Luigi XIV in un dipinto di Rigaud Hyacinthe; |
Quando
si parla di monarchia e, soprattutto di assolutismo, a tutti viene subito in
mente Luigi XIV di Borbone, sessantaquattresimo Re di Francia e
quarantaquattresimo di Navarra, simbolo vivente della regalità e del potere
dello Stato, divenuto già in vita un’ icona ineguagliabile, tuttora rimasta
senza eguali. Figura spesso oscurata da quelle ben più tragiche e discusse di
Luigi XVI e Maria Antonietta, fu un personaggio assai complesso e affascinante:
da un lato fu pioniere del potere assoluto sancito dal diritto divino e autore
di varie guerre sbagliate come quella della Lega d’ Augusta e quella di
successione spagnola, dall’ altro fu un politico innovativo, paladino delle
arti e della cultura e apportatore di variazioni significative in ambito
giuridico e commerciale che svilupparono le industrie e le infrastrutture e che
favorirono la nascita di un corpo di polizia moderno, lo stesso che avrebbe
smascherato lo scandalo parigino ricordato come l’ Affaire des poisons,
l’ Affare dei veleni.
Uomo
intelligente e di grandi ambizioni, questo Re visse la propria esistenza nel
costante desiderio di unire strettamente e direttamente la Francia sotto la
Corona e renderla cuore dell’ Europa attraverso una grande campagna militare, pur
riuscendo solo parzialmente nel primo intento e fallendo nel secondo. Grazie ai
suoi successi e nonostante i suoi fallimenti, entrò così tanto nella leggenda
che oggi la storia sia di Francia che d’ Europa non può evitare di fare i conti
con lui. Salito al trono a soli cinque anni, regnò incontrastato per i restanti
settantadue, primato che fa tuttora di lui il sovrano che imperato di più nella
storia, superando i sessantasei anni del faraone egizio Ramses II. Già dall’
infanzia fu la personificazione del culto dell’ immagine, e in gioventù fu
quella del potere assoluto, la simbiosi ideale tra regnante e potere, pubblico
e privato in un fenomeno che lo rese immortale: quadri, medaglie, stampe,
statue, architetture, monili ma anche libri, poesie, rappresentazioni teatrali,
libelli agiografici e polemici sono solo alcuni degli strumenti attraverso i
quali l’ immagine dell’ imparagonabile sovrano fu creata, diffusa ed eternata.
Mai prima e neppure dopo un uomo pubblico raggiunse tale celebrazione, inserendosi
al centro di un progetto perfetto, nel quale ogni minimo dettaglio era
accuratamente studiato per non fallire e che trovò probabilmente nella
realizzazione dello sfarzoso Château de Versailles la più concreta e incredibile
consacrazione, il più riuscito simbolo ed estensione della sua personalità, che
il popolo guardava con reverenza e ammirata soggezione, impressionato alla
vista di quella che era la più degna residenza di un monarca ordinato da Dio.
Nel
1700, il pittore Hyacinthe Rigaud, uno dei più importanti ritrattisti francesi
del suo periodo, di discendenza catalana, raffigurò Luigi in un grande dipinto
che, forse a dispetto anche di quanto lo stesso artista pensasse, divenne la
sua più famosa rappresentazione: i calzoni alla Ringravio assolutamente alla
moda, le calze fermate dalle giarrettiere che mettono in risalto le gambe di
cui era particolarmente orgoglioso, le scarpe in seta bianca con il talon
rouge rigorosamente proibito a ogni suddito, il giustacuore nella parte
superiore, la camicia sbuffante, l’ ampio mantello regale con il ricamo di
gigli d’ oro su un ricco sfondo blu, la voluminosa parrucca di ricci, divennero
infatti tratti distintivi di una moda che fu non solo motivo stilistico ma
anche politico, ostentazione suggestiva di potere di uno dei più grandi Re
della storia dell’ umanità, sebbene fossero solo alcuni dei tratti salienti dei
ricercati accessori da lui indossati. Tale raffigurazione fu così riuscita che,
per riflesso, i sovrani contemporanei e i loro successori adottarono nel
desiderio di raggiungere il suo stesso livello di regalità. Come ignorare Louis
le Grand? Eppure, non vi è mai luce senza ombra: il mito eretto attorno a
questo notevole personaggio, che regnò in un periodo prospero e insieme
turbolento della storia francese e occidentale, finì presto con l’ enfatizzarne
i soli aspetti positivi, o se non altro i meno negativi, occultando il più
possibile il suo lato oscuro, quello dell’ uomo tortuoso ed egocentrico, al di
sopra di tutto in quanto scelto da Dio come incarnazione vivente di un antico e
onorato Regno e personificazione indiscutibile di ogni potere terreno. Ovunque
sorga, il sole getta sempre qualche ombra…
Il cardinale Richelieu; |
Nel
Seicento, i contrasti religiosi tra cattolici e protestanti erano ormai
intrecciati con le lotte politiche e sociali in tutta l’ Europa, alimentati da
intolleranza e fanatismo che li resero estremamente aspri. Autorità civili e
alti dignitari ecclesiastici erano coinvolti in un conflitto sanguinoso che
qualche decennio dopo Voltaire definì un vero e proprio un inferno in cui si
uccise in nome di un unico Dio, quello cristiano, il medesimo che nella Bibbia
sostiene che gli uomini sono tutti fratelli e devono amare la vita, che
chiunque ha salvato una vita è come se abbia salvato il mondo e che chiunque l’
abbia distrutta è come se abbia distrutto il mondo. In molti Paesi, la crisi
economica e il disordine che ne derivarono indussero al rafforzamento del potere
dello Stato, che venne progressivamente a liberarsi dall’ influenza dell’
aristocrazia, la classe dei nobili tradizionalmente detentrice del potere in
quanto reputata degna di governare. La monarchia assoluta trovò il proprio
terreno ideale in Francia, imponendosi poi anche negli altri Paesi europei. L’
accentramento e l’ assolutizzazione del potere risalivano già alla fine del
Medioevo, quando i sovrani francesi e britannici avevano iniziato a porre sotto
il proprio controllo l’ alta nobiltà, e presto si era riconosciuto al sovrano
un potere ereditario per diritto divino, evidente manifestazione del volere di Dio,
peraltro basata sulla ragion di Stato, ossia la convinzione che tutto ciò che fosse
utile allo Stato lo fosse anche per l’ intera società: poiché lo Stato si
incarnava nella persona del Re, nessuno si poteva opporre al suo volere, dal
più umile suddito al più potente signore erano tenuti ad obbedire alle sue disposizioni.
Il
trionfo dell’ assolutismo francese fu opera di due grandi Premier ministre,
entrambi cardinali: Armand-Jean du Plessis, duca di Richelieu, e Giulio
Raimondo Mazzarino. Governando per conto di Luigi XIII, sul trono dal 1610, Richelieu
pose fine al potere della nobiltà feudale e debellò la forza politica e
militare degli ugonotti, protestanti francesi di confessione calvinista
presenti in Francia di cui nel 1628 fece espugnò le fortezze come quella di La
Rochelle, la più importante. In politica estera, invece, finanziò i nemici
dell’ Austria durante la Guerra dei Trent’ Anni e indusse la Francia a
prendervi parte nell’ ultimo periodo. Promosse anche il colonialismo, che valse
al Regno i domini di Santo Domingo, Martinica e Guadalupe, nel Mar dei Caraibi.
Alla sua morte nel 1642, fu sostituito da Mazzarino, che consolidò il potere
regio e il primato francese in Europa.
Il cardinale Mazzarino; |
Luigi
Deodato di Borbone nacque il 5 settembre 1638 al castello di
Saint-Germain-en-Laye, antica residenza dei sovrani francesi, figlio
primogenito di Luigi XIII e della moglie Anna d’ Austria. La sua nascita fu
considerata un miracolo, essendo avvenuta dopo ben ventitré anni di matrimonio
e quattro aborti spontanei, ragion per cui il padre gli conferì il nome Dieudonné,
ossia Deodato, «Donato a Dio». Due anni dopo, i sovrani ebbero un secondo
figlio, Filippo, duca d’ Orléans. Si dice che Luigi, detto «il Giusto», odiasse
la moglie, soprattutto dopo che nel 1622 questa si provocò ingenuamente il
primo aborto scivolando lungo un corridoio del Louvre mentre giocava con l’ amica
e confidente Madame de Chevreuse. La Regina consorte nutriva un certo disprezzo
per il marito che non faceva alcuno sforzo nel mettere al mondo un’ erede, del
quale peraltro si diceva che prediligesse la compagnia maschile a quella
femminile, sebbene oggi in molti liquidino gli amori extraconiugali del Re solamente
come rapporti platonici. Investito del titolo di Dauphin de France,
principe ereditario, Luigi salì al trono a quasi cinque anni a seguito della
morte improvvisa del padre, colpito da infarto. Divenuta Regina madre, Anna fu
nominata Reggente e gestì il potere insieme al cardinale Mazzarino, il quale
divenne una figura controversa a causa della sua politica, che indusse alla formazione
di un movimento di rivolta e opposizione nel Parlamento di Parigi, la Fronda
parlamentare, che esplose nel 1648 a causa del prolungarsi della guerra contro
gli Asburgo e del conseguente dissesto delle finanze, cosa che lo costrinse ad
una ferrea politica fiscale e di accentramento assolutistico che suscitò l’ avversione
della nobiltà e il rancore dei contadini ridotti alla fame oltre che un
pericoloso sentimento di rivolta popolare. Il Parlamento si rifiutò di
registrare i nuovi provvedimenti finanziari voluti dal cardinale Primo ministro
e chiese un maggior controllo pubblico sull’ impiego del denaro statale. Costretto
a fuggire dalla capitale, Mazzarino tornò dopo aver fatto alcune concessioni,
mentre in politica estera fu piuttosto spregiudicato. Durante la guerra franco-spagnola
fra il 1635 ed il 1659, non esitò ad allearsi con i puritani britannici di
Oliver Cromwell contro la cattolica Spagna, che non aveva aderito alla Pace di
Vestfalia del 1648 per quanto riguardava la parte che prevedeva la pace con la
Francia, promettendo al Lord Protettore, in cambio dell’ aiuto, la base navale
francese di Dunkerque sul canale della Manica.
Tra
le molte malelingue, spesso e volentieri fomentate da dignitari malevoli, se ne
diffuse una sia tra la nobiltà che tra il popolo, secondo la quale il piccolo
Re e il fratello Filippo fossero il frutto dell’ amore tra Anna e Mazzarino, ma
in realtà si trattò di un pettegolezzo privo di qualunque fondamento in quanto
Mazzarino era arrivato alla corte borbonica soltanto nel gennaio del 1640. Rimane
comunque possibile che la Regina madre e il cardinale fossero stati effettivamente
amanti negli anni seguenti, come si può ipotizzare dalle lettere che i due
erano soliti scambiarsi, e dal fatto stesso che dopo la morte del consorte, e
contro le sue ultime volontà, divenne assieme al religioso Reggente per conto
del figlio. E il nuovo sovrano bambino maturò uno strano sentimento, misto di
odio e ammirazione, per Mazzarino: lo odiava perché non capiva in che tipo di
rapporti fosse con sua madre e perché era lui che di fatto governava il Regno
al posto suo, e lo ammirava perché ne riconosceva il talento in politica e ne
invidiava la raffinatezza e la magnificenza nel gusto. Durante l’ infanzia,
proprio dal suo Primo ministro Luigi apprese due pilastri su cui si sarebbe basata
la sua intera vita: il bisogno di creare una Francia fondata sulla centralità
assoluta dello Stato e la ricerca della bellezza e dell’ eleganza.
Il
monarca crebbe con il fratello Filippo nelle stanze della reggia, con Mazzarino
come tutore. Malgrado l’ impegno dei suoi diversi precettori, tra cui l’ abate
Péréfixe de Beaumont e François de La Mothe Le Vayer, l’ educatore con cui ebbe
maggior intesa fu Pierre de La Porte, suo primo valletto di stanza, che egli
stesso nominò suo lettore di testi storici, ricevendo da lui corsi di latino,
storia, matematica, italiano e disegno. Pur non si rivelandosi mai uno studioso
modello, eccelleva in matematica, musica e disegno. Parlava molto bene l’ italiano
e lo spagnolo, e sapeva disegnare piante di edifici e giardini. Non era invece
portato per le scienze e la storia: di quest’ ultima studiò perlopiù le gesta
dei suoi predecessori. Seguendo l’ esempio del cardinale, un notevole
collezionista d’ arte, il regnante si dimostrò sempre molto sensibile alla
pittura, all’ architettura, alla musica e soprattutto alla danza, che per l’ epoca
era considerata essenziale per l’ educazione di un aristocratico: si esercitò
infatti nella danza per due ore al giorno dai sette ai ventisette anni. Ebbe
anche un’ educazione sessuale straordinariamente moderna per l’ epoca: sua
madre predispose che la baronessa di Beauvais, soprannominata Cateau la
Borgnesse, si accertasse se e quando egli avesse raggiunto la maturità
sessuale. Il rapporto tra madre e figlio fu particolarmente aperto e affettuoso
se si considerano i tempi, tanto che le malelingue sostennero ripetutamente che
la Regina madre trascorresse la maggior parte del tempo con il figlio ignorando
allegramente gli affari di Stato e quindi consentendo a Mazzarino di esercitare
un’ influenza sconfinata e costante ad ogni livello della società francese. Lo
stesso Luigi riportava nei suoi diari privati: «La natura fu responsabile dei
primi nodi che mi legarono a mia madre. Ma i legami instauratisi
successivamente furono qualità di spirito che andavano ben oltre i legami di
sangue.».
Nel
1653 il Re adottò l’ emblema solare ideato da Louis Douvrier, famoso antiquario
dell’ epoca, su cui campeggiava un globo sfolgorante, accompagnato dal motto
latino Nec pluribus impar, ossia: «Non inferiore alla maggior parte». Tali
parole indicavano chiaramente che egli splendeva come il sole e non poteva
essere paragonato a nessun altro.
A
dieci anni dall’ ascesa al trono, all’ alba di domenica 7 giugno 1654, Luigi
XIV venne formalmente incoronato Re di Francia e Navarra alla cattedrale di
Reims, comune nella regione Grande Est, a centoquarantaquattro chilometri da
Parigi. All’ interno della basilica erano disposti arazzi della Corona e il
pavimento era ricoperto di tappeti. Sull’ altare erano disposti i reliquiari di
San Remi e San Luigi, mentre per la comodità del sovrano erano stati disposti
una sedia e un inginocchiatoio presso l’ altare maggiore e un trono in cima al
jubè. Preceduto da musicisti in vesti bianche e da gentiluomini armati di
mazzapicchio, scortato da cento guardie oltre a dignitari di Corte e della
Corona, il regnante fece ingresso alla cattedrale con il coro che intonava il
Vieni Creator. Prelati e canonici portarono all’ altare la sacra ampolla, il
tesoro inviato dal cielo da San Remi per l’ incoronazione di Clovis, e diedero
il via alla consacrazione di Luigi invitandolo a pronunciare il giuramento:
egli si impegnò come i predecessori a garantire al popolo della Chiesa libertà
e immunità, a dare pace, giustizia e misericordia al suo popolo, legiferando in
base ai comandamenti di Dio.
Memore
della lezione acquisita nel periodo della Fronda, durante la quale si era sentito
profondamente umiliato per la cacciata da Parigi nonostante fosse il monarca, per
tutta la vita si tenne sul chi vive e maturò profonda diffidenza verso il
prossimo, soprattutto le classi nobiliari, ragion per cui si orientò con
convinzione alla creazione un potere centralizzato gestito soltanto da lui. Di
statura media, figura robusta dalle spalle larghe, i lineamenti piacevoli e gli
occhi di ghiaccio, amava la caccia, il lusso, i banchetti e le feste. Non amava
star fermo, sentiva sempre il bisogno di fare qualcosa, fosse anche il gioco della
palla o una lunga passeggiata a piedi. Gradiva molto la compagnia femminile, ed
esigeva che le belle signore si presentassero costantemente ingioiellate dalla
testa ai piedi, per essere più invitanti, e che mangiassero con appetito alla
sua tavola perennemente imbandita. Un Re del genere faceva ovviamente gola alle
dame in cerca di una carriera rapida: tutte lo seguivano, lo circondavano, lo
volevano. Il primo amore del ventenne Luigi fu niente meno che Maria Mancini,
la bella nipote di Giulio Mazzarino, di un anno più giovane di lui e che era
stata portata in Francia da Roma nel 1647 per essere sistemata con un
matrimonio vantaggioso. Quando nel 1658 il sovrano si ammalò durante, una
malattia per la quale in tanti temettero per la sua vita, e la più preoccupata
per le sue condizioni fu proprio lei, che rimase al suo capezzale giorno e
notte finché non si rimise in salute. Più che per la sua bellezza, che molti
contemporanei misero in discussione, il monarca probabilmente si innamorò della
tenerezza con la quale Maria aveva versato lacrime di dolore nel periodo più
incerto della malattia. I due stavano bene insieme, lei era una giovane colta,
leggeva romanzi, poemi e commedie che puntualmente raccontava a Luigi, per la
prima volta in vita sua fu veramente innamorato, al punto di volerla sposare, ma
tale desiderio urtò con i piani della Regina madre, che pretendeva di vedere
sul trono una principessa di sangue reale. Il cardinale fece prontamente
sparire la nipote nel convento di Brouage, vicino a La Rochelle, per qualche
tempo, e organizzò il matrimonio con la principessa Maria Teresa d’ Austria,
due volte sua cugina prima in quanto figlia di Filippo IV di Spagna e di
Elisabetta di Francia. Lei quindi partì il 21 giugno 1659 tra pianti disperati
sia da parte sua che di Luigi, ma l’ amore tra i due giovani sembrò resistere
anche a questo allontanamento forzato: continuarono a scriversi lunghissime
lettere d’ amore e a vagheggiare un futuro insieme che però non si realizzò
mai. Maria fu costretta a sposarsi poco dopo, nel 1661, con Onofrio Lorenzo
Colonna, il quale gioì immensamente nel saperla ancora vergine nonostante la
storia avuta con il Re, per il quale la
nomea di amante seriale era già ben radicata. Piegato alla ragion di Stato, Luigi
accettò un matrimonio politico atto a riavvicinare Francia e Spagna, e incontrò
la sposa, pallida, dolce, remissiva, seria e cattolica fervente, appena tre
giorni prima della cerimonia, rilevando come essa parlasse solo qualche parola
di francese. Il rito venne celebrato il 9 giugno 1660 nella chiesa di San
Giovanni Battista a Saint-Jean-de-Luz. La prima notte di nozze tra i due,
contrariamente alla tradizione dell’ epoca, non ebbe testimoni. Con l’ andare degli
anni, la nuova Regina consorte accettò in silenzio tutti i tradimenti del
marito, che non intendeva perdere nemmeno una donna e passava da un letto all’
altro come faceva a tavola dal primo al secondo piatto, dando alla Corte di che
mormorare.
Maria Mancini; |
Alla
morte di Mazzarino nel 1661, Luigi, ormai ventitreenne, prese direttamente le
redini del governo. Convinto assertore dell’ assolutismo e della Monarchia per
diritto divino, assunse pieni poteri e abolì la carica di Primo ministro. La
sua ascesa segnò la fine delle grandi rivolte nobiliari, parlamentari,
protestanti e contadine che avevano segnato i decenni precedenti, e impose l’ obbedienza
a tutti i livelli della popolazione. Uomo mediamente intelligente, risoluto e
analitico, portò avanti una visione totalitaria e indiscutibile del potere. Si
sentiva erede di Costantino e Carlo Magno nella difesa della fede cattolica e
nella centralizzazione di qualsivoglia potere nelle proprie mani, ragion per
cui curò la gestione del Regno tramite funzionari borghesi alle sue dirette
dipendenze e non mancò mai di interpellare i propri consiglieri prima di
prendere una qualsiasi decisione. Si attorniò di uomini di grande esperienza e
valore come Jean-Baptiste Colbert, dotto economista che nominò Controllore
generale delle finanze affinché risanasse le finanze dopo le dilapidazioni di
Nicolas Fouquet, e Francesco Michele Le Tellier di Louvois, che come Ministro
della Guerra ammodernò l’ esercito, disciplinandolo e dotandolo di nuove armi.
Secondo la tradizione ripeté spesso: «L’ État, c’ est moi.», «Lo Stato
sono io.», ma varie fonti negano che l’ abbia mai veramente detto. Chi lo
circondava ne amava la vitalità instancabile, l’ enorme capacità di lavoro, i
modi cortesi e controllati, mentre ne decantava con molta piaggeria il viso
regolare, i lunghi capelli biondi, la bellezza fuori dall’ ordinario.
In
tono con la sua sfrenata ambizione, il giovane Re volle sempre imporsi ben
oltre i confini francesi: «La guerra è l’ occupazione
più degna e piacevole per un sovrano.». Il suocero Filippo di Spagna aveva
promesso come dote una cifra di denaro favolosa, ma morì prima di potergliela
consegnare. Il monarca allora mandò l’ esercito ad occupare le Fiandre,
territorio sotto il dominio spagnolo, che nel 1668, con la pace di Aquisgrana, vennero
riconosciute come possesso francese. Fervente cattolico, il ruolo della
religione nella sua vita fu importante fin dall’ infanzia, a causa dell’ educazione
ricevuta e a cui era stato talvolta costretto, e lo indusse a precise scelte di
natura politica come la ripresa della lotta contro i calvinisti: il 18 ottobre
1685 revocò l’ Editto di Nantes di Enrico IV, risalente al 1598 e che aveva
confermato la libertà di coscienza, ossia la possibilità di coltivare
convinzioni interiori e comportarsi di conseguenza, sia pur senza turbare l’
ordine pubblico, oltre che la libertà di culto nei territori dove i protestanti
si erano già imposti prima del 1597, mentre ai protestanti aveva concesso
diritti politici, militari e territoriali. Ad esso si sostituì la proclamazione
dell’ Editto di Fontainebleau: ebbe inizio una lunga serie di aspre violenze,
compiute in larga parte dai corpi militari dei Dragoni, unità militari in
essere dal Quattrocento, ai danni di chi non aderiva alla nuova ordinanza. Molti
protestanti che rifiutarono di abiurare furono esiliati dal Regno, mentre i
bambini furono obbligati a convertirsi al Cattolicesimo e molte chiese
protestanti vennero distrutte. Il Protestantesimo non ebbe più spazio in
Francia, e la repressione della dissidenza religiosa fu un gravissimo danno per
l’ economia in quanto gli esuli, commercianti e artigiani, erano la parte più
operosa del Regno. Circa duecentomila sudditi, molti dei quali erano ebrei,
abbandonarono la Francia in ottemperanza all’ Editto di Fontainebleau: poiché
Parigi aveva impedito alle colonie di accoglierli in quanto dissidenti
religiosi, gli Stati protestanti fecero a gara per accogliere questi abili
imprenditori, e il solo Guglielmo di Hohenzollern, principe del Brandeburgo, ne
accolse migliaia nella propria signoria, che conobbe un rapido sviluppo. Altri
esuli furono accolti in Olanda, Svizzera, Germania e Gran Bretagna, dando nuova
linfa all’ economia di tali Paesi. Nonostante il disordine finanziario, la
Corona francese consolidò il proprio controllo amministrativo sulla nazione.
Come
custode del Cattolicesimo, il «re cristianissimo» conduceva una vita liturgica
particolarmente densa di eventi quotidiani atti che rappresentavano più che
altro eventi comunitari dove dava agli occhi del pubblico la propria immagine
della sacralità reale: prima di alzarsi dal letto, ogni mattina, riceveva acqua
santa portata dal ciambellano; seduto sul letto recitava le Lodi dell’ Ufficio
dello Spirito Santo, e dopo essersi vestito si inginocchiava per alcuni minuti
a pregare in silenzio. Ogni mattina prendeva parte alla messa con l’ eccezione
di quando si trovava sul campo di battaglia impegnato a guerreggiare. Si stima
che in tutta la sua vita abbia preso parte a trentamila messe. Tutte le sue
residenze reali furono dotate obbligatoriamente di una cappella su due livelli:
un piano era destinato alla Corte mentre il piano superiore, spesso in un’ apposita
tribuna, era lo spazio riservato a lui, alla famiglia reale e ai fedelissimi. Riceveva
la comunione solo in precise occasioni: il Sabato Santo, la vigilia di
Pentecoste, la vigilia della festa di Tutti i Santi e quella di Natale, il
giorno dell’ Immacolata Concezione e quello dell’ Assunta.
Parallelamente,
il sovrano espresse l’ intenzione di raggiungere quelle che considerava le
naturali frontiere orientali del Paese, lungo il Reno. Nel 1672 l’ esercito
francese attaccò le Province Unite, Stato federale sorto in seguito all’ unione
di Utrecht fra sette province dei Paesi Bassi settentrionali dopo l’ indipendenza
dalla Spagna, in modo da indebolire peraltro i traffici commerciali olandesi, a
quel tempo molto fiorenti. La guerra finì nel 1678, con la pace di Nimega: la
Francia riuscì ad ottenere altri territori spagnoli, come una porzione di Paesi
Bassi e la Franca Contea. L’ aggressività del regnante si manifestò anche nell’
economia. Nella convinzione che la ricchezza di una nazione si misurasse in
base al denaro che affluiva nei forzieri statali, il Controllore generale delle
finanze Colbert, ideò e promosse la politica economica del mercantilismo, che
aveva come scopo l’ aumento delle esportazioni e la limitazione delle
importazioni: si iniziò ad accrescere le riserve auree e altri metalli
preziosi, e i salari della manodopera vennero tenuti bassi per ridurre i costi
produttivi. Alle colonie si proibì di intrattenere relazioni commerciali con
altri Paesi, riservandovi il diritto di acquistarvi a pressi minimi le materie
prime di cui il Regno aveva bisogno e vendervi i prodotti ad altissimo prezzo,
e vi si vietò l’ ingresso agli stranieri per favorirvi la migrazione dalla
madrepatria, oltre che la formazione di industrie locali volendo collocarvi i
manufatti nazionali in eccedenza. Lo Stato aumentò quindi le proprie ingerenze
nella vita economica del Paese, che si tradussero nella creazione di
manifatture e compagnie commerciali privilegiate. La Compagnia per le Indie
Orientali impiantò stabilimenti sulle coste indiane, e quella del Senegal nell’
omonimo territorio in Africa occidentale, mentre quella per le Indie
Occidentali ampliò i domini francesi in America settentrionale, nella zona dei
Grandi Laghi e nel bacino del Mississipi fino al golfo del Messico, ove sorse
una colonia che venne chiamata Louisiana in onore proprio di Luigi.
Quest’
intelligente iniziativa diede nuovo impulso all’ economia francese, favorendo
il commercio e l’ industria, che a loro volta rafforzarono la borghesia dando
al sovrano le risorse necessarie per allestire un esercito forte ed
equipaggiato con il quale volle imporre la supremazia francese in Europa. Le
altre monarchie, però, si unirono e bloccarono l’ espansionismo francese. Le
lunghe e costosissime guerre volute da Luigi ridussero alla lunga la Francia in
condizioni economiche disastrose, aumentando vertiginosamente i disagi della
popolazione.
La
revoca dell’ Editto di Nantes, ovviamente, provocò un sentimento antifrancese
in tutte le nazioni di religione protestante. Nel 1686, cattolici e protestanti
sancirono una potente alleanza nota come Lega di Augusta, al fine di
proteggersi vicendevolmente contro la politica d’ assalto inaugurata dalla
Francia. La coalizione comprese il Sacro Romano Impero e molti Stati tedeschi,
tra cui il Palatinato bavarese e il Brandeburgo. Le Province Unite, la Spagna e
la Svezia aderirono alla Lega. Nel 1688 Luigi invase la regione del Palatinato
provocando la reazione della Lega e lo scoppio della guerra: il conflitto
terminò nel 1697, nove anni dopo, ma questa volta il suo tentativo
espansionistico non portò gli effetti sperati, in quanto la Francia perse tutte
le terre conquistate a parte il territorio di Strasburgo, ancora oggi parte
della nazione.
Nonostante
la brama di potere e la tendenza a fare la guerra, Luigi non fu soltanto un
guerrafondaio, ma anche un amministratore molto attento che introdusse
determinate riforme legali che portarono alla pubblicazione della Grande
Ordonnance de Procedure Civile del 1667, un codice di procedura civile
valido e uniforme in tutto il Regno, riguardante i campi più diversi come il
battesimo, il matrimonio, i funerali, la compilazione dei registri di Stato,
contrapposti a quelli della Chiesa. Fu peraltro un generoso e attento mecenate
delle arti, e malgrado la grande cura dei bilanci finanziari spese ingenti
somme di denaro a beneficio di quegli artisti che, dietro le sue disposizioni,
curavano con estrema attenzione l’ immagine pubblica della Corona. Per ottenere
il consenso del popolo, peraltro, sfruttò la «grazia divina» di cui godeva
attraverso il rito dell’ imposizione delle mani sui malati di scrofole, il nome
dato ad un certo numero di malattie della pelle, mostrando in maniera eloquente
che il suo potere proveniva da Dio in una tradizione che risaliva a Roberto II
il Pio, re di Francia dal 972 al 1031 e ritenuto sovrano taumaturgo.
Descritto come un sovrano che desiderava sapere tutto, creò un moderno corpo di polizia. In quegli anni, Parigi era quasi invivibile: ovunque, come pure in diverse parti della nazione, vi scoppiavano epidemie, incendi, inondazioni e condizioni di vita al limite del sopportabile. La capitale attirava le persone che speravano di vivere meglio a fianco dei ricchi: truffatori, rapinatori, ladri, mendicanti, storpi, fuorilegge, senza terra e categorie di persone svantaggiate. Egli quindi si rese conto di quanto vi fosse da fare e decise di creare una forza di polizia che affidò a Gabriel Nicolas de La Reynie: questo nuovo corpo permetteva agevolmente di affrontare tutte le situazioni criminose o le emergenze che si fossero manifestate, fondendo in sé quattro diverse polizie che precedentemente operavano nella sola Parigi. La prima azione della nuova polizia fu lo sgombero della Corte dei Miracoli, un quadrivio della città ove si riunivano in gruppi organizzati mendicanti ed emarginati sociali, con una popolazione stimata a ben trentamila abitanti, ovvero il sei percento del totale, per poi procedere a segnalare le situazioni a rischio così da aiutare il monarca nella pianificazione della città tra illuminazione pubblica, acqua corrente e altro.
Come
è noto, le corti reali erano covi di vipere, luoghi insani in cui si annidava l’
intrigo che generava sospetti, timori e disgrazie. Alle spalle dei regnanti i
cortigiani ordivano trame, spiavano e diffondevano calunnie. A partire dal
1682, il Re, ben consapevole della pericolosità di chi lo circondava, attuò uno
dei suoi più noti colpi di genio, trasferendo per precise ragioni politiche la
sede del potere e la Corte a Château de Versailles, a circa venti chilometri a
sud di Parigi, un tempo semplice padiglione di caccia che aveva ristrutturato
al fine di renderlo una grandiosa residenza, tra le cui mura avrebbe tenuto
adeguatamente sotto controllo l’ infida e intrigante nobiltà, privandola di
qualsivoglia potere e privilegio ma lusingandola con incarichi onorifici
retribuiti con elevatissime pensioni, favori, cariche e svariati traffici di
privilegi: in tale gabbia d’ oro, i nobili divennero obbedienti e fieri
cortigiani del tutto privi di ambizioni pericolose. Il sovrano era accerchiato
da un esercito di cortigiani, secondo i calcoli erano ben cinquemila, e di un
numero doppio di addetti ai servizi. Le funzioni di Versailles, una vera e
propria cittadella, erano scandite da un’ etichetta rigorosissima e complessa
voluta dal monarca in persona, atta a trasformare qualsiasi suo atto in un
cerimoniale sacro nel quale lo si presentava come su un perenne palcoscenico ai
familiari, alle amanti in carica e a tutta la nobiltà adorante e plaudente. Al
solenne risveglio mattutino di Luigi, ai cui piedi dormiva sempre un valletto,
entravano a turno e in parata per dargli il buongiorno i figli legittimi e
illegittimi, i nipoti, i principi e le principesse reali, i medici, i titolari
del guardaroba reale, intendenti di vario genere, i ministri, i consiglieri e
gli ufficiali, tutti rigidamente suddivisi per carica e genere d’ importanza. A
Château de Versailles, luogo di eccessi e contraddizioni, le severe regole
regolavano anche i pasti, la passeggiata e i giochi, ed erano rispettate da
tutti, dal più modesto servitore allo stesso Re che in tal modo si assicurava
obbedienza. Per esempio, chi era ammesso al suo appartamento e passava davanti al
letto doveva togliersi il cappello anche se lui non c’era. Il sovrano espresse
chiaramente le ragioni di tanto rigore, ossia elevare in qualsiasi occasione la
persona regnante, in quanto rappresentante dello Stato e molto al di sopra di
qualsivoglia suddito: «I popoli su cui regniamo, non potendo penetrare il fondo
delle cose, regolano il pensiero normalmente su quello che vedono sull’
esterno, e perlopiù misurano sulle precedenze e i ranghi il loro rispetto e l’
obbedienza.». Motivo per cui la figura del Gran Maestro delle Cerimonie divenne
fondamentale. Quella del Seicento era una società piramidale, con una gerarchia
assai rigida: ognuno secondo il rango aveva obblighi e privilegi, le persone
erano classificate non secondo posizione o potere ma alla stima e all’ onore di
cui era oggetto. Il monarca era in cima, seguito dal Dauphin suo figlio,
tenuto a rispettare una notevole distanza. Quando la Regina consorte o la
Delfina erano a letto, potevano autorizzare le dame non titolate a sedersi solo
se intente in lavori manuali. Quando un personaggio importante attraversava la
sala di rappresentanza le dame si piegavano in inchini più o meno profondi. Nei
saloni era doveroso rimanere in piedi in presenza di Luigi ad eccezione delle
principesse e certe duchesse a cui si concedevano sedie e sgabelli. Solo lui
conservava inalterate le proprie leggiadre maniere: sempre galante, premuroso,
di una cortesia piena di sfumature, si dilettava della compagnia delle dame
anche se poi fallì nel tentativo di creare intorno alla moglie e alla Delfina
un gruppo di gentildonne raffinate. La funzione delle signore era soprattutto
ornamentale e l’ etichetta ne regolava ogni movimento. La reggia e le dimore
del Re, della Regina consorte e dei membri della famiglia reale contavano un
numero considerevole di servitori, cerimonieri e dame alle volte investite di
una carica che esigeva la loro costante presenza a fianco della sovrana. Tra le
regole più curiose vi era quella del bacio, concesso di solito dal sovrano a
tutte le dame di qualità che gli erano presentate, ma se una di queste non era
titolata poteva baciare solo il fondo dei suoi abiti e di quelli della Regina
consorte. La Corte era popolatissima, le sole cucine sorgevano in un apposito
palazzo costruito ove vivevano circa millecinquecento persone, e ogni cosa
aveva una sua regola precisa. Luigi doveva mangiare? Ci pensava il servizio
della bouche du roi, comprensivo di tutta una serie di valletti, paggi d’
onore, uscieri oltre che hasteurs incaricati di sorvegliare la cottura
delle vivande allo spiedo, commensali sommelier e, addirittura, il coureur
du vin, letteralmente il «corridore del vino», che portava a colazione
frutta e biscotti e seguiva il Re in ogni suo spostamento. Luigi voleva
dormire? Non era una cosa immediata: prima, infatti, doveva indossare una
camicia da notte che gli doveva essere portata dalla persona più altolocata
presente, a meno che non fosse di rango uguale o superiore. La stessa regola
valeva per presentare la salvietta ai pranzi reali. Luigi doveva andare in
bagno? Solo in pochi avevano questo «onore» e anche in tale contesto vi erano
regole e precedenze da rispettare. Tutto era assai faticoso e complicato, oltre
a comportare un coinvolgimento di molte persone, forse troppe, anche per cose
futili o di secondaria importanza. Non mancavano imbarazzi, avventure comiche,
offese, frustrazioni e incidenti quotidiani, ma tutto era studiato e faceva
parte del gioco. Un gioco politico dominato dal potere che tra i suoi effetti
immediati aveva, come disse Luigi al Dauphin suo figlio, «quello di dare
un valore infinito a quello che in sé non è nulla».
La
giornata del monarca iniziava con il risveglio alle 8:00. La servitù regolava
le entrate: la prima entrata era per i familiari, figli e nipoti, poi la grande
entrata riservata a uomini che erano grandi ufficiali della Camera. Poi era la
volta delle feste e dei divertimenti. Ogni membro della Corte che entrava a
contatto con il Re aveva un compito preciso: chi gli sfilava la manica destra
della camicia da notte, chi gli sfilava la sinistra, chi gli allacciava le
scarpe. Questo cerimoniale aveva un preciso scopo e il sovrano lo utilizzava
per stabilire chi era più importante di un altro, come manifestazione di favore
o sfavore: era un privilegio partecipare alla vestizione del monarca e l’
esclusione era reputata una malasorte. Durante la cerimonia della vestizione
non compariva mai alcun riferimento riguardo la pulizia: Luigi non si lavava e
ricorreva a profumi e numerosi cambi di abito e parrucche. L’ acqua non veniva
utilizzata per i lavaggi perché si riteneva che facesse aprire i pori della
pelle e favorisse delle malattie. Vi era quindi una larga abbondanza di
pidocchi sotto le parrucche, a cui si rimediava con il pettine fitto, cioè dai
denti molto ravvicinati proprio per scacciarli dalle parrucche delle signore. Inoltre,
nella mentalità di allora, vestirsi di bianco significava igiene e pulizia:
colletti, camicie, fazzoletti e pizzi non mancavano mai nel guardaroba di un
nobile. Anche nei momenti di divertimento e di svago, come concerti e danze,
era fondamentale seguire l’ etichetta. Un grande onore consisteva poi nel
sedere a tavola del Re, che amava molto il gioco d’ azzardo: giocare contro di
lui poteva portare il fortunato a perdere enormi ricchezze, che però poi lui
generosamente rifondeva. Luigi amava le feste, il teatro, le danze soprattutto
grandiosi spettacoli inventati per il pubblico: apriva le danze tra gli
applausi dei nobili, apprezzava molto anche la musica e fu protagonista di
alcune opere teatrali, composte appositamente per celebrare la sua persona. In
poche parole, si beava nello stupire i suoi sudditi e in particolare gli
aristocratici.
La Maschera di Ferro; |
Uno
degli avvenimenti più particolari mai avvenuti durante il regno di Luigi, unico
nel suo genere per singolarità e mistero, fu la vicenda di un prigioniero,
passato alla storia con il soprannome di «Maschera di Ferro», di cui si tenne
sempre rigorosamente segreta l’ identità per mezzo di una maschera di velluto
nero assicurata da cinghie metalliche, che ne rendeva invisibile il volto, e di
un rigoroso isolamento detentivo.
Si
presume che questo individuo fosse una persona talmente importante che il Re
non trovò mai il coraggio di condannarlo a morte, e per mezzo del marchese di
Louvois trasmise a Benigno di Saint-Mars, un funzionario che serviva come
direttore carcerario, a cui era affidata la custodia del prigioniero, precise
disposizioni sul trattamento da riservargli: aveva diritto a un trattamento
speciale, ma gli era proibito di parlare con chiunque, se non con l’ ufficiale
comandante della guarnigione per le questioni relative alla detenzione, con il
medico a proposito delle sue condizioni di salute e con il prete durante il
sacramento della confessione. Poteva togliersi la maschera per mangiare e
dormire, ma doveva assolutamente tornare a indossarla in presenza o in vista di
qualunque altra persona. Gli erano permesse brevi passeggiate nel cortile della
fortezza, ovviamente mascherato e sotto stretta sorveglianza delle guardie.
Correvano
varie voci sull’ identità di questo prigioniero: che fosse un duca o un conte,
piuttosto che un importante aristocratico britannico, o addirittura un fratello
illegittimo dello stesso sovrano, nessuna delle quali venne mai convalidata, in
quanto molto probabilmente rientravano tutte in un preciso piano di
disinformazione. L’ unica certezza è che il prigioniero era al corrente di un
segreto talmente pericoloso che, se svelato, avrebbe creato problemi tra i
livelli più alti della nobiltà francese. Peraltro doveva essere un volto molto
conosciuto, la cui vista avrebbe creato una certa meraviglia, e, chissà per
quale motivo, non si poteva neppure considerare l’ idea di sopprimerlo con
metodi discreti, per esempio per avvelenamento: probabilmente erano in gioco
motivi politici o affettivi. Comunque, quest’ uomo senza nome e neppure volto
morì quasi improvvisamente il 19 novembre 1703 alla Bastiglia, per poi essere
seppellito al cimitero di San Paolo dei Campi con il falso nome di
Marchiergues, portandosi nella tomba uno dei più grandi misteri della storia contemporanea.
Château de Versailles; |
Al
culmine della sua gloria, il sovrano, in conformità con l’ emblema del sole
adottato come stemma personale, passò alla storia come le Roi Soleil,
«Re Sole»: la stella tutto domina e dà vita ad ogni cosa, simboleggia ordine e
regolarità. Curiosamente, il monarca scandiva la propria giornata proprio sulla
base del percorso quotidiano del sole, dall’ alba al tramonto, coinvolgendo in
questo i cortigiani come immaginari pianeti che gravitavano attorno alla sua
figura. La valenza simbolica del sole è evidente: il regnante era il centro
incontestato della vita sociale e nazionale di Francia, da lui dipendeva tutto
e il destino di tutti, e nelle sue mani era rimessa la decisione finale in ogni
campo: politica, economia, legislazione. Circa le molteplici e costanti
difficoltà nell’ arte di governare, e forse per discolpare le numerose
decisioni drastiche adottate nel suo lungo regno, affermò: «I sovrani sono
spesso costretti a prendere decisioni contrarie alle loro inclinazioni e non
consone al loro buon carattere. Mentre essi desiderano far del bene sono spesso
costretti a trattare duramente e a colpire uomini che per naturale inclinazione
vorrebbero invece beneficiare.».
La
sua vita privata fu piuttosto infelice, tra una salute assai cagionevole e i
molti lutti famigliari. Fin da bambino fu colpito da numerose malattie
infettive, molte delle quali causate dallo stato di estrema sporcizia in cui
viveva: all’ epoca, infatti, la medicina era ancora molto arretrata, e non
conoscendo assolutamente l’ esistenza di virus e batteri, i medici davano la
colpa delle malattie infettive a una contaminazione della pelle da parte dell’
acqua che entrava dai pori. Nessuno quindi faceva mai il bagno a meno che non
fosse strettamente necessario per via dell’ odore corporeo divenuto veramente
insopportabile. Lo stesso Luigi non fece mai più di tre bagni nella sua vita,
uno solo in età infantile. E’ noto che a Château de Versailles si viveva in uno
stato di sporcizia assoluta e il Journal farebbe intendere che i tre bagni del
Re furono dovuti alla bromidrosi acuta, malattia dovuta ad un’ eccessiva
sudorazione accompagnata da un odore particolarmente acre, dovuto alla
fermentazione dei batteri. A questo si aggiungeva il suo straordinario appetito
che, oltre a determinare il suo sovrappeso, gli causava indigestioni continue,
diarree ed emicranie. L’ eccesso di carne e di zucchero compromise fortemente
le sue difese immunitarie e la costituzione, rendendolo meno resistente alle
malattie e causandogli ascessi dentali, carie e attacchi di gotta. Le dolorose
carie ai denti furono curate con l’ unico metodo allora conosciuto: l’ estrazione
dentaria, una delle quali fu eseguita così maldestramente da causargli la
perdita di un pezzo di palato, ferita dolorosissima che guarì solo attraverso
svariate medicazioni e dopo mesi di tamponamenti. Da ragazzo soffrì anche di
crisi epilettiche e sonnambulismo, oltre che di incubi notturni che divennero
più frequenti dopo i trentacinque anni: all’ età di trentasette erano così
tremendi da farlo urlare nel sonno, in concomitanza con la comparsa di feroci
attacchi di dissenteria. Molto probabilmente, questi disturbi del sonno erano
determinati dalla disidratazione e dalla perdita di sali minerali che la
malattia gli procurava. Nella realtà, il sovrano era molto diverso dall’ immagine
pubblica ostentata nell’ arte pittorica e scultorea: basso di statura e pelato,
cercava di mascherare i difetti rialzandosi di una ventina di centimetri grazie
ai tacchi alti e a una parrucca monumentale. I suoi molti e intensi problemi di
salute erano minuziosamente riferiti in un opuscolo redatto per cinquantotto
anni dai medici di corte e intitolato «Le Journal de la santé du roi Louis XIV»,
in cui risulta che il reale paziente superò i malanni grazie soprattutto alla
sua incredibile costituzione, e forse anche alla tenace volontà di vivere, che
gli permisero di resistere sia alle malattie che alle cure a cui veniva
sottoposto. La robustezza della sua salute fu messa a dura prova già all’ età
di nove anni, quando fu colpito dal vaiolo; a trentacinque una febbre tifoide
gli causò la totale perdita dei capelli e per poco non lo fece morire; a quarantasette
fu sottoposto a una dolorosissima operazione chirurgica a causa di una fistola
anale originata da un ascesso; a un anno dopo fu colto dalla malaria, e nella
vecchiaia dagli inevitabili acciacchi senili, quali reumatismi, gotta e coliche
renali.
A
tutte queste malattie principali erano collegate una serie di disturbi minori quali
morbillo; blenorragia, che l’ archiatra chiamava pudicamente «strano male» per
salvare le apparenze; indigestione; tenia; costipazione; cisti al seno;
malattie della pelle; febbre e vertigini. Il regnante subì stoicamente ogni
genere di pozioni, cataplasmi, purghe, salassi e molti clisteri. Il clistere in
particolare era considerato il rimedio privilegiato nel Seicento, dal momento
che secondo la credenza popolare per un buono stato di salute occorrevano
numerosi lavaggi interni: sembra che il Luigi ne ricevesse più di duemila,
usando anche accogliere visitatori e funzionari di corte mentre i medici glieli
praticavano e facendoli diventare di moda in tutta la corte. Lo scarsissimo
stato di avanzamento della medicina del tempo, ancora nelle mani di ciarlatani
e incompetenti, non soccorreva certo il benessere di Louis le Grand:
quando i suoi denti, corrosi dalle carie, furono estirpati senza anestesia
insieme ad un pezzo di palato, la terribile ferita fu curata con ben
quattordici cauterizzazioni e ci sarebbero voluti mesi perché il paziente
potesse ricominciare a mangiare con lo stesso ritmo di prima. I suoi molti
problemi erano causati anche dalla vita sregolata e sopra le righe che
conduceva: si racconta ad esempio che, forse per esporsi alla vista dalla gente
e dimostrare di non temere raffreddori e bronchiti, viaggiasse in carrozza col
finestrino aperto con qualunque temperatura e stagione. All’ ora di pranzo
divorava quattro piatti di minestra, fagiano o pernice, prosciutto, castrato in
umido, verdura, legumi, pasticcini, frutta e uova sode. La cena era altrettanto
ricca e, come se non bastasse, in camera da letto aveva a disposizione altra
carne fredda e dolci, nel caso si fosse svegliato con un languorino allo
stomaco. L’ eccesso di proteine animali, che gli avrebbe causato la gotta,
aveva una motivazione culturale: si pensava infatti che la selvaggina fosse il
solo piatto veramente degno di uno stomaco nobiliare, laddove pane, legumi, e
più raramente il maiale erano alla base della dieta popolare. Le malattie del
Re Sole non erano una faccenda privata, ma una questione di Stato: son solo
tutta la corte ne era al corrente, ma la nazione intera, resa edotta da
opuscoli, giornali e poesie fatti circolare tra la gente: la gestione delle
informazioni faceva parte di una strategia di comunicazione che mirava a
mobilitare la pietà popolare e a gridare al miracolo quando finalmente il sovrano,
evidentemente protetto dal Cielo, metteva in scena il suo corpo risanato.
Preghiere, sacrifici e cerimonie di ringraziamento pubbliche completavano il
culto attribuito alla Monarchia e al regnante.
In
famiglia, negli anni il grande sovrano fu toccato da una lunga serie di lutti.
Lui e la moglie non furono mai una coppia felice, essendo uniti in un
matrimonio puramente dinastico. Taciturna e avvizzita, Maria Teresa non era mai
riuscita a coinvolgere di passione il marito, che si concesse un’ amante dietro
l’ altra. Tra il 1662 e il 1672 morirono ben cinque dei sei figli avuti dal Re
e dalla Regina consorte: Anna Elisabetta ad appena un anno; Maria Anna alla
stessa età; Maria Teresa a sei anni; Filippo Carlo e Luigi Francesco
rispettivamente a quattro anni e a quattro mesi. Il 30 luglio 1683, la stessa Maria
Teresa morì in seguito a un grave ascesso bubbonico convertitosi in setticemia.
Dopo il suo decesso, il monarca disse: «Questo è il primo problema che lei mi
ha dato.». Solo il Grand Dauphin, Luigi, sopravvisse alla madre, ma morì
nel 1711 a quarantanove anni, vittima del vaiolo, prima di succedere al padre. Alcune
delle amanti che il regnante si era concesso per buona parte della sua vita, ebbero
grande importanza nella vita sociale e culturale del tempo, e riconobbe la
maggior parte dei molti figli che ebbe da loro. Alla reggia di Versailles volle
alcune scale segrete per raggiungerle più facilmente. Da Louise de La Baume Le
Blanc, duchessa de La Vallière et de Vaujours, ebbe sei figli, due dei quali
morirono in tenera età; da Françoise Athénaïs de Rochechouart de Montermart,
marchesa di Montespan, invece, ne ebbe otto, due dei quali morirono presto; da
Claude de Vin, Mademoiselle des Œillets e Angélique de Fontanges, duchessa di
Fontanges ne ebbe altri due, una figlia e un figlio. Tali relazioni irritavano
fortemente il partito dei devoti e moralisti di corte tra i quali il precettore
del Grand Dauphin, Jacques Bénigne Bossuet. Le due amanti più importanti
furono dapprima la marchesa Françoise di Montespan e, alla sua progressiva caduta
in disgrazia, Françoise d’ Aubigné, marchesa di Maintenon, che si occupava come
governante dei figli avuti dalla stessa marchesa di Montespan: fu un amore
profondo, così forte da parte di entrambi che nel 1684, Luigi la sposò in
segreto con rito morganatico, smettendo di frequentare tutte le altre donne.
Lui aveva quarantacinque anni, lei quarantotto. Il segreto non durò molto, con
la Corte che dopo un po’ prese a mormorare. Alla consorte morganatica fu
attribuita una grande influenza sul Re Sole e la Corte: si narra che che fu
proprio lei ad aver istigato la revoca dell’ Editto di Nantes nel 1685, causando
un grande disastro finanziario a seguito dell’ esodo massiccio dei protestanti
e del trasferimento dei loro capitali, oltre che l’ intervento francese nella
Guerra di successione spagnola, conflitto che si originò dalla morte nel 1700 di
Carlo II, ultimo monarca di Spagna appartenente a Casa Asburgo: la questione di
chi avrebbe dovuto succedergli preoccupava le monarchie di tutta Europa, e i
tentativi di risolvere il problema con una spartizione dell’ Impero spagnolo
tra i candidati eleggibili proposti dalle varie case reali fallirono. Benché
sia stata accusata di essere causa di ogni male e abbia indubbiamente imposto
alla corte un clima di devozione e di rigore, gli storici ancora si interrogano
circa l’ effettivo ruolo e il peso della sua influenza di Madame de Maintenon
sul regnante.
L’ apoteosi del Re Sole; |
Nell’
agosto 1715, Luigi, ormai settantaseienne, cominciò a lamentarsi di un dolore
alla gamba sinistra, scambiato all’ inizio per sciatica e curato con vino e
tisane, ma che poi si rivelò una cancrena che gli risultò fatale. Morì alle 8:15
del 1º settembre a causa di un’ ischemia acuta in una delle principali arterie
dell’ arto malato, contro la quale i medici si dichiararono impotenti.
Mancavano quattro giorni al suo settantasettesimo compleanno, ed erano passati
settantadue anni, tre mesi e diciotto giorni dall’ inizio del suo regno. Concreto
come sempre, rivolgendosi ormai morente alla moglie seduta al capezzale nel suo
abito nero, con il capo coperto da un velo e gli occhi pieni di lacrime, e ai
cortigiani che erano intorno al letto, domandò: «Perché piangete? Cosa
credevate, che fossi immortale?». Si dice che le sue ultime parole furono: «Io
me ne vado, ma lo Stato resterà sempre.».
La
morte del Re Sole venne annunciata in tutto il Regno di Francia con la formula
di rito: «Le Roi est mort. Vive le Roi!». La notizia non suscitò particolare
commozione, anzi, il Paese festeggiò accendendo fuochi di gioia: il suo regno
era durato troppo a lungo per essere rimpianto, tanti lutti e sofferenze gli
avevano creato il vuoto intorno. Il suo passaggio ad altra vita avrebbe
lasciato una lunga ombra sulla storia futura. Secondo la tradizione, il
cadavere venne smembrato, gli organi separati e il resto seppellito nella
basilica parigina di Saint Denis, il sacrario dei sovrani francesi. La sera del
funerale, avvenuto piuttosto alla svelta, tutto il popolo parigino dimenticò
gli anni dell’ adulazione e festeggiò la fine del dispotismo dissacrando le
immagini del defunto e chiudendone il potentato con un finale grottesco tra
canti, balli e sguaiataggini. Louis le Grand, le Roi Soleil,
lasciava la Francia in una disastrosa situazione economica e finanziaria,
portatrice di una terribile crisi sociale che circa settant’ anni dopo avrebbe
innescato la rivolta della nazione contro la Monarchia. Gli succedette il
bisnipote Luigi XV, figlio di Luigi, duca di Borgogna e a sua volta figlio
omonimo del defunto Grand Dauphin, figlio ed erede del Re Sole. Aveva appena
cinque anni, e sarebbe passato alla storia come «Beneamato». Molti anni dopo,
allo scoppio della Rivoluzione, le tombe reali vennero profanate in una serie
di spregevoli eccessi che non risparmiarono niente e nessuno. La stessa salma di
Luigi XIV, ben conservata e perfettamente riconoscibile anche se appariva «nera
come l’ inchiostro» fu gettata in una fossa comune, per poi essere divisa e
dispersa al grido: «Liberté, Égalité, Fraternité!».
Passato l’ uragano devastatore della sollevazione all’ Ancien Régime, Napoleone
Bonaparte commentò la politica dell’ irripetibile sovrano borbonico: «Il sole
non ha macchie? Luigi XIV fu a pari merito un gran Re. Egli è stato colui che
ha riportato la Francia al rango delle prime nazioni. Solo Carlo Magno può
essere paragonato a Luigi, in tutti i suoi aspetti.».
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