domenica 12 novembre 2017

La regina e il munshi

«L’ ignoranza non ci farà entrare vincitori nel XX secolo.» Vittoria di Hannover, regina del Regno Unito;
Vittoria di Hannover, sovrana britannica;

Viviamo in un mondo da sempre molto diviso, pieno di paura, rabbia, intolleranza e aggressività. Un mondo in cui il nostro prossimo rappresenta un possibile nemico, mentre le popolazioni diverse dalla nostra vengono guardate con disapprovazione e freddezza, in quanto probabile minaccia alla nostra civiltà e tradizione. L’ umanità teme da sempre quello che non conosce e non riesce a capire, ma in ogni tempo ci sono coloro che vanno contro tutto questo, contribuendo a generare un clima di distensione e amicizia, nonché di comprensione reciproca.
Uno degli esempi più notevoli di amicizia e stima tra persone particolarmente diverse per nazionalità e condizione sociale balzò agli onori della cronaca nel 2010, con il ritrovamento dei diari perduti di Abdul Karim, un umile servo indiano divenuto segretario della regina Vittoria durante gli ultimi quattordici anni del suo regno, un incredibile documento che permise di scoprire i dettagli di un legame straordinario nato tra lui e la potente ma triste e malinconica sovrana, che venne prontamente occultato dalla cerchia più ristretta di lei. L’ amicizia annulla qualsivoglia distanza, anche quella imposta dal ceto sociale, dalla religione e dalla ricchezza, e fu proprio quel che accadde a Vittoria e Abdul: un affiatamento inaspettato, vivace e intenso che Edoardo VII, figlio e successore della monarca più potente dell’ epoca, infastidito e spaventato dalla profondità del loro legame, contribuì personalmente ad oscurare con la complicità della corte, nella rigida convinzione della superiorità britannica nei riguardi delle popolazioni coloniali, soprattutto quella indiana, arrivando persino al punto di dare letteralmente alle fiamme gran parte della corrispondenza fra i due.

Alexandrina Victoria nacque il 24 maggio 1819 a Kensington Palace, la residenza ufficiale della famiglia reale e della corte britanniche, unica figlia di Edoardo Augusto di Hannover, quarto figlio di re Giorgio III, e di Vittoria di Sassonia-Coburgo-Saalfeld. Giorgio Augusto Federico, figlio primogenito di re Giorgio, aveva avuto solo una figlia, Carlotta Augusta del Galles, morta nel 1817 a causa di un’ emorragia avvenuta a seguito del parto del primo figlio, nato morto. Gli altri figli del sovrano si erano quindi affrettati a sposarsi per avere figli con cui assicurare a Giorgio un successore. Edoardo Augusto morì il 23 gennaio 1820, dopo una breve malattia, lasciando orfana la figlia di soli otto mesi, e appena sei giorni prima del padre Giorgio, a cui successe Giorgio Augusto Federico, che, assunto il nome di Giorgio IV, chiamò la bambina Alexandrina Vittoria di Kent, in onore dello zar Alessandro I, scelto come padrino di battesimo.
Alla nascita, Vittoria, portatrice sana di emofilia, era la quinta nella linea di successione, venendo dopo il padre e i suoi tre fratelli maggiori, ma quando compì undici anni lo zio Giorgio morì senza figli, lasciando il trono al fratello, che divenne re con il nome di Guglielmo IV: dato che anche il nuovo sovrano non aveva avuto figli, Vittoria divenne sua erede al trono. Nonostante la posizione preminente nella linea di successione, le fu insegnato dapprima il tedesco, mentre dopo i tre anni le venne trasmesso l’ inglese, e in seguito apprese anche l’ italiano, il greco, il latino e il francese. Trascorse una giovinezza malinconica, con una madre estremamente protettiva e soffocante che la teneva rigorosamente isolata dai coetanei di Kensington Palace, amministrato da John Conroy, militare e avventuriero irlandese che peraltro divenne amministratore delle finanze della stessa duchessa vedova Vittoria, nonché suo amante: nei suoi diari, la giovane Vittoria parlò degli imbrogli messi in atto da Conroy e della sua tirannia, portati avanti con la complicità della madre anche al fine di controllare la sua vita in vista delle ricchezze che sarebbero maturate alla sua ascesa al trono. Re Guglielmo ebbe rapporti assai rari con la cognata e la nipote, in quanto la duchessa vedova desiderava preservare la figlia da ogni rapporto sconveniente, specialmente con i figli illegittimi di lui, arrivando al punto da costringerla a dormire nelle proprie stanze.
Il principe Alberto;

Su incoraggiamento dello zio materno, re Leopoldo I del Belgio, all’ età di sedici anni Vittoria incontrò il principe Alberto di Sassonia-Coburgo-Gotha, suo cugino di primo grado, figlio di un altro fratello della duchessa vedova Vittoria: i due si innamorarono e decisero di sposarsi. In un primo tempo, il giovane tedesco non era molto popolare presso il popolo britannico, essendo percepito come uno straniero di secondo piano, proveniente da una famiglia aristocratica marginale. Peraltro, si disse che non fosse particolarmente innamorato di Vittoria, calcolando più che altro i vantaggi sociali e politici che avrebbe tratto dal matrimonio. Lo stesso re Guglielmo caldeggiava un matrimonio tra la nipote e Alessandro di Orange-Nassau, ma le sue obiezioni non ebbero seguito. Il matrimonio con Alberto fu comunque posticipato per la giovane età di Vittoria.
Alle prime ore del 20 giugno 1837, dopo dieci giorni di agonia, Guglielmo IV morì di infarto, e Vittoria, diciottenne, divenne regina, evitando la reggenza che lo zio sovrano tanto disdegnava: la nuova sovrana dimostrò da subito un carattere assai determinato ordinando alla madre di lasciarla dormire nella propria camera, riducendo al minimo i loro rapporti, e allontanando Conroy, non concedendogli assolutamente nulla. Subito dopo diede disposizioni sul funerale dello zio, predisponendo la composizione del corteo. Un anno dopo, il 28 giugno 1838, venne incoronata ufficialmente regina e, dimostrando di conoscere a fondo la situazione del Paese, impose una profonda riforma della scuola e incoraggiò nuove leggi atte a ridurre l’ orario di lavoro delle donne e dei bambini. Divenne in breve assai popolare. Tornato nel 1839 in Gran Bretagna dopo una visita in Italia, il principe Alberto si recò in visita a Vittoria, che gli chiese di sposarlo in rispetto della tradizione, che vietava di proporsi alla sovrana: dotato attraverso un atto parlamentare di cittadinanza britannica appena prima del matrimonio, che avvenne nel 1840, oltre che del trattamento di altezza reale, il principe consorte fu da subito di grande aiuto, contribuendo fortemente allo sviluppo della monarchia costituzionale e guidando la moglie lungo un percorso che le permise di diventare una figura dominante sulla scena politica nazionale. La sua influenza fu così grande che per tutta la sua vita fu paragonabile a un sovrano a tutti gli effetti.
Un raro ritratto sorridente di Vittoria;

Il regno di Vittoria fu il più lungo di quello di tutti i monarchi britannici che l’ avevano preceduta, e vide un periodo di stabilità politica, prosperità economica ed espansione commerciale e coloniale, pur assistendo a vari e notevoli problemi sociali. La Gran Bretagna divenne la nazione più potente al mondo, soprattutto grazie al fatto di aver imboccato meglio di ogni altro Paese europeo la via dello sviluppo industriale. Prima del matrimonio, la giovane regina aveva subito l’ influenza di Lord William Lamb, II visconte Melbourne, che seppe educarla molto bene sul piano politico, tanto che quando uscì di scena nel 1841 ella conosceva il mestiere quanto il principe consorte, divenendo nel corso dei decenni l’ abile e lungimirante signora dell’ Impero più saldo e importante del suo tempo, forte dei suoi possedimenti in Africa, India e Oceania. Tutto il mondo ammirava Londra come centro di una guida assoluta e di una ferma prosperità sia politica che economica.
In meno di undici anni, Vittoria e Alberto ebbero nove figli, molti dei quali colpiti da emofilia come lei. Nel 1861, poco dopo la morte della duchessa vedova Vittoria, appena riconciliatasi con la figlia, Alberto morì a causa per febbre tifoidea, e Vittoria, profondamente colpita, decise di vestire il lutto per tutti i restanti giorni della sua vita da vedova, dando ordine di mantenere inalterate le sue stanze. Pur continuando senza sosta a svolgere il proprio ruolo, la sovrana si ritirò quasi completamente dalla vita pubblica, trascorrendo il suo tempo nelle residenze di campagna, al castello di Windsor, a Osborne House e soprattutto al castello di Balmoral, circondata da pochissime persone fidate,
cosa che contribuì a rinforzare il repubblicanesimo e a indebolire notevolmente quanto lui aveva compiuto nel tentativo di mostrare al popolo una monarchia moderna e dinamica come istituzione nazionale e morale, e come esempio per tutti. In seguito instaurò una profonda relazione con John Brown, un cameriere scozzese: secondo i pettegolezzi più fantasiosi i due giunsero a un matrimonio segreto, ragion per cui alla regina venne dato il soprannome di «Signora Brown». Di certo, Brown fu un uomo a lei assai vicino e fidato, un grande confidente e consigliere fino al 1883, quando morì per i postumi di un’ aggressione subita da alcuni invidiosi che vedevano di cattivo occhio la sua vicinanza a Sua Maestà. I lutti e le tristezze di Vittoria proseguirono ulteriormente tra il 1878 e il 1900 con la morte di ben tre figli, che la lasciarono sola con Albert Edward, il principe ereditario, grasso e irresoluto, incapace di aiutarla nella guida del regno, mentre la prole superstite era sistemata in matrimoni reali qua e là per l’ Europa ma assente dalla vita politica internazionale: nessuno dei figli sopravvissuti fu all’ altezza del rango reale quanto lei. Per quanto la sua vita privata fosse infelice, la caparbia regina britannica non smise mai di viaggiare e lavorare per il bene del suo regno.
Abdul Karim, il Munshi;

Il 20 giugno 1887, in occasione dei cinquant’ anni di regno di Vittoria, ebbe luogo la solenne celebrazione del Giubileo d’ Oro, a cui vennero invitati a corte ben cinquanta re e regine provenienti da tutto il mondo. La sovrana era all’ apice della sua popolarità, complice la morte di Brown, che aveva placato i pettegolezzi sulla sua vita privata rendendola un simbolo morale di grande importanza, mentre più in generale la monarchia aveva recuperato il terreno perduto. Tre giorni dopo, il 23 giugno, Vittoria assunse come camerieri due indiani di fede musulmana: uno dei due, il ventiquattrenne Abdul Karim, la incantò immediatamente, tanto da volerlo a tutti i costi tra i suoi servi personali. Fu l’ incontro più importante di quel periodo così desolante della sua vita privata, che non tardò a manifestare conseguenze importanti anche in ambito istituzionale e politico. Il giovane Abdul, nato a Lalitpur e figlio di un assistente ospedaliero, in occasione della sua assunzione si era traferito in Gran Bretagna con l’ intera famiglia e non gradiva per niente la sua condizione di servo: pur non vedendo assolutamente l’ ora di tornare in India instaurò all’ istante un profondissimo legame con la regina, che da servitore al tavolo lo promosse ad attendente personale, nonché suo munshi, ossia «maestro» in lingua urdu: le insegnò la nota lingua indoeuropea, le parlò dell’ Islam e del Corano, e le svelò i misteri della sua terra lontana, di cui era peraltro imperatrice, affascinandola grandemente. Venuta in contatto con un’ antichissima cultura che fino a quel momento le era rimasta del tutto ignota, Vittoria fece di Abdul il proprio consigliere e confidente per le questioni relative all’ India, peraltro favorendo la moda indiana a corte, che accolse di buon grado il modo di vestire, i cibi, soprattutto il curry, e altre usanze indiane. Il padre di Abdul fu addirittura la prima persona a cui fu concesso di fumare il narghilé a corte, nonostante la proverbiale avversione della sovrana per il fumo.
La profonda amicizia che in breve finì per legare la regina e il munshi rappresentò molto presto un grave scandalo a corte, soprattutto agli occhi del principe Albert Edward, dal momento che si riteneva impensabile che un nativo delle colonie, soprattutto un musulmano proveniente da un protettorato animato da crescenti fermenti indipendentisti, potesse vantare una simile familiarità con Vittoria, che in quanto monarca era Governatore Supremo della Chiesa anglicana. Ma lei, al contrario di tutti i membri della corte britannica, non era per nulla razzista: durante il suo regno si era abolita la schiavitù, e lei stessa aveva adottato Aina, una principessa africana rimasta orfana. Nel corso del tempo lo riempì di onori, gli assegnò una tenuta in India e una pensione dorata. Consapevole della sua natura irascibile e persino arrogante, nel corso della fitta corrispondenza tra loro lo esortò spesso a divenire più rispettoso nei confronti della corte e degli ospiti.
Vittoria e Abdul nel 1893;

A palazzo e nella nobiltà il malcontento cresceva di giorno in giorno, tanto che Albert Edward e alcuni aristocratici di altissimo livello dissero apertamente alla sovrana che Abdul apparteneva ad un ceto sociale particolarmente misero, tanto da essere stato addirittura un impiegato della prigione di Agra, accusandolo falsamente di favorire lo spionaggio da parte dell’ emiro afghano Abdur Rahman Khan: Vittoria respinse prontamente quest’ insinuazione tacciando la corte di razzismo, e continuò a portarselo ovunque, sia in viaggio che alle cerimonie ufficiali, difendendo con coraggio la propria posizione anche quando molti iniziarono ad affermare che avesse perduto la ragione. Alimentò il veleno delle malelingue trascorrendo una notte con lui in un cottage con cui anni prima era stata solo l’ amatissimo consorte Alberto e facendosi costruire a Osborne House una Durbar Room, una camera di rappresentanza in stile indiano decorata con i ritratti dei notabili indiani, tra cui spiccava quello dello stesso Abdul. Nonostante sia assai improbabile che tra loro vi fosse del romantico, la regina e il munshi ebbero di certo un’ amicizia davvero speciale, assolutamente unica nel suo genere: l’ anziana Vittoria, malinconica e triste dal giorno della morte del suo fedele servitore e amante John Brown gli aprì il cuore confidandogli i suoi segreti più intimi, finalmente sfuggendo alla solitudine e alle tristezze della sua vita, mentre il giovane Abdul, bello e aitante, riempì il vuoto maschile nel cuore di lei, intrattenendola e insegnandole moltissimo sulla lontana India.
Seguendo un’ abitudine che mantenne nel corso di tutta la sua vedovanza, la regina trascorse ogni compleanno a Osborne House, il cui restauro era stato progettato personalmente dal principe Alberto. Abdul le domandò il titolo di nababbo e la nomina a Cavaliere Comandante dell’ Ordine dell’ Impero indiano: a Vittoria fu prontamente suggerito di nominarlo membro dell’ Ordine reale vittoriano, cosa che non avrebbe comportato alcun titolo o implicazioni politiche in India. Il Primo ministro, Lord Robert Gascoyne-Cecil, III marchese di Salisbury, si oppose anche a tale onorificenza inferiore, ma nel 1899, in occasione del suo ottantesimo compleanno, la sovrana nominò il munshi Comandante dell’ ordine, rango intermedio tra membro e cavaliere.
La regina e il munshi nel 1897;

Ormai vecchia, spesso confusa e gravemente minata dai reumatismi, Vittoria morì il 22 gennaio 1901, dopo un regno di sessantatré anni, sette mesi e due giorni. Nel settembre del 1896 aveva superato in longevità sul trono ogni altro monarca inglese, scozzese o britannico. Dopo i funerali venne tumulata al Mausoleo Frogmore, accanto al marito.
Albert Edward, che divenne re con il nome di Edoardo VII, colse al volo l’ occasione per disfarsi di Abdul Karim: subito dopo la morte della madre lo rispedì in India con la famiglia e distrusse tutti i documenti che lo riguardavano, pur permettendogli di essere l’ ultimo a vedere il corpo di Vittoria prima della chiusura della bara e di far parte della processione del funerale. Una volta rimpatriato, il munshi si stabilì ad Agra, al Karim Lodge, voluto per lui dalla regina, ove visse agiatamente grazie alla cospicua pensione da ex dignitario reale. Su istruzione del nuovo sovrano, i funzionari britannici in India recuperarono la rimanente corrispondenza tra Abdul e Vittoria o tra lui e la corte, che fu inviata allo stesso Edoardo in persona. Il governatore generale d’ India, il suo vice e i funzionari del Ministero britannico dell’ India biasimarono il sequestro e richiesero che le lettere fossero restituite: alla fine il re ne restituì solo quattro, a condizione che gli fossero rimandate alla morte della prima moglie di Abdul. Il munshi rimase sempre in contatto con la famiglia reale britannica, tanto che il principe Giorgio di Galles, figlio di Edoardo ed erede al trono, nel 1905 si recò in India in visita ufficiale, ed ebbe modo di incontrarlo scrivendo poi al padre che non lo trovava per nulla abbellito, e che stava ingrassando: «Devo riconoscere che è stato molto civile ed umile, e davvero lieto di vederci.».
Abdul morì a Karim Lodge nell’ aprile 1909. Gli sopravvissero due mogli, e fu sepolto in un mausoleo a forma di pagoda nel cimitero Panchkuin Kabaristan di Agra, accanto a suo padre.
Edoardo VII, figlio e successore di Vittoria;

Per ben un secolo, la cancellazione di qualsiasi traccia che potesse tramandare ai posteri la presenza di Abdul in terra britannica e il suo rapporto con Vittoria impedì di conoscere la notevole influenza che lui ebbe sulla politica britannica di fine Ottocento: fra le poche note personali rimaste emergevano fugaci e misteriose scritte in urdu come «Abdul insegna alla regina.», «Tienimi stretto.» e «Mancherà molto al munshi.». Nel 2001, tuttavia, la scrittrice indiana Shrabani Basu, impegnata nelle ricerche sulla storia del curry, scoprì che alla regina piaceva molto mangiare piatti conditi con questa polvere. Visitò quindi Osborne House e rimase affascinata da due ritratti e un busto di bronzo che ritraevano un uomo indiano di aspetto regale, mentre nello spogliatoio della sovrana vide un altro suo ritratto, appeso proprio sotto quello di John Brown. La Durbar Room, come vide con i suoi occhi, era piena di tesori provenienti dall’ India, un monumento al fascino che in tutta evidenza Vittoria subiva per questo Paese che non visitò mai pur essendone imperatrice: «Per ragioni di sicurezza non poteva andare in India e per questo fece venire l’ India da lei.».

Nel 2006 la scrittrice visitò il castello di Balmoral, dove vide la casa che la sovrana aveva fatto costruire per quel misterioso e importante giovane uomo indiano, e decise di scoprire chi fosse: consultando gli archivi reali rinvenne i diari scritti a mano in tredici volumi in urdu da Vittoria, e che Edoardo VII non aveva pensato di toccare perché nessuno sapeva leggere l’ urdu. Dalla traduzione il rapporto tra Vittoria e Abdul poté finalmente riemergere in tutta la sua statura, e quattro anni dopo, nel 2010, la famiglia di Abdul, migrata in Pakistan durante la Partizione dell’ India avvenuta nel 1947, rese pubblici il diario dello stesso munshi e la corrispondenza tra lui e la sua regina.