venerdì 25 dicembre 2020

Gesù di Nazareth e il Cristo tra storia e teologia

Gesù di Nazareth/il Cristo;


«Dell’ albero della conoscenza del bene e del male non devi mangiare, perché, quando tu ne mangiassi, certamente moriresti.» dal libro della Genesi, 2:17; 


Quanto espongo in questo articolo parte direttamente dalla mia personale esperienza di ex cristiano, nato e vissuto in un contesto di fede cattolica ma in realtà sempre poco allineato con i valori fondamentali incoraggiati dalla Chiesa di Roma. Mi sono sempre sentito un «cristiano generico», per determinati aspetti più vicino alla tradizione protestante in quanto ho sempre considerato Dio e Gesù come le figure centrali del Cristianesimo, tralasciando il culto dei santi, e l’ ordine sacerdotale come reggente di un sistema e una dottrina piuttosto che come un vero tramite tra il mondo mortale e quello divino. Al tempo stesso, negli anni non ho potuto fare a meno di notare la presenza di molte forme tradizionali di Cristianesimo, tra quella cattolica, ortodossa, protestante, anglicana e via discorrendo, quindi di domandarmi su chi veramente Gesù di Nazareth sia stato e che cosa abbia insegnato, oltre che a chi.

Nel 2004, quando avevo appena vent’ anni, rinnegai definitivamente la mia fede religiosa a seguito di alcune esperienze dolorose affrontate nel corso della vita e di un acuto contrasto con un sacerdote cattolico amico che mi turbò molto. Poiché Dio, pur essendo rappresentato come onnipotente, compassionevole e fedele verso ogni sua creatura, soprattutto quelle che lo invocano con convinzione e costanza, mai mi si era manifestato in alcun modo durante la mia ricerca e neppure impediva l’ evidente sofferenza nel mondo, tra malattie, disabilità, incidenti, calamità naturali, ingiustizie sociali e guerre, e addirittura le sue Chiese erano divenute istituzioni non solo religiose ma anche politiche e coinvolte in faccende di potere che poco o nulla avevano a che vedere con le ragioni dello spirito, tanto che non le si poteva definire sante senza suscitare commenti più o meno ironici, mi domandai apertamente se quanto sappiamo di questa divinità non fosse più semplicemente un’ interpretazione da parte degli stessi ministri del culto o una pia speranza del popolo in qualcosa di meglio innanzi alle penose difficoltà lungo il percorso in questa valle di lacrime. Ci sono molti dèi che gli amici cristiani rifiutano, e in confronto a loro io ne rigetto uno in più, anzi tre se consideriamo la Trinità. Cessato di essere credente, lessi ancora una volta i quattro Vangeli e stralci dell’ Antico Testamento, ma con un diverso atteggiamento mentale, più neutro e analitico: era infatti mia intenzione cogliere gli aspetti più contradditori della credenza religiosa a cui ero stato iniziato a neppure un anno di vita con il battesimo, le stesse dalle quali le gerarchie ecclesiastiche cercano per ovvie ragioni di distogliere l’ attenzione del credente. Trovai molti elementi su cui riflettei moltissimo, stupito dal fatto non averli colti prima pur avendoli sempre avuti sotto il naso da quando, a sedici anni, mi ero accostato alla lettura della Bibbia. Desideroso di saperne di più, mi spinsi oltre e avviai una ricerca sulla storia del Cristianesimo, cosa che diede conferma alle mie domande e ad ulteriori quesiti che prima non mi ero posto. Ciò che mi era sempre stato presentato come cristianità era un insieme di dottrine e pratiche sviluppatesi dopo la morte di Gesù, e in circostanze assai diverse. Il Cristianesimo si era adattato a un contesto nuovo, reinventandosi per soddisfare le esigenze dei suoi aderenti, ossia i sudditi di Roma, non ebrei e di ambiente politeista: ciò ha inevitabilmente oscurato la figura del Maestro fondatore e l’ origine della tradizione. La stessa Bibbia può essere vista come l’ autentica e definitiva parola di Dio? Storici e letterati ci ricordano che nel corso dei secoli essa è stata ripetutamente soggetta a revisioni approvate dalle guide spirituali sia ebraiche che cristiane, sempre alla ricerca di una dottrina ufficiale, e, soprattutto, a traduzioni da una lingua ad un’ altra, con tutti i problemi derivanti dal fatto che non sempre un particolare termine trova un equivalente in una differente parlata: è quindi più propriamente un documento umano soggetto alle interpretazioni di chi l’ ha scritta e poi modellata, nelle cui pagine Dio, o YHWH, ossia «Io sono colui che sono», viene descritto sulla base delle spiegazioni dei suoi protagonisti e autori. La teologia cristiana si fonda sulle lettere di San Paolo, il celebre apostolo che non conobbe personalmente Gesù e che quindi poco o nulla ne considerò gli insegnamenti e la vita concentrandosi sulla Crocifissione e la Resurrezione, elevandolo al rango di divinità.

Il maggiore ostacolo alla dimostrazione dell’ autenticità di una qualunque religione sta nella mancanza di fatti concreti. E quando questi vengono presentati possono anche apparire convincenti, ma la conclusione che se ne trae può essere sbagliata. Non è bene dare credito alle superstizioni, soprattutto in mancanza di prove certe, perché le voci non sono mai una conferma, per quanto suggestive: anche il più fanatico dei credenti dovrà convenire che alla fine è solo una questione di fede, niente di più, niente di meno. Ormai consapevole che la religione non equivale ad una verità rivelata, a una realtà storica e materiale ma una semplice interpretazione, una speranza, nel settembre 2015 giunsi alla decisione di interrompere per sempre il mio legame residuo con la cristianità richiedendo l’ annullamento del mio battesimo al parroco di Occhieppo Superiore, il mio paese, che acconsentì molto gentilmente. Oggi sono finalmente un non credente libero da ogni vincolo, anche sul piano formale, non toccato da alcun credo religioso o filosofico, e questo mi pare la massima libertà a cui potessi mai aspirare in vita mia perché chi aderisce ad un’ ideologia o dottrina perde la propria libertà di pensiero in favore di quanto propugnato da qualcun altro prima di noi, per quanto onestamente. Mai credere a ciò che è detto o che è scritto: occorre sempre farsi domande a cui poi occorre rispondere, e a questo si arriva osservando, deducendo, provando e individuando la validità del risultato. Solamente credere può costituire un problema! Quando il profeta Mosè, la cui esistenza oggi è messa in dubbio dagli storici, che parlano piuttosto di un mito, scese dal monte Sinai dicendo di aver ricevuto i Dieci Comandamenti direttamente da YHWH, che di solito non comunica faccia a faccia con i semplici uomini mortali, gli israeliti sfuggiti dall’ Egitto con lui non erano obbligati a credergli, poiché non avevano prove con cui confermare la sua affermazione, e tuttora nessuna prova ha mai confermato la loro provenienza divina: qualunque uomo qualificato sul piano legislativo e culturale avrebbe potuto scolpirli sulle tavole senza alcun bisogno di un intervento sovrannaturale. Parimenti, se il miracolo della Natività a Betlemme, i successivi prodigi compiuti volontariamente da Gesù, la Resurrezione e infine l’ Ascensione furono fatti veramente storici ci sarebbero per forza stati testimoni oculari come nel caso del bombardamento di Hiroshima e Nagasaki nel 1945, un evento notevole nella sua calamità: una cosa che deve essere creduta da tutti va essere dimostrata oltre ogni ragionevole dubbio, altrimenti si rimane nel campo delle supposizioni, a cui si può solo scegliere se credere o no sulla base della propria coscienza. A me, oggi, tutto questo pare puro folclore teologico, appartenente alla stessa categoria del mito e delle storie eroiche tipiche del mondo antico con cui si volle positivamente porre in evidenza la figura di Gesù di Nazareth/il Cristo.

Oggi, proprio grazie a questo atteggiamento più pratico, con una certa chiarezza sono oggi in grado di riconoscere l’ ebraicità di Gesù e l’ evoluzione di quello che noi oggi chiamiamo Cristianesimo, che la Chiesa generalmente tace sebbene siano evidenti già nelle prime fonti cristiane, quei Vangeli che indica come «parola di Dio» e quindi come qualcosa che non può e non deve essere discusso se non per confermarne la verità e la validità secondo i principi dottrinari alla base del clero stesso.

Una copia della Bibbia cristiana;


La Bibbia è il libro più venduto ma meno letto e capito al mondo. Nel solo Occidente quasi tutti ne possiedono una copia sostenendo che racchiuda in sé le risposte ai principali problemi della vita, in quanto fonte di valori morali. Eppure, durante le molte discussioni che ho avuto fin quando mi sono avvicinato alla sua lettura, più di una persona di mia conoscenza ha dimostrato ben poca conoscenza di quest’ opera fondamentale pur definendosi credente, non sapendo ad esempio il nome degli apostoli o evangelisti, il luogo di nascita di Gesù o chi ha tenuto il Discorso della Montagna. Una volta ho persino udito un’ anziana donna dire che la celebre massima «Aiutati, che Dio ti aiuta» si trova nella Bibbia, ma in realtà non è così: qualcuno sostiene che l’ autore di questa frase sia Esopo nella favola «Ercole e il carrettiere», o che sia un perfezionamento della frase di Sant’ Ignazio di Loyola, senza tralasciare Benjamin Franklin e Alessandro Manzoni in «I promessi sposi». Tale ignoranza biblica rispecchia una scarsa educazione religiosa, quindi una generale confusione, ed è un vero peccato se pensiamo di essere nati e cresciuti in un’ epoca in cui il Vecchio e Nuovo Testamento sono ormai stati tradotti praticamente in quasi tutte le lingue del mondo, inclusa la nostra, a differenza di quanto avveniva nel 1199, quando papa Innocenzo III sostenne: «I misteri segreti della fede non sono fatti per essere spiegati a tutti gli uomini in tutto il mondo, perché non possono essere capiti ovunque da tutti.». Un sofisma tipico delle persone di potere, che ovviamente nasconde il desiderio di tenere nascosta la sorgente della conoscenza così che la Chiesa rimanesse tranquillamente la sola custode della parola di Dio, a cui papa Gregorio VII aggiunse: «Non senza ragione all’ Onnipotente Dio è piaciuto stabilire che le Sacre Scritture siano un segreto in determinati posti, nel timore che, se fossero comprensibili ad ogni uomo, forse esse potrebbero essere sottostimate e soggette a irriverenza, o potrebbero essere fraintese da coloro di istruzione mediocre e si potrebbe incorrere in errore.». Leggendo attentamente la Bibbia, molti si sorprenderanno addirittura del fatto che essa non contenga alcun messaggio morale. La stessa parola «morale» neppure vi viene mai citata nelle sue molte pagine, così come il concetto che essa indica. Si suppone che i Dieci Comandamenti con i quali Mosè scese dal Sinai siano un buon insegnamento morale incluso nella Bibbia, ma essi sono più propriamente una base legislativa: i primi quattro, tre per i cattolici e i luterani, equivalgono più esattamente a valori religiosi privi di qualsivoglia valore etico, mentre gli ultimi sei, per quanto possano essere discussi, sono fondamentalmente giusti e oggi vengono generalmente accettati, non solo dagli ebrei, come un primo tentativo di regolamentare esperienze umane concrete. E il Discorso della Montagna tenuto da Gesù e riferito nel Vangelo di Matteo ha un valore morale quasi nullo, poiché insieme a certi precetti ammirevoli presenta affermazioni nocive quali: «‘Chiunque sposi una ripudiata commette adulterio’; ‘Non opponetevi al malvagio’; ‘Se uno ti percuote la guancia destra, porgigli anche l’ altra’; ‘A chi ti vuol chiamare in giudizio per toglierti la tunica, lasciagli pure il mantello’;». Infine, anche la Regola d’ Oro risulta una semplice norma di comportamento umano che, peraltro, si presta a determinate critiche: «Non fare agli altri ciò che ti spiacerebbe fosse fatto a te.». Non si tratta affatto di un principio perfetto, in quanto presuppone che ogni nostro desiderio sia giusto, sebbene sancisca la reciprocità: consente infatti a ciascuno di noi di farsi da sé la propria moralità, anche su principi disdicevoli, in netto contrasto con quanto stabilito da Dio dal Decalogo in poi. Alcuni esperti vi notano una somiglianza con il precetto riportato nel Levitico, 19:18: «Ama il tuo prossimo come te stesso.».

Nelle scuole pubbliche, al posto dell’ ora di religione come noi tutti l’ abbiamo avuta da scolari, sarebbe estremamente benefico insegnare religioni comparate. Questa materia sarebbe molto utile per illustrare la storia delle religioni, i loro valori fondamentali e l’ evoluzione delle relative dottrine superando i problemi della fede cieca, del settarismo, della teodipendenza, del bigottismo, dei pregiudizi e della superstizione. Anziché credere a priori, bisognerebbe infatti sapere per capire, perché la religione non è altro che un prodotto umano, che rispecchia in ogni propria caratteristica la mentalità di un popolo e di un’ epoca. Fin dalla Preistoria, sciamani e stregoni, saggi e profeti, capitribù e sovrani cercarono di spiegare i grandi misteri della vita: da dove veniamo? Perché esistiamo? Cosa regola le forze della natura? Cosa ci succederà dopo la morte? Sorsero quindi le figure degli spiriti e degli dèi, e i riti religiosi vennero introdotti come contatto propiziatorio tra il mondo mortale e quello soprannaturale. La religione, quindi, fu il tentativo degli uomini di accettare e adattarsi al mondo che li circondava, un insieme di forze naturali misteriose, potenti, imprevedibili, che potevano essere belle e gioiose, munifiche di luce, calore e doni come il cibo, ma anche incerte, dure e crudeli. Le forze della natura erano oltre le capacità di comprensione e controllo, quindi l’ uomo credette che propiziando un idolo con riti e offerte avrebbe ne placato l’ eventuale ostilità. Il famoso detto «dare per avere», di origine latina, sorse proprio in ambito religioso. Soprattutto, ogni religione ha uno o più punti contatto con le altre, siano esse contemporanee o più antiche: idee e concetti presi in prestito grazie ad antichi contatti tra più popoli, vicini o lontani che fossero, tradizioni e atteggiamenti che permangono tuttora in chi crede, a migliaia di anni di distanza e in luoghi molto lontani. Oggi noi viviamo nell’ era della scienza e della circolazione delle informazioni, e molto di ciò che riguarda le origini e i meccanismi della vita è stato spiegato giungendo a scoperte che hanno gradualmente smontato la visione religiosa oltre ogni ragionevole dubbio, eppure l’ idea di una presenza divina continua a dare conforto agli animi sensibili, e non pochi non vedono alcuna contraddizione tra scienza e religione, tra osservazione e deduzione e una divinità benevola e amica da pregare per un aiuto.


Sono assolutamente convinto che sia possibile, anzi doveroso, leggere la Bibbia con imparzialità e ragionevolezza, soppesando ogni sua parola proprio tenendo conto della delicatezza del tema rappresentato dalla religione, senza credere o dubitare solo perché qualcun altro l’ ha fatto prima di noi. Mi si permetta di precisare che essa non ci è arrivata per corrispondenza dal cielo per mezzo di un angioletto in veste di portalettere, visto che nei secoli ha avuto una lunga di aggiunte, tagli, revisioni e traduzioni. Non riferisce neppure alcunché sulla vita dei suoi autori, soprattutto gli evangelisti, quindi per un biblista è molto difficile determinare esattamente il tempo che intercorre tra la Crocifissione e la compilazione dei Vangeli, anche se oggi pare certo che questo intervallo di tempo corrisponda ad almeno quarant’ anni. Ogni Vangelo, inizialmente, circolava in modo anonimo, quindi i nomi degli autori vennero aggiunti in seguito da ignoti appartenenti alla Chiesa originaria. Si tende a credere che i nomi siano ipotesi, se non il riflesso di una tradizione teologica o, più semplicemente, di pii desideri. Gli storici, a cui va la mia personale riconoscenza, analizzano l’ Antico e il Nuovo Testamento in questo modo, comparandone i testi con la cultura e la letteratura del tempo in cui fu scritta, e nel caso di Gesù in particolare leggono tutti i testi che lo riguardano, inclusi quelli apocrifi, ossia quelli non inseriti nel canone. Noi stessi, come profani, dovremmo leggere questo grande e famoso insieme di libri per avere un’ idea il più possibile chiara del Cristianesimo, giudicando da soli ciò che riferisce indipendentemente dall’ interpretazione teologica promossa dalla Chiesa, poiché sta a noi scegliere se credere o non credere, e in cosa credere.

Innanzitutto, bisogna cominciare domandandosi se Gesù sia esistito veramente, o se non sia una leggenda, un espediente narrativo e teologico atto a dare una direzione e una legittimazione alla rivoluzione religiosa che nel I secolo dell’ era cristiana stava effettivamente avendo luogo in Giudea, ove esistevano numerose correnti ebraiche che si reputavano eredi della pura dottrina dell’ Ebraismo e pertanto reclamavano un rimedio alla degenerazione spirituale dovuta al miscuglio tra religione e politica, alle interferenze dell’ Impero romano di cui la Giudea era provincia, e al contatto con elementi culturali non ebraici. E’ una cosa molto importante, dato che i cronisti contemporanei e subito successivi al tempo in cui si dice che Gesù sia vissuto non hanno mai parlato di lui e di quel che ha fatto: a parte gli autori del Nuovo Testamento, infatti, nessuno ha mai citato in alcun modo questo personaggio. Gli eventi della sua esistenza, dalla Natività ai miracoli, dalle folle immense che si radunavano per ascoltarlo all’ ingresso trionfale a Gerusalemme, ove fu accolto come Messia e re d’ Israele, la Crocifissione e la Resurrezione, e infine l’ Ascensione, non furono mai trascritti da autori greci, romani o di altra provenienza. La Giudea era saldamente inserita nel dominio di Roma, ed era nota come una provincia particolarmente problematica, sempre sull’ orlo della rivolta, eppure i documenti romani dell’ epoca mai fanno menzione di Gesù. Flavio Giuseppe, il famoso storico ebraico nato nel 37 dopo Cristo e vissuto al tempo dei primi discepoli cristiani, fu governatore della Galilea, ove sorge Nazareth, e vide con i suoi occhi l’ ambiente ove poco prima, si dice, Gesù aveva vissuto, insegnato e fatto miracoli. Fu un autore molto produttivo e minuzioso, e scrisse molti testi storici assai descrittivi sulla propria terra, eppure non lasciò nemmeno una riga su Gesù. Ci ha lasciato venti libri, lunghi e approfonditi, in cui ha dedicato pagine intere a piccoli ladruncoli e oscure guide sovversive, e quaranta capitoli alla vita di un singolo re, ma nulla su quello straordinario individuo quale era stato Gesù. Nel suo «Antichità giudaiche», per l’ esattezza nel Capitolo III del Libro XVIII, vi è effettivamente un passaggio in cui si parla di Gesù, e di cui per quasi seicento anni i cristiani si sono serviti come prova dell’ esistenza effettiva del Maestro, eppure oggi gli storici e i filologi lo indicano con certezza scientifica come un trucco, un artificio da parte dei cristiani teso a fini celebrativi, insolitamente breve e con una chiara terminologia di fede che a Flavio Giuseppe era del tutto estranea, in quanto di religione ebraica e quindi non convinto della divinità del Cristo della fede. Il fatto stesso che il brano in questione duri appena una dozzina di righe fa dubitare della sua autenticità se attribuito a questo prestigioso autore: «Ora, a quel tempo c’ era Gesù, un uomo saggio, se è lecito chiamarlo uomo, poiché compiva azioni miracolose, un maestro da cui il popolo riceveva la verità con grande piacere. Attirò a sé molti ebrei e molti non ebrei. Era il Cristo, e quando Pilato, su suggerimento degli uomini più importanti tra noi, lo condannò a morire sulla croce, coloro che lo avevano amato dall’ inizio non lo abbandonarono: perché egli apparve di nuovo a loro al terzo giorno, il che era stato predetto, insieme ad altri suoi diecimila prodigi, dai profeti divini. La tribù dei cristiani, che da lui prese il nome, esiste ancora oggi.».

E’ effettivamente possibile che un giovane galileo di nome Gesù sia veramente esistito come personaggio storico, uomo mortale, rabbi erudito quanto al di fuori delle convinzioni, e in mancanza di una cronaca non cristiana si può dedurre che fosse famoso non a livello nazionale ma locale, come oggi avviene ai nostri parroci di provincia. Dopo la sua morte, per mezzo dell’ interpretazione, i suoi apostoli e discepoli potrebbero quindi aver ammantato la sua figura di un alone divino, dando quindi origine al Cristo della fede, rispettabile sul piano della credenza ma ben più ingannevole sotto quello storico. Vari storici ammettono la sua esistenza sebbene sia riferita dai soli testi religiosi, e in particolare ritengono che una valida conferma possa trovarsi proprio nel fatto che questi dicano che sia stato giustiziato tramite la crocifissione, la più bassa e spregevole forma di esecuzione che i romani riservavano ai criminali più nefandi, come i rivoltosi: si tratta di un episodio imbarazzante, come la ghigliottina nella Francia rivoluzionaria, che la versione cristiana non ha censurato facendola piuttosto il caposaldo della propria dottrina. I primi cristiani non traevano alcun vantaggio nell’ andare a dire in giro che il loro Signore era stato crocifisso: era un’ affermazione che scandalizzava i romani, perché lo identificava come un criminale, e che non era accettabile nemmeno dagli ebrei, in quanto la Bibbia non aveva profetizzato che il Messia sarebbe stato crocifisso. Dunque, di fronte a tante e concordi attestazioni, io stesso condivido la tesi secondo cui visse concretamente fino alla sua crocifissione, e a questo punto ritengo possibile e addirittura imperativo separare Gesù di Nazareth dal Cristo.

Il Maestro e gli apostoli;


Chi veramente fu quindi Gesù di Nazareth, l’ uomo in carne e ossa che ventuno secolo fa parlò alle folle, guarì i malati e lanciò un messaggio di speranza e rivoluzione spirituale per poi morire e lasciare il posto al Cristo, che a detta dei suoi apostoli resuscitò dopo tre giorni ed è tuttora protagonista della teologia e della liturgia? E’ veramente possibile, oggi, intuire qualcosa sul personaggio storico così com’ era dai tanti testi che ne parlano e persino dall’ evoluzione di quella religione che da lui prese il nome sebbene non avesse mai fatto capire di volerne fondare una? In un certo modo, e con una certa attenzione, pare di sì.

Tanto per cominciare, bisogna ricordare che Gesù non scrisse mai nulla, che fosse su sé stesso o sul proprio insegnamento, a parte poche parole con il dito sulla polvere: l’ intero Nuovo Testamento venne compilato da altri, e a molti anni dalla sua morte. Occorre quindi disporre di strumenti e metodo adeguati. Le fonti normalmente chiamate cristiane, comprendenti testi canonici e apocrifi che parlano di visioni o racconti storici, prodotte in un arco di centocinquant’ anni, vanno confrontate con i documenti ebraici e greco-romani dell’ epoca: solo inquadrando Gesù nella struttura culturale del suo tempo si può formulare una valutazione priva di contraddizioni. Se ci si basasse solo sui Vangeli canonici, invece, la si analizzerebbe solo sulla base della successiva teologia, e quindi sulla fede. Egli non disse mai di voler fondare una religione che portasse il suo nome, di essere miracolosamente nato da una vergine che lo aveva concepito per intervento di Dio, e neppure di essere unica e indistinta sostanza con Dio e la vaga entità spirituale nota come Spirito Santo. Non diede mai al battesimo un valore particolare, infatti nei Vangeli non si legge mai di una volta in cui battezzò qualcuno. Non affermò di dover morire per sanare con il sangue il peccato di Adamo ed Eva, ristabilendo l’ alleanza tra Dio e gli uomini, e neppure volle fondare una Chiesa come noi la intendiamo oggi, ossia un ordine sacerdotale gerarchizzato. Mai confuse tra loro spiritualità ed esercizio del potere, come confermato dalla celebre frase riportata in Matteo 22:21, Marco 12:17 e Luca 20:25: «Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio.». Non chiese neppure che i Vangeli riferissero i suoi discorsi e i suoi gesti. Sono tutti concetti sorprendenti, eppure la maggioranza degli studiosi di oggi li condivide. Se le cose storicamente stanno così, allora da dove viene il vasto e articolato apparato di dogmi, cariche, vestimenti e liturgie alla base della Chiesa che a lui si richiama? Da un’ attenta analisi storica, basata su fonti contemporanee di fatti e personaggi e persino sui testi sacri, è possibile giungere a comprendere come quella via spirituale, concepita soltanto come una corrente minoritaria dell’ Ebraismo, sia riuscita a sopravvivere per ventuno secoli imponendosi come una delle più diffuse religioni al mondo. Venne davvero al mondo a Betlemme? Ragionando su basi storiche, tale idea appare debole, infatti solo il Vangelo di Matteo espone le ragioni per cui il minuscolo villaggio nei pressi di Gerusalemme sarebbe stato scelto. Si legge in Michea 5:1: «E tu, Betlemme di Efrata, così piccola per essere fra i capoluoghi di Giuda, da te mi uscirà colui che deve essere il dominatore in Israele.». Sua madre era proprio una vergine? Come spiegare, al di fuori del dogmatismo, una tale impossibilità, soprattutto tenendo conto che gli stessi Vangeli in più punti parlano dei suoi fratelli e sorelle? Solo alcuni testi antichi sostengono la nascita verginale di Gesù, cosa che fa pensare quanto all’ inizio del movimento questa straordinaria condizione non fosse ritenuta verosimile o importante, se non entrambe le cose. Se si trattasse di un fatto storico, accertato o anche solo condiviso, ognuno ne avrebbe parlato, non solo poche fonti. Il dogma nasce dal celebre passo del libro di Isaia 7:14: «Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio.». Eppure, il termine usato dal celeberrimo profeta non implica la verginità fisica, si riferisce piuttosto ad una giovane: l’ accento ricade quindi sul figlio eccezionale che dovrà generare, e non dice nemmeno che debba partorire un figlio divino, ma una persona che avrà un ruolo speciale nella storia degli israeliti. Il Vangelo di Marco, il più antico, esattamente come San Paolo omette la nascita virginale: la manifestazione della figliolanza divina viene sancita con il battesimo sulle sponde del fiume Giordano. Gesù, quindi, è una scelta divina. I Vangeli di Matteo e Luca scelgono la verginità di Maria per indicare la natura messianica di Gesù. Peraltro, il titolo «Santa Vergine», così comune in ambito cristiano, era attribuito alla sacerdotessa-prostituta di Ishtar, la dea mesopotamica e babilonese della fertilità: non si riferiva alla verginità fisica di questa donna, che distribuiva la grazia della dea al fine di profetizzare, guarire e fare da tramite con il mondo divino, ma indicava la sua condizione di donna non sposata. Il racconto della nascita verginale di Gesù serviva pertanto a confermare la sua nascita divina, essendo generato da Dio e non concepito da un rapporto sessuale, tipicamente umano. In molte correnti cristiane il tema della verginità di Maria fu sviluppato per rafforzare una visione che considerava negativamente la sessualità: il modello della vergine corona l’ ideale della liberazione dai vincoli sessuali, una visione presente in alcune vocazioni monacali fin dal tempo degli anacoreti. L’ espressione «figlio di Dio» al tempo di Gesù era molto comune, e non solo in Israele. Tra gli israeliti implicava un uomo a cui Dio aveva dato un incarico, una persona pia come i profeti, e persino il re. Lo stesso popolo ebreo era ritenuto figlio di Dio. Anche gli antichi greci usavano tale termine per indicare un eroe o un uomo dai poteri straordinari o che detenesse il potere politico: Pitagora e Platone potevano essere tranquillamente figli di Dio. Figlio di Dio era un titolo imperiale, conferito ad esempio a Cesare Augusto, il primo imperatore romano. Tale termine non esprime la natura divina di Gesù, di cui parla il dogma cristiano. Gesù vide davvero la luce nell’ anno 0, ossia nel 753 dalla fondazione di Roma? Dionigi il Piccolo, monaco del VI secolo, calcolò tale anno basandosi sul Vangelo di Luca, secondo cui aveva circa trent’ anni nel quindicesimo anno del regno di Tiberio, anno 782. Lo stesso testo riferisce che nacque durante il censimento svoltosi al tempo di Quirino, governatore della Siria. In generale, per i Vangeli nacque negli ultimi anni del regno di Erode il Grande, che morì nel 750 dalla fondazione di Roma, pertanto poco prima dell’ anno 4 avanti Cristo. Non sappiamo quanto ci si possa fidare di San Luca, che scrisse a cinque decenni dalla morte di Gesù e sulla base di quanto aveva udito da altri. Alcune ricerche storiche, peraltro, hanno accertato che il censimento di Quirinio disposto da Cesare Augusto avrebbe avuto luogo sei oppure otto anni prima di quello che per noi è l’ anno 0: il calendario cristiano è quindi molto più avanti del calcolo di Dionigi. Il giorno della sua nascita ricade effettivamente il 25 dicembre? E’ improbabile, perché più o meno in quel giorno cade il solstizio d’ inverno, dopo il quale le giornate iniziano ad allungarsi: la terra riprende il suo cammino verso la primavera. La data di nascita di Gesù può essere calcolata solo in modo approssimativo, quindi il 25 dicembre è un giorno colmo di significati astronomici e pertanto simbolici, tanto che un altro dio prima di lui era ritenuto nato in quel giorno: Mitra, la misteriosa entità benevola che ebbe largo seguito a Roma e la cui religione fu per lungo tempo concorrente con il Cristianesimo. Anche Mitra si era incarnato come uomo per salvare l’ umanità, nel grembo di una vergine, per poi lasciare questa terra tornando in cielo a trentatré anni d’ età. Alla sua morte fu sepolto in una grossa tomba di pietra, chiamata Petra, e qualche secolo dopo avvenne lo stesso per Gesù, mentre «Petra» divenne «Pietro», letteralmente la pietra su cui si sarebbe edificata la Chiesa cristiana. Una cosa da notare con attenzione è che a dicembre a Betlemme e dintorni vi è un clima freddo in tempo natalizio, con piogge gelide e anche neve, pertanto di notte non ci possono essere pastori in giro con le proprie greggi: a conferma del fatto che tale evento climatico non è affatto recente, in Geremia 36:22 si legge che il re della Giudea «sedeva nel palazzo d’ inverno, si era al nono mese, con un braciere acceso dinnanzi». Il nono mese era chislev, il nostro novembre-dicembre, e in Esdra 10:9-13 viene indicato come la stagione delle piogge.


Le cose sono davvero andate come le raccontano le varie Chiese, o è possibile che una parte della storia sia stata ritoccata per esigenze di dottrina? In numerose occasioni, l’ Antico Testamento è stato preso in prestito per modellare la biografia di Gesù, in modo da dargli una legittimità religiosa, messianica. L’ intera teologia cristiana tenta di scovarvi qua e là anticipazioni o interpretazioni di ciò che fu la sua vita, riducendo in tal modo l’ ampia e sfaccettata tradizione israelitica ad una semplice anticipazione della cristianità. Quanto ne sanno i cristiani di oggi, in proposito? Ovviamente, il credente che va a messa ogni domenica e a Natale e Pasqua non considera Gesù di Nazareth, il personaggio storico, cerca piuttosto il Cristo, l’ entità divina che migliora la sua vita, che va pregata e con cui si comunica sacralmente. Tuttavia, la conoscenza della vita di Gesù genera sempre reazioni importanti, che è bene considerare. L’ esperienza di San Francesco d’ Assisi, ad esempio, derivò da un rinnovato contatto con i Vangeli e l’ essenza di Gesù. I testi neotestamentari sono presentati dall’ ordine sacerdotale come parola di Dio, oggetto di fede e venerazione, mentre la ricerca storica ne evidenzia le differenze e le varianti introdotte nel tempo, cosa difficile da accettare per i fedeli e ragion per cui le guide spirituali abitualmente tacciono sulle conoscenze storiche che pure hanno appreso nelle facoltà teologiche o dallo studio scientifico dei testi sacri durante la propria formazione. Dal Settecento in avanti, però, soprattutto grazie alle spinte dell’ Illuminismo, Gesù di Nazareth/il Cristo è stato valutato da storici e letterati secondo i criteri analitici della scienza, e nel Novecento è affiorata la chiara percezione che fosse ebreo, cosa tutt’ altro che scontata perché evidenzia la sua fedeltà alla tradizione del suo popolo e della sua epoca, quindi è sempre più evidente quanto il Cristianesimo, sorto solo dopo la sua morte, ne abbia nascosta l’ identità culturale allontanandone in tal modo le varie Chiese. Anche i fedeli di oggi continuano ad ignorare l’ ebraicità di Gesù e tutta la sua importanza, e quando la percepiscono non riescono a farlo appieno. Oggigiorno, gli studi su questo tema sono generalmente accettati, anche se nei credenti rimane una certa diffidenza verso l’ argomento. Tale distinzione resta tuttora negata dai credenti in generale e dal pontefice emerito Benedetto XVI in particolare, che nelle sue pubblicazioni sostiene con forza che Gesù e il Cristo siano tutt’ uno. E’ una posizione legittima sul pano della fede, ma problematica su quello dello studio storico: la visione di Gesù veramente combacia davvero con quella del Cristo trasmessa dai suoi seguaci? Oppure la tradizione apostolica ha in qualche modo «fabbricato» il Cristo per perseguire altre motivazioni? Eppure, se letti con attenzione ed imparzialità, i Vangeli dimostrano oltre ogni ragionevole dubbio quanto Gesù si sentisse ebreo anziché cristiano: era immerso nella tradizione della sua terra, ma reinterpretò soprattutto il modo in cui si doveva vivere per essere graditi a Dio, osservava con devozione la Legge di Mosè, il modo e l’ intensità con cui pregava erano consoni alla sua tradizione, e le sue idee e parole si comprendono solo se le si vede come manifestazioni della sua ebraicità. Rispettava la Torah; mangiava il cibo kosher, ossia puro secondo le regole stabilite nella Torah; vestiva secondo la tradizione, indossava infatti il manto di preghiera, il tallit, ornato da frange rituali che nel Vangelo di Matteo viene citato due volte in 9:20 e in 14:36; si recava in pellegrinaggio al Tempio di Gerusalemme; santificava le feste stabilite; andava in sinagoga; leggeva l’ Antico Testamento, per lui parola di Dio, e pregava nei tempi prescritti. Vedeva l’ umanità divisa in ebrei e pagani. Non abolì e neppure criticò il riposo del sabato, così come non volle la fine del culto del Tempio, a differenza di quanto suggerisce la lettura tradizionale dei Vangeli, più propriamente cristiana. Perfino il Padre nostro, importantissimo anche a livello storico, non fu una sua invenzione di sana pianta ma una reinterpretazione del Kaddish, la nota e antica preghiera ebraica che si apre parlando della santificazione del nome di Dio e dell’ avvento del regno: è un ulteriore elemento dell’ ebraicità di Gesù, poiché in tale invocazione il suo nome non appare mai e non indica un suo personale coinvolgimento nella salvezza del mondo. Piuttosto, pare una conferma che è Dio a rimettere i peccati, e io addirittura penso che qualunque ebreo di oggi possa recitarla senza alcun bisogno di aderire al Cristianesimo.

Come mai, allora, il Nuovo Testamento cristianizzò la figura di Gesù, individuando la natura del Cristo e il suo posto nella Trinità? Le ragioni paiono di natura strettamente storica: a partire dal II secolo la maggioranza dei cristiani erano non ebrei, pertanto il suo messaggio venne interpretato in maniera più propriamente cristiana anziché ebraica. Quindi, Gesù a chi si rivolgeva? Nel Vangelo di Matteo, se letto con attenzione, si intuisce che era un ebreo che predicava agli ebrei: il suo insegnamento era rispettoso del monoteismo ebraico, spesso accompagnato da affermazioni lampanti come la risposta alla supplica di una cananea che gli chiese un miracolo a beneficio della figlioletta malata in 15:24: «Non sono stato inviato che alle pecore perdute della casa di Israele.». E’ evidente che il Maestro non solo si atteneva alla lettera alla Torah, di cui non mutò una virgola, ma si sentì mandato da Dio ai soli israeliti, e neppure a tutti, bensì a quelli sviati che avevano smarrito la retta via, in quanto gli osservanti non avevano bisogno di lui. E’ comunque vero che al tempo di Gesù, la Giudea era una provincia romana, ed ellenizzata ad un certo livello, quindi abitata da non ebrei di varia provenienza. Gesù dovette per forza fare i conti con questa realtà internazionale e interculturale, ma preferì non convertire i non ebrei. Lo fecero dopo la sua morte i suoi seguaci, le Chiese cristiane, il che ovviamente stimolò modifiche fondamentali rispetto alla sua parola. Uno dei brani che secondo la tradizione cristiana confermano il desiderio di Gesù di predicare al mondo e trasmettere il battesimo si trova nel Vangelo di Marco, 16:15-16: «Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato.». In quello di Matteo, 16:18, si dice invece: «E io ti dico: tu sei Pietro e su questa pietra io edificherò la mia Chiesa.». Tuttavia, ad un’ indagine puramente filologica e non di fede, le cose non sono come sembrano: il Vangelo di Marco è reputato il più antico, e si chiude con Gesù che conferisce ai discepoli poteri miracolosi e autorità magisteriale per poi ascendere miracolosamente in cielo. In realtà, questi versetti vengono indicati dagli studiosi moderni come un’ aggiunta avvenuta nei primi decenni del II secolo, essendo andato perduto il finale originario. Il testo originario quindi si chiudeva con le donne che si recano al Sepolcro, 16:5-8, per compiere un atto pietoso, ma trovano un angelo o forse Gesù stesso seduto sul bordo della tomba: «Non abbiate paura! Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. E’ risorto, non è qui. Ecco il luogo in cui era deposto. Andate e dite ai suoi discepoli e a Pietro che vi precede in Galilea. Là lo vedrete, come vi aveva detto.». Le donne, quindi, si spaventano e fuggono: «E non dissero niente a nessuno, avevano paura infatti.». Che il testo fosse mutilo è provato sia dalla parola «infatti» a chiusura della frase che dall’ assurdità delle donne che scappano terrorizzate: uniche testimoni della tomba vuota, fuggono impedendo che la Resurrezione venga annunciata. Tale finale omette l’ invito di andare a predicare a tutti i popoli del mondo, la trasmissione di poteri miracolosi ed esorcistici. Esclude persino che la Resurrezione sia stata comunicata a qualcuno. La frase fu chiaramente un’ aggiunta, fatta quando l’ annuncio ormai era già in corso anche ai non ebrei. Ecco spiegata l’ aggiunta di un finale alternativo, di cui è possibile trovare un corrispettivo in Matteo, Luca e Giovanni, testi più recenti, e nell’ epistolario paolino.

A conferma del fatto che Gesù non prevedesse una missione universale vi è in Matteo 10:6 il celebre discorso di congedo in cui esorta gli apostoli a non andare tra i pagani e a non entrare nelle città samaritane, rivolgendosi piuttosto «alle pecore perdute di Israele». Una missione breve, nella quale si doveva predicare l’ imminenza del regno, fare miracoli ed esorcismi che avrebbero potuto suscitare incomprensioni e sdegno, come si legge in Matteo 10:23: «Quando vi perseguiteranno in una città, fuggite in un’ altra. In verità vi dico: non avrete finito di percorrere le città di Israele finché prima che venga il Figlio dell’ uomo.». E la famosa frase: «Tu sei Pietro e su questa pietra io edificherò la mia Chiesa.» nel testo di Matteo avrebbe una funzione precisa, ossia confermare la preminenza di San Pietro sulle altre componenti delle prime comunità cristiane. Gesù voleva fondare una Chiesa, certamente, ma di natura spirituale e non istituzionale: Chiesa, dal greco ekklesia, nell’ Antico Testamento significa «assemblea», e tanto per Isaia quanto per gli esseni, la famosa comunità eremitica che viveva in vari insediamenti, come quello a Qumran, indicava coloro che alla fine di tutto, nel Giorno del Giudizio, avrebbero evitato l’ ira terrifica di Dio. Per Gesù aveva quindi un significato puramente messianico e salvifico, e solo quando il primato di San Pietro si estese a San Lino, suo successore a Roma, divenne istituzionale e basata sul battesimo dall’ anno 418, quando essa stabilì che ogni bambino è un essere immondo in quanto risultato dell’ atto sessuale, quindi destinato alla dannazione da cui viene salvato solo dal battesimo. A tal proposito, possiamo dire che le religioni pagane erano molto più cordiali verso i bambini e i genitori, al punto che, messi alle strette, i teologi di Cristo un giorno dovettero spiegare la crudeltà di Dio nel permettere la morte dei bambini non battezzati, condannandoli in eterno prima di aver avuto ogni speranza di salvezza. Come disse il gesuita Martin Del Rio: «Come se fosse una cosa di cui stupirsi. Dio permette che i bambini muoiano prima di venire battezzati per impedire che più tardi commettano quei peccati che renderebbero ancor peggiore la loro dannazione. Dio, quindi, non è crudele e neppure ingiusto, visto che per il solo peccato originale i bambini meritano già la morte.». Parole inquietanti, che non hanno bisogno di ulteriori commenti. Considerare corrotta o vittima del peccato originale la vita umana significa degradarla, favorirne una visione follemente negativa. Spacciare senso di colpa come la Chiesa cristiana è abituata a fare non è più giustificabile, se mai un tempo lo è stato!

Perché quindi insegnare la parola di Gesù, ebreo che insegnava agli ebrei, a tutte le genti? Moltissimi ebrei, allora, vivevano al di fuori di Israele, in rapporto con la società e la religione greche e romane, come conseguenza dell’ occupazione da parte dei babilonesi, al tempo di Nabucodonosor II, che nel 597 avanti Cristo avevano deportato molti ebrei nei territori del loro Impero. Con la successiva caduta di Babilonia, a sua volta conquistata dai persiani nel 538 avanti Cristo, guidati da Ciro II, agli ebrei fu permesso di tornare in patria, ma non tutti scelsero di farvi rientro. Tre secoli prima la venuta di Gesù, ad Alessandria d’ Egitto la Torah era stata tradotta in greco sia per arricchire la celeberrima Biblioteca tolemaica che per favorire quegli ebrei rimasti a vivere in terra straniera che non parlavano più l’ ebraico, ma la lingua di Omero. Filone di Alessandria, contemporaneo di Gesù, voleva rendere accessibile la Torah alla cultura ellenica: esisteva quindi un dialogo tra Ebraismo ed Ellenismo, e San Paolo, il primo apostolo ad insegnare ai non ebrei, molto probabilmente intuì la possibilità di estendere la missione cristiana al di fuori dell’ originario contesto israelitico, attuando la propria predicazione prevalentemente nelle regioni orientali dell’ Impero romano, di cultura greca, pur senza rinnegare l’ originaria provenienza ebraica, da cui non si discostò mai: se da una parte si rivolgeva ai non ebrei e pensava che la venuta di Gesù avesse in qualche modo superato la Legge di Mosè in quanto tale, ogni volta che arrivava in una città per insegnare il messaggio cristiano per prima cosa andava in sinagoga per pregare. Se l’ insegnamento di Gesù si rivolse alla casa di Israele, la predicazione apostolica si orientò al mondo: assistiamo quindi al messaggio riguardante il Cristo che viene dopo quello trasmesso da Gesù. Peraltro, si tende a credere che la spinta la spinta missionaria dei cristiani oltre i confini di Israele fu ampiamente stimolata nell’ anno 70, in cui i romani sedarono la rivolta giudaica contro l’ Impero radendo al suolo Gerusalemme, distruggendo il Tempio e saccheggiandone gli arredi sacri, come la Menorah, il candelabro a sette bracci: ora che la culla del Cristianesimo era perduta a causa delle guerre e delle rivolte, occorreva preservare la Buona Novella al di fuori.

Gesù, quindi, non era cristiano ma ebreo. Peraltro, vi sono frasi nei Vangeli in cui Gesù non appare neppure come un uomo particolarmente mansueto. In Matteo 10:34 ad esempio dice: «Non crediate che io sia venuto a portare la pace, ma la spada.». In Luca 19:27 rincara la dose: «E quei miei nemici che non volevano che diventassi loro re, conduceteli qui e uccideteli davanti a me.». Occorre ricordare quando i Vangeli furono scritti, ossia verso la fine del I secolo. Gli storici affermano che i ribelli giudei si erano scagliati contro Roma e le gerarchie sacerdotali ad essa favorevoli, fino a quando Tito, figlio dell’ imperatore Vespasiano, nel 70 fu inviato come comandante militare a soffocare la rivolta, riuscendoci dopo aver espugnato, depredato e infine raso al suolo Gerusalemme e il Tempio. I Vangeli di Matteo e Luca furono quindi redatti quando ormai la Giudea era caduta, pertanto risultano comprensibili invocazioni tanto forti, parabole e parole dirette alla liberazione e all’ avvento del regno. Era un contesto storico in cui il regno di Israele, che si sarebbe dovuto imporre con la venuta del Messia, non arrivò mai, analogamente allo stesso Messia. In queste narrazioni, quindi Gesù vide che la realtà sociale del suo tempo contrastava con il volere divino: per questo venne a gettare il fuoco sulla terra, a portare la spada, a dividere le famiglie in una battaglia atta a ristabilire l’ armonia tra gli israeliti. Lo si può ritenere un agitatore sociale? Egli tentò senz’ altro di scuotere i singoli dalla tendenza alla facilità della vita, all’ evasione dagli impegni e dai doveri, quella zavorra che ognuno si portava dentro: se lo si fa con una persona, un amico, si è un confessore, un confidente, ma con i discepoli e di fronte alle moltitudini si è un agitatore sociale. Perché spesso diffuse nei villaggi sentenze così esplosive? Probabilmente attendeva l’ imminente avvento del regno di Dio, che avrebbe portato giustizia a tutti, insieme a uguaglianza e benessere e pace. Persino agli animali. Il progetto di un rivolgimento radicale conteneva un giudizio severo sull’ ingiustizia e il disordine esistenti: se non era agitatore nei modi, lo era certamente nei contenuti e nelle conseguenze indirette.


Peraltro, può Gesù di Nazareth essere considerato il Messia promesso da Dio, che gli ebrei tuttora attendono dopo ventuno secoli? Nell’ originaria tradizione, il Messia, da mashah, significa «unto». In greco si traduce in «Cristo». Gli antichi re di Israele, come Saul, Davide e Salomone, venivano consacrati con il rito dell’ unzione. Re, sacerdoti e profeti venivano cosparsi di olio sacro, come benedizione e atto di trasferimento di poteri divini. Prima di Davide, nessuno aveva pensato alla necessità di un Messia. I profeti, infatti, agivano per purificare moralmente Israele ogni volta che se ne presentava il bisogno, in modo che fungesse da faro di speranza e guidasse gli altri popoli verso la vera giustizia. Tuttavia, dopo l’ esilio babilonese e la distruzione del primo Tempio, il concetto di Messia si impose sempre di più mutando nel tempo, anche con l’ apparizione di testi che trasformarono gli originari concetti messianici, come quello di Isaia. Al tempo di Gesù si pensava che questo re profetizzato, discendente di Davide, Israele sarebbe divenuto un regno santo animato da giustizia, pace, compassione e felicità, così in abbondanza che anche gli altri popoli del mondo ne avrebbero pienamente goduto. Le condizioni per essere un Messia erano, e sono tuttora per gli ebrei, molto precise: in Ezechiele, 37:26-28, egli dovrà costruire il terzo Tempio; in Geremia 31:33 e Isaia 11:9 dovrà avere la conoscenza universale di Dio; in Isaia 43:5-6 dovrà riportare tutti gli israeliti in Israele, mentre in 2:4 dovrà portare la pace nel mondo. Altra condizione fondamentale è la discendenza dal re Davide.

Nessuna di queste anticipazioni si è avverata con la vicenda di Gesù, e i testi non dicono mai se lui stesso si reputasse o no un Messia. Pare certo che si considerasse un inviato di Dio per un motivo, preferendo chiamarsi «Figlio dell’ uomo», forse riferendosi ad una figura del libro di Daniele. Alcuni dei suoi primi seguaci, invece, lo indicano chiaramente come il Messia atteso. Vari studiosi della Bibbia, addirittura, mettono sempre più in dubbio che all’ epoca di Gesù non vi fossero più discendenti viventi di Davide: l’ ultimo re ebraico che da lui discendeva, Ioiachin, fu rovesciato nel 597 dai babilonesi. Quando i persiani liberarono gli ebrei, essi tornarono in patria ma la monarchia non venne restaurata, semplicemente perché non vennero identificati altri discendenti di Davide che potessero vantare una legittimità ereditaria e dinastica. Il profeta Geremia, in 22:28-30, scrisse che nessuno dei discendenti di Ioiachin sarebbe mai salito sul trono di Davide. Nei Vangeli di Matteo e Luca viene citata la genealogia di Gesù, seppure con determinate differenze: nella genealogia di San Matteo, San Giuseppe discende da Ioiachin per via patrilineare e perciò può trasmettere il diritto al trono di Davide, eppure la dottrina della verginità della Madonna sostiene che Gesù non sia biologicamente della sua stirpe. Peraltro, la genealogia di San Luca è diversa, e viene interpretata da diversi studiosi come la genealogia della Madonna: in tal caso essa assicurerebbe a Gesù la discendenza biologica da Davide ma non da Ioiachin. Si direbbe pertanto un tentativo di inquadrarlo nella storia della Bibbia, per legittimare la sua autorità, proveniente dalla discendenza da personaggi a cui Dio aveva affidato le sorti del popolo ebraico e dell’ umanità. Facendo parte dei piani divini, doveva per forza appartenere a tale stirpe. Dagli stessi testi neotestamentari emerge quindi l’ interpretazione di un Messia strettamente spirituale, di un salvatore di anime non venuto a condurre la lotta politica e sociale comunemente attesa dagli israeliti, da secoli soggetti a ripetute invasioni e dominazioni straniere da parte dei potenti imperi vicini. Se Gesù fu un Messia solamente per i cristiani e la Bibbia neppure è stata ispirata da Dio, ma da chi la scrisse, come si spiega il fatto che le profezie che lo riguardano si sono realizzate? E’ soprattutto San Matteo che riprende le antiche profezie: quella di Isaia sulla verginità di Maria, quella di Michea sulla nascita a Betlemme e infine quella di Geremia sulla strage degli innocenti. Secondo l’ analisi storica, pare che si siano avverate a seguito di fraintendimenti del linguaggio usato nell’ Antico Testamento: spesso e volentieri, infatti, il significato delle parole può mutare in base all’ epoca in cui vengono utilizzate. Sempre San Matteo scrive che San Giuseppe andò a vivere con mogli e figli a Nazareth, affinché si compisse ciò che «era stato scritto dai profeti», e cioè: «Sarà chiamato Nazareno». Peccato, però, che in tutto l’ Antico Testamento mai si citi Nazareth o qualcuno che vi fosse originario, come se non fosse mai esistita. Chi mai tra i profeti parlò quindi del villaggio galileo sugli ultimi contrafforti dei monti a circa centoquaranta chilometri a nord da Gerusalemme che secondo la tradizione fu la dimora di Gesù nella sua giovinezza? Il nome Nazareth ha la stessa radice verbale dell’ ebraico «germoglio», per il quale si ha un equivalente in Isaia 11:1: «Un germoglio spunterà dal tronco di Iesse, un virgulto germoglierà dalle sue radici.». Ancora San Matteo racconta di Giuda Iscariota che, pentitosi di aver venduto Gesù ai sacerdoti del Tempio, getto ai loro piedi i trenta denari d’ argento per poi fuggire ed impiccarsi. I sacerdoti raccolsero il denaro, ritenuto sacrilego perché usato per mandare a morte Gesù, e lo spesero per comprare il campo del vasaio, ove seppellirono il discepolo traditore: «Allora si adempì quanto fu scritto da Geremia: ‘Presero trenta denari d’ argento, prezzo del venduto, che i figli di Israele avevano mercanteggiato, e li diedero per il campo del vasaio, come mi aveva ordinato il Signore.’.». Ma Geremia non lasciò mai scritta questa profezia da nessuna parte.

La Resurrezione: verità o metafora teologica?


Il dogma della Resurrezione è il concetto più importante di tutta la cristianità. L’ intera teologia parte da questo principio, ma bisogna stabilire se sia una storia vera oppure no. Quali sono le prove a suo favore? E’ ovviamente scritto nel Nuovo Testamento, ma possiamo essere certi della veridicità della sua testimonianza? La sincerità di questa narrazione va giudicata da sé, ma ovviamente con animo imparziale, analizzando ogni prova certa, senza lasciarsi influenzare da semplici ipotesi o dicerie. Quando un magistrato deve giudicare un imputato sospettato di omicidio vuole essere assolutamente certo della sua colpevolezza, quindi nel momento in cui la pubblica accusa convoca in aula i testimoni oculari e ognuno presenta la propria versione, in contrasto con le altre, ecco che la cosa si complica, e l’ avvocato difensore chiede l’ assoluzione del proprio assistito indicando la debolezza della tesi accusatoria, basata su dichiarazioni in reciproca contraddizione. Gesù parlava del regno di Dio, che però non venne, e addirittura venne giustiziato dai romani per motivi politici. I suoi discepoli, tra loro molto diversi e originari di diversi ambienti, tra pescatori, scribi, esattori delle tasse e persino ribelli antiromani, si ritrovarono senza il proprio maestro spirituale, e come avviene in tutti i movimenti umani rimasti senza guida, rischiarono di disperdersi. Fin da subito, quindi, si interrogarono sulla sua morte dandone svariate interpretazioni finché molti si convinsero che fosse resuscitato dalla morte. La Resurrezione indica la presenza di un vivente, e il Cristo è presente come si dice in Marco 16:6: «Voi cercate Gesù Nazareno, il crocifisso. E’ risorto, non è qui.». I Vangeli pongono l’ accento su di una tomba vuota, su di un’ assenza: Gesù quindi potrebbe essere risorto nel senso che è vivo tra i suoi a livello puramente spirituale, perché il suo insegnamento vive ancora. Non si tratterebbe di un uomo in carne e ossa, ma di una visione del mondo che unifica ed uguaglia gli uomini. San Paolo insistette moltissimo sul dogma della Resurrezione, molto probabilmente perché già ai suoi tempi si era compreso che il regno di Dio di cui Gesù aveva sempre parlato non era giunto, pertanto tutti continuavano a soffrire e morire come sempre: come conciliare tale promessa non compiuta con una realtà che la contraddiceva così apertamente se non esortando a vivere nel mondo ma tenendo conto del fatto che ne stava avvicinando un altro, quello del Giorno del Giudizio, in cui tutti risorgeranno, grazie al fatto che il Maestro aveva sconfitto la morte proprio risorgendo?

Nessuno dei quattro Vangeli descrive la Resurrezione, dedotta dall’ assenza del cadavere, intesa come la fede che Gesù non sia tra i morti ma tra i viventi. A favore di una effettiva Resurrezione ci sono però determinati episodi di cui i Vangeli raccontano: Gesù è visto da varie persone in Giudea e in Galilea, in più luoghi ove agisce e parla, e si fa toccare dallo scettico San Tommaso. Il Cristo si manifesta chiaramente, ma la sua presenza scaturisce dai soli testi, in una dimensione di pura fede. Al tempo di Gesù, molti ebrei, specie gli aristocratici, erano ellenizzati. L’ idea della resurrezione dei era condivisa dalla maggioranza, benché l’ Antico Testamento ne parli pochissimo. Non fu un concetto originale degli ebrei, che la ereditarono da altre culture, ma uno dei tanti modi con cui gli antichi speravano in una vita dopo la morte. Gesù annunciava l’ avvento imminente del regno di Dio, che avrebbe redento il mondo da ogni male, dall’ ingiustizia sociale alla malattia. Tuttavia, venne giustiziato e il mondo rimase irredento, dunque non aspettandosi altro i suoi discepoli altro persero ogni speranza messianica. Dovendo sopravvivere, la teologia dovette orientarsi verso il dogma della Resurrezione, mettendo in secondo piano il regno di Dio. Si ebbe così la fede in un Messia divino e nella resurrezione di tutti gli uomini mentre si continuava a soffrire e morire come sempre, e si aggiunse il principio della seconda venuta di Gesù alla fine dei tempi, in cui compirà il suo compito salvifico: gli verrà data una seconda opportunità, la sua morte verrà finalmente confermata come temporanea e farà tutto ciò che non ha fatto la prima volta. Occorre però notare che nel Nuovo Testamento si intuisce che i discepoli si aspettassero il suo ritorno prima che morissero, come Gesù aveva espressamente promesso loro. Vi sono passi che non consentono dubbi, come in Matteo 10:23: «Non avrete finito di percorrere le città di Israele prima che venga il Figlio dell’ uomo.». In seguito, in 16:28: «Vi sono alcuni tra i presenti che non morranno finché non vedranno il Figlio dell’ uomo venire nel suo regno.». Sono trascorsi ventuno secoli da allora e tutti loro sono morti, eppure Gesù non è mai tornato.


Il dogma della Resurrezione fu il caposaldo della predicazione di una figura gigantesca, con cui tutte le Chiese hanno tuttora in incredibile debito: Saul di Tarso, meglio conosciuto come San Paolo, il padre della teologia cristiana. Ma chi veramente fu questo personaggio? Quasi tutto ciò che sappiamo di lui è riferito negli Atti degli Apostoli, che gli dedicano ben sedici capitoli, dal 13 al 28, sebbene creduti storicamente non del tutto attendibili in quanto frutto della sua particolare posizione teologica. Nato a Tarso, in Cilicia, tra il 5 e il 10 dopo Cristo, da una famiglia di ebrei ellenizzati di tradizione farisaica, era figlio di un uomo divenuto cittadino romano. Studiò a Gerusalemme, presso l’ illustre e rispettato rabbino Gamaliele, e in seguito venne invitato a Damasco dal sommo sacerdote del Tempio con il compito di riportare ordine in una comunità turbata dai seguaci di Gesù, un incarico a metà strada tra la repressione poliziesca e il richiamo all’ ortodossia religiosa. Fin da giovane si rivelò energico, motivato, ardimentoso, spesso collerico, intelligente e intuitivo. Tenace persecutore dei cristiani, approvò la lapidazione di Santo Stefano, primo martire della Chiesa, assistendovi di persona e reggendo le vesti dei presenti. Sulla via di Damasco, però, venne accecato e udì la voce di Gesù, finché un sant’ uomo di nome Anania gli impose le mani e gli ridiede la vista: a questo punto si convertì, ricevette il battesimo e divenne San Paolo, l’ apostolo delle genti, uno dei fondatori della Chiesa di Roma. Fu lui stesso a esporre questa versione dei fatti, anche se non si esclude l’ ipotesi che cecità e visione potessero essere la conseguenza di una forma epilettica.

San Paolo fu così importante che molti lo ritengono il vero fondatore del Cristianesimo. Basti dire che, arrivato per ultimo, seppe rapidamente imporsi come il primo, tanto che gli Atti degli Apostoli parlano quasi solo di lui. Non fu testimone diretto dei fatti e neppure vide mai Gesù di persona, anzi il suo ingresso nella storia della cristianità fu nella sua veste di avversario. Ma fu il primo a diffondere la voce della Resurrezione: la sua ricostruzione disegna una struttura intellettuale di carattere mistico, ma pur sempre una congettura la cui prova rimane tuttora affidata a un’ intuizione, che comunque risultò un elemento vincente nel successo del Cristianesimo rispetto ad altre religioni, ossia grazie al fatto che l’ uomo viene salvato per intero. Nessuno l’ aveva mai sostenuto prima. Comunque, se fossimo in un tribunale, davanti ad una corte e il magistrato interrogasse i testi per sapere lo svolgimento di un fatto si farebbero i conti con il solo San Paolo, ai cui occhi la divinità di Gesù si fonda sulla Resurrezione. Scelse di ignorare vita e insegnamenti di Gesù in favore di una religione misterica in cui il Cristo è uno spirito divino che esisteva già prima del mondo e che se ne era andato per preparare il regno di Dio nell’ aldilà. Sono in molti a notare l’ influenza del Mitraismo sul pensiero di San Paolo: Tarso, la sua città nativa, era uno dei principali luoghi in cui era praticata la via di Mitra, salvatore divino, e infatti presentò il Cristo come una figura sacrificale che tolse i peccati del mondo. Se Mitra era un dio nato dalla roccia, ecco che la nascita di Gesù in una grotta rappresenta un concetto preso in prestito, come confermato nella Prima Lettera ai Corinzi: «Bevevano da una roccia spirituale che li accompagnava, e quella roccia era il Cristo.».

Una religione tra molte...


La storia conferma quanto il Cristianesimo abbia vinto rispetto agli altri miti religiosi del suo tempo, soprattutto prendendo in prestito da essi svariati elementi concettuali e liturgici. Basti pensare al culto del già citato Mitra, che oggi è del tutto estinto e quasi nessuno oggi ne ricorda il nome. Tante festività del mondo antico, Roma compresa, ritualizzavano le varie fasi dell’ anno solare e agricolo, e sono state riprese dalla cristianità, a cominciare dal giorno di Natale che coincide con quel solstizio d’ inverno che i romani chiamavano il giorno del Sol Invictus. Molti elementi pagani confluirono nella nascente religione molto probabilmente per favorire il passaggio dagli ormai antiquati culti a quello di Cristo, specialmente durante il regno di Costantino il Grande.

Altri concetti acquisiti dalle altre religioni pagane derivano in particolar modo dai vari culti solari, che nei popoli più antichi costituiva la forza suprema, fonte di vita e calore ma anche di distruzione. A Roma era molto popolare il culto del Sol Invitus, e infatti i cristiani affermano tuttora che Gesù abbia portato luce e vita in quanto figlio di Dio: l’ essenza del Sole fu semplicemente trasferita nel Cristo. Un altro esempio si trova nei Salmi dell’ Antico Testamento, in particolare nel celeberrimo versetto 23:4 in cui si legge: «Se dovessi camminare in una valle oscura non temerei alcun male perché tu sei con me. Il tuo bastone e il tuo vincastro mi danno sicurezza.». Queste parole acquistano un significato logico e comprensibile se si ripensa alla figura del faraone d’ Egitto, venerato come figlio di Ra, dio del Sole, e Hator, dea della Fertilità, e tradizionalmente dipinto con le braccia che formano il segno della croce sul torace, mentre le mani tengono il bastone e il vincastro: sono letteralmente i simboli reali del potere, in quanto egli era re e pastore del suo popolo per conto del Sole di cui era figlio. La spogliazione di Gesù ormai morente in croce da parte dei soldati romani, che si spartirono la sua veste giocando ai dadi, è un riferimento alla mutilazione del cadavere di Osiride, re mitico d’ Egitto che portò la civiltà agli uomini da cui fu molto amato, da parte del fratello Seth, dio del Disordine e della Violenza, che lo uccise per usurparne il trono disperdendone le viscere in tutto l’ Egitto, e lo stesso Osiride risorse dalla morte grazie alla moglie Iside, che vagò in lungo e in largo alla sua ricerca fin quando non ritrovò tutti i pezzi tranne il pene, mangiato da un pesce gatto, e lo ricompose mentre Nefti lo riportò in vita con un rito magico. Anche se nuovamente in vita, Osiride non poteva vivere sulla terra e diventò il dio dell’ Oltretomba. Inoltre, l’ Eucaristia, il sacramento in cui il credente si nutre del corpo e del sangue di Cristo, si basa sul concetto di cannibalismo rituale, che consiste nel mangiare parti simboliche del corpo umano a scopo magico o religioso, e di teofagia, dal greco «mangiare dio», un rituale religioso consistente nella consumazione di un cibo considerato divino, in base a una identificazione simbolica con la divinità stessa e presente soprattutto in alcune religioni primitive. Peraltro, molto di ciò che le religioni abramitiche, ossia Ebraismo, Cristianesimo e Islam, affermano attualmente viene dallo Zoroastrismo, l’ antica religione persiana tuttora diffusa in certe regioni mediorientali: la figura di Mosè si ispira molto su quella di Zoroastro, colui che insegnò la fede in Ahura Mazda, signore di luce e saggezza che creò il mondo, e indusse gli uomini a rifuggire dalle cose indegne, parlando del paradiso, del giudizio finale e della resurrezione dei morti, oltre che del demone Angra Mainyu. Tutti concetti che influenzarono i popoli sotto la dominazione iranica e confluirono nelle tre religioni dei figli ed eredi spirituali di Abramo. Gli stessi ebrei, che neppure furono i primi monoteisti se ricordiamo ad esempio il culto del Sole in Egitto promosso dal faraone Akhenaton, vissuto nel XIV secolo prima di Cristo, subirono numerose influenze culturali persiane, prima sotto la dominazione babilonese e poi con la conquista di Babilonia da parte della Persia, tanto che gli studiosi fanno notare che nella Genesi il serpente che tenta Eva non viene mai identificato come un demone o con Satana, che fa la sua apparizione relativamente tardi nel panorama religioso israelitico proprio a seguito della conquista persiana, insieme al concetto di angeli e demoni. Non si può tralasciare neppure il culto della Dea Madre, uno dei più remoti culti dell’ umanità, sorto nella Preistoria: nei tempi più antichi, molti popoli credevano che il mondo fosse stato creato da una dea femminile, che aveva portato il mondo in grembo da sola o con un coniuge maschile alle volte identificato con il proprio figlio, avendolo creato per partenogenesi, quindi le donne furono venerate dagli uomini a conferma della riverenza verso quest’ entità, e il corpo femminile venne raffigurato nell’ arte come un potente simbolo di vita, con seni, ventre, fianchi e vagina accentuati. Poi, gli uomini si civilizzarono e si passò alla Storia, e la società, fino ad allora ginocratica, egualitaria, democratica, pacifista e agricola, divenne gradualmente androgina, classista e dedita al lavoro, al commercio e alla guerra. Il potere della Dea Madre diminuì sempre di più, soprattutto con l’ apparizione dell’ Induismo, che degrada e demonizza le donne, e si impose la convinzione che a dare la vita fosse il maschio soltanto, senza alcun bisogno della femmina, ampiamente diffusasi anche nel contesto religioso, con l’ imposizione degli dèi maschili. Eppure, il culto della Dea Madre non si estinse mai veramente, venendo piuttosto assimilato dalle controparti maschili, e persistette tra i popoli lontani dai centri di potere sopravvivendo tuttora in forme differenti, anche nelle religioni più recenti, come avvenuto ad esempio con il culto cristiano della Madonna, presenza costante nella cultura e nell’ arte: all’ inizio del Cristianesimo, uomini e donne godevano di una posizione paritaria, complice l’ idea secondo cui «in Cristo non esistono maschio e femmina», e la Chiesa offrì spesso rifugio alle donne che al tempo delle invasioni barbariche, negli ultimi secoli dell’ Impero romano, subivano stupri e matrimoni forzati, e i conventi erano aperti per quelle donne che volevano ricevere un’ educazione, dando loro la possibilità di restare oppure di tornare nel mondo. Durante il Medioevo, nel tentativo di attrarre sempre nuovi fedeli e in un’ epoca in cui le donne aristocratiche vantavano un certo potere in alternativa a quello degli uomini spesso impegnati in guerra o qua e là per i domini fino alla degenerazione con la caccia alle streghe voluta dall’ Inquisizione, la Chiesa modellò il culto di Maria ispirandosi proprio a quello della Dea Madre, la più antica storia al mondo di una madre vergine e un neonato speciale, persino adattandone le raffigurazioni artistiche con il figlio-amante in grembo.

Ironicamente, però, tutte queste influenze e appropriazioni vengono occultate dalle guide religiose che tacciano il paganesimo di false dottrine e idolatria, e sono opportunamente ignorate dai credenti, convinti che tutto quel che il Cristianesimo sostiene sia una straordinaria novità storica e spirituale.

Costantino il Grande;


Alto personaggio fondamentale nello sviluppo del Cristianesimo fu l’ imperatore Costantino, un pagano. Nel III secolo, nell’ Impero romano si manifestarono i segni di una crisi profonda che vari imperatori non seppero affrontare convenientemente, dettati da una crisi economica e sociale indotta dalle crescenti spese militari che obbligarono Roma a imporre sempre più tasse, riducendo la produttività di commercio e industria, mentre la moneta si fece sempre più rara e il prezzo di tutte le merci salì vertiginosamente. Ad essa si affiancò la crisi militare, con i generali che promettevano favori e ricompense, ottenendo l’ appoggio personale delle truppe ormai quasi del tutto composte da mercenari e con cui si contesero più volte il potere imperiale, esponendo l’ Impero ai nemici esterni. Altra causa importante fu proprio il Cristianesimo, che con i suoi valori di pace e uguaglianza metteva in discussione le basi stesse del potere imperiale, tra forza militare e schiavitù. Nel 285, l’ imperatore Diocleziano divise l’ impero in quattro parti, affidate a quattro distinte autorità: due imperatori, detti Augusti, e due vice imperatori, i Cesari. Ciascun Augusto avrebbe governato su metà dell’ Impero coadiuvato dal proprio Cesare, al quale avrebbe delegato il governo di metà del proprio territorio e che gli sarebbe succeduto come nuovo Augusto dopo venti anni di governo, nominando a sua volta un nuovo Cesare. Nei trecento anni dall’ epoca di Gesù e quella di Costantino, il Cristianesimo era stato un culto piuttosto avversato dalle autorità, soprattutto a causa del rifiuto dei seguaci del Cristo di venerare la divinità dell’ imperatore, che secondo la religione romana, dotata di aspetti sia devozionali che sociali, era garante tanto dell’ ordine divino quanto di quello terreno: in altre parole, fin dai tempi di Cesare Augusto, il primo imperatore sotto il quale era nato Gesù, adorare l’ imperatore aveva effetti benefici sulla società sia sotto l’ aspetto spirituale che terreno, in quanto la prosperità e la giustizia nel mondo governato da Roma dipendeva innanzitutto da lui. Neppure gli ebrei, in rispetto del loro severo monoteismo, riconoscevano l’ imperatore come un dio, ma chiedevano soltanto di essere lasciati vivere in pace e liberi di praticare la loro religione, che era ereditaria all’ interno del loro popolo, mentre quella cristiana tendeva a fare proseliti.

La tetrarchia, il governo dei quattro voluta da Diocleziano, entrò in crisi quasi immediatamente nel 306, e Costantino riuscì ad imporsi come unico imperatore, ristabilendo il potere monarchico tradizionale, tuttavia la sua posizione rimase precaria. Durante la sua conquista del potere, uno dei momenti fondamentali fu la nota battaglia di ponte Milvio, nel 312, contro il concorrente Massenzio. A dispetto delle previsioni infauste, secondo la leggenda vinse con l’ aiuto divino: in piena notte comparve in cielo una X inclinata di novanta gradi, con l’ apice legato su sé stesso, un segno simile a una T sormontata da una O, sotto cui correva la scritta «Sotto questa insegna risulterai vincitore». Costantino fece subito apporre sugli scudi dei suoi miliziani il segno, e si gettò contro il nemico, vincendolo. Quel segno non aveva nulla di cristiano, ma evidentemente fra i suoi consiglieri qualcuno lo orientò in questa direzione, e finì con l’ ispirare il segno della croce che venne adottato ufficialmente a metà del V secolo e tuttora è alla base della simbologia cristiana: fino ad allora, infatti, i cristiani avevano usato altri simboli per esprimere la propria fede e riconoscersi tra di loro, come ad esempio la vite e l’ agnello per indicare Gesù, l’ olivo per la pace, la colomba con un ramo d’ olivo nel becco per la speranza nella vita eterna, e soprattutto il pesce perché lettere che ne compongono la parola in greco corrispondono alle iniziali delle parole «Gesù Cristo figlio di Dio salvatore». Nella religione romana era fortissima la superstizione, e il mondo divino comunicava sempre con presagi e miracoli. I romani erano quindi sempre attenti ad ogni segno, vedendo un responso divino in molti fenomeni naturali, come le pietre e il volo degli uccelli. Avevano giorni fausti e infausti, e consideravano i fulmini segni di ira divina. Le provincie orientali dell’ Impero erano le più ricche e popolose, e insieme ai ricchi commerci esse esportarono in quelle occidentali le religioni misteriche che i romani tanto impararono ad amare. Costantino non disponeva di una solida base in Oriente, quindi si erse a protettore dei cristiani, che in quei territori erano moltissimi e detenevano posizioni fondamentali nell’ amministrazione imperiale: perorandone la causa e concedendo loro la libertà di culto con l’ Editto di Milano del 313, egli progettava di porsi a capo di un vero e proprio Stato nello Stato avvantaggiandosi della propria autorità religiosa. La cristianità, tanto tenacemente praticata ad ogni livello sociale, si prestava come duttile strumento di governo, rimpiazzando i vecchi culti ormai antiquati e inefficaci al fine pubblico. Ironicamente, il signore dell’ Impero si fece araldo di un profeta ebreo giustiziato proprio da un governatore romano tre secoli prima, e sotto di lui assunse moltissime tra le caratteristiche tuttora in vigore vedendo accentuarsi la distanza tra Gesù di Nazareth e il Cristo! Costantino si preoccupava per l’ avvenire dell’ Impero, e fece un ragionamento elementare ma vincente: poiché nella tradizione romana la religione era sempre stata fondamentale per il buon funzionamento dello Stato, volle provare l’ efficacia della nuova divinità cristiana in confronto a quelle vecchie. Non fu quindi una conversione, ma un atteggiamento pratico. Conservò i tradizionali valori religiosi applicandoli ad una diversa divinità, tant’ è vero che si fece battezzare quand’ era ormai morente, nel 337, e il suo battesimo rimase un dettaglio per nulla importante. Si direbbe che dato il pochissimo tempo in cui il Cristianesimo venne a sostituire la tradizionale religione latina, non fu l’ imperatore a convertirsi al Cristianesimo, ma l’ esatto contrario. Costantino ordinò e coordinò la sistemazione più conveniente dell’ ortodossia e dei testi sacri, e forte della propria autorità sia politica che religiosa, sebbene fosse pagano, nel 325 e convocò il concilio di Nicea, che presiedette letteralmente come immagine vivente del Cristo, convinzione che espresse persino in una lettera ai vescovi d’ Oriente, ove si dichiarava vescovo universale per i rapporti della Chiesa con il mondo. Su questa base, la politica imperiale divenne il nuovo modo di diffondere ovunque il Vangelo. Era urgente evitare una spaccatura, che avrebbe potuto provocare conseguenze politiche anche gravi, quindi a Nicea si discusse molto della Trinità e del canone biblico. Fu valutato il peso della tradizione teologica giudaica, intransigente circa l’ unicità di Dio entro il quale non potevano essere pensate distinzioni di persona, l’ influenza del pensiero platonico, che affermava l’ unicità del principio divino e i dissidi tra le grandi Chiese del tempo, contrapposte sia per questioni teologiche che per politica ecclesiastica. Il vero problema fu il rapporto tra Padre e Figlio, che nel contesto umano sono uniti da un legame di generazione: se quindi il Figlio è generato, allora sarebbe privo di eternità, a differenza del Padre. Costantino voleva unificare le correnti, e su suggerimento dei vescovi a lui vicini propose la consustanzialità di Gesù nei riguardi di Dio: con un Figlio generato e non creato della stessa sostanza del Padre, l’ imperatore ottenne la maggioranza. L’ intero concilio, ad eccezione di tre o quattro vescovi, approvò la proposta. Grazie al concilio di Nicea, che aveva orientato politicamente, Costantino si fece luogotenente e vicario di Cristo: l’ incontro addirittura si chiuse con una cerimonia in cui aprì la sala del trono invitando tutti i vescovi a mensa. La sala era piena di mosaici, ori e luci, di un lusso sfacciato, e vi dispose i religiosi lungo le pareti, con al centro i triclini per le personalità più autorevoli, servendoli a tavola. Nell’ immaginario apocalittico, infatti, il premio promesso a chi aveva sofferto tribolazioni e martirio era spesso simboleggiato dal convito celeste, in cui lo stesso Cristo avrebbe dispensato cibo ai suoi ospiti: il gesto dell’ imperatore, quindi, equivaleva ad un’ anticipazione del banchetto celeste proprio perché si reputava il vicario di Cristo nell’ Impero romano. Divenuta fede maggioritaria con un imperatore legittimato dal diritto divino, il Cristianesimo divenne religione civica esattamente come il precedente culto latino: il solo Dio vivente proteggeva la città, quindi fedeltà a Dio e alla città erano tutt’ uno, ma questo ormai era molto lontano dalla parola originaria di Gesù.

Costantino fu una figura molto ambigua. Da una parte seppe dare vita a una religione unitaria per tutto l’ Impero, e infuse lo spirito cristiano nel diritto, abolendo per esempio la crocifissione e i combattimenti dei gladiatori. Curiosamente, però, avviò una persecuzione al rovescio, contro coloro che non seguivano l’ ortodossia o che addirittura restavano fedeli alle vecchie religioni, un fenomeno che, decenni dopo, degenerò notevolmente soprattutto nel 380, quando l’ imperatore Teodosio, con l’ editto di Tessalonica, proclamò il Cristianesimo religione di Stato, vietando gli altri culti, mentre nel 392 stabilì la condanna a morte per tutti coloro che compivano sacrifici pagani e addirittura soltanto frequentassero un tempio non cristiano. Si dice che chi è stato sottoposto ad un’ ingiusta umiliazione divenga incapace, o meno capace, di esercitarla a sua volta sugli altri: invece, essa genera spesso nella vittima un profondo rancore e un desiderio di vendetta. Altrettanto valente eppure discutibile fu la figura della madre di Costantino, Flavia Giulia Elena, proclamata santa dalla Chiesa cattolica e quella ortodossa. Figura di estremo fascino, donna dalla vita avventurosa, fu soprattutto un’ infaticabile ricercatrice di reliquie. Veniva da un’ umile famiglia, infatti conobbe Costanzo Cloro, futuro padre di Costantino, quando ancora gestiva una locanda dotata di stalla per animali, ed egli la sposò nonostante l’ inferiorità sociale. Secondo la leggenda, andò a Gerusalemme alla ricerca della croce di Gesù, trovandone addirittura tre. Per scoprire quindi quale fosse quella vera, fece quindi stendere tre infermi sui tre legni, e soltanto uno di essi guarì. Ma il cimelio più prezioso furono i due chiodi in essa confitti, che lei fece estrarre e per poi forgiarli nell’ elmo e nel morso del cavallo di Costantino: il primo avrebbe sacralizzato il potere militare, l’ altro avrebbe mitigato il delirio di onnipotenza del figlio, che per i suoi gusti si atteggiava un po’ troppo a Cristo, tanto da volere per sé un grandioso mausoleo, di pianta circolare, lungo le cui pareti si sarebbero collocati dodici cenotafi, tombe vuote in riferimento ai dodici apostoli al cui centro sarebbe stato posto il proprio sarcofago. Il disegno leggendario è evidente, ed è impressionante la facilità con cui venne sfruttato a fini di potere. Attualmente, la Chiesa ortodossa considera santo Costantino proprio perché favorì il rapporto tra Stato e Chiesa, come in seguito avrebbero fatto Carlo Magno e Luigi XIV, entrambi personaggi fondamentali nella storia francese.


Ogni religione e filosofia si basa su di un’ ortodossia sancita dai testi sacri, il cosiddetto canone. Il reciproco rapporto tra questi due elementi è molto stretto. Nel caso di Gesù di Nazareth/il Cristo è praticamente la sola fonte su di lui che ci sia pervenuta dal mondo antico, e questi testi scritti sono sorti molti anni dopo la venuta di Gesù, e sono stati redatti da autori che non assistettero ai fatti, basandosi su voci che per loro erano coerenti, per poi essere più volte corretti e alterati, oltre che sottoposti al delicato processo di traduzione da lingua a lingua. E’ veramente possibile confermarne la provenienza divina oltre ragionevole dubbio? Ovviamente non lo è, sta solamente al lettore deciderlo in base alla propria coscienza, e storicamente parlando, il canone sia orale che scritto nacque dall’ esigenza dei primi discepoli di avere materiali utili al culto, all’ insegnamento, al proselitismo e all’ apologetica, e funse addirittura da base nella controversia contro i pagani e poi contro gli ebrei. Rappresenta una pura inquadratura teologica cui tratteggiare Gesù di Nazareth/il Cristo.

La morte per crocifissione di Gesù come nemico dell’ Impero romano fu un trauma profondo per chi aveva creduto in lui e seguito il suo insegnamento, auspicandone la vittoria. La sua comunità di seguaci parve disperdersi, nel timore che la repressione delle autorità si scagliasse pure su di loro. Tuttavia, in un secondo momento la tomba di Gesù fu trovata vuota e gli apostoli tornarono tra le vie di Gerusalemme annunciando che in realtà era risorto e aveva camminato, mangiato, e parlato. Le voci corsero sempre più dettagliate, e il movimento adottò gradualmente elementi messianici a cui aderirono ebrei di diversa provenienza, alcuni persino di lingua e cultura greca. Si formarono moltissime comunità, in cui si narrava la vita del Maestro, le sue azioni, l’ insegnamento, il mistero e la gloria della Resurrezione. Le notizie passavano di bocca in bocca, affidate alla tradizione orale, esponendole quindi a facili distorsioni nell’ esposizione dei fatti o nell’ ordine cronologico, se non  addirittura entrambi. Venne però un momento in cui la tradizione fu così confusa e incerta da rendere necessario un insieme di testi unitari e coerenti, la cui definizione avvenne tra molti scontri ed incertezze. Vi era peraltro la necessità di stabilire l’ atteggiamento verso l’ Antico Testamento, non accettato in molti ambienti cristiani perché ritenuto rivelazione di un Dio malvagio: il vero Dio, amorevole, si sarebbe manifestato solo con il Testamento cristiano. Alcuni cristiani si limitavano addirittura al solo Vangelo di Luca e alle lettere paoline. La nascita dei testi sacri cristiani fu particolarmente lunga e travagliata, segnata da controversie e drammatiche lacerazioni a causa delle molte interpretazioni presenti sin dall’ inizio nel movimento sorto attorno al Maestro, la cui vita e opere furono affidate per decenni alla sola tradizione orale, alla memoria di chi aveva visto o udito parlare di ciò che aveva detto e fatto, pur confondendo spesso le date della sua vita e quindi favorendo le diverse interpretazioni dei fatti. Ad ottant’ anni dalla nascita di Gesù esistevano moltissimi Vangeli, come quelli di Pietro, Giacomo, Filippo e Maria Maddalena, ma ne vennero scelti soltanto quattro perché ritenuti ispirati, dottrinalmente allineati all’ ortodossia che la Chiesa voleva promuovere in quel momento e risalenti in un modo o in un altro all’ autorità di un apostolo della prima generazione cristiana, mentre gli altri furono esclusi in quanto presentavano un Gesù troppo ebreo, gnostico e spiritualistico e pertanto censurati con il tempo. Vi furono anche numerosi Atti, parimenti apocrifi, quali ad esempio quelli di Pilato, di Tecla e Tommaso, che allo stesso modo vennero esclusi ma che oggi sono di enorme interesse specialistico. Fino alla seconda metà del II secolo, i seguaci vissero senza il Nuovo Testamento come lo conosciamo noi oggi, e in molti scritti Gesù appariva come una divinità inferiore, più simile al demiurgo platonico che al Figlio di Dio e al secondo soggetto della Trinità, come poi venne sancito a Nicea nel 325 e a Calcedonia nel 451. La stessa Trinità fece il suo ingresso nella cristianità proprio allora. Nei testi ebraico-cristiani appariva simile ad un angelo anziché un Figlio di Dio, e spesso non era chiara la distinzione tra Figlio e Spirito Santo, entità che tendevano a sovrapporsi. Vi erano cristiani convinti che il mondo fosse stato creato da Dio e altri che da una divinità maligna, idea che spiegava la presenza della sofferenza nel mondo. Per altri ancora il creatore era un’ entità inferiore, che non vantava l’ eternità. Per secoli, molti cristiani non sentirono parlare del dogma della verginità della Madonna, altri ritenevano che la morte e la Resurrezione di Gesù non avessero alcun effetto redentore sull’ umanità, e vi era persino chi pensava che non fosse mai morto, urtando con l’ interpretazione paolina in cui la Crocifissione e la Resurrezione sono il fondamento della cristianità. Le diversità erano clamorose e riguardavano anche il battesimo, oggi considerato il rito di iniziazione alla vita cristiana: negli Atti degli Apostoli 19:1-7, ad esempio, si racconta che quando San Paolo raggiunse Efeso trovò alcuni discepoli a cui chiese se avessero ricevuto lo Spirito Santo quando giunsero alla fede, ed essi risposero che non ne avevano mai sentito parlare, avendo ricevuto solo il battesimo di Giovanni. L’ Apostolo delle genti allora li battezzò nuovamente «nel nome del Signore Gesù», e a quel punto, ricevuto lo Spirito Santo, cominciarono a parlare lingue diverse e profetare.

Poche religioni al mondo, sia nella fase iniziale della propria formazione che in seguito, sono state più differenziate del Cristianesimo, che, specialmente nei suoi primi tre secoli di esistenza, vide la coesistenza di più forme e dottrine scandite da grandi disuguaglianze che fu più facile appianare a seguito dell’ intervento di Costantino, tra i primi ad aver capito l’ importanza di un canone che definisse chiaramente il nuovo culto in sostituzione di quello antico, ormai debole e inadeguato al fine pubblico. In pratica, furono necessari ben quindici secoli affinché si arrivasse ad una scelta definitiva con il concilio di Trento, svoltosi tra il 1545 e il 1463. Oggi, il Nuovo Testamento si basa su ventisette scritti, tra quattro Vangeli canonici, una cronaca, ventuno lettere e un testo premonitore. All’ inizio circolavano così tanti testi che fu necessaria una scelta in base ad un criterio certamente non sicuro: l’ ispirazione. Solo quei testi reputati scritti su ispirazione di Dio divennero ufficiali, quando le grandi comunità di Roma, Alessandria, Antiochia, Edessa, Gerusalemme e Costantinopoli sancirono la convergenza delle grandi Chiese su alcuni specifici punti dottrinali, un comune patrimonio di fede. Ma il lettore quanto il fedele devono sempre e comunque domandarsi quanto questa raccolta sia davvero fedele alla vita e alla parola di Gesù, dopo ben quattordici dai fatti.

Piazza San Pietro, sede del potere papale;


La Chiesa, sia essa cattolica, ortodossa, protestante e così avanti, è per tradizione la custode dell’ insegnamento di Gesù di Nazareth/il Cristo, che ha reso universale e missionario, atto alla salvezza di tutti gli uomini. I suoi chierici, da San Pietro in poi, ci hanno insegnato ad interpretare le parole del Salvatore e a praticarle nella nostra vita quotidiana. Ho spesso sentito gli anziani dire con convinzione che chiunque insegni qualcosa agli altri deve dare l’ esempio per primo: se si parla di virtù quali generosità, moralità, pazienza, perseveranza e saggezza si deve necessariamente metterle in pratica, altrimenti è solo un inutile chiacchierare. Lo stesso Gesù, in Matteo 23:2,3,4,5 dice: «Sulla cattedra di Mosè si sono seduti gli scribi e i farisei. Quanto vi dicono, fatelo e osservatelo, ma non fate secondo le loro opere, perché dicono e non fanno. Legano infatti pesanti fardelli e li impongono sulle spalle della gente, ma loro non vogliono muoverli neppure con un dito. Tutte le loro opere, le fanno per essere ammirati dagli uomini.». Può la Chiesa essere reputata un esempio integerrimo di fede sincera e amore per il prossimo? La storia ci lascia pochi dubbi in proposito: per molti secoli essa ha più volte galoppato qua e là per il mondo riversandovi un animo intransigente, dispotico, disposta a tutto pur di raggiungere i propri traguardi e imporre la propria visione, oltre la quale nulla era consentito. Nel papato hanno avuto luogo in più occasione corruzione e delitti tra convenienza e santità, e alla corte di più di un Santo Padre si sono fatti largo e siedono tuttora dignitari avidi e infidi. La «Santa Sede», un indubbio luogo di potere, tra profeti e profitti somiglia molto a quei sepolcri imbiancati che Gesù tanto condannava, tanto che il famigerato arcivescovo Paul Marcinkus, ex direttore dello IOR al tempo della bancarotta nel 1982 del Banco Ambrosiano gestito da Roberto Calvi, il «banchiere di Dio», disse: «Bastasse l’ Ave Maria a governare la Chiesa!». Sotto lo stesso aspetto dottrinale denota un grave settarismo e dogmatismo che si tende sempre a riconoscere soltanto negli altri credi, specie quello islamico, senza il minimo esame di coscienza, se pensiamo che il Concilio Vaticano II sostiene che per quanto anche le altre religioni detengano valori morali e verità, solo la Chiesa cattolica possiede la verità piena: convertirsi al Cristo, ovviamente quello cattolico, risulta quindi necessario per la salvezza, perché egli è la sola via di salvezza. Ecco perché ritengo personalmente assai nocivo per la mente e il cuore del fedele pendere dalle labbra dell’ ordine sacerdotale e reputare la Bibbia un libro di storia anziché di fede, tralasciandone le infinite modifiche di testo avvenute negli ventuno secoli.

Una delle più gravi e famose colpe della «Santa Chiesa» è l’ antisemitismo. Per ironia del destino, quel popolo eletto che aveva gettato le basi della fede in Dio e del messianismo si era visto rubare i principali concetti teologici per poi essere perseguitato e maltrattato in ogni modo per secoli e secoli, dopo aver perduto il proprio Paese per mano del conquistatore. Il costante avvicinamento della cristianità al mondo romano e al suo Impero fu la causa fondamentale dell’ odio contro gli ebrei, tuttora vivo in certi livelli della società nonostante l’ orrore dell’ Olocausto perpetrato dal regime nazista in Europa: con la diffusione della Buona novella oltre i confini della Giudea e l’ adesione di sempre più non ebrei, quindi con l’ allontanamento dalla radice israelitica che comportò la perdita di importanza della Torah, ebbe origine la controversia interpretativa tra cristiani ebrei e non ebrei, e poi tra cristiani ed ebrei, che subirono l’ accusa di deicidio, avendo ucciso il Figlio di Dio. Nel Credo cattolico si dice che Gesù patì sotto Ponzio Pilato, confermando la responsabilità romana nella Crocifissione, eppure, con la diffusione del Cristianesimo qua e là per l’ Impero, il lealismo verso l’ autorità di Roma portò ad attenuarne la responsabilità accentuando per contro quella ebraica: quando i discepoli divennero in larga parte non ebrei, essi orientarono molto del rancore che si provava verso i romani verso gli ebrei, colpevoli di non aver riconosciuto il Messia promesso loro da Dio e di averlo perseguitato e fatto giustiziare. Con l’ accentuarsi della controversia, nel Vangelo di Matteo, 27:25, fu inclusa la celebre e ignominiosa frase pronunciata dai sacerdoti del Tempio: «Il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli.». Secondo molti biblisti, persino la leggenda nera a cui è stato condannato Giuda Iscariota, il traditore per eccellenza, risponde ad un preciso movente antisemita, in quanto personificazione dell’ ebreo traditore per denaro: al lettore attento non dovrebbe sfuggire piuttosto il fatto che senza di lui, il Cristo non sarebbe morto e neppure risorto per togliere i peccati del mondo. Tutte le Chiese attualmente esistenti hanno quindi un enorme debito verso il «discepolo traditore», eppure per secoli hanno fomentato un atteggiamento così ostile che in occasione di problemi sociali quali crisi economiche ed epidemie indicarono i responsabili negli imperdonabili ebrei, proponendo a sovrani e autorità temporali di tutta l’ Europa la riduzione dei loro diritti civili e il loro confinamento nei ghetti, vietando loro la maggior parte dei mestieri a cui il comune cristiano aveva invece libero accesso, limitandoli così al campo del commercio, della finanza e dell’ usura in quanto animati dal «vil denaro» che spesso viene vituperato nelle Sacre Scritture e quindi malvisto dal pio cristiano. Ancora oggi, vi è lo stereotipo secondo cui essere ebrei sia uguale ad essere commercianti, finanzieri, banchieri e usurai: una responsabilità storica della Chiesa, che ancora non soddisfatta si spinse presto oltre insistendo per la loro espulsione e talvolta persino per la loro eliminazione fisica, come avvenne in occasione della cacciata della popolazione ebraica dalla Spagna cattolica alla fine del Quattrocento e dell’ istituzione del ghetto ebraico nello Stato pontificio nel 1555, che alla fine del Cinquecento arrivò ad espellere la comunità ebraica locale. Il solo modo per un ebreo di essere uguagliato ad un comune europeo era la conversione al Cristianesimo: l’ interpretazione corretta dell’ Antico Testamento non è quella ebraica, ma quella cristiana, che lo considera debitamente compiuto nella persona di Cristo, protagonista del Nuovo. Solo nel 1965 la dichiarazione Nostra Aetate ruppe finalmente l’ ostilità del Cattolicesimo verso gli ebrei, pur continuando a rigettarne l’ interpretazione religiosa. Solo una corrente della Chiesa, purtroppo ancora oggi minoritaria, sostiene che l’ Antico Testamento abbia un significato propriamente ebraico, che solo il popolo israelitico ha il potere di interpretare e applicare correttamente. E’ la triste conferma di quanto io stesso ripeto ormai da molti anni, fin dal 2004: da quando esiste un unico e vero Dio la gente ha sempre perseguitato e ucciso nel suo nome.

Pensando alla Chiesa, noi tutti oggi pensiamo a basiliche meravigliose sia per architettura che per profilo artistico e a chierici riveriti al loro passaggio, avvolti in paramenti sfarzosi, sapienti e circondati da un alone di santità, ligi al voto di celibato e castità sessuale. In città e nei piccoli paesi soprattutto, la popolazione aveva un rispetto molto particolare per loro, e li ammirava per la loro cultura, al punto da rivolgersi abitualmente al parroco anche per avere un consiglio circa i problemi della vita di tutti i giorni. Nell’ Ottocento e nella prima metà del Novecento, addirittura, il curato era spesso chiamato dalle famiglie più umili a leggere la loro posta e a scrivere le lettere, visto l’ elevato tasso di analfabetismo allora vigente. Il sindaco di un paese, al confronto, non era così tanto rispettato, essendo un uomo del popolo. Ma è sempre stato così? Nei primi secoli dell’ era cristiana, nelle prime comunità si pregava insieme e vi si affiancavano finalità pratiche di mutuo soccorso, di condivisione dei beni e aiuto ai più deboli. In genere erano rette da un sistema assembleare, con un organo collegiale che oggi chiameremmo consiglio di amministrazione, al cui interno emergeva l’ episcopo, che fungeva da sorvegliante e tesoriere. La figura del vescovo affermò gradualmente nel IV secolo, anche a Roma, quale funzionario addetto alla gestione anche economica della comunità: era sposato con figli, aveva una certa età con compiti dottrinali ma anche piuttosto pratici. Gli uomini sposati erano considerati i più adatti, perché visti come esempio di stabilità e moderatezza. Erano rispettati, ma più umili e ben lontani da un sistema rigido e inviolabile come quello odierno. Come mai i preti cattolici di un tempo potevano sposarsi e quelli di oggi no? In parte per ragioni dottrinarie, e in parte politiche. La tradizione del celibato nella Chiesa cattolica risale al Medioevo, tra il III e il IV secolo, quando i padri conciliari di Spagna la imposero ai loro preti su imitazione dei sacerdoti del Tempio di Gerusalemme, tenuti all’ astinenza sessuale con la moglie nel solo periodo in cui, a rotazione, servivano nel Tempio: considerato che, a loro modo di vedere, il sacerdozio cristiano è permanente, lo deve essere anche l’ astinenza. Solo secoli dopo questa miseranda logica, tanto trasgredita, si applicò per estensione a ogni sacerdote con la clericalizzazione dei monaci e in conseguenza della lotta per le investiture, che intorno all’ anno Mille contrappose papa Gregorio VII ed Enrico IV di Franconia, imperatore del Sacro Romano Impero, circa chi avesse il potere di nominare i vescovi, a cui venivano affidati in feudo territori strategici per l’ Impero se nominati dall’ imperatore. Anche se un vescovo aveva figli, questi erano esclusi dalla successione, per cui alla sua morte il feudo tornava al monarca che ne poteva nuovamente disporre. Frattanto, la Chiesa era divenuta enormemente ricca, e al suo interno non si faceva più carriera sulla base di meriti strettamente personali e spirituali, ma grazie al ceto sociale della propria famiglia: un candidato di famiglia nobile o alto borghese aveva infinite possibilità di officiare il culto con una carica elevata e in un centro importante grazie al prestigio e al denaro, che a un artigiano o un contadino invece mancavano. Non veniva mai mandato in uno sperduto paese di montagna come succede nel finale al protagonista di «Don Camillo». Quindi, nel XII secolo la Chiesa cattolica impedì definitivamente ai propri membri di sposarsi e avere rapporti sessuali, volendo impedire che le proprietà passassero dai chierici alle proprie famiglie.

Tale principio, in qualche modo, pare rafforzato dall’ atteggiamento strano che Gesù manifesta verso la propria famiglia in più di un passo dei Vangeli. Un comportamento che potrebbe essere visto come scettico, se non addirittura ostile. Ad esempio, nel Vangelo di Marco, 3:31, si legge che un giorno Gesù era in una casa con alcuni seguaci a cui stava insegnando: «Giunsero sua madre e i suoi fratelli, e, stando fuori, lo mandarono a chiamare. Tutto intorno era seduta la folla e gli dissero: ‘Ecco tua madre, i tuoi fratelli e le tue sorelle sono fuori e ti cercano.’. Ma egli rispose loro: ‘Chi è mia madre, e chi sono i miei fratelli?’. Girando su quelli che gli stavano attorno disse: ‘Ecco mia madre e i miei fratelli. Chi compie la volontà di Dio è mio fratello, sorella e madre.’.». Anche nel celebre episodio delle nozze di Cana, in Galilea, che secondo la tradizione fu l’ occasione in cui compì il suo primo miracolo, il Maestro ebbe una reazione curiosa verso madre e fratelli, a cui rispose ruvidamente. Stavolta il racconto è di Giovanni, 2:2: «Fu invitato anche Gesù con i suoi discepoli. Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: ‘Non hanno più vino.’. E Gesù rispose: ‘Che ho da fare con te, o donna? Non è ancora giunta la mia ora.’.». Alcuni storici pensano che nonostante la polemica famigliare, il rapporto tra madre e figlio, e figlio e fratelli, poggiasse comunque su di una base positiva. La Madonna e i fratelli potrebbero aver avuto molta importanza sia per Gesù che per la prima generazione di discepoli, infatti subito dopo la Crocifissione si trattenne a Gerusalemme, insieme agli undici apostoli. Gli Atti degli Apostoli 1:14 sono chiari: «Tutti costoro erano assidui e concordi nella preghiera, insieme ad alcune donne e con Maria, madre di Gesù, e i fratelli di lui.». E oltre a lei vi fu «Giacomo, fratello del Signore.», un personaggio citato nei Vangeli e nelle lettere di San Paolo, che all’ inizio non comprese il messaggio del fratello ma che poi divenne rapidamente un caposaldo della comunità di Gerusalemme, forse proprio grazie alla sua stretta parentela. Una figura che solo in apparenza urta con il dogma della Chiesa circa la figliolanza unigenita di Gesù, poiché essa è riferita a Dio e non alla Madonna.

Libero pensatore in contemplazione dell’ infinito;


Nel Vangelo di Giovanni, 8:32, leggiamo: «Conoscerete la verità, e la verità vi farà liberi.». Conoscere la verità è molto importante, ma la conoscenza da sola non basa: la verità deve poi essere capita. E per questo occorre sempre confrontarsi in modo attento con tutto ciò con cui entriamo in contatto, e che ci viene insegnato. L’ analisi logica e l’ esperienza sono il valore fondamentale della nostra crescita personale, dalla culla alla tomba: mai accettare le cose per vero solo perché ce le insegna una guida carismatica, occorre piuttosto valutarle e accettarle solo se ci sembrano coerenti e ci fanno del bene. Altrimenti, è meglio lasciarle perdere. Questo vale soprattutto per la religione, che nel nostro mondo è ovunque e tutti noi, in un modo o nell’ altro, entriamo in contatto con essa. Se letta con neutralità anziché con fede, la Bibbia si presenta come un libro truculento, colmo di atrocità. E’ soprattutto il crudo racconto della vita di persone che vissero in un passato lontano, e che si reputavano il popolo eletto da Dio. Distinguevano il bene dal male senza però rispettare una morale precisa. Non ci si dovrebbe meravigliare se la «parola di Dio» abbia prodotto persone intransigenti, oppressive e moralmente discutibili sull’ esempio di Dio stesso, essere dal carattere tremendo che in Esodo 20:5 si definisce «un Dio geloso, che punisce le colpe dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione, per quelli che mi odiano», o di Mosè, che dopo aver sorpreso gli israeliti adorare il vitello d’ oro bruciò l’ idolo, lo ridusse in polvere, lo sparse nell’ acqua e costrinse gli israeliti a berne per poi ordinare ai figli di Levi di «uccidere ognuno il proprio fratello, ognuno il proprio amico, ognuno il proprio parente», provocando la morte di circa tremila persone in un solo giorno, senza dimenticare Davide, che mandò a morire l’ amico Uria per sposarne la moglie Betsabea, o Salomone, che al culmine della propria potenza si concesse l’ idolatria e la vanità dei piaceri e della vita. Anziché dire: «Parola di Dio», dovremmo dire: «Così ho udito.». Dopo secoli di persecuzioni, i cristiani salirono al potere e furono crudeli quanto i propri persecutori del passato scagliandosi contro gli ultimi pagani che rifiutavano il loro credo e poi contro altri cristiani che coltivavano interpretazioni diverse dalla dottrina incoraggiata da chi era al potere. Le vittime di ieri divengono carnefici oggi. L’ Inquisizione, istituita da papa Gregorio IX nel 1231, rappresenta un esempio incontrovertibile del principio: fu uno dei più diabolici mezzi di coercizione mai concepiti dall’ umanità, e ciò che ai miei occhi la rende intollerabile è che fu ispirata dal Santo Padre in persona, l’ uomo più santo al mondo in quanto vicario di Cristo in questo mondo, che la indicò come «opera di Dio». Le vittime, prevalentemente donne, ebrei e critici, venivano arrestate e torturate senza pietà fino alla piena confessione dei propri crimini e peccati, che al tempo erano la stessa cosa. I prigionieri venivano unti di lardo o grasso, e poi arrostite vive lentamente. Furono usati forni crematori nell’ Europa orientale, divenuti famosi nel XX secolo a causa del Terzo Reich. Migliaia e migliaia di non cristiani furono macabramente e ripugnantemente torturati in nome di Dio e Gesù. Pur di non subire altre torture, i prigionieri ammettevano atrocità quali la venerazione del Maligno e la partecipazione alle orge con i demoni, quindi gli inquisitori consegnavano i malfattori alle autorità temporali che poi li bruciavano al rogo purificatore, o più raramente li impiccavano. Le loro proprietà, infine, venivano confiscate dalla Chiesa, che molto cinicamente lasciava le rispettive famiglie nel lutto e nella povertà. L’ Europa soccombeva e i papi prosperavano.

La Chiesa di Roma ha affermato che nessun uomo può essere salvato al di fuori della sua fede, tanto che nel 1572, a seguito del massacro in Francia di oltre diecimila protestanti in occasione del giorno di San Bartolomeo, papa Gregorio XIII scrisse: «Ci rallegriamo che il mondo sia stato liberato da quegli eretici sciagurati.». Ma io dico che è ormai l’ ora di andare oltre i concetti del passato e smettere di leggere la Bibbia come un libro indubitabile. Occorre sfogliarla come un testo teologico e valutarne le idee e le interpretazioni unicamente con il lume della nostra saggezza personale. La dottrina supera il maestro, e ciascuno di noi è il maestro di sé stesso. Affidarsi ad una guida spirituale carismatica, per quanto qualificata, è dannoso perché in tal modo rinunciamo alla nostra libertà di scegliere e pensare, e presto o tardi ci ritroviamo alla mercé di imbroglioni coinvolti in faccende poco limpide. Il concetto acquista più forza di fronte alla dottrina del peccato originale, presente fin dall’ inizio della Bibbia, nel libro della Genesi, secondo cui Adamo ed Eva mangiarono il frutto dell’ albero della conoscenza del bene e del male acquisendo coscienza e divenendo razionali. Conobbero il bene e il male, divenendo morali, ed ecco che vennero condannati ad una vita dura e dolorosa, ma con un che di positivo perché produttiva, e a desiderare, acquisendo peraltro la capacità del godimento sessuale. I mali per cui i nostri bravi preti da tempo immemorabile condannano tanto l’ umanità sono la ragione, la morale, la creatività e la gioia: quegli stessi valori che danno un senso alla vita umana. Come continuare a sostenere una visione così negativa?