mercoledì 31 marzo 2021

Terminator, l’ eterna lotta tra uomo e macchina

Il T-800 di «Terminator 3»;


«Il futuro non è scritto. L’ unico destino è quello che ci creiamo con le nostre mani.» John Connor;


Secondo un antico principio, tipico delle società ambiziose ed espansionistiche che ormai da lungo tempo dominano la storia, chi possiede la tecnologia vanta il potere sul mondo: Roma tenne unito il suo Impero grazie alle strade, Gengis Khan dovette i suoi successi all’ arco e alla freccia, l’ Impero britannico si estese a quasi un quarto dell’ intera superficie del pianeta grazie alle navi, e infine la Casa Bianca si impose con la bomba atomica. Ma che succede quando la tecnologia, troppo perfetta, si rivolta contro i suoi stessi creatori? La fantascienza è notoriamente un genere narrativo e cinematografico particolarmente interessato a ragionare su come può cambiare la vita della società e del singolo individuo in presenza di determinate condizioni quali il viaggio spaziale, la sovrappopolazione e la diffusione dei robot, un’ operazione che comporta la descrizione di un futuro possibile, pur senza fare vaticini accurati. Più o meno volontariamente, però essa ha anticipato molti fenomeni sociali tramite numerosi romanzi e film. Alcuni di questi fenomeni, in un certo senso, sono stati non solo anticipati, ma addirittura indotti dalle sue idee: basti pensare al robot a forma umana della Honda, che guarda caso è stato battezzato «Asimo», dal celeberrimo autore statunitense Isaac Asimov, il padre del filone fantascientifico dedito alla robotica e tuttora riconosciuto come uno dei migliori autori di fantascienza mai vissuti. Il mondo dell’ informatica è intrinsecamente molto difficile da prevedere, se non addirittura impossibile persino sul breve termine. E non ci sono solo gli scrittori di fantascienza a provarci: ci sono infatti svariati analisti di mercato sulle cui previsioni si basano investimenti miliardari. Mai come oggi ha fatto passi giganteschi, così grandi da suscitare un animato dibattito tutt’ altro che scontato, incentrato sull’ eccessiva informazione dei servizi e persino della difesa civile e militare, oltre che sulla possibilità della cosiddetta ribellione della macchina, tema che nella fantascienza riguarda il sopravvento da parte di meccanismi, computer o robot, ai danni dell’ umanità per mezzo di sostituzione, disobbedienza, asservimento o eliminazione fisica. In particolare, spesso la fantascienza approfondisce il tema delle intelligenze artificiali tramite l’ idea dell’ evoluzione della vita non biologica, intelligente e addirittura autocosciente, e la successiva competizione tra le entità tecnologiche ribelli e l’ umanità.

Durante gli Anni Ottanta, in piena Guerra fredda, quando la scena internazionale era dominata da Ronald Reagan, Margaret Thatcher e Michail Gorbačëv, il tema dello sviluppo delle intelligenze artificiali raggiunse il massimo, tra ricerche scientifiche pionieristiche e abbondanti investimenti da parte dell’ industria e delle forze armate, cosa che indusse tra la gente una certa ondata di paura nei riguardi di computer e robot: è davvero opportuno sviluppare un’ intelligenza artificiale a cui delegare determinati compiti? Non si rischia piuttosto di togliere qualcosa alle persone e a diminuire la loro importanza nella vita privata e sociale di tutti i giorni? E non vi è il rischio che un’ intelligenza artificiale particolarmente ben studiata divenga autonoma e indipendente decidendo poi di opporsi a chi l’ ha ipotizzata?

Una milizia di Terminators;


Una delle persone più note al mondo ad aver ragionato sul problema e a esprimere un parere nettamente negativo fu l’ apprezzato regista, sceneggiatore e produttore canadese James Cameron, che durante l’ agosto 1982, periodo della presentazione a Roma di «Piraña paura», suo primo lungometraggio prodotto a basso costo proprio in Italia, si ammalò ed ebbe un incubo in cui sognò un torso metallico che si trascinava fuori da un’ esplosione mentre teneva in mano alcuni coltelli da cucina. Ispirandosi al regista e sceneggiatore John Carpenter, che aveva diretto «Halloween - La notte delle streghe» del 1978, prodotto con un finanziamento ridotto, Cameron utilizzò il proprio incubo come rampa di lancio per scrivere un film in stile dell’ orrore, il cui antagonista principale sarebbe stato un maniaco omicida spesso mascherato che avrebbe dato la caccia a un gruppo di persone, più che altro giovani, in uno spazio più o meno delimitato, utilizzando in genere armi da taglio per ucciderli in modo cruento. Tornato a Pomona, in California, scrisse la bozza di «Terminator», influenzato anche dai film di fantascienza degli Anni Cinquanta, la serie televisiva degli Anni Sessanta «The Outer Limits» e alcuni film contemporanei come «Driver l’ imprendibile» e «Interceptor - Il guerriero della strada». Prodotto a basso costo dalla Hemdale Film Corporation e dalla Pacific Western Productions e distribuito nel 1984, lo stesso periodo in cui si ambienta la vicenda, la pellicola fu inaspettatamente un grande successo, e segnò la storia del cinema degli Anni Ottanta e del genere fantascientifico, molto apprezzato per le interpretazioni appassionate di Michael Biehn e Linda Hamilton, oltre che dalla prestazione nei panni dello spaventoso T-800 di Arnold Schwarzenegger, culturista austriaco naturalizzato statunitense, da poco balzato agli onori del successo con il film «Conan il barbaro», e che qualche anno prima era stato tra i candidati alla parte del titanico Hulk nel celeberrimo telefilm «L’ incredibile Hulk», venendo tuttavia rifiutato dai produttori in favore di Lou Ferrigno, in quanto non era abbastanza alto.

«Terminator», nella cui scena iniziale Schwarzenegger appare per la prima volta completamente nudo sfoggiando un fisico statuario, fu il primo capitolo di una fortunata serie cinematografica che lanciò definitivamente le carriere di Cameron e Schwarzenegger, e proseguì con «Terminator 2 - Il giorno del giudizio», «Terminator 3 - Le macchine ribelli», e i meno apprezzati «Terminator Salvation», «Terminator Genisys» e «Terminator - Destino oscuro». Ma per quanto la trama presenti scene d’ azione mirabili e poggi su di un ritmo elevatissimo, non si deve commettere l’ errore che costituisca un semplice intrattenimento, in quanto vuole innanzitutto essere un’ occasione di riflessione sugli scopi e i metodi pratici del nostro sviluppo tecnico e sulla natura umana: prestando la dovuta attenzione a dialoghi e situazioni, non si può infatti non tener conto del messaggio implicito pensato da Cameron circa il significato ultimo dell’ essere umani e della nostra notevole superiorità sulle intelligenze artificiali, oltre che del concetto di paradosso temporale, quella particolare nozione della fisica ipotizzata già da Albert Einstein e basata sulla possibilità di viaggiare indietro e avanti nel tempo, che a causa di alcune scene tagliate in «Terminator» e «Terminator 3 - Le macchine ribelli», ha finito con l’ essere leggermente confusa non permettendo quindi al pubblico di comprendere come fosse possibile la fine del mondo e l’ avvento delle macchine descritta nella serie.

John Connor nel 2029;


Il primo film presenta l’ elemento portante della serie cinematografica, ossia il paradosso temporale. Normalmente, infatti, in virtù della legge fisica del tempo, il passato influenza il presente e il presente influenza il futuro: poiché le persone sono dotate di capacità di prendere decisioni e ogni decisione ha precise conseguenze, è ragionevole supporre che esistano infiniti futuri possibili, tuttavia, in occasione del paradosso temporale una persona in grado di viaggiare dal futuro al passato ha la possibilità di influenzare la storia, dandole una nuova direzione.

«Terminator» racconta che nella seconda metà degli Anni Novanta il dottor Miles Bennett Dyson, un dirigente della Cyberdyne Systems Corporation di Los Angeles, crea microprocessori rivoluzionari divenendo il fornitore principale delle forze armate statunitensi di sistemi informatici militari: tutti i bombardieri vengono computerizzati e automatizzati, capaci di prestazioni perfette, e con l’ andare del tempo viene predisposto un progetto atto a realizzare Skynet, una rivoluzionaria intelligenza artificiale basata su un innovativo processore a rete neuronica, incaricata di presiedere i sistemi difensivi e offensivi degli Stati Uniti d’ America. Una volta perfezionato, Skynet viene connesso alla rete il 4 agosto 1997, e gli umani non decidono più in materia di difesa. L’ intelligenza artificiale apprendere rapidamente e alla fine diventa autocosciente alle 2:14 del mattino del 29 agosto 1997, orario della Costa Orientale. Presi dal panico, i militari tentano di disinserirlo, ma Skynet reagisce bombardando bersagli in Russia con missili nucleari, sapendo che il contrattacco russo eliminerà i suoi nemici in territorio statunitense: è il Giorno del Giudizio, in cui ben tre miliardi di vite umane vengono stroncate nel corso di una mostruosa pioggia di missili. Negli anni seguenti, Skynet assume il controllo di carri armati e velivoli automatizzati, soprattutto i Cacciatori assassini costruiti in fabbriche meccanizzate, a cui fa pattugliare le macerie, oltre che su di una vasta schiera di automi da guerra, i Terminators, dotati di un resistente endoscheletro metallico rivestito dapprima di gomma, facile da riconoscere, e poi di tessuti viventi tra carne, sangue, pelle e capelli creati appositamente per sembrare normali essere umani, in modo da fungere da potenti e intelligenti unità da infiltrazione, perfettamente in grado di dare la caccia agli umani sopravvissuti, la maggior parte dei quali viene rinchiusa nei campi di sterminio, ove alcuni vengono tenuti in vita per lavorare e bruciare i cadaveri.

Il mondo devastato dall’ attacco di Skynet;


Tuttavia, «Terminator» non inizia nel futuro, ma nel passato, ossia nel maggio 1984, a Los Angeles, con l’ arrivo di due viaggiatori nel tempo, un T-800, ossia un nuovo modello di Terminator, e un soldato umano, Kyle Reese, alla ricerca di un’ innocente ragazza chiamata Sarah Jeannette Connor, della quale si conosce molto poco, se non che un giorno farà nascere John Connor, il condottiero della Resistenza che dopo il 1997 guiderà la rivolta umana contro Skynet e i Terminators, la quale nel 2029 riporterà le prime importanti vittorie e il 4 luglio 2032 vedrà la vittoria definitiva dell’ umanità e la distruzione dell’ intelligenza artificiale e del suo esercito di automi. John sarà una figura fondamentale nel futuro dell’ umanità, venerato come una sorta di profeta o addirittura di messia per la sua profonda conoscenza delle macchine e degli eventi futuri, oltre che per il grande valore in battaglia e l’ astuzia strategica. Il T-800 ha il compito di uccidere la futura madre, in quanto Skynet, sapendo di essere destinato a perdere, ha deciso di mutare la storia, mentre Reese, mandato dallo stesso John Connor, deve assicurare la sua sopravvivenza, e proprio qui interviene il principio del paradosso temporale: i due trovano praticamente nello stesso istante la giovane diciannovenne, una studentessa universitaria che lavora come cameriera, ma Reese riesce a portarla via e a proteggerla. Dopo aver faticosamente ottenuto la sua fiducia, il soldato le racconta del futuro e delle gesta del figlio ancora non nato, e la guida in una disperata fuga dal T-800 e dalla polizia. Le riferisce anche un messaggio da parte del figlio: «Il futuro non è scritto. L’ unico destino è quello che ci creiamo con le nostre mani.». I due si innamorano e hanno un rapporto sessuale, e in una scena eliminata rimasta disponibile su Internet e nei contenuti speciali del DVD decidono addirittura di recarsi alla sede della Cyberdyne Systems Corporation al fine di distruggerla, cambiando la storia in modo che Skynet e i Terminators non vengano mai progettati, evitando il Giorno del Giudizio. Tuttavia, i due vengono sorpresi in una fabbrica dal T-800, che dopo uno scontro durissimo viene distrutto da Sarah, che lo schiaccia in una pressa idraulica, mentre Reese rimane a sua volta ucciso nel combattimento lasciando Sarah da sola. In un’ altra scena tagliata, si scopre che la fabbrica dove ha avuto luogo lo scontro finale appartiene alla Cyberdyne Systems Corporation, e che i rottami del T-800, soprattutto un microprocessore e un braccio, vengono prelevati da alcuni funzionari dell’ azienda che provvedono a cancellare ogni traccia dell’ incidente. Il film si chiude sei mesi dopo con Sarah, in viaggio in Messico e visibilmente incinta: la storia pare quindi destinata a compiersi, con lei che metterà al mondo John e la Cyberdyne Systems Corporation che dispone del materiale da cui negli anni seguenti svilupperà Skynet, i Terminators e i mezzi militari che nel 1997 porteranno all’ apocalisse.

Miles Dyson e i resti del primo T-800;


Sebbene con il taglio di poche ma significative scene «Terminator» finisca con un misto di speranza e rassegnazione per la piega che il futuro sta prendendo, l’ attacco alla Cyberdyne Systems Corporation diviene il punto centrale del secondo film, «Terminator 2 - Il giorno del giudizio». Già poco dopo l’ uscita del primo capitolo si cominciò a parlare di un potenziale seguito, e dato il grande successo ottenuto la produzione diede l’ assenso con un superiore finanziamento. Nel secondo episodio, ambientato nel 1995, si scopre che dopo la nascita di John nel febbraio 1985, Sarah gli ha insegnato a combattere e a organizzarsi fin da bambino. Vivono a lungo in Nicaragua e in posti simili. Lei ha una relazione con un ex Berretto Verde coinvolto in un traffico di armi, e poi con altri uomini, soprattutto mercenari e trafficanti di armi che possano contribuire alla sua formazione militare. Poi, all’ inizio degli Anni Novanta, lei tenta di far saltare una fabbrica di computer, probabilmente della Cyberdyne Systems Corporation, ma viene scoperta e arrestata, e dichiarata malata di mente per poi essere internata al Pescadero State Hospital di Los Angeles, mentre John, dato in affidamento ai coniugi Todd e Janelle Voight, è divenuto un bambino infelice dedito alla delinquenza. Ma dal futuro, per l’ esattezza dal 2030, Skynet manda un secondo Terminator più potente, un T-1000, un prototipo avanzato composto di una lega mimetica in metallo liquido capace di assumere le sembianze di chiunque o di qualsiasi oggetto di massa analoga con cui venga a contatto, in grado anche di plasmare le sue stesse parti del corpo in armi da taglio, in modo da uccidere John quando è ancora vulnerabile. Ma il John Connor del futuro cattura un T-800 dalle stesse sembianze di quello inviato nel 1984, e lo riprogramma affinché protegga il sé stesso del 1995.

Dopo essere scampato al primo attentato grazie al T-800, John aiuta la madre a evadere dal Pescadero State Hospital, e insieme si nascondono presso un contrabbandiere d’ armi messicano che vive poco oltre il confine californiano, ma lei torna a Los Angeles per uccidere Miles Dyson, l’ ideatore di Skynet e dei Terminators, ma sebbene riesca a trovarlo e a ferirlo in casa sua viene fermata da John e dal T-800, i quali gli raccontano le conseguenze delle sue ricerche basate sui rottami del T-800 rottamato nel 1984 e lo convincono ad abbandonarle e a cancellare tutte le informazioni esistenti relative al progetto, insieme agli resti del primo Terminator. I quattro si recano in piena notte alla Cyberdyne Systems Corporation per distruggerla e requisire i rottami, ma le forze speciali della polizia fanno irruzione per arrestare Sarah e il T-800, ritenuto lo stesso assassino indicato come colpevole della morte di molti agenti di polizia e di aver tentato di uccidere la stessa Sarah nel 1984. Il dottor Dyson, ferito dalla polizia, muore facendo esplodere il quartier generale e Sarah e John scappano dal T-1000 fino ad un’ acciaieria con l’ aiuto del T-800, ove l’ automa assassino viene distrutto dopo essere stato fatto cadere nell’ acciaio fuso e i rottami del primo Terminator vengono a loro volta fusi nella vasca, seguiti dal T-800 in quanto ha compiuto la propria funzione e non desidera lasciare alcuna traccia di tecnologia di quel futuro che i Connor vogliono evitare.

John Connor nel 1995;


Nei piani di James Cameron, «Terminator 2 - Il giorno del giudizio» doveva rappresentare la conclusione della serie, in quanto la creazione di Skynet e dei Terminators era stata impedita e ora Sarah, per la prima volta da anni, aveva smesso di vedere il futuro come un libro già scritto e ripreso a sperare un futuro migliore. Tuttavia, il film ricevette ampi consensi dalla critica e fu un buon successo al botteghino. La produzione fece quindi sapere di considerare la storia meravigliosamente adatta ad un racconto continuo, e di trovare ovvia la realizzazione di un terzo film, sebbene in quel momento non fosse sicura che Arnold Schwarzenegger avrebbe ripreso il suo ruolo di Terminator. Dopo alcune lungaggini legate ai dettagli legali e creativi, venne presentato «Terminator 3 - Le macchine ribelli», stavolta diretto da Jonathan Mostow e ambientato nel luglio 2004, reputato il più drammatico e fatalista della serie. Dopo la distruzione della Cyberdyne Systems Corporation e della morte di Miles Dyson, Sarah e John Connor vanno a vivere in Bassa California, ormai liberi di scegliere il proprio destino. Il 29 agosto 1997 i computer non assumono il controllo e quindi non ha luogo alcun bombardamento e nessuna guerra fra uomini e macchine. Dopo la morte della madre per leucemia nello stesso anno, lui vive come un senzatetto, spostandosi in continuazione e privo di telefono, indirizzo, o qualunque altra cosa con cui lo si possa reperire. Tuttavia, dal 4 luglio 2032 giungono altri due Terminators: un T-850 con le sembianze di quello inviato nel 1984 a uccidere Sarah e dell’ altro mandato nel 1995 a proteggere John, con il compito di assicurare la sua sopravvivenza e quella di Kate Brewster, e un T-X, un nuovo modello di Terminator dalle sembianze femminili e dotato di superiore intelligenza, prestazioni fisiche, precisione e armi incorporate, con il compito di uccidere John e i suoi futuri luogotenenti. Non appena scoperto e tratto in salvo dal T-850 insieme a Kate Brewster, sua vecchia compagna di scuola e primo amore, John scopre che con la distruzione della Cyberdyne Systems Corporation non ha impedito il Giorno del Giudizio, ma lo ha solo rimandato alle 18:18 del 25 luglio 2004: Skynet è stato realizzato sotto la direzione del generale Robert Brewster, padre di Kate e responsabile dello sviluppo di importanti progetti informatici militari, nonché futuro grande esponente della Resistenza contro le macchine. Questo ha per lungo tempo posto la domanda su chi abbia effettivamente inventato Skynet, e come, mettendo in dubbio il tema del paradosso temporale, tuttavia la risposta si trova in una scena tagliata dal film: dopo la distruzione della sede della Cyberdyne Systems Corporation da parte dei Connor, l’ Aeronautica Militare degli Stati Uniti ha stipulato un contratto con la Cyber ​​Research Systems, la quale ha acquisito i brevetti, i dati tecnici e le copie di riserva della Cyberdyne Systems Corporation, incluso ciò che riguardava lo Skynet di Dyson e le armi avanzate quali i Terminators e i veicoli automatizzati. Nella stessa scena si svela che le fattezze dei T-800 interpretati da Schwarzenegger sono modellati a immagine e somiglianza del sergente William Candy, e che la sua voce e il suo accento gioviali, tipici degli Stati del sud, sono stati sostituiti con quelli di Sherwood Olson, responsabile finanziario della Cyber Research Systems.

John tenta con tutte le sue forze di impedire il corso degli eventi, ma il T-850 è irremovibile: è troppo tardi ormai per intraprendere una simile azione, e aggiunge che la Kate Brewster del 2032, che negli anni a venire diverrà sua moglie e la madre dei suoi figli, lo ha catturato e riprogrammato il giorno stesso della vittoria umana sulle macchine, ossia il 4 luglio, dopo aver scoperto che Skynet ha mandato la T-X poco prima di venire disattivato, affinché lo conduca a Crystal Peak, un rifugio antiatomico costruito sulla Sierra Nevada per il Presidente degli Stati Uniti e i vertici militari da usare nel caso di una guerra atomica contro l’ Unione Sovietica. Peggio ancora, il T-850 rivela di essere stato catturato e riprogrammato dai ribelli dopo essere finalmente riuscito ad uccidere John a seguito della battaglia finale. I tre vi arrivano all’ installazione dopo una rocambolesca fuga, inseguiti dalla T-X, che viene distrutta dal T-850 che si sacrifica impiegando la propria pila di alimentazione all’ idrogeno come arma. Frattanto, Skynet, che ha acquisito l’ autocoscienza e per mezzo di un astuto stratagemma ha ottenuto il controllo dei mezzi sia offensivi che difensivi statunitensi, bombarda la Terra e libera le macchine: è il Giorno del Giudizio, e John e Kate, ormai innamorati, stabiliscono un contatto radio con i resti delle forze armate. Nel finale del film, mentre si vede il paradosso temporale compiersi una volta per tutte con il bombardamento missilistico delle principali città sparse sul pianeta, la voce fuoricampo di John esprime un misto di rassegnazione e di speranza per l’ oscuro destino del genere umano che la storia lo ha chiamato ad assicurare: «Era il giorno del giudizio, il giorno in cui l’ umanità fu quasi completamente distrutta dalle armi che aveva creato per proteggersi. Avrei dovuto capire che il nostro destino non era mai stato quello di fermare il Giorno del Giudizio, ma semplicemente di sopravvivere ad esso. Insieme. Terminator lo sapeva, aveva cercato di dircelo, ma il mio subcosciente non lo voleva sentire. Forse il futuro è già scritto, io non lo so. So solo quello che mi ha insegnato Terminator: mai rinunciare alla lotta. E mai rinuncerò. La battaglia è appena cominciata.».

John e Kate Brewster il 25 luglio 2004;


Nonostante le scene tagliate qua e là, i primi tre film poggiano piuttosto chiaramente sul concetto del paradosso temporale che fa di Skynet la causa scatenante della narrazione, la forza di base che dà vita alla storia creando una necessità d’ intervento dallo squilibrio verso il male che porta la Terra alla rovina, la forza narrativa fondamentale attorno alla quale gravitano i personaggi, soprattutto la sua nemesi, John Connor: se nel 2029, ormai prossimo alla sconfitta, non avesse inviato il primo T-800 nel 1984, Kyle Reese non avrebbe a sua volta viaggiato nel tempo e John non sarebbe mai nato, mentre la Cyberdyne Systems Corporation non avrebbe recuperato il microprocessore da cui tutto avrebbe avuto inizio, come confessa Miles Dyson: «Era schiacciato, non funzionava, ma ha dato molte idee per cose a cui non si sarebbe mai…Tutto il mio lavoro è basato su quello.»; se nel 2030 non avesse inviato un T-1000 per l’ eliminazione fisica di John ancora bambino, il T-800 non avrebbe mai incontrato Sarah rivelandole i dettagli sulla realizzazione di Skynet, spingendola a raggiungere Miles Dyson per poi distruggere il quartier generale dell’ azienda e i principali laboratori e archivi legati al progetto, infine, se dal 4 luglio 2032 non avesse inviato una T-X per uccidere John Connor e Kate Brewster oltre i futuri luogotenenti della Resistenza, il T-850 non li avrebbe raggiunti per condurli in un luogo sicuro mentre lo Skynet del relativo periodo si preparava a prendere il potere e a compiere il genocidio.

Kyle Reese e Sarah Connor nel 1984;


Quella di «Terminator» è un’ opera nel tradizionale stile della fantascienza apocalittica, offre valide basi di riflessione sul concetto del viaggio nel tempo e delle interferenze negli eventi storici, anche se da «Terminator Salvation» in poi non ha saputo reinventarsi adeguatamente per sopravvivere. Il quarto film presenta infatti basi tutto sommato accettabili, sebbene determinati dettagli paiano inesatti e destinati a compromettere la trama: nel 2018, ad esempio, Skynet è già a conoscenza di Kyle Reese, un ragazzino non ancora parte della Resistenza che tenta di uccidere per cambiare la storia, e alcuni modelli di macchine risultano troppo avanzati se si tiene conto di quanto raccontato da Kyle nel 1984 a Sarah, mentre la stessa intelligenza artificiale si serve di Marcus Wright, un detenuto condannato a morte che nel 2003 aveva donato il proprio corpo alla Cyberdyne Systems Corporation, poi inconsapevolmente tramutato in un Terminator, per localizzare e attirare in trappola John Connor, che ancora non è il condottiero supremo della Resistenza pur essendone già un validissimo membro con alle spalle numerose vittorie grazie alla conoscenza ricevuta dalla madre Sarah. Meglio sarebbe stato basare la trama maggiormente sui racconti di Kyle Reese, pur tenendo conto degli slittamenti legati all’ azione di Sarah e John nel 1997 alla Cyberdyne Systems Corporation, e sulla comprensione di Skynet come personaggio, dandogli uno scopo per cui continuare a esistere dopo la sconfitta del genere umano, oltre che dei Terminator e lo sviluppo della loro intelligenza e società. Se i capitoli successivi al terzo film fossero proseguiti in questa direzione, il pubblico della prima ora ne avrebbe molto giovato, e ad esso si sarebbe aggiunta una nuova generazione altrettanto appassionata che avrebbe seriamente potuto riconoscersi nelle tematiche trattate. Il quinto e il sesto film, invece, sono stati in assoluto gli episodi più deludenti della serie, essendo un tentativo di riavvio della serie: «Terminator Genisys» si basa su idee assai confuse e pasticciate sui viaggi nel tempo che rendono la trama senza capo né coda, mentre «Terminator - Destino oscuro» è né più né meno di una copia del film del 1984, in quanto Sarah Connor, ormai sulla via della vecchiaia, dopo aver perso nel 1998 su una spiaggia a Livingston, in Guatemala, il figlio John per mano dell’ ultimo T-800 inviato da Skynet prima che il futuro venisse cambiato, si unisce a una soldatessa, parte donna e parte macchina, inviata dal futuro per proteggere una giovane messicana da un automa inviato dal 2042 da Legion, la nuova intelligenza artificiale destinata a ribellarsi e prendere il potere al posto di Skynet. Dato lo scarso apprezzamento ricevuto da quest’ ultima produzione, che peraltro si rivelò un grande insuccesso commerciale, Linda Hamilton, storica interprete di Sarah, annunciò la volontà di chiudere per sempre con il marchio di Terminator e il personaggio che ha interpretato: «Forse apprezzerei una versione più piccola, in cui non ci sono in ballo milioni di dollari. Il pubblico di oggi è così imprevedibile. Non dovrebbe mai essere un rischio economico così grande, ma io sarei ben felice di non ritornare mai più. Non ho speranze per il futuro perché vorrei davvero aver chiuso col franchise.».

Un triste fallimento per una serie valida e potente, dalle infinite prospettive narrative…

Gli attacchi atomici di Skynet;


Tuttavia, il tema dei paradossi temporali non è il solo tema alla base della serie di Terminator. L’ altro grande argomento di fondo riguarda il valore e la sostanza dell’ umanità, infinitamente superiore a qualsivoglia forma di vita artificiale nonostante la superiore intelligenza ed efficienza: la tendenza ad imparare, a crescere, ad amare la vita e a superare difetti e manchevolezze è qualcosa di infinitamente prezioso che una macchina, fosse anche la meglio progettata, non potrà mai ovviamente conoscere. Skynet non ragionerà mai sul valore della vita o le sue bellezze, non conoscerà mai la gioia e il dolore delle emozioni, sarà sempre privo di istinto e giudizio, per quanto capace di imparare, di capire, di affrontare nuove situazioni, sviluppare strategie e risolvere i problemi più complessi con una rapidità di pensiero pressoché istantanea. I Terminators ricalcano la sua freddezza e inumanità fondamentale, essendo programmati per eseguire gli ordini senza discutere, e valutando le circostanze. Come dice Kyle Reese: «Quel Terminator è là fuori. Non si può patteggiare con lui, non si può ragionare con lui. Non sente né pietà, né rimorso, né paura. Niente lo fermerà prima di averti eliminata. Capito? Non si fermerà mai.». Essi non sono turbati da emozioni, non considerano la vita in alcun modo e quindi non esitano a passarci sopra se serve ad assicurare il buon esito della missione, come dimostrato dal primo T-800 che, introdottosi silenziosamente e in piena notte nell’ appartamento di Sarah, finisce con l’ ucciderne l’ amica e convivente Ginger Ventura e il fidanzato Matt Buchanan, ad appena un momento dalla fine del loro rapporto sessuale. Ma per questi automi rivestiti di tessuto vivente forse vi è una speranza, come dimostrato dai T-800 apparsi in «Terminator 2 - Il giorno del giudizio», «Terminator Genisys» e «Terminator - Destino oscuro», nelle cui vicende si narra che stando a contatto con le persone apprendono molte cose sulla natura umana, addirittura umanizzandosi con il trascorrere del tempo e maturando un senso di protezione autentica verso John e Sarah e persino un principio di dispiacere e rimorso. In «Terminator 2 - Il giorno del giudizio» in particolare, il T-800 si dimostra curioso sul tema del dolore emotivo provato talvolta dagli umani e ragiona sul significato del pianto, e alla fine del film si congeda drammaticamente da John, che durante la missione ha imparato ad amarlo come un padre, dicendo: «Ora capisco perché piangete, ma io non potrei mai farlo.».

John Connor nel 2018;


Quella ideata da James Cameron è una serie unica nel suo genere, capace di trascendere il semplice racconto fantascientifico per divenire fonte autentica di riflessioni riguardanti l’ esistenza umana. E’ la storia dell’ eterna battaglia tra l’ uomo e le macchine, che affonda le sue radici nel mito della creazione, nella superbia e nella presunzione con cui l’ uomo, noncurante delle conseguenze scaturite dalle sue azioni, si spinge oltre le proprie possibilità e i propri limiti. Infine si tratta anche di una storia che parla d’ amore e di come questo sentimento, che contraddistingue l’ individuo in carne e ossa, sia la chiave imprescindibile che permette alle persone di elevarsi al di sopra di qualsiasi essere artificiale. Madre Natura crea l’ uomo, e l’ uomo crea le macchine: in un’ epoca di modernità e innovazioni tecnologiche, egli crea un programma informatico per la difesa talmente sofisticato da raggiungere uno stato di autocoscienza, e questo concepisce l’ uomo come una minaccia e vi si ribella contro scatenando un olocausto nucleare, dando inizio ad un abisso temporale tra passato e futuro in cui i personaggi galleggiano come pedine mosse da un destino nebuloso e crudele. All’ interno di un intreccio narrativo intricato e spesso apparentemente incongruente, ma moralmente accettabile ai fini del racconto, si sviluppa un discorso epocale destinato a far crollare le certezze dell’ uomo, che fa maturare la consapevolezza di essere l’ unico vero responsabile delle proprie azioni. La ribellione innescata dalle macchine è l’ estrema conseguenza della spietatezza umana, della presunzione di voler e poter controllare ogni cosa e avere il monopolio sul funzionamento dell’ esistenza. Temi cari alla fantascienza che riprendono e ampliano il meraviglioso discorso iniziato da Mary Shelley con il suo «Frankenstein - Il moderno Prometeo», iniziatore di ogni elaborazione sviluppatasi attorno alla creazione.

Un T-600 nel 2018;


James Cameron trasporta la creazione in un futuro post apocalittico e inospitale, completamente disastrato dalla guerra. Le macchine, organismi perfettamente funzionali e privi dei limiti mentali imposti all’ essere umano, sovrastano l’ operato dell’ uomo annientando qualsiasi suo tentativo di riappropriazione del mondo che ha perduto. Apparentemente superiori, le macchine infine periscono sotto l’ egida di un condottiero messianico che, in quanto uomo, è dotato di qualcosa che nemmeno la tecnologia più sofisticata potrà mai creare e neppure contrastare. Come dice Marcus Wright nel finale di «Terminator Salvation»: «Che cos’ è che ci rende umani? Qualcosa che non si può programmare, che non si può mettere in un chip... è la forza del cuore umano, la differenza tra noi e le macchine.».

E a differenza di altri colleghi illustri, marcati da un imperante cinismo, James Cameron fa prevalere la speranza sull’ oscurità: il futuro è buio e desolato, un mondo di guerra e sofferenza contro un nemico formidabile. Tuttavia, siamo davvero destinati a percorrere questo cammino, destinati a estinguerci come tante altre specie prima di noi? Oppure possiamo evolverci tanto in fretta da cambiare il nostro destino? Il futuro è veramente già scritto? Per Cameron la risposta è positiva: anche se una persona sbaglia, perde la strada, questa non è perduta per sempre, perché esistono infinite possibilità e altrettante conseguenze. Innumerevoli scelte definiscono il nostro destino: ognuna di esse, ogni attimo, è un’ onda nel fiume del tempo. Molte onde cambiano la marea, perché il futuro non è mai veramente scritto. L’ uomo, per quanto corrotto e spietato, merita di avere una seconda possibilità. Alla fine della storia John Connor distrugge Skynet, l’ umanità vince e la Terra è pronta per una nuova rinascita. La ribellione si è conclusa, e proprio il 4 luglio, giorno dalla profonda valenza simbolica nella storia statunitense, e i valori immortali del bene e dell’ amore reciproco verranno ripristinati in segno di speranza per una nuova rinascita…

domenica 28 marzo 2021

Il Casinò delle spie

Veduta aerea di Campione d’ Italia;


Il 15 gennaio 1952, quando sedette alla scrivania di Goldeneye, la sua tenuta di sei ettari sulla costa settentrionale della Giamaica, il romanziere britannico Ian Fleming non aveva alcuna idea di cosa avrebbe scritto. Partì semplicemente dal nome del suo personaggio, preso in prestito ad un celere ornitologo, e dal ricordo di una partita a carte giocata al casinò di Lisbona nel 1941. Il primo episodio di James Bond venne concepito così, con non più di quattro scene e anche meno personaggi. 007 indossava ancora i panni eleganti, spiritosi e crudeli dello stesso Fleming, alle prese con una bella partita in una casa da gioco: «Alle tre del mattino l’ odore del casinò, il fumo e il sudore danno la nausea. A quell’ ora, il logorio interiore tipico del gioco d’ azzardo, misto di avidità, paura e tensione nervosa, diventa intollerabile. I sensi si risvegliano e si torcono per il disgusto.».

Ormai tutti sanno che nei libri del comandante James Bond, ufficiale della Royal Navy e agente Doppio 0 dell’ MI6, l’ agenzia britannica di spionaggio per l’ estero, vi siano svariati elementi autobiografici ricavati dalle vicende dello stesso Ian Fleming, ufficiale della Royal Navy durante la Seconda Guerra Mondiale e arruolato nel Servizio Informazioni della Marina alle dipendenze dell’ ammiraglio Godfrey, nonché uomo che molto amava il gioco e le donne e che entrando in ufficio lanciava il cappello all’ attaccapanni. Nondimeno, un’ attenta lettura dei dodici romanzi e delle due raccolte di racconti dello scrittore britannico indica quanto egli amasse essere il più aderente possibile alla realtà politica, militare e spionistica del tempo, ben più dei rifacimenti hollywoodiani impersonati da Sean Connery e Roger Moore, più interessati a trame avventurose, effetti speciali e belle donne. E non solo perché descrisse sistemi di comunicazione in codice accompagnati da armi letali, precise e comode per le dimensioni ridotte, e da dispositivi ingegnosi ed efficaci adatti alle più diverse esigenze, ma anche perché, specie in «Casino Royale», per la prima volta si parlava degli affascinanti eppure pericolosi legami tra spie e case da gioco: mentre nello studio di Goldeneye Fleming batteva a macchina le avventure dell’ agente al servizio segreto di Sua Maestà dotato di licenza di uccidere, dall’ altra parte del mondo, sulle rive del sul lago di Lugano, vi era un celebre e distinto casinò italiano che da decenni offriva un ventaglio di tentazioni così ampio da saper facilmente incantare anche il più navigato tra gli scommettitori, un luogo che non solo attirava gli amanti del rischio, ma era implicato in vicende politiche, militari e spionistiche di alto livello, ossia il Casinò di Campione d’ Italia, un vero e proprio gioiello appartato tra le bellezze del Canton Ticino. Aperto per volere del governo di Roma nel 1917, in piena Grande Guerra, questo luogo fu il teatro ideale di sottili e astute trame spionistiche, un luogo strategico sospeso tra Italia e Svizzera, tra le cui mura i diplomatici, gli alti burocrati e le spie italiane scoprivano con l’ aiuto di un clima frivolo i segreti strategici del nemico austroungarico, con cui da decenni il Regno d’ Italia aveva un conto territoriale in sospeso, che aspettava il momento di essere pagato…

Villa Adami, sede storica del Casinò;


Il comune di Campione, appartenente alla provincia di Como, è un’ exclave dello Stato italiano, essendo completamente circondato dal territorio svizzero. Avamposto militare romano eretto nel I secolo prima di Cristo a causa della discesa dei Reti lungo le valli alpine, il territorio campionese fu donato nel 777 da Totone da Campione, il signore locale di stirpe longobarda, alla Chiesa, in quanto nel proprio testamento nominò erede universale dei suoi terreni l’ arcivescovo di Milano Tomaso. In seguito, Campione passò al suo successore Pietro I Oldrati, che lo donò al monastero di Sant’ Ambrogio di Milano: lo status giuridico del luogo, quale feudo imperiale concesso agli abati ambrosiani, preservò il suo territorio dall’ annessione alla Svizzera, ponendo di fatto le basi per la costituzione d un’ enclave in territorio elvetico. In seguito, nel 1800, con la Repubblica Cisalpina, Stato sotto il controllo giacobino in conseguenza diretta degli sconvolgimenti susseguitisi alla Rivoluzione francese in territorio italiano, il territorio di Campione fu unito alla Val d’ Intelvi, del dipartimento di Como, mentre nel 1804, con l’ avanzata di Napoleone Bonaparte, fu occupata come tutti i territori lombardi dalla Francia. Nel 1814, a seguito della caduta definitiva dell’ Imperatore dei francesi, il Canton Ticino avanzò ufficialmente la proposta alla Dieta federale, l’ assemblea dei delegati dei cantoni atta a discutere temi di interesse comune, di offrire i propri buoni uffici nei lavori del Congresso di Vienna, e chiese l’ unificazione di Campione al proprio territorio, ma senza successo analogamente al 1800. La Lombardia fu annessa all’ Impero d’ Austria e Campione ne seguì le sorti rientrando nella Provincia di Como. Il 29 marzo 1848, a seguito dello scoppio della Prima guerra d’ indipendenza italiana, i campionesi chiesero per la prima volta al governo svizzero di poter essere annessi al Canton Ticino, essendo ormai probabile una loro annessione al Regno di Piemonte e Sardegna in caso di occupazione del Regno Lombardo-Veneto, ma il governo della Confederazione elvetica respinse la richiesta per ragioni politiche, giustificate alla volontà di conservare la neutralità in vigore dal 1515: Campione sarebbe rimasta italiana benché circondata dal territorio svizzero.

 

Il territorio di Campione fu da sempre un fondamentale punto strategico, e tale rimase anche all’ alba della Grande Guerra, tanto che Roma vi vide l’ opportunità di stabilirvi un centro di raccolta e analisi di informazioni utili alla sicurezza nazionale e alla prevenzione di attività destabilizzanti. Nel 1917, quindi il governo italiano, presieduto da Paolo Boselli, volle aprirvi un casinò, la cui sede di Villa Adami venne progettata dall’ architetto Americo Marazzi di Lugano, che scelse uno stile Belle Époque con due ingressi, uno verso la pedonale e l’ altro verso il lago, per accogliere chi arrivava in barca, mentre l’ interno, una gamma di boiserie e arredi sfarzosi, vantava soffitti e pareti affrescati dal pittore Girolamo Romeo. Posta nella splendida cornice naturale del lago di Lugano e in un singolare stato territoriale, la casa da gioco campionese, gestita dal comune, ebbe subito moltissima fortuna, e si pose al centro degli incontri dell’ alta burocrazia che la sfruttò abilmente per uno scambio di informazioni strategiche e segrete che si rivelarono di importanza capitale per le forze armate italiane: complice l’ atmosfera ricreativa, gli agenti segreti ivi operanti scoprirono che dal consolato austroungarico di Zurigo venivano condotte operazioni di spionaggio e mandati in territorio italiano agenti in missione di infiltrazione e sabotaggio. La Regia Marina fu quindi coinvolta in numerose operazioni atte a sventare i piani asburgici.

Due anni dopo, l’ 11 novembre 1918, a seguito della storica vittoria dell’ esercito italiano a Vittorio Veneto sugli austroungarici, l’ Impero degli Asburgo dichiarò la resa ponendo fine alla guerra, e il Casinò di Campione perse di conseguenza la sua utilità strategica, ragion per cui il primo governo di Francesco Saverio Nitti lo chiuse un anno dopo, il 19 luglio 1919, ufficialmente perché il governo di Sua Maestà non gradiva veder rischiati sui tavoli verdi parte dei risparmi dei contribuenti. Tuttavia, l’ epopea del Casinò delle spie era ben lungi dal concludersi: Benito Mussolini lo riaprì il 2 marzo 1933, formalmente per permettere alle casse comunali di riempirsi di valuta pregiata, ossia di franchi svizzeri, e potenziarne il profilo turistico in concorrenza con il vicino territorio elvetico, mentre in realtà puntava a ristabilire una certa attività di spionaggio e rimarcare l’ italianità di un territorio tanto importante strategicamente, come dimostrato dal fatto che un anno dopo al nome del comune fu aggiunto lo specificativo «d’ Italia». Mentre il comune, fino ad allora un semplice e poverissimo borgo di pescatori, veniva ammodernato e abbellito con gigantesche opere edili che comprendevano impianti idrici, rete fognaria, pavimentazione delle vie e piazze, apertura di strade panoramiche, creazione di parchi, allacciamento all’ elettricità, al telegrafo e al telefono, costruzione di edifici pubblici, di un museo dedicato all’ opera dei «magistri campionesi», di pontili d’ attracco per battelli e di un miglioramento dell’ accesso, la casa da gioco fu sede di importanti manifestazioni come premi di giornalismo e tanti altri eventi legati allo spettacolo, come concerti o sfilate di moda, e, ovviamente, centro di attività di una moderna divisione di spie e agenti segreti operanti a pieno regime per conto del Ministero degli Interni. Fu luogo di un flusso mondano particolarmente appariscente, tra il fior fiore della nobiltà presso cui cui spiccavano i duchi Visconti di Modrone e i conti Cicogna, i marchesi Berlingeri e i baroni von Schreuter, e i più grandi esponenti della cultura come Guido da Verona a Marta Abba, oltre che i magnati dell’ industria. Tuttavia, ufficialmente per motivi di riordino gestionale, il Casinò subì una nuova chiusura nel 1935 e la sua riapertura, mesi dopo, fu subordinata all’ istituzione a Ponte Chiasso di un ufficio cambio dei gettoni, con lo scopo di impedire l’ esportazione anche minima di lire italiane da Campione: i gettoni dei clienti provenienti all’ Italia venivano quindi convertiti a Ponte Chiasso mentre i clienti provenienti dalla Svizzera e muniti di valuta estera potevano cambiare la propria valuta alla casa da gioco. Eppure, dopo appena pochi anni, la fortuna volse le spalle al banco: durante la Guerra d’ Etiopia, tra il 1935 e il 1936, e in seguito nel corso della Seconda Guerra Mondiale, il Casinò venne chiuso per volere del Fascismo al fine di ostacolare il flusso di dissidenti lombardi verso la Svizzera, desiderosi di ottenere asilo politico, e che passavano di qui con la scusa di andare a giocare. Più tardi, dopo l’ 8 settembre 1943, con l’ Italia spaccata in due, Campione d’ Italia, del tutto isolata a causa della chiusura delle frontiere con la Svizzera operata dai tedeschi, aderì al «Regno del Sud», presieduto da Re Vittorio Emanuele III e governato da Pietro Badoglio, salvaguardando i vitali contatti con il Canton Ticino e la Confederazione elvetica e offrendo ai servizi segreti angloamericani un’ eccellente base protetta dalla quale muoversi contro la Repubblica Sociale Italiana e le forze del Terzo Reich ivi stanziate, senza mettere in pericolo la tradizionale neutralità elvetica.

 

1947: cittadini svizzeri bloccati alla frontiera; 

All’ indomani del 25 aprile 1945, per Campione d’ Italia tornò un’ era pace, che ovviamente non poteva non considerare la riapertura del Casinò il successivo 12 settembre, che per la prima volta sarebbe stato un luogo dedito soltanto al gioco, e non più allo spionaggio. Le autorità svizzere videro però con una certa ostilità questa ripresa, preoccupate che potesse attrarre «un gran numero di giocatori svizzeri»: il 26 settembre 1946 il sindaco campionese riferì quindi a Roma il «divieto d’ accesso a tutti i cittadini svizzeri e tenuta gioco in valuta non svizzera», mentre il 4 febbraio 1947 il Consiglio federale impose misure di polizia per isolare l’ enclave italiana, stabilendo la chiusura delle frontiere dalle 6:00 alle 19:00 e il divieto di sbarco a Campione d’ Italia agli svizzeri e agli stranieri privi di visto svizzero di ritorno. La delicata controversia fu però risolta con un accordo raggiunto a Lucerna il 15 agosto 1947, in base al quale vennero previste sale da gioco separate per tutti i giochi vietati agli svizzeri ed una sala comune per la sola roulette permessa, con una puntata massima di cinque franchi. Venne peraltro previsto il documento d’ identità obbligatorio e l’ uso di valuta svizzera all’ interno della casa da gioco, oltre che il rinnovo della concessione dopo il 31 dicembre 1951, solo in accordo con il governo della Confederazione elvetica. Da allora, in piena ricostruzione e ripresa economica, il Casinò divenne uno dei più prestigiosi di tutto il Continente Antico e visse una magnifica stagione, per lungo tempo dominata da Giovanni Borghi, il celebre fondatore della Ignis e titolare della Emerson, che giungeva con almeno venti o trenta persone quali Nino Benvenuti e Antonio Maspes al seguito, per la gioia del personale di servizio ai tavoli finché, narra la leggenda, per sbancare il casinò e far stendere il telo nero sul tavolo da gioco dovette andare in trasferta al Casino de la Vallée, a Saint-Vincent. Altri celeberrimi frequentatori che resero memorabile la serata in cui si divertirono ai tavoli verdi furono lo Scià Mohammad Reza Pahlavi di Persia e la bellissima seconda moglie, Sorāyā Esfandiyāri Bakhtiyāri, Vittorio De Sica, Maria Mercader, Sophia Loren, Gino Bramieri, Alberto Lupo e Ornella Vanoni, che ai tavoli campionesi pagarono più che altro il successo, subito amplificato da un ambiente nel quale aveva modo di echeggiare. C’ era chi al tavolo verde lasciava anche cento milioni in una sera soltanto, quando lo stipendio di un operaio si misurava in centinaia di migliaia di lire, e chi rimaneva al verde chiedeva il fido al Casinò. Gli altri giocatori o i commendatori pieni di debiti come ultima speranza scendevano in parcheggio e impegnavano l’ auto in cambio di un milione, poi tentavano la sorte fino all’ ultima lira.

Quelle atmosfere da romanzo spionistico che tanta importanza avevano avuto all’ inizio delle sue vicende erano ormai del tutto scomparse dalle sue sale. Esattamente come durante la Grande Guerra, capitava regolarmente di incontrare bellissime donne tra la folla ma ormai nessuno era più a caccia di informazioni militari da estorcere a facoltosi diplomatici. Eppure, la struttura continuava a svolgere una duplice funzione: per decenni, infatti, sovvenzionò i fondi neri del Ministero dell’ Interno. Per un lungo quarantennio, fino al 1973, i proventi miliardari della casa da gioco restavano soltanto per il venti percento al municipio. L’ ottanta percento veniva infatti inviato al Viminale, nella cassaforte del Ministro: se la pubblica amministrazione, dal più piccolo paesello al più grande ministero, deve contabilizzare ogni singolo centesimo delle proprie entrate e uscite, evitando con cura i cosiddetti cespiti fuori bilancio, il Casinò dell’ exclave alimentava copiosamente i famosi fondi neri da destinare ai servizi spionistici, regolari o no che fossero, e altre azioni nei luoghi meno quieti del mondo, tipiche dei romanzi di Ian Flemig e del suo agente e giocatore 007. La giostra dei fondi ricavati dall’ industria del vizio si fermò tuttavia con una legge statale che ripartì i ricavi del Casinò tra comune, provincia di Como e Ministero dell’ Interno, chiamato a destinari stessi ai comuni disastrati. Per oltre vent’ anni, fino alla metà degli Anni Novanta, i soldi consegnati alla provincia, familiarmente definiti «fondi di Campione», divennero la chioccia dalle uova d’ oro alla quale attinsero moltissimi paesi lacustri, ove vennero realizzate scuole, strade e qualche piccola cattedrale. Un impiego di capitali certamente utile, che però venne meno con una gestione commissariale seguita a una bufera giudiziaria che consegnò il Casinò in mano a una società che coinvolgeva il comune, province sia nuove che vecchie, prima Lecco e poi addirittura Varese, e le camere di commercio.

 

Il principe Vittorio Emanuele di Savoia;

Il Casinò di Campione balzò improvvisamente agli onori della cronaca nel 2006, quando, curiosamente, le sue vicende erano intrecciate con quelle di un principe di Casa Savoia, peraltro nipote ed erede diretto di Re Vittorio Emanuele III, lungo il cui regno la stessa casa di gioco era state aperte. Condotta da Henry John Woodcock, sostituto Procuratore della Repubblica presso la direzione distrettuale antimafia di Napoli diventato famoso per una serie di inchieste di forte impatto mediatico, l’ inchiesta giudiziaria che la stampa chiamò «Savoiagate» divenne di pubblico dominio suscitando un grande scandalo quando portò all’ arresto del principe Vittorio Emanuele di Savoia, figlio di Re Umberto II ed ex erede al trono d’ Italia, con l’ accusa di aver «promosso e organizzato una holding del malaffare specializzata in corruzioni di vario tipo, specie nel settore del gioco d’ azzardo»: lui ed un’ altra dozzina di indagati sarebbero stati coinvolti in un giro di tangenti al fine di ottenere dai monopoli di Stato certificati per l’ installazione delle cosiddette macchine mangiasoldi, attività che avrebbe anche favorito il riciclaggio di denaro sporco tramite «relazioni con casinò autorizzati, ed, in particolare, con il Casinò di Campione d’ Italia». In più, l’ accusa sosteneva che tale organizzazione fosse attiva nella corruzione per i contratti di procacciamento di clienti per il Casinò e nello sfruttamento della prostituzione per il reclutamento di prostitute per i frequentatori della stessa casa da gioco. Tra le altre accuse formulate si aggiunsero quella di associazione a delinquere finalizzata alla concussione, al falso ideologico, a minacce e al favoreggiamento. L’ indagine portò al coinvolgimento di ventiquattro persone, tra le quali ne furono arrestate tredici, prime tra tutte Salvatore Sottile, portavoce dell’ allora presidente di Alleanza Nazionale Gianfranco Fini, e Roberto Salmoiraghi, sindaco e medico di base di Campione d’ Italia. A causa dell’ arresto del sindaco, il comune lariano venne commissariato dal prefetto di Como. Tra gli indagati in questa vicenda vi fu anche Simeone II di Sassonia-Coburgo-Gotha, ex Re e poi Primo ministro di Bulgaria, cugino primo e coetaneo di Vittorio Emanuele, con l’ accusa di istigazione alla corruzione di membri di Stati esteri.

Nonostante il forte impatto mediatico, il successivo 22 settembre 2010 il giudice dell’ udienza preliminare del tribunale di Roma, Marina Finiti, al termine del giudizio con rito abbreviato scagionò da ogni accusa il principe Vittorio Emanuele e altre cinque persone coinvolte nel filone di indagine con la formula «assolti perché il fatto non sussiste», e lo Stato risarcì con un assegno di undicimila euro Roberto Salmoiraghi per l’ ingiusta incarcerazione in quanto, secondo le motivazioni del risarcimento, «non si può mettere in dubbio che le conseguenze dell’ ingiusta detenzione siano state eccezionalmente dirompenti».

 

La sede nuova del Casinò;

La sede della casa da gioco, praticamente a lago e gradualmente adeguata ai tempi, per più di sessant’ anni accolse i giocatori con l’ amabilità di una vecchia conoscenza: all’ esterno era senza pretese di fasto, ma all’ interno vantava una tradizione elevatissima e una classe indiscutibile quanto l’ offerta dei suoi servizi, ad esempio con l’ obbligo per i giocatori di portare giacca e cravatta.  Se l’ edificio non cambiava, al suo interno niente rimaneva immobile, se non gli arredi in stile, tanto che il Casinò aggiunse alle classiche sale dei giochi francesi altri spazi dedicati a novità, come le macchine mangiasoldi che a cavallo degli Anni Novanta aumentarono vertiginosamente il pubblico, ormai proveniente non più soltanto dal Belpaese e dalla Svizzera, tanto da rendere la storica sede ormai troppo piccola e imporne una più capiente, che nel 2007 venne trasferita da Villa Adami ad una struttura progettata dall’ architetto Mario Botta, di discendenza italiana, per un costo di circa centoquaranta milioni di franchi svizzeri e una spesa complessiva di circa centonovantatrè milioni, pari a circa centoventi milioni di euro alla data di consegna. La struttura, alta nove piani per cinquantacinquemila metri quadri, fu costruita negli spazi adiacenti alla vecchia e ben visibile da tutto il lago sul quale venne eretta, grazie a sistemi di illuminazione innovativi e originali, dalla colorazione rossa. Appena inaugurata, nonostante la firma illustre, la critica la definì un ecomostro per l’ imponente cubatura spigolosa.

Il Casinò di Campione d’ Italia rimase per lungo tempo un fermo punto di riferimento per i giocatori sia italiani che svizzeri, e una risorsa economica infinitamente preziosa per la città, ma non solo: il diciotto percento della popolazione campionese vi era impiegata a vario titolo in esso, e l’ ottanta percento dei profitti veniva reinvestito per la realizzazione di opere pubbliche nella provincia di Como. Offriva sale con giochi tradizionali e altre con le novità provenienti dagli Stati Uniti. La scelta era davvero molto ampia: roulette francesi, black jack, chemin de fer, trente et quarante, punto banco, carribean stud poker, fair roulette. E ancora roulette americana e tanti altri giochi ancora. Ogni anno vi si tenevano i più importanti tornei di poker sia italiani che europei.

 

Gli interni della sede nuova del Casinò;

Sebbene reputato destinato a esistere per sempre, con le sue promesse di grandi vincite e i suoi rischi di perdite altrettanto elevate, i suoi incassi fino a centoottanta milioni di franchi annui, gli stipendi parametrati al costo della vita svizzero dei manager, del personale e del comune, il Casinò si avviò verso un brusco crepuscolo, come è nella natura di tutte le cose. La crisi economica, il cambio sfavorevole tra euro e franco svizzero, la concorrenza dei casinò di Lugano e di Mendrisio, la fine della società di gestione pubblica e il ritorno della casa da gioco in mano a un unico socio, ovvero il municipio, finirono per gravare pesantemente sui bilanci aziendali, come gli stipendi del personale: cifre di tutto rispetto, fra gli ottantamila e i centosessantamila euro, comunque parametrate al costo della vita svizzero, nettamente più alto rispetto di quello italiano. Per pagare le proprie spese, soprattutto gli stipendi, l’ ente locale introitava il quaranta percento degli incassi del Casinò. Poi si ridusse a un prelievo fisso di circa venticinque milioni annui. In pratica, il comune utilizzava il Casinò come uno sportello automatico per raggiungere il pareggio del bilancio, in un sistema che resse fino al 2011, quando in cui si registrò il primo calo degli incassi, che portò a una progressiva riduzione del personale ivi impiegato. Nel frattempo, le province socie si tirarono indietro e il Casinò non versò più le quote al comune, rimasto unico socio, pur iscrivendo i debiti a bilancio. Il buco crebbe e il risultato fu il fallimento: il 27 luglio 2018 il Casinò municipale venne dichiarato fallito a seguito del dissesto economico, e la sua gestione fu affidata a curatori fallimentari. Il fallimento del Casinò di Campione d’ Italia non fu il fallimento di una qualunque azienda, pur senza negare affatto il dramma di un qualsivoglia tracollo: tale bancarotta fu la fine di un’ istituzione, di precise tradizioni tramandate negli anni, di intere famiglie di croupier che si alternavano generazione dopo generazione alla casa da gioco. Fu una morte che lasciò profondi segni nella comunità che le gravita attorno, la cambiò, imponendo stili di vita oltre che garantire una qualità della vita elevata per tutte le persone residenti al paese. Nel Casinò non si poteva lavorare se in qualche modo non si era legati alla comunità locale: bisognava essere accreditati per poterne fare parte, quasi come se servisse la garanzia che ci si sarebbe impegnati a sostenere la comunità e non solo a trarne i benefici. In qualche modo bisognava schierarsi, appoggiare una parte politica oppure un’ altra: le scelte politiche erano poi strettamente legate a quelle aziendali e sindacali. Capire la trama sociale, politica ed economica dell’ epopea di Campione d’ Italia e della sua storica casa da gioco non è semplice e forse anche chi l’ ha vissuta ne ha solo percepito alcuni aspetti, senza comprenderla fino in fondo. Il fallimento del Casinò è una pietra miliare a memoria di un cambiamento che inevitabilmente ha spostato gli equilibri anche in realtà che fino a pochi anni prima potevano contare sulla stabilità generata da profitti facili, consolidati e consistenti. Una crisi economica globale ha cozzato questa realtà che non ha saputo o non ha neppure considerato l’ idea di cambiare.

Andando a Campione d’ Italia oggi si intuisce molto facilmente quanto gli anni d’ oro siano davvero un ricordo, esattamente come le spie che aleggiavano intorno ai giocatori aristocratici, leggiadre e pronte a cogliere informazioni di grande valore strategico per il bene indissolubile del Re e della patria, mentre chi desidera trascorrere una serata al casinò ad alto tasso di adrenalina, deve ormai andare a Sanremo, Venezia e Saint-Vincent, o in alternativa giocare in rete…