sabato 16 maggio 2020

Una nobildonna tra mondanità e patriottismo


La contessa Virginia Oldoini di Castiglione;
«Io sono io, e me ne vanto. Non voglio niente dalle altre e per le altre. Io valgo molto più di loro. Riconosco che posso non sembrare buona, dato il mio carattere fiero, franco e libero, che mi fa essere talvolta cruda e dura. Così qualcuno mi detesta ma ciò non mi importa, non ci tengo a piacere a tutti.» contessa Virginia Oldoini di Castiglione;


Spesso e volentieri si afferma che la realtà supera la fantasia. Il grande Luigi Pirandello lo ripeteva più volte nelle sue opere, soprattutto tra le pagine di «Il fu Mattia Pascal» e «Sei personaggi in cerca d’ autore», sostenendo chiaramente che «la realtà, a differenza della fantasia, non si preoccupa di essere verosimile perché è vera». Esattamente come a teatro e al cinema, la storia ha il suo dietro le quinte, un insieme di eventi legati alla produzione di uno spettacolo o un evento e che non sono visibili direttamente al pubblico. In ambito più propriamente storico, il retroscena indica gli antefatti, in gran parte sconosciuti, che hanno portato allo svolgersi di una particolare vicenda, e su cui freqentemente gli storici dedicano ampie e attente analisi finendo con il ricamare pezzo per pezzo un poema epico, sempre alimentato da opinioni differenti che invariabilmente incantano il pubblico esattamente come in un dramma teatrale o cinematografico. E non è raro che le cose non raccontate del dietro le quinte rappresentino fatti assai sorprendenti, talmente incredibili da sembrare fantasiosi, finendo invariabilmente con il coinvolgere e appassionare più del fatto storico a cui sono collegati, portando la gente a riprendere il vecchio detto circa la capacità della verità di superare la fantasia.
Il Risorgimento, quel grandioso movimento culturale, politico e sociale che promosse l’ unificazione d’ Italia richiamandosi ad ideali romantici, nazionalisti e patriottici, fu un’ epopea che consumò mille battaglie, e si compì tra gli intricati piani politici e le finezze diplomatiche del conte Camillo Benso di Cavour, le vicende di Giuseppe Mazzini e Giuseppe Garibaldi e il valore e il coraggio dimostrati sul campo dall’ esercito sabaudo, oltre che da coloro che invece servirono la parte avversa e con cui il corso della storia fu molto meno clemente. Come altri grandi eventi storici, la Riunificazione italiana ebbe i suoi grandi retroscena, uno più avvincente dell’ altro, tra i quali spicca quello relativo alla contessa Virginia Oldoini di Castiglione, una donna bellissima e pericolosa, indipendente e molto moderna, che seppe giocare con l’ amore come poche altre donne riuscirono a fare prima e dopo di lei, vivendo la seduzione come una sfida personale che la portò a conquistare il cuore dei potenti, al punto che quel grande manipolatore di Cavour ne riconobbe il potenziale strategico mandandola alla corte imperiale di Parigi con il compito di sedurre Napoleone III e avvicinarlo alla causa dei Savoia, ritagliandole un ruolo fondamentale nella nascita del Regno d’ Italia e che le valse il soprannome di «patriota dì alcova». Una donna che trascorse un’ esistenza straordinaria, tra amanti e amori intensi, ricevimenti e feste da ballo, corti e castelli, lussi sfrenati e ingenti spese, che solo negli ultimi sta ridestando curiosità e fascino reclamando il ruolo che le venne negato.
Virginia in giovane età;

Virginia Elisabetta Luisa Carlotta Antonietta Teresa Maria Oldoini nacque a Firenze il 22 marzo 1837, figlia del marchese Filippo, parlamentare e diplomatico di provenienza spezzina, e di Isabella Lamporecchi, figlia del giureconsulto fiorentino Ranieri e della ballerina Luisa Chiari. Il padre, deputato del collegio di La Spezia nella prima legislatura del Parlamento piemontese, era un uomo di grande prestigio alla corte dei Savoia. Trascurata dal padre, la giovane Virginia venne educata dal nonno Ranieri, che la chiamava Verginicchia. Come molte fanciulle del suo rango sociale, studiò privatamente e ricevette un’ istruzione disordinata, che comunque le assicurò un’ ottima conoscenza del francese, dell’ inglese e del tedesco.
Fin da giovanissima fu molto ammirata per la sua bellezza abbagliante, e negli anni adolescenziali era unanimemente reputata intelligente, di carattere brillante e di gusti estremamente raffinati. Assai spregiudicata e desiderata, lei stessa intuì l’ effetto che aveva sugli uomini e divenne abile nell’ enfatizzare il proprio aspetto con abiti magnifici e spesso audaci, e con eleganti acconciature. Reginetta dei salotti, si imponeva anche per l’ intelligenza, la vastità degli interessi culturali, la vivacità di un carattere ribelle ad ogni conformismo e ipocrisia, anche in fatto erotico. Un giorno, il padre le trovò alcuni bigliettini piuttosto sconvenienti, e, preoccupato, la portò in convento, dove lei per una settimana simulò astutamente una profonda fede prima di essere rinviata a casa dalle monache. Poco più tardi, a sedici anni, fu sedotta da uno dei suoi corteggiatori, con cui ebbe il suo primo rapporto completo nel boschetto dei Cappuccini sopra La Spezia, ossia il marchese Ambrogio Doria, di ventotto anni. In seguito conquistò anche i fratelli minori di lui, Andrea e Marcello, e il bellissimo Costantino Nigra, ventisettenne ed ex segretario di Massimo D’ Azeglio, ora stretto collaboratore del conte Camillo Benso di Cavour. Si trattò di una vera indecenza in quei tempi, e le critiche dei genitori, unite a quelle del nonno Ranieri, mosso da solidi princìpi morali, non la toccarono più di tanto, ragion per cui continuò a collezionare avventure con uomini di ogni età. I genitori ritennero che fosse giunto il momento di trovarle un marito, e in poco tempo si presentò a chiederne la mano il conte Francesco Verasis Asinari di Costigliole d’ Asti e di Castiglione Tinella: di dodici anni più vecchio di lei, facoltoso e già vedovo, si era infatuato della ragazza dopo aver udito le voci circolanti sulla sua avvenenza. Virginia non lo amava, e rispose con un fermo diniego, ma venne convinta dal nonno Ranieri che le fece presente che le finanze della famiglia non erano più quelle di un tempo e quel conte molto ricco, cugino di Cavour e molto influente presso Casa Savoia, poteva rimetterle in sesto. La giovane a quel punto accettò di sposarlo pur chiarendogli che non provava sentimenti per lui, mentre il conte sperava di farla innamorare. Il matrimonio fu celebrato il 9 gennaio 1854 nella chiesa di Santa Maria del Fiore, a Firenze. Non aveva ancora compiuto diciassette anni, e come previsto dagli accordi prematrimoniali poté godere del vasto patrimonio del marito, flessibile alle sue richieste, e della libertà di muoversi in società a libero piacimento. I coniugi si stabilirono a Torino, e a due settimane dalle nozze si tenne a corte una grande festa in occasione della presentazione ufficiale degli sposi ai reali: la regina Maria Adelaide si mostrò affettuosissima con lei, e Vittorio Emanuele II, leggendario donnaiolo, la colmò di complimenti. La neo contessa rimase favorevolmente colpita dal sovrano fin dal primo momento, trovandolo piacevole anche fisicamente, con il suo fisico asciutto, il volto sanguigno, i folti baffi e i modi un po’ rozzi che tanto affascinavano le donne. Il 9 marzo 1855 diede alla luce il suo unico figlio, Giorgio, a cui non si interessò mai. Il matrimonio, per lei noiosissimo, fu comunque una svolta notevole: nel palazzo dei Castiglione a Torino, che fiancheggiava la residenza del cugino Cavour, ora Presidente del Consiglio dei ministri del Regno di Piemonte, ella visse una sfavillante permanenza nella vita di corte, intrattenendo intense relazioni con vari personaggi di rilievo, come il banchiere Rothschild. La sua eleganza, costosissima e sempre ricercata fin nei dettagli, conquistò tutti, tra uomini e donne. Non vi era ricevimento o evento mondano al quale non fosse invitata per il suo fascino e spirito, e presto iniziarono i dissapori coniugali: Virginia era troppo bella e soprattutto indipendente agli occhi del marito, e si concedeva a chiunque vantasse potere. Come lei stessa amava ripetere: «Ogni donna ha il dovere di essere bella, non per sé, ma per gli altri. Per sé invece, deve essere ambiziosa, astuta e agguerrita.».
Il conte Camillo Benso di Cavour;

In quel tempo, e fin dalla caduta di Roma nel lontano 476 dopo Cristo, l’ Italia era divisa in tanti staterelli: il Lombardo-Veneto, i protettorati di Toscana, Modena, Parma e Piacenza, lo Stato pontificio e il Regno delle Due Sicilie. Da anni, Cavour coltivava il sogno di riunificare la penisola sotto Casa Savoia, ed era immerso in numerose ed intricate manovre diplomatiche, il più delle volte ai limiti dell’ intrigo, con cui assicurarsi l’ aiuto del Secondo Impero francese, grande potenza politica e militare retta da Napoleone III, nipote del celebre Napoleone I, in una prossima guerra contro l’ Impero austriaco, che aveva sconfitto il Regno subalpino nel 1849. Lo statista credeva che per riuscire nella difficile rivincita contro gli Asburgo fosse necessaria un’ alleanza con un soggetto potente, e il sovrano bonapartista era il candidato ideale. Tuttavia, nei precedenti contatti l’ Imperatore dei francesi si era mostrato assai titubante, e non era stato possibile intuire esattamente la sua posizione. Il capo di governo inviò pertanto a Parigi il fedelissimo Costantino Nigra come nuovo ambasciatore, affinché spianasse la strada alle trattative, pur continuando a riflettere su come assicurarsi a tutti i costi il consenso imperiale. Enigmatico in politica, Napoleone era invece un libro aperto in fatto di avventure galanti, concedendosi scappatelle con tutte le donne che gli capitavano a portata di mano, tra cortigiane e cameriere, intellettuali e analfabete: bastava che fossero giovani e belle. Dunque, intuì lo scaltro conte, perché non tentare con una bella donna che, nel caldo di un’ alcova, potesse carpirgli qualche segreto e magari orientarne le decisioni? Bisognava solo trovare una dama che oltre ad essere avvenente fosse intelligente, e istruirla a dovere su come procedere. La scelta ricadde prontamente sulla diciannovenne contessa di Castiglione, «la più bella del reame»: intraprendente e ambiziosa, meglio di tutte lei avrebbe potuto intercedere in favore della causa piemontese presso il sovrano francese in concomitanza con l’ ormai non lontano congresso che avrebbe riunito a Parigi i rappresentanti delle grandi potenze previsto al termine della guerra di Crimea. La sua fame d’ amore avrebbe senz’ altro garantito un utile vantaggio strategico al regno subalpino.
Cavour ne discusse con Vittorio Emanuele, che assentì e riferì al generale Cigala, suo aiutante di campo e zio della stessa Virginia, chiedendogli di farle la proposta. La giovane accettò con entusiasmo, e ricevette segretamente il re in casa propria, che giunse in incognito per ringraziarla dopo che il marito Francesco era stato opportunamente inviato a Milano per un incarico diplomatico. Dalle memorie lasciate dalla contessa, quell’ incontro non fu un semplice colloquio, ma una scappatella, una «prova generale» di quanto avrebbe dovuto fare al servizio segreto di Sua Maestà. Subito dopo, nel novembre 1855, Virginia e Cavour ebbero contatti diretti per discutere la questione. Lo statista le scrisse di «coqueter e sedurre, ove d’ uopo, l’ Imperatore Napoleone III», favorendo l’ alleanza tra Parigi e Torino al fine di cacciare gli Asburgo dal Lombardo-Veneto: «Cercate di riuscire, cara cugina, con il mezzo che più vi sembrerà adatto, ma riuscite!». Coqueter, verbo francese, significa civettare, cosa che ci si aspettava dalla bella Virginia, ma se poi le cose con i primi approcci non fossero andate nel senso desiderato, l’ invito per lei era di andare oltre, per arrivare, «ove d’ uopo», alla seduzione vera e propria. Annoiata dalla vita di corte a Torino, la nobildonna non si fece ripetere due volte l’ invito: all’ epoca capitale del bel mondo e della vita elegante, Parigi, la Ville Lumière, esercitava su di lei un fascino irresistibile, mentre l’ Imperatore dei francesi sarebbe equivalso ad una conquista amorosa unica e irripetibile, un bersaglio troppo buono da non considerare. Prima di partire per la Francia, incontrò re Vittorio Emanuele altre due volte. La prima occasione fu a Palazzo reale, in udienza privata con il marito, che venne finalmente messo al corrente della missione, e il giorno dopo a casa propria, senza di lui, spedito ancora in fuori città per i soliti impegni diplomatici. Il trentacinquenne sovrano sabaudo era un amante davvero insaziabile, e Verginicchia aveva adottato uno strano modo di registrare nei propri diari gli incontri d’ amore, segnandoli con una «b» se il rapporto si era limitato a semplici baci, con una «bx» se le effusioni si erano spinte oltre ma non a letto, e con una «f» se il rapporto era stato completo. E per l’ ultimo incontro con il monarca prima della partenza per Parigi annotò due «f»: dopo essere stata a letto con un re, ora era pronta per andarci con un Imperatore.
Costantino Nigra;

Il 25 dicembre 1855 giunse a Parigi con il marito Francesco e il figlio Giorgio. Il consorte era quello che stava dando effettivamente ogni cosa alla Patria, dall’ onore al denaro, dovendo pagare tutto quanto tra viaggi, soggiorno e affitto di un lussuoso appartamento. In un primo momento si era rifiutato di farlo, ma Vittorio Emanuele aveva insistito, forse per non lasciare eventuali tracce del coinvolgimento della Corona e del governo, e lui, tenendo conto dei suoi rapporti con la famiglia reale e la sua corte, di cui era un consulente molto ben pagato, si era dovuto adeguare. Saldò anche il conto degli abiti che Virginia dovette acquistare per presentarsi con un dignitoso guardaroba nei salotti francesi. L’ appartamento parigino era al numero 1 di rue de Castiglione, strada chiamata così in ricordo della battaglia di Castiglione del 1796, che il grande Napoleone Bonaparte aveva vinto contro gli austriaci.
Pienamente consapevole del valore politico della propria impresa, la contessa venne affidata all’ ambasciatore Nigra, che le insegnò le nozioni fondamentali dello spionaggio. La sua conoscenza di ben quattro lingue sarebbe stata molto utile, e a queste venne affiancato un codice cifrato da utilizzare nella corrispondenza da tenere con Torino. Entrò subito in società, partecipando a feste e spettacoli indossando gioielli preziosissimi e vestiti magnifici. Ebbe numerose avventure delle quali annotava ogni particolare sui suoi diari, redatti in maniera astuta, con il chiaro intento, quasi letterario e autocelebrativo, di far risaltare esclusivamente le proprie doti: non vi riportò mai alcun episodio che potesse metterla in qualche modo in cattiva luce o far notare i suoi difetti.
Durante le occasioni mondane emergeva con chiarezza la sua naturale disinvoltura nei rapporti sociali, soprattutto nei confronti degli uomini. Il suo rapporto con le donne era invece scandito dal motto: «Le eguaglio per nascita, le supero per bellezza, le giudico per ingegno.». In questo periodo conobbe peraltro Giovanni Andrea Pieri, patriota e militare italiano che presto divenne il più appassionato dei suoi amori, e che l’ avvicinò enormemente alla causa dell’ Italia unita.
Ammessa a corte nei primi mesi del 1856, si vide circondata in egual misura da sentimenti di ammirazione e avversione: se la principessa Pauline von Metternich, amica intima dell’ Imperatrice consorte, Eugenia, rimase colpita dalla sua grazia, la stessa sovrana, fervente cattolica e appartenente al casato spagnolo dei Portocarrero, la giudicava molto negativamente e non sopportava la sua giocosità e libertà di azione. A maggio, quando la situazione era ormai insostenibile e la mole di debiti contratti dalla moglie piuttosto ingente, il conte Francesco decise di tornare a Torino con Giorgio, e l’ anno successivo volle separarsi definitivamente da lei, riprendendo le mansioni di gentiluomo di palazzo presso la corte. Pur lasciandola senza mezzi di sostentamento, non esitò a inviarle cinquantamila franchi al mese per consentirle di pagare l’ affitto dell’ appartamento e mantenere il solito tenore di vita. Resosi conto di aver dilapidato un patrimonio in Francia per accumulare soltanto fango sul proprio onore, scrisse al cugino Cavour, ma sia a lui che a Vittorio Emanuele dei suoi guai non importava assolutamente nulla: la missione era di importanza vitale, non bisognava lasciare nulla di intentato pur di portarla a compimento.
Napoleone III, Imperatore dei francesi;

In novembre, dopo schermaglie amorose magistralmente condotte e durate qualche mese, Virginia, ospite dei festeggiamenti nel castello di Compiègne, luogo di grande importanza storica per la monarchia francese e ove la migliore società parigina era di casa, si trovò finalmente faccia a faccia con Napoleone III, allora quarantottenne. Secondo le biografie, lui non era esattamente un bell’ uomo, avendo «un fisico piuttosto infelice, gambe corte, una camminata impacciata, gli occhi velati e spenti». Con le donne era gentile e corretto, amava il piacere e pertanto non se le lasciava mai sfuggire. Andava al sodo, interessato poco alle romanticherie. Le cronache del tempo riferirono che l’ apparizione della contessa italiana al ballo di corte, completamente vestita di bianco e priva di gioielli, fu folgorante, tanto che le danze si interruppero e lei si avviò fiera per essere presentata al sovrano, che cedette subito il braccio della moglie Eugenia al duca di Sassonia e si avvicinò per conoscerla. Il loro incontro a letto avvenne una settimana dopo, in un appartamento segreto di Compiègne, organizzato dall’ ingegnoso e affascinato regnante: i due vissero finalmente la loro unione.
Nel diario di quella prima notte, Virginia annotò: «Apparve infine nell’ inquadratura della porta l’ Imperatore, ma non quello che avevo visto nelle manifestazioni ufficiali, con il manto di ermellino seminato di api d’ oro. L’ abito che nascondeva le forme auguste era una specie di veste da camera: una blusa amplissima, con dei pantaloni quasi alla zuava, il tutto di seta viola. Avrei esitato a riconoscerlo, senza i suoi lunghi baffi. S’ avanzò con le braccia in avanti, respinse col piede uno sgabello, vidi la sua ombra avvicinarsi al letto. Si abbassò, io chiusi gli occhi e l’ ultima casella vuota nel mio carnet fu coperta con il nome di Napoleone III, Imperatore di Francia.». Ora, per lei, cominciava la parte più difficile, ossia convincerlo a schierarsi con i Savoia nell’ unità d’ Italia, ma per fortuna anche il poco affascinante Napoleone, come Vittorio Emanuele, era un amante insaziabile. I due si amarono in tutti i castelli della corte imperiale, non soltanto quelli parigini, mentre da Torino i messaggi di Cavour si facevano urgenti: «Arrivate al dunque, perché l’ Imperatore è sul punto di prendere decisioni che potrebbero non esserci favorevoli, e sarebbe poi molto difficile farlo tornare indietro.». Ma la sensuale ambasciatrice dell’ amore seppe arrivare splendidamente al dunque, tanto che nei propri diari e in un messaggio in codice inviato a Torino il 28 marzo 1857 scrisse: «Abbiamo passato una notte intera a discutere di politica, dopo l’ amore, e solo all’ alba, dopo aver fatto l’ amore una seconda volta, ho avuto la certezza che la sua decisione sarà quella che gli italiani attendono. Ho trovato un Imperatore molto comprensivo nei confronti dell’ Italia. Più che legittime, dice lui, le aspirazioni del nostro popolo. Le sue preoccupazioni sono soltanto per ciò che potrebbe accadere se la Prussia decidesse di intervenire a favore dell’ Austria. E comunque, sembra che si sia ormai definitivamente convinto: sarà certamente al nostro fianco.».
Il castello di Campiègne;

A Torino si tirò un bel sospiro di sollievo. Ricevuto l’ atteso messaggio, il Presidente del Consiglio corse dal re, che gongolò: «E’ un tesoro, un adorabile tesoro, quel peperoncino della nostra bella contessa. Diteglielo, quando la cotatterete, che il re le manda un saluto affettuoso, il più affettuoso dei saluti!». Ovviamente, le discussioni politiche dei due amanti a letto proseguirono. Ormai amante favorita dell’ Imperatore, ruolo che la pose al centro dell’ attenzione generale, la contessa ebbe altre conferme da lui, ormai completamente nelle sue mani, e venne colmata di regali favolosi: collier di diamanti e uno smeraldo da centomila franchi che la duchessa De Dino, molto vicina ad Eugenia, definì il più bello che si fosse mai visto al dito di una donna. Non le mancò nemmeno un vitalizio pari a cinquantamila franchi.
Tra intrighi amorosi e maneggi politici, destreggiandosi tra la diplomazia e l’ alcova, la missione fu il grande successo della vita di Virginia, eppure la stella che tanto brillava iniziò presto e bruscamente ad affievolirsi: nella notte del 2 aprile 1857, mentre usciva dalla casa della contessa, l’ Imperatore dei francesi fu assalito in strada da tre individui armati di coltello, e si salvò grazie alla prontezza di spirito del cocchiere che riuscì a lanciare in tempo la carrozza in una folle corsa nella notte. La polizia avviò subito un’ inchiesta per identificare i congiurati, che si rivelarono italiani, appartenenti a gruppi che si opponevano al progetto di un’ Italia unita con l’ intervento francese, e furono tutti condannati all’ ergastolo. In casa della nobildonna sabauda vi fu anche un morto, un poliziotto assunto in tutta segretezza dalla Sûreté, la divisione investigativa della polizia, e sconosciuto agli stessi uomini della scorta, ucciso con un colpo di pistola dall’ ufficiale della guardia personale che seguiva Napoleone anche negli incontri amorosi. La vicenda divenne un vero e proprio giallo sul quale si imbastirono le congetture più inquietanti, come quella relativa ad una diabolica messinscena ordita dall’ Imperatrice Eugenia in persona ai danni dell’ odiata rivale e fatta gestire dai poliziotti così da farla passare per una «complice dei terroristi che, gli attentatori mazziniani, li accoglieva addirittura in casa». In quanto cittadina piemontese, i sospetti non tardarono a ricadere anche sulla contessa di Castiglione, che venne interrogata dagli uomini della Sûreté, decisi a strapparle una confessione inverosimile, relativa ad un complotto che sarebbe stato ordito proprio da lei ai danni del sovrano francese. Fuori di sé per la collera, si lasciò scappare un’ affermazione di fronte agli inquirenti: «Gliela farò pagare, alla spagnola!». Indipendentemente dal suo coinvolgimento o meno in questo drammatico avvenimento, Eugenia si vendicò prontamente della scomoda rivale pretendendo un decreto di espulsione dal territorio francese, e Napoleone non poté rifiutarsi di firmarlo. Tuttavia, egli fece in modo che lei ne fosse informata per tempo, consentendole di salvare le apparenze partendo per Londra di propria volontà prima che il decreto le fosse notificato ufficialmente.
Ebbe quindi termine l’ avventura politica e diplomatica di Virginia, della quale comunque lei si beò per tutto il resto della sua vita, e fortunatamente per Cavour e Vittorio Emanuele II, i rapporti tra Parigi e Torino non risultarono affatto compromessi: convinto che un’ eventuale vittoria dei mazziniani avrebbe risvegliato l’ ardore dei repubblicani francesi, Napoleone invitò Cavour ad un incontro segreto che si tenne il 21 luglio 1858 a Plombières, nella regione francese del Grand Est, occasione in cui il Secondo Impero francese s’ impegnò ad appoggiare militarmente i Savoia in caso di aggressione austriaca. A tali accordi verbali si aggiunse la cessione alla Francia di Nizza e della Savoia, luogo di origine del casato sabaudo ma culturalmente francese, in cambio del supporto militare imperiale, della concessione della creazione di un Regno nell’ Italia settentrionale e dell’ influenza del Secondo Impero su quella centrale dei papi e quella meridionale dei Borbone delle Due Sicilie. L’ intesa raggiunta tra piemontesi e francesi sarebbe stata peraltro consolidata con un matrimonio dinastico tra il principe Gerolamo Bonaparte, cugino dell’ Imperatore, e Maria Clotilde di Savoia, figlia di Vittorio Emanuele. Il 26 gennaio 1859 l’ Alleanza franco-piemontese venne firmata ufficialmente, e il successivo 27 aprile scoppiò la Seconda Guerra d’ Indipendenza italiana a seguito dell’ attacco austriaco ai piemontesi che non avevano accettato di smobilitare l’ esercito.
Re Vittorio Emanuele II;

Abbandonata la Francia, dopo una lunga serie di viaggi, la contessa di Castiglione si stabilì in Italia, dividendosi tra La Spezia e Torino, dove fu l’ amante di Vittorio Emanuele, pur senza riuscire a soppiantare nel cuore del re la Bela Rosin, alias Rosa Vercellana. Delusa, nel 1859 incontrò nuovamente Napoleone III, in visita in Italia: la sua richiesta di ritornare in Francia fu accolta, ma le fu consigliato di evitare la corte. Aveva accumulato molti debiti, sia per la sua vita dispendiosa che per la causa di separazione, che il marito aveva intentato contro di lei con un’ ampia documentazione. Una volta tornata a Parigi alla fine della guerra contro l’ Austria, terminata con l’ annessione della sola Lombardia e compromessa dal ritiro dei francesi, in quanto l’ Imperatore era rimasto inorridito dal massacro presso la Battaglia di Solferino e San Martino, sebbene vinta dai francesi e dai piemontesi, venne a sapere che le indagini sul giallo del 1857 non avevano chiarito il mistero di quel poliziotto assassinato in casa sua, ma si era accertato che lei non aveva nulla a che vedere con il delitto e neppure con il fallito attentato. Virginia poté vivere liberamente in quella che riteneva ormai la sua seconda patria. Pur non volendo più tornare a corte, pensava molto all’ Imperatore, che non riusciva più a incontrare e da cui riceveva risposte sempre più fredde, mentre gli incontri venivano puntualmente rinviati con giustificazioni non sempre motivate: nella sua intelligenza capì che Napoleone considerava ormai chiuso quel meraviglioso capitolo della sua vita, quindi smise di cercarlo, sebbene tale rinuncia non la convinse a lasciare Parigi.
Ormai priva dei soldi di Francesco e delle generose elargizioni imperiali, si trasferì in un alloggio più discreto in place Vendome. Dopo l’ abbandono da parte dell’ Imperatore dei francesi venne scaricata anche da Cavour e Costantino Nigra, oltre che dallo stesso Vittorio Emanuele: il suo nome si era fatto un imbarazzante ricordo per tutti, tanto che dagli archivi di Stato venne fatto prontamente sparire l’ intero carteggio relativo alla sua missione parigina, con i messaggi che aveva inviato per tutto il tempo in codice. Si voleva chiaramente evitare che la nobilissima causa dell’ indipendenza e dell’ unità nazionale fosse macchiata da quella poco onorevole missione di letto. Come scrisse con amarezza nei suoi diari la contessa: «Ho contribuito a fare l’ Italia, ma dall’ Italia non ho avuto nulla.». Ed ancora, riferendosi alla vestaglia che aveva indossato per il primo incontro a letto con il l’ imperiale amante: «Penso che dovrà avere un posto di rilievo nel museo storico del Risorgimento italiano.». Non avrà, in effetti, né onori né prebende, ma solo un «lento e inesorabile oblio». E la sua adorata vestaglia, che conservava come un cimelio in un grande vaso di cristallo, non fu mai esibita in un’ esposizione pubblica.
La contessa fotografata a metà Ottocento;

Il suo ritorno a Parigi, lungamente agognato, fu scandito da una disperata ricerca di un passato ormai lontano, ma non riuscì a recuperare una posizione di primo piano a corte. Si consolò comparendo nei tableaux vivants allora di moda, e facendosi immortalare in dipinti e soprattutto in una serie fotografie performative, alla cui concezione partecipava lei stessa nel quadro di una cura spasmodica per la propria immagine e di una predilezione per la provocazione visuale che la trasformarono in un’ autentica icona del suo tempo anche grazie alla ribalta di palcoscenici come quello dell’ Esposizione universale di Parigi del 1867. Questo insieme di fotografie, curato dallo studio Pierson & Mayer, tra i più famosi d’ Europa, dal 1864 di esclusiva proprietà di Pierre-Louis Pierson, si componeva di circa cinquecento scatti, concentrati in tre periodi di posa: i primo tra il 1856 e il 1858, il secondo tra il 1861 e il 1967, e l’ ultimo tra il 1893 e il 1895. Essi tratteggiarono una sorta di biografia romanzata di Virginia, riproducendo spesso negli atelier i travestimenti e i mascheramenti spettacolari e scandalosi per l’ immaginario dei contemporanei, in cui interpretava un ampio spettro di personaggi inventati o riconducibili all’ universo da lei prediletto del teatro, della letteratura e della lirica: la regina d’ Etruria, Beatrice, Rachele, Medea, la regina di Cuori, la Madonna, Anna Bolena, la regina della Notte, l’ omonima Virginia del romanzo di Bernardin Saint-Pierre, Lady Macbeth.
Il 30 maggio 1867, a Stupinigi, l’ ex consorte Francesco morì stritolato da una carrozza, durante un corteo reale e il figlio Giorgio tornò a vivere con lei. Aveva trent’ anni, e rifiutò l’ idea di risposarsi non volendo legami stabili. Tra i pretendenti che respinse con affetto spiccarono anche il banchiere Rotschild e il duca Henri d’ Orleans, quarto figlio di Luigi Filippo. Ai pochi amici che ancora incontrava e riceveva diceva: «La mia primavera è trascorsa, è trascorsa anche l’ estate, sono ormai nell’ autunno, anzi nell’ inverno dei sentimenti.». Incapace di accettare il passare del tempo e la sfioritura della propria bellezza, togliendole il primato di donna desiderabile di cui era sempre stata profondamente fiera, Virginia si fece rancorosa e chiusa in sé stessa.
Il 19 luglio 1870, in seguito al fallimento del progetto di Napoleone III di annessione del Lussemburgo e a causa della crescente influenza, per nulla tollerata da Parigi, esercitata dalla Prussia sugli Stati tedeschi a sud del fiume Meno, scoppiò la Guerra franco-prussiana, e il successivo settembre, di fronte ai disordini scoppiati a Parigi dopo la sconfitta di Sedan e la deposizione dell’ Imperatore con la conseguente dissoluzione del Secondo Impero, si rifugiò in Italia, da dove, tramite le conoscenze che ancora vantava nell’ ambiente diplomatico, cercò invano di aiutare la nuova Repubblica francese a ottenere condizioni meno dure nelle trattative di pace con la Prussia. Sentendosi ormai più transalpina che italiana, nel giugno 1873 ritornò definitivamente in Francia.
Dipinto di Michele Gordigiani, del 1862;

Dopo aver brillato e scintillato dell’ eleganza più sfrenata, tra balli ed amanti, e aver conosciuto i fasti e i trionfi della mondanità e della propria influenza, con l’ avanzare dell’ età Virginia visse i suoi giorni in solitudine, ormai malinconica, nostalgica ed inconsolabile per il fascino perduto, tanto da far coprire gli specchi del proprio appartamento parigino con un velo nero affinché non rispecchiassero più la sua bellezza trascorsa. Il suo astro era ormai tramontato. Le offrirono cifre enormi, sia in Francia che nel resto d’ Europa, per convincerla a scrivere le sue memorie, ma lei rifiutò ogni offerta: «La vita si vive, non si scrive: io l’ ho vissuta.». I suoi diari erano tenuti sotto chiave perché nessuno li leggesse, ed il giorno in cui ebbe il timore che i cassetti della sua casa parigina non bastassero ad assicurarne la segretezza li portò in Italia.
Nel 1879 venne colpita dalla morte per vaiolo di Giorgio a Madrid, ad appena ventiquattro anni. Lei ne aveva quarantadue, e si isolò ancor più dal mondo sentendosi in colpa ai limiti della disperazione per non essere stata mai vicina all’ unico figlio. Non si riprese mai da questo particolare dolore, e trascorse gli ultimi anni di vita chiusa in un appartamentino ancora più modesto del precedente: una sorta di topaia, sopra un mercato rionale, in rue Cambon. Era anche a corto di denaro, e fu costretta a vendere tutto, a cominciare dai gioielli più cari. Tale isolamento venne rotto soltanto nei primi Anni Novanta da un’ ultima campagna di pose fotografiche, attraverso la quale da interprete esperta giocò ancora una volta con il suo corpo e la sua identità.
La tomba della contessa, a Père Lechaise;

Colpita un’ apoplessia cerebrale che le aveva paralizzato tutto il lato destro del corpo, morì nella sua casa parigina il 28 novembre 1899. Aveva sessantadue anni. Dimenticata dagli italiani, la famosissima contessa di Castiglione, che seducendo l’ Imperatore dei Francesi aveva contribuito in maniera importante ad avviare la riunificazione italiana, era stata abbandonata in una triste solitudine: in casa, al momento del suo trapasso, erano presenti soltanto la cameriera e due cani. Appena avuta la notizia della sua morte, autorità politiche, servizi segreti e polizia bruciarono tutte le lettere e i documenti che aveva ricevuto dalle massime personalità del tempo con cui era entrata in contatto, tra sovrani, politici e banchieri: in mancanza di protocolli, carte e qualsivoglia documento, una buona parte degli storici attuali tende tuttora a negare una sua qualsivoglia influenza nelle questioni risorgimentali. Rimanevano soltanto i suoi diari, opportunamente nascosti, su cui nessuno riuscì mai a mettere le mani. Ben più generoso con lei fu il poeta crepuscolare torinese Guido Gozzano, che lasciò alcuni amari versi: «Allo sfiorire della sua stagione, disparve al mondo, sigillò le porte della dimora e ne restò prigione. Sola col Tempo, tra le stoffe smorte, attese gli anni senza amici, senza specchi, celando al popolo, alla Corte, l’ onta suprema della decadenza.».
Pur avendo espresso il desiderio di essere sepolta a La Spezia, senza funzione religiosa né fiori, e neppure dare alcuna notizia alla stampa e alle autorità, ebbe un regolare rito funebre, a cui parteciparono alcuni camerieri, un duca e un agente di cambio. Non fu neppure sepolta nella patria Italia, ma al cimitero di Père Lachaise, il più grande cimitero di Parigi intra muros e uno dei più celebri nel mondo, dove riposa tuttora. Il suo taccuino, che funse da testamento, venne rinvenuto soltanto dopo la sua tumulazione: la nobildonna aveva diseredato ogni parente, indicandoli uno per uno, ma avendo dimenticato di citare i Tribone di Genova, discendenti di una sorella del nonno materno, questi divennero i suoi eredi universali.
Scatto di Pierre-Louis Pierson, Anni Sessanta;

Aristocratica nata in un’ antica famiglia di discendenza lombarda e ligure, imparentata con uno dei politici più valenti del suo tempo e molto vicina a Casa Savoia, bella e ambiziosa, Virginia Oldoini visse in prima persona i grandi eventi all’ alba del nostro Risorgimento, giocando un ruolo molto importante seppure dietro le quinte, in un contesto puramente mondano eppure pienamente rientrante nella ragion di Stato, ricorrendo ad un fascino e ad un’ intelligenza concesse soltanto a poche donne elette da Madre Natura. Contribuì in maniera decisiva alla riunificazione italiana sotto un’ unica autorità, ma una volta esaurita la propria missione, gli italiani si scordarono di lei. Pare la narrazione appassionante di un fantasioso romanzo a sfondo rosa e avventuroso, di quelli con cui il pubblico ama intrattenersi, invece si tratta di una pagina fondamentale ma poco nota della storia italiana e risorgimentale a causa di un’ opportuna opera di omissione che continua ancora oggi, e che non l’ ha risparmiata neppure nel 2011, quando si tennero i grandi festeggiamenti per il centocinquantesimo anniversario dell’ unità nazionale. Eppure, proprio a lei si deve l’ avvio della campagna politica e militare antiasburgica di cui Cavour, re Vittorio Emanuele II, e Giuseppe Garibaldi furono negli anni grandi protagonisti: senza la conquista amorosa riportata dall’ affascinante contessa fiorentina, che fece capitolare l’ Imperatore dei francesi, molto probabilmente l’ intervento imperiale sul campo di battaglia sarebbe stato assai meno solerte, o forse non avrebbe neppure avuto luogo, e noi oggi vivremmo una realtà storica e geopolitica piuttosto differente. Ora che è passato oltre un secolo e mezzo si potrebbe ormai sollevare in tutta serenità il velo che ha coperto tale «missione d’ alcova». Tale inusuale impresa non le valse alcun merito ufficiale ma ebbe senz’ altro il grande pregio di dimostrare con chiarezza i meccanismi quasi mai ammirevoli della politica, non soltanto italiana: governare è qualcosa di pratico, si è preziosi finché si è utili, e se una particolare azione pare destinata al successo perché privarsene? A La Spezia, dal 2001, all’ ingresso del palazzo in cui abitava è presente un busto in bronzo a lei dedicato, opera dell’ artista Francesco Vaccarone, mentre nel 2011 il comune le intitolò il «Largo Virginia Oldoini» nei giardini di fronte al Conservatorio. E i suoi diari sono attualmente custoditi al museo storico di Torino, dopo essere stati venduti all’ asta per ironia della sorte alla Repubblica nel 1951 dai suoi pronipoti.
Donna bellissima e dotata di acume, condusse una vita straordinaria tra amori e misteri, coltivando una vanità e un compiacimento della propria bellezza paragonabili forse soltanto a quelli di Dorian Gray, l’ affascinante giovane britannico protagonista di un celebre romanzo del magnifico Oscar Wilde, nel cui primo capitolo si afferma: «Al mondo esiste una sola cosa peggiore dell’ essere oggetto di conversazione, ed è il non essere oggetto di conversazione.». E si può ben dire che la contessa di Castiglione non sia affatto passata inosservata, divenendo piuttosto l’ oggetto di appassionate discussioni, mentre da morta prese ad esercitare una certa influenza culturale e mediatica, divenendo protagonista di film cinematografici come «La contessa di Castiglione» del 1954, diretto da Georges Combret e in cui venne interpretata da Yvonne De Carlo, e miniserie televisive quali «La contessa di Castiglione» del 2006, di Josée Dayan, nel quale fu impersonata da Francesca Dellera. Nemmeno il mondo della narrativa storica e poliziesca poteva rimanere precluso all’ affascinante nobildonna e patriota, che appare tra i personaggi di «La Primula di Cavour - Pettegolezzo risorgimentale di amore e morte» di Pietro Soria e pubblicato nel 2002, per poi acquisire un’ importanza fondamentale in «Sherlock Holmes - La vestaglia della contessa di Castiglione», di G. P. Rossi, in cui il celeberrimo e infallibile consulente investigativo londinese indaga sulla morte misteriosa del noto sarto che ha cucito la famosa vestaglia verde con cui sedusse Napoleone III in quella fatidica notte a Compiègne. Come rimanere indifferenti dinnanzi a lei, la donna più bella del suo tempo?