venerdì 24 marzo 2023

La mancante laicità dello Stato italiano

Il Vaticano visto dal Tevere;


«Credo che molti si aggrappino alla religione non perché sia consolante, ma perché sono vittime del nostro sistema educativo, che non ha offerto loro la possibilità di una visione laica della vita.» tratto da «L’ illusione di Dio», di Richard Dawkins;


In ambito politico si afferma che per assicurare la democrazia è fondamentale la presenza di più partiti che, ciascuno con la propria particolare visione, diano vita ad uno scambio di idee tale da migliorare la risposta del governo ai bisogni e ai problemi della nazione in modo pacifico e civile, rivolgendosi in egual misura all’ intera cittadinanza, senza esclusivismi. Tale atteggiamento di apertura e stimolo alla presenza e allo scambio di più opinioni che portino ad un’ efficace azione comune a beneficio del maggior numero possibile di persone è così positivo da essere tipico non solo della politica, ma di ogni ambito della vita umana: laddove esistono le persone, singoli o gruppi, ogni cosa deve essere soggetta alla libera espressione e al confronto tra diverse forme di esperienza a vantaggio dell’ interesse generale, oltre quello particolare.

Negli ultimi cinquecento anni, questo grande valore si è fatto sempre più strada anche in ambito religioso per mezzo del processo di laicizzazione, ossia lo svincolamento della cultura e della politica dalla religione, che ebbe inizio con la rottura dell’ unità spirituale dell’ Europa cristiana con la Riforma protestante di Martin Lutero nel Cinquecento. Il termine laicità deriva dal greco antico laïkós, ovvero «del popolo», spesso inteso come «vivente tra il popolo secolare e non ecclesiastico». La netta separazione tra religione, riguardante la sfera privata della coscienza personale, e politica, che invece tocca l’ ambito collettivo del diritto e delle istituzioni civiche, è una condizione fondamentale per organizzare più agevolmente la convivenza umana nel rispetto del pluralismo e della tolleranza: una democrazia non può mai essere completa se manca di laicità, poiché lo Stato, realtà a cui tutti indistintamente appartengono oltre le varie e legittime differenze del singolo, deve richiamarsi a principi e valori che siano riconosciuti e condivisi da tutti, pertanto indipendenti da un particolare credo religioso, che per sua natura è tipico di una parte soltanto della collettività. La laicità dello Stato e delle sue leggi e istituzioni implica il riconoscimento di eguali diritti ad ogni confessione e credenza presenti sul suo territorio, in un atteggiamento super partes da un lato atto ad impedire intrusioni del potere politico nella sfera privata della coscienza dell’ individuo, e dall’ altro intento a favorire la promozione di valori universali in cui tutti possano riconoscersi indipendentemente dall’ orientamento religioso. E’ un principio così benefico che difende sia l’ autonomia di uno Stato dagli interessi particolari di un ordine sacerdotale che una fede dalla ragion di Stato, peraltro sottraendo scienza e conoscenza dai valori religiosi, dell’ ideologia e da pregiudizi di qualsivoglia provenienza.

Il Crocifisso, simbolo della cristianità;


Nel mondo moderno può ormai apparire non più necessario continuare a discutere sul valore della laicità, dato che oggi in Italia ci sono italiani cattolici che convivono con altri che aderiscono alle altre scuole di pensiero cristiano, addirittura con agnostici o atei, e persino con convertiti ad altre tradizioni, come Ebraismo, Islam, Induismo, Buddhismo e così via discorrendo, ma in realtà, purtroppo, nel nostro Paese la laicità statale continua ad essere più apparente che reale in quanto il potere politico subisce ancora l’ influenza di quello sacerdotale, con la Chiesa cattolica che si avvale di una forte autorità morale in quanto detentrice dell’ insegnamento di Gesù Cristo, in una situazione che confuta fortemente l’ idea di neutralità religiosa dal momento che «l’ Europa ha radici cristiane», come più volte chiaramente affermato da molte importanti personalità, primo tra tutti il fu Papa Benedetto XVI, il pontefice recentemente venuto a mancare che durante il suo lungo sacerdozio è sempre stato fermamente convinto che l’ ideale cristiano avesse il potere di estendersi ovunque, e quindi fosse tenuto a farlo per confermare «i giusti valori» contro «il pericolo del relativismo». Fin dalla caduta dell’ Impero romano, nel 476, i sacerdoti cattolici di ogni livello hanno sempre goduto di un potere sia spirituale che politico straordinariamente elevato, sostenendo apertamente che nel Vangelo sia riferito tutto ciò che valga la pena di sapere, e che la vita in questo mondo debba necessariamente essere la preparazione di quella nel prossimo: questo mondo è stato creato da Dio, che ha stabilito i valori fondamentali dell’ esistenza per i quali Cristo si è incarnato come semplice uomo. Non vi è quindi stacco tra vita terrena e quella spirituale, pertanto politica e religione devono essere tutt’ uno!

Sulla riva occidentale del fiume Tevere, a nord del centro di Roma, si trova la Città del Vaticano, il più piccolo Stato sovrano al mondo sia per popolazione che per estensione territoriale, una città-Stato senza sbocco sul mare retta da una monarchia assoluta teocratica. Il papato, nei secoli passati cuore di tutta la cristianità e oggi del Cattolicesimo, presentato enfaticamente come la pura dottrina di Cristo, superiore alle altre forme di Cristianesimo, ha la propria sede praticamente al centro della capitale d’ Italia. Durante il Risorgimento, la breccia di Porta Pia del 20 settembre 1870 da parte dell’ esercito italiano decretò la fine dello Stato Pontificio quale entità storica e politica. Il governo presieduto dal Conte Camillo Benso di Cavour fece della città la terza e definitiva capitale della neonata nazione dopo Torino e Firenze. Il Santo Padre, forte di un’ enorme influenza sia spirituale che politica su tutta l’ Europa cattolica, perse la propria dignità di Papa Re, e ne conseguì un animato terremoto politico che compromise gravemente i rapporti tra Stato e Chiesa, tanto che Papa Pio IX rifiutò di riconoscere lo Stato italiano e impedì ai cattolici di partecipare alla vita civile del Regno con il famoso non expedit, infliggendo poi la scomunica a Casa Savoia, da Re Vittorio Emanuele II ai suoi successori, insieme a chiunque partecipasse alla politica italiana. La scomunica venne ritirata solo in punto di morte del Sovrano: quando seppe della ormai imminente scomparsa del monarca sabaudo volle inviare al Quirinale un sacerdote affinché gli accordasse i sacramenti. Fu invece il cappellano di Corte a officiarli, poiché si temeva che dietro la generosità del Santo Padre si nascondessero scopi segreti. Solo la convalida dei Patti Lateranensi dell’ 11 febbraio 1929, in piena dittatura fascista, portò alla ricomposizione della frattura tra potere temporale e ordine spirituale.

In Italia, ben più che in altri Paesi europei e occidentali, quando si parla di religione e politica si citano due fattori fortemente intrecciati tra loro. Sarà per la presenza fisica al centro di Roma del Vaticano, che da sempre riserva una particolare attenzione al circostante Belpaese, piuttosto che per un clero italiano così predisposto ed esteso sul territorio da vantare molti e precisi interessi da difendere accanto ai tradizionali valori che insegna, o ancora per la debolezza delle istituzioni repubblicane che spesso avvertono l’ esigenza di tener conto di che cosa il Cattolicesimo rappresenti per la nazione. Come se la politica non potesse avere vita autonoma e indipendente dalla religione, dovendo costantemente fare i conti con essa, e come se il Cattolicesimo non potesse esentarsi dallo svolgere un ruolo particolare in ambito politico! Queste dinamiche sono tuttora fortemente presenti in Italia, alimentando il confronto su come in parte lo Stato debba comportarsi in una società che si scopre di giorno in giorno sempre più variegata, vedendo aumentare accanto alla fede maggioritaria sia tradizioni religiose diverse che gruppi di popolazione laici o irreligiosi, e in parte su come debbano agire nella società multicolore le stesse confessioni religiose, quella prevalente inclusa, che nello svolgimento della propria funzione non possono ignorare le numerose alternative e i riferimenti culturali che caratterizzano il giorno d’ oggi. Si presenta pertanto in tutta la sua complessità la questione della laicità in Italia, un fenomeno complesso eppure necessario per assicurare quell’ equilibrio che ogni democrazia decente vede tra sfera religiosa e secolare, improntato su di un leale e reciproco rispetto dei rispettivi ambiti di pertinenza.

 

Un chierico ad una inaugurazione pubblica;

La «laicità all’ italiana», come spesso viene definita, si fonda su varie insidie, se non addirittura contraddizioni, come di recente è stato confermato dalla cronaca con la reazione papista in occasione del dibattito sul disegno di legge presentato dal deputato Alessandro Zan durante la XVIII legislatura della Repubblica e approvato nel novembre 2020 alla Camera per poi rimanere bloccato in Senato. Il provvedimento prevede aggravanti specifiche in sede tribunalizia per i crimini d’ odio e discriminazioni contro omosessuali, transessuali, donne e disabili, ma ha alimentato accese discussioni. Sono state richieste importanti modifiche, a cui ha risposto in Parlamento il Presidente del Consiglio dei ministri, Giuseppe Conte, il quale ha affermato che «l’ Italia è uno Stato laico» e che «il nostro ordinamento contiene tutte garanzie per rispettare gli impegni internazionali tra cui il Concordato». Indipendentemente dall’ assenza di un’ affermazione chiara in sede costituzionale sulla laicità dello Stato, a cui la giurisprudenza ha cercato di porre rimedio tramite una serie di sentenze della Corte costituzionale, come la 440 del 1995, la 334 del 1996, la 329 del 1997 e la 508 del 2000, è l’ Articolo 7 della Costituzione che rappresenta, sin dal 1948, il perno della laicità che il Conte di Cavour ben definì con la celeberrima espressione «libera Chiesa in libero Stato» nei discorsi tenuti tra i mesi di marzo e aprile del 1861 al primo Parlamento italiano.

Dopo una lunga e attenta discussione etica e politica, l’ Assemblea Costituente, il celebre organo legislativo preposto alla stesura della nuova Costituzione nazionale all’ indomani del voto referendario del 1946 tra Monarchia e Repubblica, trovò una soluzione per la regolazione dei rapporti tra la nascente Repubblica e la Chiesa cattolica nella promulgazione dell’ Articolo 7, che recita: «Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Le modificazioni dei Patti, accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale.». A questo seguì l’ Articolo 8: «Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge. Le confessioni religiose diverse dalla cattolica hanno diritto di organizzarsi secondo i propri statuti, in quanto non contrastino con l’ ordinamento giuridico italiano. I loro rapporti con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze.». E’ bene ricordare che la Costituzione è la legge specifica che regola il funzionamento dello Stato, di conseguenza qualunque altra fonte legislativa, Parlamento compreso, non può concepire norme in contrasto con la Carta costituzionale stessa, pena la loro abrogazione per incompatibilità costituzionale. Tuttavia, dato che sulla base dell’ Articolo 7 i rapporti tra Stato e Chiesa sono regolati dai Patti Lateranensi, essi sono da considerarsi parte a tutti gli effetti della legge fondamentale della Repubblica, godendo peraltro di uno statuto privilegiato non essendo necessario un processo di revisione costituzionale ordinario, sulla base dell’ Articolo 138 della stessa Costituzione, ma un semplice accordo tra le due parti interessate. I Patti Lateranensi furono rivisti, dopo lunghissime e difficili trattative, nell’ Accordo di Villa Madama, stipulati il 18 febbraio 1984 al fine di rimuovere la clausola che faceva del Cattolicesimo la religione di Stato in Italia. La rinegoziazione pose fine allo status di religione di Stato di cui il Cattolicesimo godeva, eppure questo continua a vantare ancora oggi una posizione di privilegio rispetto a qualunque altra fede religiosa, che consente alla Chiesa di Roma di intervenire con importanza nelle questioni di natura prettamente interna riguardanti la politica e la società dello Stato italiano. L’ Articolo 2 del Concordato del 1984 recita: «La Repubblica italiana riconosce alla Chiesa cattolica la piena libertà di svolgere la sua missione pastorale, educativa e caritativa, di evangelizzazione e di santificazione. In particolare, è assicurata alla Chiesa la libertà di organizzazione, di pubblico esercizio del culto, di esercizio del magistero e del ministero spirituale nonché della giurisdizione in materia ecclesiastica». Tradotto, se in Italia fosse considerata la proposta di una legge atta a promuovere valori non contemplati o addirittura contrari a quelli tanto cari alla Chiesa cattolica, essa sarebbe da reputarsi incostituzionale. E l’ Articolo 4 del disegno di legge Zan, di fatto, urta la concezione eterosessualista e procreativista che è da sempre caldeggiata dal magistero. Ne segue che, finché il Cattolicesimo continuerà a insegnare che tra eterosessualità e omosessualità sussiste una differenza e che la seconda è peccato, agli occhi dell’ Articolo 4 del disegno di legge Zan tale ottica è discriminatoria e pone un gigantesco conflitto sia culturale che giuridico tra Stato e Chiesa. Il Concordato del 1984 riconosce alla Chiesa cattolica la piena libertà di esercizio del suo magistero, il quale però pone un forte freno allo sviluppo culturale, sociale e giuridico dello Stato.

I Patti Lateranensi e le loro modifiche quindi sono quindi qualcosa di molto più di un semplice trattato internazionale: essendo stati inclusi nella Costituzione, ne sono divenuti un valore vincolate. Ogni cittadino italiano, sia egli credente, non credente o diversamente credente, deve farci i conti. La questione è pertanto assai più complessa di quanto generalmente si pensa. In Italia la laicità è assolutamente mancante e generica a netto vantaggio della Chiesa cattolica, solo a parole la Repubblica può vantare il proprio secolarismo. La Costituzione repubblicana è incatenata e depotenziata da una forte incoerenza logica e giuridica, la cui soluzione ideale sarebbe l’ annullamento dei Patti Lateranensi partendo da una proposta di emendamento dell’ Articolo 7, e proporre una normativa più chiara e dettagliata che stabilisca il giusto confine tra potere spirituale e politico.

 

Il 19 aprile 1989 la Gazzetta ufficiale pubblicò la sentenza della Corte costituzionale numero 203, in cui per la prima volta si stabilì che il principio di laicità è supremo, al pari di altri valori come quello della dignità della persona. Un passo davvero importante, addirittura storico. Fino a cinque anni prima il Cattolicesimo era la religione di Stato. Solo con tale delibera si parlò per la prima volta in Italia di laicità nell’ ambito dell’ ordinamento dello Stato, benché il Risorgimento così come il Conte di Cavour lo aveva concepito nell’ Ottocento fosse animato da ideali chiaramente anticlericali. Attualmente, però, bisognerebbe riflettere a proposito di un Belpaese in cui i politici sventolano i Vangeli, come il leghista Matteo Salvini durante i suoi comizi, mentre negli edifici pubblici è ancora ben chiaramente esposto il Crocifisso. Laicità implica un’ autonomia decisionale non vincolata da norme confessionali: l’ autorità che governa una nazione non dovrebbe quindi essere condizionata da qualsivoglia valore religioso, ma morale ed empirico. Ovviamente, i nostri politici sono in maggioranza cattolici, e questo non è un problema: in occasione della legge sull’ aborto del 1978 i politici cattolici accettarono un compromesso inserendo l’ articolo sull’ obiezione di coscienza. Anche se oggi lo si attua spesso e in modo sconsiderato, non è stata usata una legge per affermare un valore religioso. In questi anni si è assistito a un aumento delle già forti intromissioni sacerdotali in questioni riguardanti lo Stato. Uno degli esempi più importanti riguarda la campagna referendaria per la modifica della legge sulla procreazione assistita del 2005, quando le gerarchie ecclesiastiche promossero la tesi della superiorità dell’ embrione a discapito della salute della madre. Per non parlare delle campagne ideologiche da loro incoraggiate per negare i diritti agli omosessuali, o ancora a chi voleva regolamentare il fine vita. Il Parlamento si è costantemente espresso con prudenza: si direbbe che la politica cerchi di rincorrere la Chiesa, impoverendo lo spirito della Costituzione e dimostrando la debolezza di uno Stato che si fa scudo con la religione. Il fatto è che gli esponenti della Chiesa cattolica hanno certamente il diritto di esprimere il proprio pensiero in temi di carattere civile, altra questione però è incitare i fedeli ad azioni politiche, soprattutto rigidamente ostili al progresso culturale e sociale. Questo vale quando il Santo Padre si esprime sull’ aborto, ma anche sulla questione dei migranti: il confine evidentemente è labile ma spetta ai politici il compito di governare la nazione e condurla lungo il sentiero della democrazia, della civiltà e della modernità.

In Italia siamo abituati a sentire il parere della Chiesa su qualsivoglia argomento. Sembra normale, tuttavia il concetto di laicità è inteso diversamente a seconda della forma mentis della singola persona. Insomma, la laicità in Italia non vive affatto un momento prospero: la Repubblica è uno Stato a sovranità limitata, e il Vaticano, forte della sua posizione geografica e della preminenza che il Cattolicesimo vanta nella storia e cultura del Belpaese, nei suoi confronti non sta certo con le mani in mano. Anzi, le usa entrambe: una aperta a palmo largo per ricevere offerte, e l’ altra intenta a suonare manrovesci alla politica, soprattutto in occasione dei risultati di vari referendum, come quello sul divorzio nel 1974, sull’ aborto nel 1981, nel 2005 per la già citata questione dell’ abrogazione della legge sulla fecondazione assistita e infine sull’ ostacolo all’ adozione della legge sull’ eutanasia. E cardinali come Camillo Ruini, fermamente convinto della necessità di una presenza della Chiesa e dei cattolici nel mondo della cultura, svolgono il duplice ruolo di guide sia spirituali che politiche: lo stesso Ruini è stato apertamente contestato da componenti laiche e non della politica italiana, che pur giudicando inerente alla missione ecclesiastica l’ interesse per questi argomenti, hanno discusso il settarismo e la pretesa di universalità di alcune sue esternazioni, ritenendo che su certi argomenti il messaggio della Chiesa non debba entrare nello specifico della legislazione di uno Stato sovrano, ma limitarsi a indicazioni di carattere generale e senza imporre per legge le prescrizioni di un’ ideologia o fede particolare. In seguito, Papa Benedetto XVI ha più volte bollato come «relativismo etico» tutto ciò che non aderisce ai dettami catechetici, «un lasciarsi portare qua e là da ogni vento di dottrina» fino ad arrivare a essere una dittatura «che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie». L’ influenza morale della Chiesa sulla società civile italiana ha conseguenze più che evidenti con cui la cittadinanza deve fare i conti: l’ aborto è legalizzato, ma è spesso difficile accedervi a causa delle dimensioni del fenomeno dell’ obiezione di coscienza. L’ eutanasia è vietata, ma è ammesso il testamento biologico, oggetto di forte discussione in quanto eticamente sensibile tra varie correnti di pensiero di tipo radicale di ispirazione cristiana sull’ eutanasia e di forte privazione della libertà di scelta sulla propria vita. L’ accesso fecondazione artificiale è pesantemente limitato dalla legge. Per le coppie di fatto, anche omosessuali, esiste un riconoscimento di legge a partire dal 2016, sebbene debba essere ancora perfezionato. Il divorzio è consentito, eppure i tempi per ottenerlo sono lunghi quando vi sono beni e figli in comune. Il vilipendio è considerato un reato.

 

Matteo Salvini esibisce i Vangeli a un comizio;

Che l’ Italia e la Chiesa cattolica avrebbero avuto una convivenza scomoda fu subito chiaro ai padri risorgimentali. Nel suo primo discorso in Parlamento dopo l’ unità nazionale, il Conte di Cavour parlò di Roma come la naturale e necessaria capitale del nuovo Regno, confermando l’ idea della libera Chiesa in un libero Stato. Una sorta di contratto con gli italiani, ma anche in questo caso le promesse furono piuttosto azzardate: la storia italiana è piena di intromissioni sempre meno appropriate da parte della Chiesa in politica; che fosse l’ omelia in dialetto del parroco di paese o la nota ufficiale del pontefice, le parole del mondo cattolico hanno spesso rallentato, invalidato, favorito, fatto e disfatto. E l’ Italia, il più delle volte, ha ascoltato. E quando il Santo Padre o i cardinali non si esprimono apertamente, ci pensano i gruppi influenti di ideali cattolici a manovrare leggi e iniziative sociali, ritardando intollerabilmente il Paese su temi sociali rispetto al resto d’ Europa. Più in generale, il problema riguarda il rapporto tra la libertà di tutti e il dogma dell’ infallibilità pontificia. Per mezzo secolo in Italia ha avuto un ruolo onnipervasivo il partito politico della Democrazia Cristiana, fondato nel 1943 e attivo fino al 1994, retto da ideali religiosi e sostenuto apertamente dalla Chiesa cattolica, in opposizione al Partito Comunista Italiano. In occasione della campagna referendaria del 1974 in tema di divorzio, fu emblematico l’ intervento di Amintore Fanfani, figura storica della DC, essendo stato per cinque volte Presidente del Senato e per sei Presidente del Consiglio dei ministri: «Dopo il divorzio verrà l’ aborto, poi il matrimonio tra omosessuali e magari un giorno vostra moglie scapperà con la serva!». E la Chiesa, allora guidata da Papa Paolo VI, scese in campo con tutte le sue forze politiche e sociali, ma dovette incassare il colpo della sconfitta e il divorzio divenne realtà.

Gli esempi sulla mancante laicità nello Stato italiano, purtroppo, sono davvero tanti. Il più famoso per eccellenza riguarda il Crocifisso nei luoghi pubblici, come scuole, aule di tribunale e ospedali. Con le disposizioni emanate in epoca fascista, per la precisione tra il 1924 e il 1928, la presenza del Crocifisso trovò una base giuridica che le successive novità legislative non scalfirono, benché la Costituzione del 1948 sancisca l’ eguaglianza delle religioni di fronte alla legge e nonostante numerose sentenze della Corte Costituzionale riaffermanti la laicità dello Stato e la supremazia dei valori costituzionali nell’ interesse generale. Negli ultimi anni sono state espresse molte richieste di rimozione, ma ognuna è stata respinta nella convinzione che il Crocifisso sia parte del patrimonio storico e culturale italiano, sebbene il nostro retaggio non poggi esclusivamente sul Cristianesimo: l’ Occidente, Italia compresa, poggia soprattutto su basi culturali celtiche, greche e romane, pertanto il Cristianesimo, sorto in epoca romana e diffusosi dapprincipio nelle province di lingua e cultura greca, si adeguò a tali schemi privandosi dei fondamenti ebraici originari fin dall’ insegnamento di San Paolo. La cristianità e i suoi simboli e valori sono solo una piccola parte della nostra civiltà, nonché la più recente e la sola a godere di tanta visibilità. In uno Stato laico, nella piena attuazione di una Costituzione che non prevede religioni di Stato, la presenza di simboli religiosi è una contraddizione, un privilegio senza giustificazione per il Cattolicesimo. Essendo chiaramente assurdo concepire la presenza dei simboli di tutte le religioni ammesse visto il loro grande numero, la via più logica da percorrere è la rimozione del Crocifisso dagli edifici pubblici alla pari di ogni altra icona spirituale. La presenza nei tribunali è poi ancora più inconcepibile, in quanto abbinata al concesso secondo cui la legge è uguale per tutti: come può sentirsi giudicato serenamente un italiano di fede ebraica dinnanzi a magistrati con un Crocifisso cristiano che troneggia alle loro spalle? O uno musulmano? O ancora uno induista o buddhista? Senza contare che, per gli stessi cattolici, la crocifissione di Gesù Cristo fu un’ ingiustizia! In passato vi sono state diverse interrogazioni parlamentari, presentate chiedendo chiarimenti sulla presenza del Crocifisso nei luoghi pubblici: nel 1996 fu la volta dei senatori del PDS, e sulla scia della vicenda Montagnana nel 2000 vennero presentate altre due interrogazioni parlamentari, una da parte dei DS, e l’ altra dei Verdi, ma nessuna di queste ottenne mai risposta.

Un discorso vale anche per l’ ora di religione cattolica a scuola. Esiste per via dell’ Accordo di Villa Madama. Nella legislazione postunitaria l’ insegnamento era previsto solo per le scuole elementari, affidate ai comuni. Nel 1923 il primo Governo Mussolini lo rese obbligatorio con la riforma della scuola. Con i Patti Lateranensi lo si introdusse anche nelle scuole medie e superiori, quale «fondamento e coronamento dell’ istruzione pubblica». Nelle modifiche concordatarie del 1984 la formula venne mutata: «La Repubblica italiana, riconoscendo il valore della cultura religiosa e tenendo conto che i principi del Cattolicesimo fanno parte del patrimonio storico del popolo italiano, continuerà ad assicurare, nel quadro delle finalità della scuola, l’ insegnamento della religione cattolica nelle scuole pubbliche non universitarie di ogni ordine e grado.». Un protocollo addizionale sancisce: «E’ impartito in conformità della dottrina della Chiesa.». E’ pertanto chiaro che l’ ora di religione serve esclusivamente alla Chiesa cattolica per insegnare la propria religione, cosa che sarebbe più opportuno fare nelle proprie parrocchie durante il catechismo. E’ possibile insegnare anche le dottrine delle altre religioni, ma soltanto da un punto di vista cattolico. Come prescrive il Codice di diritto canonico: «L’ Ordinario del luogo si dia premura che coloro, i quali sono deputati come insegnanti della religione nelle scuole, anche non cattoliche, siano eccellenti per retta dottrina, per testimonianza di vita cristiana e per abilità pedagogica.». Gli insegnanti di religione nelle scuole pubbliche sono scelti dai vescovi ma pagati dai contribuenti. Lo Stato è talmente escluso da questo insegnamento che lo stesso Luigi Berlinguer, Ministro della pubblica istruzione tra il 1996 e il 2000, in un’ intervista a Famiglia Cristiana, sostenne di non sapere bene cosa effettivamente si insegni durante l’ ora di religione...

Un’ affissione municipale;


Quando l’ Italia era uno Stato confessionale, il servizio pubblico televisivo si limitava alla messa domenicale e a un sermone il sabato antecedente, in un meritevole atteggiamento misurato. Oggi pare vero l’ esatto contrario: in un Paese laico e ormai largamente scristianizzato, la RAI attribuisce un’ enfasi colossale agli ambienti papisti e alle questioni religiose. La figura del pontefice gode di ampio risalto, tra ciò che riguarda la sua salute e le sue affermazioni anche su questioni minori. In occasione dei suoi viaggi per il mondo è seguito da uno stuolo di telecronisti. Nell’ ora di massimo ascolto imperversano sceneggiati sui protagonisti del racconto biblico ed evangelico, prodotti con un copioso investimento e che riscuotono elevati profitti: i consulenti che garantiscono il rispetto della dottrina si fanno pagare profumatamente, e i divi non fanno sconti sulle tariffe. In essi, peraltro, i patriarchi ottantenni sono spesso interpretati da attori ben più giovani e prestanti, segno che i consulenti non prestano la dovuta attenzione all’ aderenza della realtà storica se la narrativa già aderisce ai valori che è chiamata a promuovere. Non sempre però gli ascolti sono quelli sperati, non superando il più delle volte il quinto della popolazione: una produzione dedicata a Padre Pio, ad esempio, ha avuto ascolti inferiori a quelli del Grande Fratello. Nei salotti e nei dibattiti la presenza di un sacerdote, anche sui temi più distanti dall’ evangelizzazione, non manca mai: talvolta sono anche più di uno, magari tra gli ospiti che commentano le partite della squadra del cuore. Le rare volte in cui il dibattito presenta un confronto tra esponenti di fedi diverse, mancano rappresentanti dell’ ateismo che espongano un parere non religioso. Non stupisce che, nel corso di un dibattito tra giornalisti televisivi, Michele Santoro abbia potuto commentare nel silenzioso assenso degli intervenuti che «non è facile definire la linea politica di questo o di quel canale: evidente è invece l’ influenza del Vaticano su tutti i canali.». Il clericalismo della RAI è tale che, nell’ agosto 2014, l’ UAAR, ossia l’ Unione degli Atei e degli Agnostici Razionalisti, chiese l’ intervento della Commissione parlamentare di vigilanza. Ma la risposta fu che la TV di Stato non ha nessun obbligo normativo di assicurare un vero pluralismo.



Purtroppo, in Italia la laicità dello Stato è più irreperibile di un partigiano alla macchia in montagna ai tempi della Repubblica di Salò. La religiosità di un popolo è qualcosa di assolutamente legittimo, legato alla sua particolare cultura, unica e irripetibile, tuttavia essa non può pretendere di influenzare la più ampia e dinamica realtà di un governo e il relativo sistema legale. Un dogma o una divinazione non hanno il diritto di influenzare le disposizioni di un governo e le leggi di un Parlamento. Questo è avvenuto nelle teocrazie. Oggi gli italiani sono un popolo culturalmente molto più differenziato di un tempo per via di una maggiore istruzione che ne ha reso la mentalità più flessibile, cosa che si è ripercossa anche sul piano della religione, da cui sono più lontani o che vivono in maniera differente in confronto a una volta, eppure in Italia la giornata del non credente e del diversamente credente è costellata da continue sollecitazioni di origine cattolica e tradizionale che influenzano la sua attenzione. Qualcuno dirà che ciò è inevitabile, vivendo in un Paese convenzionalmente cattolico, ma in realtà il Belpaese è solo in parte cattolico: i praticanti sono una minoranza, è invece la Chiesa che, non volendosi arrendere a tale evidenza e mancando di rispetto verso chi non segue le sue verità indiscutibili, tende a infiltrarsi in ogni ambito della vita italiana come una tossina in tono con la sentenza del Dictatus Papæ di Papa Gregorio VII nel 1075, tuttora in vigore in Vaticano: «La Chiesa romana non ha mai sbagliato né mai in futuro sbaglierà, come testimonia la Sacra Scrittura.». In secondo luogo, questa massiccia sovraesposizione religiosa non è quasi mai giustificata: è solo frutto dell’ accondiscendenza di tanti alla tesi dell’ Italia cattolica, ormai superata dagli eventi.

Le invadenze papiste sono praticamente ovunque. Le nomine nei consigli di amministrazione delle banche e delle fondazioni bancarie di competenza politica vedono sempre più spesso la scelta di esponenti legati alle diocesi, quando non di ecclesiastici in carne e tonaca. Forse lo si deve alla competenza tipicamente clericale nel maneggiare il denaro! A Natale, Pasqua e così via il sacerdote che passa per benedire le case è un classico consolidato: gli si può anche non aprire la porta, tanto lo farà un altro condomino a cui chiederà chi è quel maleducato che non accetta la parola di Dio, e cosa si può fare per farlo ravvedere. Nelle carceri, un cappellano stanziale ha a disposizione permanentemente una o più cappelle dove celebrare le sue funzioni. I carcerati devono poter usufruire di locali idonei per le pratiche rituali: nessuna menzione per gli atei e gli agnostici all’ interno della normativa, evidentemente la popolazione non credenti negli istituti penitenziari è minore rispetto alla popolazione non credente totale! Vedendo sempre alti prelati cattolici partecipare in posizioni d’ onore alle cerimonie pubbliche, e quindi laiche, molti pensano che ciò possa essere il retaggio di antiche consuetudini sopravvissute all’ avvento della Repubblica e della Costituzione, alla rinegoziazione del 1984 e alla perdita dello status di religione di Stato offerto dal Fascismo alla Chiesa cattolica. Invece, la presenza di un sacerdote è dovuta ad una normativa sui cerimoniali pubblici di recente adozione, diligentemente osservata dai nostri governanti, e di ogni schieramento: tali disposizioni risiedono in un Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, le «Disposizioni generali in materia di cerimoniale e disciplina delle precedenze tra le cariche pubbliche» firmate il 14 aprile 2006 da Silvio Berlusconi, poco prima delle elezioni politiche, e già oggetto di una estesa riforma da parte di un altro decreto firmato il 16 aprile 2008 dal suo successore Romano Prodi. Tali provvedimenti distinguono le cerimonie pubbliche nazionali da quelle territoriali, e per ognuna delle due categorie fissa nel dettaglio l’ ordine delle precedenze da accordare alle varie cariche: per le cerimonie nazionali viene riconosciuto al vescovo della diocesi il quarantaduesimo posto di precedenza, in ordine assoluto, mentre per le cerimonie territoriali viene riconosciuto allo stesso l’ undicesimo posto. Una prima osservazione riguarda lo status di carica pubblica che il Decreto sembra riconoscere al vescovo della diocesi: scorrendo gli elenchi delle cariche si può infatti notare che in esso sono compresi altri soggetti che non sono cariche pubbliche, come ad esempio Premi Nobel, scienziati, umanisti e artisti di chiarissima fama, industriali di assoluta eminenza a livello nazionale e regionale, segretari regionali dei partiti politici rappresentati nel Consiglio regionale, Presidente regionale della Associazione Industriali, Segretari regionali dei sindacati maggiormente rappresentativi in sede regionale, ma tali soggetti, a differenza delle cariche pubbliche, sono indicati tutti quanti tra delle parentesi. Invece il vescovo della diocesi, tra i soggetti non appartenenti alle istituzioni pubbliche, non è compreso tra parentesi apparendo così riconosciuto come personaggio: alla faccia della laicità dello Stato e dell’ abrogazione della religione di Stato! La seconda osservazione nasce dall’ esame delle postille che accompagnano i posizionamenti del vescovo. Le posizioni richiamate potrebbero considerarsi, tutto sommato, abbastanza moderate considerato il diffuso stato di asservimento dei nostri politici e delle nostre istituzioni all’ imperium vaticano, ma leggendo le postille si trova la sorpresa: nel caso in cui il vescovo della diocesi sia anche un cardinale, egli balza al primo posto assoluto di precedenza, tra tutte le cariche, sia nelle cerimonie nazionali che in quelle locali. Il solo scrupolo, per i nostri governanti, è che in questi casi il sacerdote non può assumere la presidenza della cerimonia, che sarebbe davvero la manifestazione della mancanza laicità in Italia. L’ assurda conseguenza di queste previsioni normative del nostro ordinamento, attualissime e ben studiate dai nostri politici di entrambe le ali parlamentari, è che il Papa, in quanto vescovo della Diocesi di Roma e capo di Stato estero, sia considerato una sorta di seconda carica dello Stato, dopo il Presidente della Repubblica. Si può peraltro aggiungere che la Regione Marche ha provato ad impugnare questo Decreto davanti alla Corte costituzionale, per conflitto di attribuzione, contestando che almeno la disciplina delle cerimonie pubbliche locali dovrebbe rientrare nella competenza normativa delle Regioni, e non in quella dello Stato, ma la Corte, con la sentenza 104 del 2009, ha respinto la contestazione, dichiarando che la materia del cerimoniale pubblico sia nazionale che locale rientra nella competenza normativa esclusiva dello Stato. Insomma, in Italia la disciplina del cerimoniale pubblico è questa del Decreto del 14 aprile 2006, e va rispettato con tutte le gerarchie cattoliche ben salde nei loro seggi d’ onore, davanti a fotografi e telecamere.

Anche il calendario delle festività italiane può a buon diritto essere considerato un’ invadenza clericale, essendo ancora composto in maggioranza da ricorrenze religiose cattoliche, come Immacolata Concezione, Natale, Santo Stefano, Pasqua, e così avanti. Una cosa a parte sono le festività paesane, vera e propria baldoria per la parrocchia quando si festeggia il santo patrono. Spesso avvengono fuori da ogni regola: nel settembre 2002 i NAS dovettero intervenire al santuario di Polsi, in Aspromonte, dove la «secolare tradizione di uccidere e cucinare capre e agnelli sul posto» non rispettava la normativa sanitaria. Ovviamente le festività religiose devono svolgersi senza la minima concorrenza laica: il vescovo di Imola, ad esempio, ha più volte protestato contro «l’ inopportuna» coincidenza del Gran Premio di Formula 1 di San Marino con la ricorrenza pasquale. La folta delegazione italiana in rappresentanza del governo al Giubileo straordinario indetto da Francesco per il cinquantesimo anniversario della conclusione del Concilio Vaticano II si limitò soltanto a confermare una realtà da tempo sotto gli occhi di tutti: una parte consistente del governo e del Parlamento non risponde agli elettori, ma direttamente agli alti dignitari del Vaticano. Le conseguenze sono evidenti per tutti: mentre i Presidenti della Repubblica e quelli del Consiglio dei ministri appena insediati formalmente danno molta enfasi alla prima udienza con il Santo Padre, le manifestazioni che la Chiesa cattolica disapprova suscitano in costoro disdegno e ironia, e vengono tollerate soltanto perché ancora vige una Costituzione. Le cose vanno anche peggio nel cosiddetto sottogoverno: autorevoli esponenti della gerarchia ecclesiastica vengono chiamati a far parte di consulte e commissioni…



La religione è un prodotto culturale umano. Fin dall’ origine dei tempi, dai giorni remoti della Preistoria in cui gli uomini delle caverne presero a riflettere sulle origini della vita e sulla possibilità di vita dopo la morte, ogni popolo ha sviluppato la propria spiritualità a cui poi si è imposta una religione organizzata, con il suo clero e, con l’ andare del tempo, con la sua ramificazione in svariate scuole di pensiero caratterizzate ciascuna da una differente interpretazione e liturgia a seconda dei tempi e dei luoghi. Ha un ideale di fondo positivo, tutto considerato. Eppure si può affermare che non viene vissuta con spirito positivo e di servizio dalla maggior parte dei suoi sacerdoti, come dovrebbe avvenire per la democrazia in politica. E’ divenuta con il tempo un sistema di potere rigido e oppressivo, finendo con l’ occuparsi di potere politico così da governare secondo «i sani principi divini», perseguitando e reprimendo tutto ciò che ignorasse la sua ortodossia, bollandola come eresia.

Nel mondo di oggi, scandito dalla rivoluzione scientifica che dal Seicento ha portato la luce della comprensione e della consapevolezza ramazzando la superstizione promossa da dignitari religiosi avidi e ambiziosi, è rimasta come sistema tradizionale. Tuttavia, benché in confronto ad una volta il mondo si sia ampiamente allontanato dall’ antica mentalità devozionale e puramente fideistica, la Chiesa cattolica continua a promuovere una concezione della vita e del mondo rigidamente conservatrice, e soprattutto in Italia ha abdicato al potere temporale solo in apparenza, preservando un forte potere influenzando la mentalità dei credenti per mezzo della trasmissione di concetti convenzionali, influenzando la vita politica inducendo i cittadini a votare candidati opportuni alle elezioni e favorevolmente o contrariamente ai referendum incentrati su questioni morali: in tal senso si può dire tranquillamente che l’ epoca del Papa Re non sia veramente cessata di esistere con il pontificato di Pio IX a seguito della presa di Roma da parte di Casa Savoia nel 1870, lo Stato italiano infatti soffre una grave ed intollerabile mancanza di laicità a tutto vantaggio delle invadenze papiste nella vita civile…