere sistemata con un matrimonio vantaggioso. Quando nel 1658 il sovrano si ammalò durante, una malattia per la quale in tanti temettero per la sua vita, e la più preoccupata per le sue condizioni fu proprio lei, che rimase al suo capezzale giorno e notte finché non si rimise in salute. Più che per la sua bellezza, che molti contemporanei misero in discussione, il monarca probabilmente si innamorò della tenerezza con la quale Maria aveva versato lacrime di dolore nel periodo più incerto della malattia. I due stavano bene insieme, lei era una giovane colta, leggeva romanzi, poemi e commedie che puntualmente raccontava a Luigi, per la prima volta in vita sua fu veramente innamorato, al punto di volerla sposare, ma tale desiderio urtò con i piani della Regina madre, che pretendeva di vedere sul trono una principessa di sangue reale. Il cardinale fece prontamente sparire la nipote nel convento di Brouage, vicino a La Rochelle, per qualche tempo, e organizzò il matrimonio con la principessa Maria Teresa d’ Austria, due volte sua cugina prima in quanto figlia di Filippo IV di Spagna e di Elisabetta di Francia. Lei quindi partì il 21 giugno 1659 tra pianti disperati sia da parte sua che di Luigi, ma l’ amore tra i due giovani sembrò resistere anche a questo allontanamento forzato: continuarono a scriversi lunghissime lettere d’ amore e a vagheggiare un futuro insieme che però non si realizzò mai. Maria fu costretta a sposarsi poco dopo, nel 1661, con Onofrio Lorenzo Colonna, il quale gioì immensamente nel saperla ancora vergine nonostante la storia  avuta con il Re, per il quale la nomea di amante seriale era già ben radicata. Piegato alla ragion di Stato, Luigi accettò un matrimonio politico atto a riavvicinare Francia e Spagna, e incontrò la sposa, pallida, dolce, remissiva, seria e cattolica fervente, appena tre giorni prima della cerimonia, rilevando come essa parlasse solo qualche parola di francese. Il rito venne celebrato il 9 giugno 1660 nella chiesa di San Giovanni Battista a Saint-Jean-de-Luz. La prima notte di nozze tra i due, contrariamente alla tradizione dell’ epoca, non ebbe testimoni. Con l’ andare degli anni, la nuova Regina consorte accettò in silenzio tutti i tradimenti del marito, che non intendeva perdere nemmeno una donna e passava da un letto all’ altro come faceva a tavola dal primo al secondo piatto, dando alla Corte di che mormorare.

 

Maria Mancini;

Alla morte di Mazzarino nel 1661, Luigi, ormai ventitreenne, prese direttamente le redini del governo. Convinto assertore dell’ assolutismo e della Monarchia per diritto divino, assunse pieni poteri e abolì la carica di Primo ministro. La sua ascesa segnò la fine delle grandi rivolte nobiliari, parlamentari, protestanti e contadine che avevano segnato i decenni precedenti, e impose l’ obbedienza a tutti i livelli della popolazione. Uomo mediamente intelligente, risoluto e analitico, portò avanti una visione totalitaria e indiscutibile del potere. Si sentiva erede di Costantino e Carlo Magno nella difesa della fede cattolica e nella centralizzazione di qualsivoglia potere nelle proprie mani, ragion per cui curò la gestione del Regno tramite funzionari borghesi alle sue dirette dipendenze e non mancò mai di interpellare i propri consiglieri prima di prendere una qualsiasi decisione. Si attorniò di uomini di grande esperienza e valore come Jean-Baptiste Colbert, dotto economista che nominò Controllore generale delle finanze affinché risanasse le finanze dopo le dilapidazioni di Nicolas Fouquet, e Francesco Michele Le Tellier di Louvois, che come Ministro della Guerra ammodernò l’ esercito, disciplinandolo e dotandolo di nuove armi. Secondo la tradizione ripeté spesso: «L’ État, c’ est moi.», «Lo Stato sono io.», ma varie fonti negano che l’ abbia mai veramente detto. Chi lo circondava ne amava la vitalità instancabile, l’ enorme capacità di lavoro, i modi cortesi e controllati, mentre ne decantava con molta piaggeria il viso regolare, i lunghi capelli biondi, la bellezza fuori dall’ ordinario.

In tono con la sua sfrenata ambizione, il giovane Re volle sempre imporsi ben oltre i confini francesi: «La guerra è l’ occupazione più degna e piacevole per un sovrano.». Il suocero Filippo di Spagna aveva promesso come dote una cifra di denaro favolosa, ma morì prima di potergliela consegnare. Il monarca allora mandò l’ esercito ad occupare le Fiandre, territorio sotto il dominio spagnolo, che nel 1668, con la pace di Aquisgrana, vennero riconosciute come possesso francese. Fervente cattolico, il ruolo della religione nella sua vita fu importante fin dall’ infanzia, a causa dell’ educazione ricevuta e a cui era stato talvolta costretto, e lo indusse a precise scelte di natura politica come la ripresa della lotta contro i calvinisti: il 18 ottobre 1685 revocò l’ Editto di Nantes di Enrico IV, risalente al 1598 e che aveva confermato la libertà di coscienza, ossia la possibilità di coltivare convinzioni interiori e comportarsi di conseguenza, sia pur senza turbare l’ ordine pubblico, oltre che la libertà di culto nei territori dove i protestanti si erano già imposti prima del 1597, mentre ai protestanti aveva concesso diritti politici, militari e territoriali. Ad esso si sostituì la proclamazione dell’ Editto di Fontainebleau: ebbe inizio una lunga serie di aspre violenze, compiute in larga parte dai corpi militari dei Dragoni, unità militari in essere dal Quattrocento, ai danni di chi non aderiva alla nuova ordinanza. Molti protestanti che rifiutarono di abiurare furono esiliati dal Regno, mentre i bambini furono obbligati a convertirsi al Cattolicesimo e molte chiese protestanti vennero distrutte. Il Protestantesimo non ebbe più spazio in Francia, e la repressione della dissidenza religiosa fu un gravissimo danno per l’ economia in quanto gli esuli, commercianti e artigiani, erano la parte più operosa del Regno. Circa duecentomila sudditi, molti dei quali erano ebrei, abbandonarono la Francia in ottemperanza all’ Editto di Fontainebleau: poiché Parigi aveva impedito alle colonie di accoglierli in quanto dissidenti religiosi, gli Stati protestanti fecero a gara per accogliere questi abili imprenditori, e il solo Guglielmo di Hohenzollern, principe del Brandeburgo, ne accolse migliaia nella propria signoria, che conobbe un rapido sviluppo. Altri esuli furono accolti in Olanda, Svizzera, Germania e Gran Bretagna, dando nuova linfa all’ economia di tali Paesi. Nonostante il disordine finanziario, la Corona francese consolidò il proprio controllo amministrativo sulla nazione.

Come custode del Cattolicesimo, il «re cristianissimo» conduceva una vita liturgica particolarmente densa di eventi quotidiani atti che rappresentavano più che altro eventi comunitari dove dava agli occhi del pubblico la propria immagine della sacralità reale: prima di alzarsi dal letto, ogni mattina, riceveva acqua santa portata dal ciambellano; seduto sul letto recitava le Lodi dell’ Ufficio dello Spirito Santo, e dopo essersi vestito si inginocchiava per alcuni minuti a pregare in silenzio. Ogni mattina prendeva parte alla messa con l’ eccezione di quando si trovava sul campo di battaglia impegnato a guerreggiare. Si stima che in tutta la sua vita abbia preso parte a trentamila messe. Tutte le sue residenze reali furono dotate obbligatoriamente di una cappella su due livelli: un piano era destinato alla Corte mentre il piano superiore, spesso in un’ apposita tribuna, era lo spazio riservato a lui, alla famiglia reale e ai fedelissimi. Riceveva la comunione solo in precise occasioni: il Sabato Santo, la vigilia di Pentecoste, la vigilia della festa di Tutti i Santi e quella di Natale, il giorno dell’ Immacolata Concezione e quello dell’ Assunta.

Parallelamente, il sovrano espresse l’ intenzione di raggiungere quelle che considerava le naturali frontiere orientali del Paese, lungo il Reno. Nel 1672 l’ esercito francese attaccò le Province Unite, Stato federale sorto in seguito all’ unione di Utrecht fra sette province dei Paesi Bassi settentrionali dopo l’ indipendenza dalla Spagna, in modo da indebolire peraltro i traffici commerciali olandesi, a quel tempo molto fiorenti. La guerra finì nel 1678, con la pace di Nimega: la Francia riuscì ad ottenere altri territori spagnoli, come una porzione di Paesi Bassi e la Franca Contea. L’ aggressività del regnante si manifestò anche nell’ economia. Nella convinzione che la ricchezza di una nazione si misurasse in base al denaro che affluiva nei forzieri statali, il Controllore generale delle finanze Colbert, ideò e promosse la politica economica del mercantilismo, che aveva come scopo l’ aumento delle esportazioni e la limitazione delle importazioni: si iniziò ad accrescere le riserve auree e altri metalli preziosi, e i salari della manodopera vennero tenuti bassi per ridurre i costi produttivi. Alle colonie si proibì di intrattenere relazioni commerciali con altri Paesi, riservandovi il diritto di acquistarvi a pressi minimi le materie prime di cui il Regno aveva bisogno e vendervi i prodotti ad altissimo prezzo, e vi si vietò l’ ingresso agli stranieri per favorirvi la migrazione dalla madrepatria, oltre che la formazione di industrie locali volendo collocarvi i manufatti nazionali in eccedenza. Lo Stato aumentò quindi le proprie ingerenze nella vita economica del Paese, che si tradussero nella creazione di manifatture e compagnie commerciali privilegiate. La Compagnia per le Indie Orientali impiantò stabilimenti sulle coste indiane, e quella del Senegal nell’ omonimo territorio in Africa occidentale, mentre quella per le Indie Occidentali ampliò i domini francesi in America settentrionale, nella zona dei Grandi Laghi e nel bacino del Mississipi fino al golfo del Messico, ove sorse una colonia che venne chiamata Louisiana in onore proprio di Luigi.

Quest’ intelligente iniziativa diede nuovo impulso all’ economia francese, favorendo il commercio e l’ industria, che a loro volta rafforzarono la borghesia dando al sovrano le risorse necessarie per allestire un esercito forte ed equipaggiato con il quale volle imporre la supremazia francese in Europa. Le altre monarchie, però, si unirono e bloccarono l’ espansionismo francese. Le lunghe e costosissime guerre volute da Luigi ridussero alla lunga la Francia in condizioni economiche disastrose, aumentando vertiginosamente i disagi della popolazione.

 

La revoca dell’ Editto di Nantes, ovviamente, provocò un sentimento antifrancese in tutte le nazioni di religione protestante. Nel 1686, cattolici e protestanti sancirono una potente alleanza nota come Lega di Augusta, al fine di proteggersi vicendevolmente contro la politica d’ assalto inaugurata dalla Francia. La coalizione comprese il Sacro Romano Impero e molti Stati tedeschi, tra cui il Palatinato bavarese e il Brandeburgo. Le Province Unite, la Spagna e la Svezia aderirono alla Lega. Nel 1688 Luigi invase la regione del Palatinato provocando la reazione della Lega e lo scoppio della guerra: il conflitto terminò nel 1697, nove anni dopo, ma questa volta il suo tentativo espansionistico non portò gli effetti sperati, in quanto la Francia perse tutte le terre conquistate a parte il territorio di Strasburgo, ancora oggi parte della nazione.

 

Nonostante la brama di potere e la tendenza a fare la guerra, Luigi non fu soltanto un guerrafondaio, ma anche un amministratore molto attento che introdusse determinate riforme legali che portarono alla pubblicazione della Grande Ordonnance de Procedure Civile del 1667, un codice di procedura civile valido e uniforme in tutto il Regno, riguardante i campi più diversi come il battesimo, il matrimonio, i funerali, la compilazione dei registri di Stato, contrapposti a quelli della Chiesa. Fu peraltro un generoso e attento mecenate delle arti, e malgrado la grande cura dei bilanci finanziari spese ingenti somme di denaro a beneficio di quegli artisti che, dietro le sue disposizioni, curavano con estrema attenzione l’ immagine pubblica della Corona. Per ottenere il consenso del popolo, peraltro, sfruttò la «grazia divina» di cui godeva attraverso il rito dell’ imposizione delle mani sui malati di scrofole, il nome dato ad un certo numero di malattie della pelle, mostrando in maniera eloquente che il suo potere proveniva da Dio in una tradizione che risaliva a Roberto II il Pio, re di Francia dal 972 al 1031 e ritenuto sovrano taumaturgo.

Descritto come un sovrano che desiderava sapere tutto, creò un moderno corpo di polizia. In quegli anni, Parigi era quasi invivibile: ovunque, come pure in diverse parti della nazione, vi scoppiavano epidemie, incendi, inondazioni e condizioni di vita al limite del sopportabile. La capitale attirava le persone che speravano di vivere meglio a fianco dei ricchi: truffatori, rapinatori, ladri, mendicanti, storpi, fuorilegge, senza terra e categorie di persone svantaggiate. Egli quindi si rese conto di quanto vi fosse da fare e decise di creare una forza di polizia che affidò a Gabriel Nicolas de La Reynie: questo nuovo corpo permetteva agevolmente di affrontare tutte le situazioni criminose o le emergenze che si fossero manifestate, fondendo in sé quattro diverse polizie che precedentemente operavano nella sola Parigi. La prima azione della nuova polizia fu lo sgombero della Corte dei Miracoli, un quadrivio della città ove si riunivano in gruppi organizzati mendicanti ed emarginati sociali, con una popolazione stimata a ben trentamila abitanti, ovvero il sei percento del totale, per poi procedere a segnalare le situazioni a rischio così da aiutare il monarca nella pianificazione della città tra illuminazione pubblica, acqua corrente e altro.

Come è noto, le corti reali erano covi di vipere, luoghi insani in cui si annidava l’ intrigo che generava sospetti, timori e disgrazie. Alle spalle dei regnanti i cortigiani ordivano trame, spiavano e diffondevano calunnie. A partire dal 1682, il Re, ben consapevole della pericolosità di chi lo circondava, attuò uno dei suoi più noti colpi di genio, trasferendo per precise ragioni politiche la sede del potere e la Corte a Château de Versailles, a circa venti chilometri a sud di Parigi, un tempo semplice padiglione di caccia che aveva ristrutturato al fine di renderlo una grandiosa residenza, tra le cui mura avrebbe tenuto adeguatamente sotto controllo l’ infida e intrigante nobiltà, privandola di qualsivoglia potere e privilegio ma lusingandola con incarichi onorifici retribuiti con elevatissime pensioni, favori, cariche e svariati traffici di privilegi: in tale gabbia d’ oro, i nobili divennero obbedienti e fieri cortigiani del tutto privi di ambizioni pericolose. Il sovrano era accerchiato da un esercito di cortigiani, secondo i calcoli erano ben cinquemila, e di un numero doppio di addetti ai servizi. Le funzioni di Versailles, una vera e propria cittadella, erano scandite da un’ etichetta rigorosissima e complessa voluta dal monarca in persona, atta a trasformare qualsiasi suo atto in un cerimoniale sacro nel quale lo si presentava come su un perenne palcoscenico ai familiari, alle amanti in carica e a tutta la nobiltà adorante e plaudente. Al solenne risveglio mattutino di Luigi, ai cui piedi dormiva sempre un valletto, entravano a turno e in parata per dargli il buongiorno i figli legittimi e illegittimi, i nipoti, i principi e le principesse reali, i medici, i titolari del guardaroba reale, intendenti di vario genere, i ministri, i consiglieri e gli ufficiali, tutti rigidamente suddivisi per carica e genere d’ importanza. A Château de Versailles, luogo di eccessi e contraddizioni, le severe regole regolavano anche i pasti, la passeggiata e i giochi, ed erano rispettate da tutti, dal più modesto servitore allo stesso Re che in tal modo si assicurava obbedienza. Per esempio, chi era ammesso al suo appartamento e passava davanti al letto doveva togliersi il cappello anche se lui non c’era. Il sovrano espresse chiaramente le ragioni di tanto rigore, ossia elevare in qualsiasi occasione la persona regnante, in quanto rappresentante dello Stato e molto al di sopra di qualsivoglia suddito: «I popoli su cui regniamo, non potendo penetrare il fondo delle cose, regolano il pensiero normalmente su quello che vedono sull’ esterno, e perlopiù misurano sulle precedenze e i ranghi il loro rispetto e l’ obbedienza.». Motivo per cui la figura del Gran Maestro delle Cerimonie divenne fondamentale. Quella del Seicento era una società piramidale, con una gerarchia assai rigida: ognuno secondo il rango aveva obblighi e privilegi, le persone erano classificate non secondo posizione o potere ma alla stima e all’ onore di cui era oggetto. Il monarca era in cima, seguito dal Dauphin suo figlio, tenuto a rispettare una notevole distanza. Quando la Regina consorte o la Delfina erano a letto, potevano autorizzare le dame non titolate a sedersi solo se intente in lavori manuali. Quando un personaggio importante attraversava la sala di rappresentanza le dame si piegavano in inchini più o meno profondi. Nei saloni era doveroso rimanere in piedi in presenza di Luigi ad eccezione delle principesse e certe duchesse a cui si concedevano sedie e sgabelli. Solo lui conservava inalterate le proprie leggiadre maniere: sempre galante, premuroso, di una cortesia piena di sfumature, si dilettava della compagnia delle dame anche se poi fallì nel tentativo di creare intorno alla moglie e alla Delfina un gruppo di gentildonne raffinate. La funzione delle signore era soprattutto ornamentale e l’ etichetta ne regolava ogni movimento. La reggia e le dimore del Re, della Regina consorte e dei membri della famiglia reale contavano un numero considerevole di servitori, cerimonieri e dame alle volte investite di una carica che esigeva la loro costante presenza a fianco della sovrana. Tra le regole più curiose vi era quella del bacio, concesso di solito dal sovrano a tutte le dame di qualità che gli erano presentate, ma se una di queste non era titolata poteva baciare solo il fondo dei suoi abiti e di quelli della Regina consorte. La Corte era popolatissima, le sole cucine sorgevano in un apposito palazzo costruito ove vivevano circa millecinquecento persone, e ogni cosa aveva una sua regola precisa. Luigi doveva mangiare? Ci pensava il servizio della bouche du roi, comprensivo di tutta una serie di valletti, paggi d’ onore, uscieri oltre che hasteurs incaricati di sorvegliare la cottura delle vivande allo spiedo, commensali sommelier e, addirittura, il coureur du vin, letteralmente il «corridore del vino», che portava a colazione frutta e biscotti e seguiva il Re in ogni suo spostamento. Luigi voleva dormire? Non era una cosa immediata: prima, infatti, doveva indossare una camicia da notte che gli doveva essere portata dalla persona più altolocata presente, a meno che non fosse di rango uguale o superiore. La stessa regola valeva per presentare la salvietta ai pranzi reali. Luigi doveva andare in bagno? Solo in pochi avevano questo «onore» e anche in tale contesto vi erano regole e precedenze da rispettare. Tutto era assai faticoso e complicato, oltre a comportare un coinvolgimento di molte persone, forse troppe, anche per cose futili o di secondaria importanza. Non mancavano imbarazzi, avventure comiche, offese, frustrazioni e incidenti quotidiani, ma tutto era studiato e faceva parte del gioco. Un gioco politico dominato dal potere che tra i suoi effetti immediati aveva, come disse Luigi al Dauphin suo figlio, «quello di dare un valore infinito a quello che in sé non è nulla».

La giornata del monarca iniziava con il risveglio alle 8:00. La servitù regolava le entrate: la prima entrata era per i familiari, figli e nipoti, poi la grande entrata riservata a uomini che erano grandi ufficiali della Camera. Poi era la volta delle feste e dei divertimenti. Ogni membro della Corte che entrava a contatto con il Re aveva un compito preciso: chi gli sfilava la manica destra della camicia da notte, chi gli sfilava la sinistra, chi gli allacciava le scarpe. Questo cerimoniale aveva un preciso scopo e il sovrano lo utilizzava per stabilire chi era più importante di un altro, come manifestazione di favore o sfavore: era un privilegio partecipare alla vestizione del monarca e l’ esclusione era reputata una malasorte. Durante la cerimonia della vestizione non compariva mai alcun riferimento riguardo la pulizia: Luigi non si lavava e ricorreva a profumi e numerosi cambi di abito e parrucche. L’ acqua non veniva utilizzata per i lavaggi perché si riteneva che facesse aprire i pori della pelle e favorisse delle malattie. Vi era quindi una larga abbondanza di pidocchi sotto le parrucche, a cui si rimediava con il pettine fitto, cioè dai denti molto ravvicinati proprio per scacciarli dalle parrucche delle signore. Inoltre, nella mentalità di allora, vestirsi di bianco significava igiene e pulizia: colletti, camicie, fazzoletti e pizzi non mancavano mai nel guardaroba di un nobile. Anche nei momenti di divertimento e di svago, come concerti e danze, era fondamentale seguire l’ etichetta. Un grande onore consisteva poi nel sedere a tavola del Re, che amava molto il gioco d’ azzardo: giocare contro di lui poteva portare il fortunato a perdere enormi ricchezze, che però poi lui generosamente rifondeva. Luigi amava le feste, il teatro, le danze soprattutto grandiosi spettacoli inventati per il pubblico: apriva le danze tra gli applausi dei nobili, apprezzava molto anche la musica e fu protagonista di alcune opere teatrali, composte appositamente per celebrare la sua persona. In poche parole, si beava nello stupire i suoi sudditi e in particolare gli aristocratici.


La Maschera di Ferro;

Uno degli avvenimenti più particolari mai avvenuti durante il regno di Luigi, unico nel suo genere per singolarità e mistero, fu la vicenda di un prigioniero, passato alla storia con il soprannome di «Maschera di Ferro», di cui si tenne sempre rigorosamente segreta l’ identità per mezzo di una maschera di velluto nero assicurata da cinghie metalliche, che ne rendeva invisibile il volto, e di un rigoroso isolamento detentivo.

Si presume che questo individuo fosse una persona talmente importante che il Re non trovò mai il coraggio di condannarlo a morte, e per mezzo del marchese di Louvois trasmise a Benigno di Saint-Mars, un funzionario che serviva come direttore carcerario, a cui era affidata la custodia del prigioniero, precise disposizioni sul trattamento da riservargli: aveva diritto a un trattamento speciale, ma gli era proibito di parlare con chiunque, se non con l’ ufficiale comandante della guarnigione per le questioni relative alla detenzione, con il medico a proposito delle sue condizioni di salute e con il prete durante il sacramento della confessione. Poteva togliersi la maschera per mangiare e dormire, ma doveva assolutamente tornare a indossarla in presenza o in vista di qualunque altra persona. Gli erano permesse brevi passeggiate nel cortile della fortezza, ovviamente mascherato e sotto stretta sorveglianza delle guardie.

Correvano varie voci sull’ identità di questo prigioniero: che fosse un duca o un conte, piuttosto che un importante aristocratico britannico, o addirittura un fratello illegittimo dello stesso sovrano, nessuna delle quali venne mai convalidata, in quanto molto probabilmente rientravano tutte in un preciso piano di disinformazione. L’ unica certezza è che il prigioniero era al corrente di un segreto talmente pericoloso che, se svelato, avrebbe creato problemi tra i livelli più alti della nobiltà francese. Peraltro doveva essere un volto molto conosciuto, la cui vista avrebbe creato una certa meraviglia, e, chissà per quale motivo, non si poteva neppure considerare l’ idea di sopprimerlo con metodi discreti, per esempio per avvelenamento: probabilmente erano in gioco motivi politici o affettivi. Comunque, quest’ uomo senza nome e neppure volto morì quasi improvvisamente il 19 novembre 1703 alla Bastiglia, per poi essere seppellito al cimitero di San Paolo dei Campi con il falso nome di Marchiergues, portandosi nella tomba uno dei più grandi misteri della storia contemporanea.

 

Château de Versailles;

Al culmine della sua gloria, il sovrano, in conformità con l’ emblema del sole adottato come stemma personale, passò alla storia come le Roi Soleil, «Re Sole»: la stella tutto domina e dà vita ad ogni cosa, simboleggia ordine e regolarità. Curiosamente, il monarca scandiva la propria giornata proprio sulla base del percorso quotidiano del sole, dall’ alba al tramonto, coinvolgendo in questo i cortigiani come immaginari pianeti che gravitavano attorno alla sua figura. La valenza simbolica del sole è evidente: il regnante era il centro incontestato della vita sociale e nazionale di Francia, da lui dipendeva tutto e il destino di tutti, e nelle sue mani era rimessa la decisione finale in ogni campo: politica, economia, legislazione. Circa le molteplici e costanti difficoltà nell’ arte di governare, e forse per discolpare le numerose decisioni drastiche adottate nel suo lungo regno, affermò: «I sovrani sono spesso costretti a prendere decisioni contrarie alle loro inclinazioni e non consone al loro buon carattere. Mentre essi desiderano far del bene sono spesso costretti a trattare duramente e a colpire uomini che per naturale inclinazione vorrebbero invece beneficiare.».

La sua vita privata fu piuttosto infelice, tra una salute assai cagionevole e i molti lutti famigliari. Fin da bambino fu colpito da numerose malattie infettive, molte delle quali causate dallo stato di estrema sporcizia in cui viveva: all’ epoca, infatti, la medicina era ancora molto arretrata, e non conoscendo assolutamente l’ esistenza di virus e batteri, i medici davano la colpa delle malattie infettive a una contaminazione della pelle da parte dell’ acqua che entrava dai pori. Nessuno quindi faceva mai il bagno a meno che non fosse strettamente necessario per via dell’ odore corporeo divenuto veramente insopportabile. Lo stesso Luigi non fece mai più di tre bagni nella sua vita, uno solo in età infantile. E’ noto che a Château de Versailles si viveva in uno stato di sporcizia assoluta e il Journal farebbe intendere che i tre bagni del Re furono dovuti alla bromidrosi acuta, malattia dovuta ad un’ eccessiva sudorazione accompagnata da un odore particolarmente acre, dovuto alla fermentazione dei batteri. A questo si aggiungeva il suo straordinario appetito che, oltre a determinare il suo sovrappeso, gli causava indigestioni continue, diarree ed emicranie. L’ eccesso di carne e di zucchero compromise fortemente le sue difese immunitarie e la costituzione, rendendolo meno resistente alle malattie e causandogli ascessi dentali, carie e attacchi di gotta. Le dolorose carie ai denti furono curate con l’ unico metodo allora conosciuto: l’ estrazione dentaria, una delle quali fu eseguita così maldestramente da causargli la perdita di un pezzo di palato, ferita dolorosissima che guarì solo attraverso svariate medicazioni e dopo mesi di tamponamenti. Da ragazzo soffrì anche di crisi epilettiche e sonnambulismo, oltre che di incubi notturni che divennero più frequenti dopo i trentacinque anni: all’ età di trentasette erano così tremendi da farlo urlare nel sonno, in concomitanza con la comparsa di feroci attacchi di dissenteria. Molto probabilmente, questi disturbi del sonno erano determinati dalla disidratazione e dalla perdita di sali minerali che la malattia gli procurava. Nella realtà, il sovrano era molto diverso dall’ immagine pubblica ostentata nell’ arte pittorica e scultorea: basso di statura e pelato, cercava di mascherare i difetti rialzandosi di una ventina di centimetri grazie ai tacchi alti e a una parrucca monumentale. I suoi molti e intensi problemi di salute erano minuziosamente riferiti in un opuscolo redatto per cinquantotto anni dai medici di corte e intitolato «Le Journal de la santé du roi Louis XIV», in cui risulta che il reale paziente superò i malanni grazie soprattutto alla sua incredibile costituzione, e forse anche alla tenace volontà di vivere, che gli permisero di resistere sia alle malattie che alle cure a cui veniva sottoposto. La robustezza della sua salute fu messa a dura prova già all’ età di nove anni, quando fu colpito dal vaiolo; a trentacinque una febbre tifoide gli causò la totale perdita dei capelli e per poco non lo fece morire; a quarantasette fu sottoposto a una dolorosissima operazione chirurgica a causa di una fistola anale originata da un ascesso; a un anno dopo fu colto dalla malaria, e nella vecchiaia dagli inevitabili acciacchi senili, quali reumatismi, gotta e coliche renali.

A tutte queste malattie principali erano collegate una serie di disturbi minori quali morbillo; blenorragia, che l’ archiatra chiamava pudicamente «strano male» per salvare le apparenze; indigestione; tenia; costipazione; cisti al seno; malattie della pelle; febbre e vertigini. Il regnante subì stoicamente ogni genere di pozioni, cataplasmi, purghe, salassi e molti clisteri. Il clistere in particolare era considerato il rimedio privilegiato nel Seicento, dal momento che secondo la credenza popolare per un buono stato di salute occorrevano numerosi lavaggi interni: sembra che il Luigi ne ricevesse più di duemila, usando anche accogliere visitatori e funzionari di corte mentre i medici glieli praticavano e facendoli diventare di moda in tutta la corte. Lo scarsissimo stato di avanzamento della medicina del tempo, ancora nelle mani di ciarlatani e incompetenti, non soccorreva certo il benessere di Louis le Grand: quando i suoi denti, corrosi dalle carie, furono estirpati senza anestesia insieme ad un pezzo di palato, la terribile ferita fu curata con ben quattordici cauterizzazioni e ci sarebbero voluti mesi perché il paziente potesse ricominciare a mangiare con lo stesso ritmo di prima. I suoi molti problemi erano causati anche dalla vita sregolata e sopra le righe che conduceva: si racconta ad esempio che, forse per esporsi alla vista dalla gente e dimostrare di non temere raffreddori e bronchiti, viaggiasse in carrozza col finestrino aperto con qualunque temperatura e stagione. All’ ora di pranzo divorava quattro piatti di minestra, fagiano o pernice, prosciutto, castrato in umido, verdura, legumi, pasticcini, frutta e uova sode. La cena era altrettanto ricca e, come se non bastasse, in camera da letto aveva a disposizione altra carne fredda e dolci, nel caso si fosse svegliato con un languorino allo stomaco. L’ eccesso di proteine animali, che gli avrebbe causato la gotta, aveva una motivazione culturale: si pensava infatti che la selvaggina fosse il solo piatto veramente degno di uno stomaco nobiliare, laddove pane, legumi, e più raramente il maiale erano alla base della dieta popolare. Le malattie del Re Sole non erano una faccenda privata, ma una questione di Stato: son solo tutta la corte ne era al corrente, ma la nazione intera, resa edotta da opuscoli, giornali e poesie fatti circolare tra la gente: la gestione delle informazioni faceva parte di una strategia di comunicazione che mirava a mobilitare la pietà popolare e a gridare al miracolo quando finalmente il sovrano, evidentemente protetto dal Cielo, metteva in scena il suo corpo risanato. Preghiere, sacrifici e cerimonie di ringraziamento pubbliche completavano il culto attribuito alla Monarchia e al regnante.

In famiglia, negli anni il grande sovrano fu toccato da una lunga serie di lutti. Lui e la moglie non furono mai una coppia felice, essendo uniti in un matrimonio puramente dinastico. Taciturna e avvizzita, Maria Teresa non era mai riuscita a coinvolgere di passione il marito, che si concesse un’ amante dietro l’ altra. Tra il 1662 e il 1672 morirono ben cinque dei sei figli avuti dal Re e dalla Regina consorte: Anna Elisabetta ad appena un anno; Maria Anna alla stessa età; Maria Teresa a sei anni; Filippo Carlo e Luigi Francesco rispettivamente a quattro anni e a quattro mesi. Il 30 luglio 1683, la stessa Maria Teresa morì in seguito a un grave ascesso bubbonico convertitosi in setticemia. Dopo il suo decesso, il monarca disse: «Questo è il primo problema che lei mi ha dato.». Solo il Grand Dauphin, Luigi, sopravvisse alla madre, ma morì nel 1711 a quarantanove anni, vittima del vaiolo, prima di succedere al padre. Alcune delle amanti che il regnante si era concesso per buona parte della sua vita, ebbero grande importanza nella vita sociale e culturale del tempo, e riconobbe la maggior parte dei molti figli che ebbe da loro. Alla reggia di Versailles volle alcune scale segrete per raggiungerle più facilmente. Da Louise de La Baume Le Blanc, duchessa de La Vallière et de Vaujours, ebbe sei figli, due dei quali morirono in tenera età; da Françoise Athénaïs de Rochechouart de Montermart, marchesa di Montespan, invece, ne ebbe otto, due dei quali morirono presto; da Claude de Vin, Mademoiselle des Œillets e Angélique de Fontanges, duchessa di Fontanges ne ebbe altri due, una figlia e un figlio. Tali relazioni irritavano fortemente il partito dei devoti e moralisti di corte tra i quali il precettore del Grand Dauphin, Jacques Bénigne Bossuet. Le due amanti più importanti furono dapprima la marchesa Françoise di Montespan e, alla sua progressiva caduta in disgrazia, Françoise d’ Aubigné, marchesa di Maintenon, che si occupava come governante dei figli avuti dalla stessa marchesa di Montespan: fu un amore profondo, così forte da parte di entrambi che nel 1684, Luigi la sposò in segreto con rito morganatico, smettendo di frequentare tutte le altre donne. Lui aveva quarantacinque anni, lei quarantotto. Il segreto non durò molto, con la Corte che dopo un po’ prese a mormorare. Alla consorte morganatica fu attribuita una grande influenza sul Re Sole e la Corte: si narra che che fu proprio lei ad aver istigato la revoca dell’ Editto di Nantes nel 1685, causando un grande disastro finanziario a seguito dell’ esodo massiccio dei protestanti e del trasferimento dei loro capitali, oltre che l’ intervento francese nella Guerra di successione spagnola, conflitto che si originò dalla morte nel 1700 di Carlo II, ultimo monarca di Spagna appartenente a Casa Asburgo: la questione di chi avrebbe dovuto succedergli preoccupava le monarchie di tutta Europa, e i tentativi di risolvere il problema con una spartizione dell’ Impero spagnolo tra i candidati eleggibili proposti dalle varie case reali fallirono. Benché sia stata accusata di essere causa di ogni male e abbia indubbiamente imposto alla corte un clima di devozione e di rigore, gli storici ancora si interrogano circa l’ effettivo ruolo e il peso della sua influenza di Madame de Maintenon sul regnante.

L’ apoteosi del Re Sole;


Nell’ agosto 1715, Luigi, ormai settantaseienne, cominciò a lamentarsi di un dolore alla gamba sinistra, scambiato all’ inizio per sciatica e curato con vino e tisane, ma che poi si rivelò una cancrena che gli risultò fatale. Morì alle 8:15 del 1º settembre a causa di un’ ischemia acuta in una delle principali arterie dell’ arto malato, contro la quale i medici si dichiararono impotenti. Mancavano quattro giorni al suo settantasettesimo compleanno, ed erano passati settantadue anni, tre mesi e diciotto giorni dall’ inizio del suo regno. Concreto come sempre, rivolgendosi ormai morente alla moglie seduta al capezzale nel suo abito nero, con il capo coperto da un velo e gli occhi pieni di lacrime, e ai cortigiani che erano intorno al letto, domandò: «Perché piangete? Cosa credevate, che fossi immortale?». Si dice che le sue ultime parole furono: «Io me ne vado, ma lo Stato resterà sempre.».

La morte del Re Sole venne annunciata in tutto il Regno di Francia con la formula di rito: «Le Roi est mort. Vive le Roi!». La notizia non suscitò particolare commozione, anzi, il Paese festeggiò accendendo fuochi di gioia: il suo regno era durato troppo a lungo per essere rimpianto, tanti lutti e sofferenze gli avevano creato il vuoto intorno. Il suo passaggio ad altra vita avrebbe lasciato una lunga ombra sulla storia futura. Secondo la tradizione, il cadavere venne smembrato, gli organi separati e il resto seppellito nella basilica parigina di Saint Denis, il sacrario dei sovrani francesi. La sera del funerale, avvenuto piuttosto alla svelta, tutto il popolo parigino dimenticò gli anni dell’ adulazione e festeggiò la fine del dispotismo dissacrando le immagini del defunto e chiudendone il potentato con un finale grottesco tra canti, balli e sguaiataggini. Louis le Grand, le Roi Soleil, lasciava la Francia in una disastrosa situazione economica e finanziaria, portatrice di una terribile crisi sociale che circa settant’ anni dopo avrebbe innescato la rivolta della nazione contro la Monarchia. Gli succedette il bisnipote Luigi XV, figlio di Luigi, duca di Borgogna e a sua volta figlio omonimo del defunto Grand Dauphin, figlio ed erede del Re Sole. Aveva appena cinque anni, e sarebbe passato alla storia come «Beneamato». Molti anni dopo, allo scoppio della Rivoluzione, le tombe reali vennero profanate in una serie di spregevoli eccessi che non risparmiarono niente e nessuno. La stessa salma di Luigi XIV, ben conservata e perfettamente riconoscibile anche se appariva «nera come l’ inchiostro» fu gettata in una fossa comune, per poi essere divisa e dispersa al grido: «Liberté, Égalité, Fraternité!». Passato l’ uragano devastatore della sollevazione all’ Ancien Régime, Napoleone Bonaparte commentò la politica dell’ irripetibile sovrano borbonico: «Il sole non ha macchie? Luigi XIV fu a pari merito un gran Re. Egli è stato colui che ha riportato la Francia al rango delle prime nazioni. Solo Carlo Magno può essere paragonato a Luigi, in tutti i suoi aspetti.».

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