lunedì 8 aprile 2019

Il Buddhadharma tra fraintendimenti e tendenze del momento


«La gioia nell’ osservare e nel comprendere è il dono più bello della natura.» Albert Einstein;

Da circa trent’ anni, con l’ evoluzione a livello esponenziale dei mezzi di comunicazione di massa e della loro efficacia, viviamo nella cosiddetta «Era delle informazioni», in cui la diffusione dei dati è divenuta più veloce addirittura del movimento fisico. Oggi le notizie vengono trasmesse in ogni parte del mondo, e sono accessibili praticamente a tutti, o quasi, dal momento che ormai ognuno di noi ha la possibilità non solo di ricevere dati, ma anche di immetterne a sua volta. Questo principio rappresenta senz’ altro una magnifica conquista da parte dell’ umanità, perché, come è noto, un mondo più informato è il primo passo per uno più consapevole.
Eppure, è un dato di fatto che navigando tra tante informazioni non è scontato riuscire a fare quel particolare passo verso la comprensione e quindi verso la consapevolezza: la nostra mente è infatti bombardata di continuo da un’ infinità di dati, spesso inesatti e addirittura in contraddizione reciproca, che quasi sempre finiscono per confonderci e portarci a sviluppare una serie di convinzioni erronee che ci allontanano nettamente dalla realtà, che per sua natura si trova sempre e solo nei fatti. Siamo di fronte ad un paradosso piuttosto pericoloso, che è bene non sottovalutare mai, tuttavia perfettamente risolvibile con il potere della ragione e della logica, di cui l’ umanità è fortunatamente depositaria: riflettere costantemente con tutto ciò che recepiamo con mentalità lucida ed equanime è l’ antidoto insuperabile contro ogni visione impropria.

Uno dei problemi più antichi e consueti della nostra società è notoriamente quello delle mode, fortemente connesse alla nostra realtà psicologica. Seguire il gusto corrente è molto facile, anche più di quanto si creda, in parte perché si segue l’ esempio altrui e in parte perché siamo indotti da un flusso di informazioni opportunamente guidate da determinati ambienti che hanno un certo interesse in proposito. Oggi rappresenta una tendenza molto più forte che in passato, in quanto da una parte sono venuti meno i valori di una volta e dall’ altra siamo costantemente alla ricerca di un modo semplice e diretto per interagire con gli altri, stabilendo un punto di contatto tramite il quale evitare l’ isolamento. Si segue una moda nuova perché il tempo ha messo da parte quella vecchia, e per stare al passo con gli altri, rispettando ciò che normalmente definiamo «normalità».
Negli ultimi decenni, in questo ampio contesto di informazioni spesso fraintese e mode in costante evoluzione, rientra il fenomeno della religione, quasi sempre fraintesa in un contesto di insegnamenti trasmessi in modo prevalentemente poco chiaro, e la diffusione di nuove filosofie e religioni provenienti da remote zone del mondo, che appaiono suggestive proprio per la loro provenienza lontana. In Occidente in particolare ha luogo da lungo tempo una crisi spirituale le cui radici si possono far risalire all’ Illuminismo, la rivoluzionaria filosofia secondo cui tutti i problemi si possono risolvere «con il lume della ragione» anziché con la fede religiosa. Soprattutto, dopo il 1945, con la fine della Seconda Guerra Mondiale e la caduta del Fascismo e del Nazismo, si è sviluppato un pensiero fortemente materialistico, e nella società del benessere, dell’ individualismo, delle ambizioni e della realizzazione del proprio sé si è acutizzato un senso di insicurezza, vacuità e mancanza di senso, che si manifesta soprattutto con stress, ansia e isolamento. Il Cristianesimo non ha saputo rispondere a tali problematiche, essendo per propria natura incapace di rinnovarsi al proprio interno, e ciò ha dato luogo all’ acuirsi di sentimenti antiistituzionali, soprattutto a seguito del Sessantotto e alla formazione di nuove sette, che benché non abbiano un importante peso numerico fanno comprendere quanto siamo di fronte ad un vero e proprio «supermercato religioso», destinato a rinforzare il senso di confusione personale in tema di religione e spiritualità.

Il Buddha Śākyamuni;
Oggi, il Buddhismo è una delle vie spirituali più note in Occidente. La grande risonanza che ha ottenuto in Europa e Stati Uniti d’ America è un segno evidente dei sempre più frequenti scambi tra due culture molto vaste, diverse e lontane tra loro. Io stesso sono stato cristiano di scuola cattolica fino al mio ventesimo compleanno, e nel 2006, dopo due anni come ateo, ho aderito al Buddhismo, prima a quello di scuola tibetana e, dal 2012, a quello Zen giapponese. Nel 2017, tuttavia, mi sono allontanato gradualmente anche dagli insegnamenti attribuiti al Buddha Śākyamuni, e per mia fortuna si è trattata di un’ esperienza indolore, a differenza del precedente distacco dal Cristianesimo. Io sono sempre stato più curioso e desideroso di comprendere che devoto, e per quanto un’ idea mi affascini prima o poi viene sempre il momento in cui inizio a ragionarci sopra e a verificarla, informandomi sulle sue origini e la sua evoluzione: solo allora sento di essere effettivamente in grado di capire se essa mi convinca davvero oppure no. Posso affermare per esperienza diretta che il Buddhismo, affine al Cristianesimo per determinate vicende storiche e sviluppo dottrinario, rappresenta un elemento poco conosciuto e compreso veramente, del tutto rientrante tanto nel discorso delle informazioni fraintese quanto in quello delle mode del momento.

Il Buddhismo, o meglio Buddhadharma, dal sanscrito Dharma, ossia «verità», ma anche «dovere» o «legge», così chiamato per distinguerlo dall’ insegnamento di altri maestri induisti precedenti o contemporanei, si basa sulle dottrine diffuse da Siddhattha Gotama, passato alla storia come il Buddha, ossia «Risvegliato» in pāli e sanscrito. Gli studiosi ammettono di sapere molto poco su di lui come personaggio storico, e che le sole fonti attualmente disponibili sulla sua esistenza sono i testi del canone buddhista, ovvi documenti di fede e quindi resoconti non attendibili scientificamente. Secondo diverse indagini storiche visse approssimativamente tra il 566 e il 486 prima di Cristo, ma le sue date di nascita e morte non sono state confermate oltre ogni ragionevole dubbio, tanto che alcuni pensano che sarebbe vissuto addirittura circa un secolo più tardi. In tale mancanza di informazioni certe risulta pertanto complesso, se non proprio impossibile, separare la storia dalla leggenda, e definire con esattezza le vicende di questo personaggio, analogamente ad altri quali Abramo, Mosè, Gesù, Maometto e Bodhidharma, figure che molta importanza hanno avuto ciascuno nel proprio contesto religioso e culturale.
Tra i pochi elementi comunemente accettati, si afferma che Siddhattha appartenesse alla famiglia dei Gotama, ramo del clan degli Śākya, ossia «Potenti», una stirpe facente parte degli kshatriya, la casta dei guerrieri e dei nobili, che discendeva dal leggendario Ikṣvāku e si era imposta sullo staterello omonimo di Śākya, nell’ India settentrionale, un’ antica repubblica che ai tempi della nascita di Siddhattha, il cui padre Suddhodana fungeva da governatore regionale, costituiva la parte orientale del potente regno di Kosala, che si estendeva dalla riva nord del Gange fino alle colline pedemontane dell’ Himalaya. Ebbe una giovinezza dorata e una formazione culturale e militare di primo piano, partecipò alla vita di corte, si sposò a sedici anni ed ebbe un figlio a ventinove, poco prima di lasciare la reggia per dedicarsi ad una ricerca spirituale atta a trovare una soluzione alla sofferenza di tutte le creature viventi, sotto la guida di due celebri bramini che vivevano con le proprie comunità, isolati dalla società convenzionale. Convinto che le pratiche ascetiche tradizionali non fossero di aiuto nella liberazione dal male costituito dalla nascita, dalla malattia, dalla vecchiaia e dalla morte, si stabilì nei pressi di Bodh Gaya, ove, secondo la tradizione, a trentacinque anni avrebbe conseguito per mezzo della meditazione intensiva la Bodhi, la piena illuminazione sorta da livelli sempre maggiori di consapevolezza relativa alle cause del dolore e al comportamento ideale con cui superarlo. Recatosi nella città sacra di Benares, luogo fondamentale della spiritualità induista, ove insegnò ai cinque discepoli che in passato si erano uniti a lui nelle pratiche ascetiche e da cui fu accolto come maestro, si dedicò all’ attività missionaria, percorrendo la valle del Gange, in cui diffuse la nuova dottrina e fondò una comunità monastica aperta a chiunque, indipendentemente dalla provenienza di casta. Morì a ottant’ anni, quarantacinque dei quali dedicati all’ insegnamento durante i quali dovette affrontare svariati problemi, soprattutto tentativi di scisma e persino di assassinio da parte di alcuni monaci ambiziosi e altri di diffamazione da parte degli ambienti indù più conservatori.
Lama tibetano mentre tiene un insegnamento;

Alcuni studiosi di storia delle religioni e di ecumenismo sostengono che durante la sua attività spirituale il Buddha non desiderasse fondare una religione nuova, ma contribuire a riformare la propria. Come indiano, infatti, era stato educato ai valori fondamentali dell’ Induismo, e di conseguenza si rivolgeva ai compatrioti nella veste di riformatore religioso: non è un caso che scelse proprio Benares, il cuore della tradizione induista, come luogo del suo primo insegnamento e neppure che parlasse di reincarnazione, karma, Saṃsāra e Nirvana, confermando in tal modo le credenze di base della sua tradizione ma al tempo stesso assumendo i toni di convinto oppositore alla casta braminica, alla ritualità e ai sacrifici di animali in favore dello sforzo individuale e nonviolento. La sua azione rientrava pienamente nell’ implicita opposizione tra kshatriya e bramini, in quanto i primi, che governavano e proteggevano gli altri uomini, non potevano sperare nella prosperità senza offrire sacrifici, mentre gli altri, che conoscevano i testi sacri e potevano compiere funzioni spirituali e rituali dipendevano dai governanti nella loro funzione mondana, per quanto fossero puri nella sacralità. Secondo i testi canonici, addirittura, fu persino invitato da Brahmā e Indra, rispettivamente il creatore dell’ universo e il re degli dei, ad insegnare pubblicamente le sue scoperte, beneficiando tutti gli esseri senzienti, vincendo i suoi dubbi iniziali sul fatto che il Dharma da lui scoperto fosse troppo difficile e rivoluzionario per essere compreso e accettato. In certi ambienti induisti viene persino identificato come la nona incarnazione in forma di avatara di Visnù, protettore del mondo e del Dharma. L’ unica vera innovazione del suo insegnamento fu il concetto relativo alla Bodhi, la beatitudine finale e traguardo di una pratica spirituale basata sulla meditazione e la comprensione delle Quattro Nobili Verità e del Nobile Ottuplice Sentiero, in quanto la liberazione spirituale già ricercata in ambito induista non poteva essere concessa da nessun altro, neppure dal santone più celebre e ineguagliabile: solo l’ individuo può liberare sé stesso con la saggezza, la moralità e la disciplina mentale. L’ insegnamento che trasmise ai suoi discepoli si basava essenzialmente su di un’ interpretazione originale delle Upaniṣad, concetti della scuola vedica che da secoli erano alla base dell’ ortodossia, e non su concetti appositamente formulati.
Il Buddha Śākyamuni fu certamente una figura straordinaria sulla scena spirituale induista, avendo dato inizio ad una nuova scuola di pensiero che si opponeva tanto agli estremi edonistici e ascetici della disciplina del tempo quanto al sistema delle caste, convinto com’ era che la destinazione finale fosse effettivamente possibile seguendo un sentiero differente. Le sue innovazioni seppero influenzare profondamente lo stesso Induismo: il suo rifiuto della speculazione metafisica e il suo pensiero logico introdussero infatti un’ importante tendenza analitica che fino ad allora era mancata nella tradizione.

Nel 268 prima di Cristo, duecentodiciotto anni dopo il periodo in cui si indica la morte del Buddha, Aśoka il Grande, il terzo re della dinastia bengalese dei Maurya, salì al trono e in pochi unificò l’ India, aderendo poi al Buddhadharma, ormai molto diffuso principalmente nelle città e nel ceto mercantile, facendogli vivere un periodo molto fortunato, tanto da farne la religione ufficiale. Volendo pentirsi delle lunghe guerre che aveva sostenuto prima di allora, regnò secondo i valori buddhisti fondamentali, peraltro promulgando gli insegnamenti, finanziando i monasteri, costruendo stūpa e monumenti, introducendo leggi e istituzioni compassionevoli e nonviolente, favorendo relazioni pacifiche con i regni vicini, costruendo ospedali per persone e animali, assicurando il benessere delle popolazioni locali, assicurando luoghi confortevoli per i visitatori e così avanti. Scrisse molti editti per sostenere il Buddhadharma e inviò molti monaci nelle nazioni vicine perché lo diffondessero.
Tuttavia, quando Aśoka morì nel 232 prima di Cristo, complici il rifiuto da parte del Buddha di scegliere un successore che sancisse un’ ortodossia e alcune difficoltà interpretative circa determinati aspetti della dottrina, le divergenze tra le varie correnti buddhiste aumentarono portando alla formazione di due scuole, l’ Hīnayāna, legato agli insegnamenti del Buddha così come li aveva trasmessi, e improntato su di una prerogativa razionale e autoritaria e sull’ idea che il praticante debba agire per la liberazione individuale, e il Mahayana, basato un contenuto filosofico e mistico secondo cui il praticante deve orientarsi per liberare dalla sofferenza dapprima gli altri, e poi sé stesso. In seguito, a poco a poco, a causa di varie invasioni, come quella degli unni durante il V secolo e quella dei turchi di seicento anni dopo, in cui il celebre Monastero di Nālandā, famoso per i suoi diecimila monaci, venne distrutto, il Buddhadharma, particolarmente legato a monasteri che sopravvivevano soltanto con il sostegno statale, sparì dall’ India e i bramini recuperarono il terreno perduto contribuendo a imporre nuovamente l’ antica tradizione induista, assistendo tuttavia alla diffusione dell’ Islam, importato dai turchi. Il Buddhadharma sopravvisse solo tramite la predicazione al di fuori degli originari confini indiani, assumendo varie forme molto diverse tra loro in quanto si integrò con svariate realtà storiche, culturali e spirituali a seconda delle nazioni raggiunte: analogamente a quanto avvenuto nel contesto di tutte le altre filosofie indiane, ciò pose un’ enorme difficoltà nell’ accertare cosa fosse stato veramente indicato dal maestro originario e quali fossero invece le interpretazioni dei suoi seguaci e discendenti. Il Buddhadharma non fu un’ eccezione, divenendo qualcosa di comprensibilmente sradicato dal contesto induista originario, da cui si era dovuto logicamente allontanare nel processo stesso di diffusione in ambienti nuovi, con tutte le difficoltà derivanti dalla traduzione dei testi canonici nelle altre lingue, dalla spiegazione dei principi caratteristici alle popolazioni non indiane e dalla necessità di preservare i valori fondamentali della disciplina sia monastica che laica.
Testi sacri conservati al Monastero di Palcho;

I primi contatti tra Buddhadharma e Occidente risalgono alle epoche più antiche. Alcuni lo ritengono possibile già nel 334 prima di Cristo, quando Alessandro Magno conquistò la maggior parte dell’ Asia centrale sino ai confini del fiume Indo, agli inizi del Punjab. Di sicuro ebbero luogo al tempo dei regni ellenistici, sorti a seguito della disgregazione dell’ Impero macedone a causa della morte prematura e senza eredi del giovane Alessandro a Babilonia, i cui generali divisero tra loro i territori occupati continuando a favorire la diffusione della cultura greca in Oriente, ponendo in tale contesto le basi dello sviluppo di un’ arte sincretica greco buddhista. Tuttavia, i legami tra l’ insegnamento buddhista e il mondo occidentale si intensificarono soprattutto durante l’ Ottocento, con la colonizzazione da parte degli imperi europei, quello britannico specialmente, delle nazioni di tradizione buddhista, favorendone una conoscenza dettagliata, anche grazie agli studi di grandi orientalisti quali Giuseppe Tucci, Pio Filippani Ronconi, Fosco Maraini e i fratelli Raniero e Gherardo Gnoli.
Dapprima oggetto di interesse superficiale dato dal fascino per un mistico Oriente idealizzato, il Buddhadharma divenne più direttamente un oggetto di studio da parte del mondo accademico occidentale, ponendo le basi per una sua modesta diffusione tra Stati Uniti ed Europa, che però non vide sviluppi significativi fino all’ inizio del Novecento, quando ebbero luogo le prime conversioni occidentali ad una religione che già veniva vista con speranza come una possibile alternativa ad un Cristianesimo ormai minato nella sua credibilità di ente morale prima dal razionalismo scientista derivato dall’ Illuminismo e poi dai pensatori positivisti, nonché, più in generale, dalla volontà di riscoprire con altri mezzi una spiritualità autentica sotto la polvere delle vecchie istituzioni incoraggiata negli anni del Romanticismo e del Decadentismo. Fu proprio in questo periodo che gli studiosi occidentali coniarono il termine «Buddhismo», oggi tanto comune.

Attualmente, tutte le scuole buddhiste sono diffuse in Occidente: la scuola Theravāda, la sola aderente all’ Hīnayāna tuttora esistente, ebbe un forte impatto fin dagli Anni Trenta, tuttavia attualmente risulta la forma meno nota e praticata; quella Zen iniziò invece a diffondersi negli Anni Cinquanta; quella tibetana, invece, favorita dalla diaspora del popolo tibetano a seguito dell’ occupazione del Tibet da parte della Repubblica Popolare Cinese durante gli Anni Cinquanta, ebbe un notevole slancio a partire dagli Anni Settanta. Di recente, alcuni occidentali hanno persino assunto la guida spirituale di antichi lignaggi di insegnamento, contribuendo molto attivamente alla formazione di un Buddhismo occidentale.
Oggi è molto facile accedere a fonti che parlano di Buddhismo, anche in rete, ma molte di esse sono legate ai medesimi ambienti buddhisti, che comprensibilmente si esprimono in modo enfatico, suggestivo e persino di parte, oppure ad ambienti accademici che talvolta presentano i concetti in modo inesatto oppure facendo paragoni impropri tra la tradizione e persino la terminologia buddhista e quella cristiana. Ad esempio, il Buddhismo viene spesso presentato come una semplice filosofia, «modo di vivere» secondo determinate fonti, ma in realtà si tratta di una religione organizzata a tutti gli effetti, quindi un occidentale che ha sconfessato la propria religione originaria per mancanza di fede in questioni teologiche non può accettare veramente la via del Buddha come bussola per la propria vita, in quanto denota una presenza massiccia di riti, preghiere e tematiche mistiche che possono essere accettate solo fideisticamente: la buddhità, tanto per fare un esempio, è una sorta di beatitudine resa possibile dalla Natura di Buddha, un’ essenza spirituale che secondo la tradizione tutti gli esseri possiedono in sé, che, una volta maturata con la meditazione, la comprensione delle Quattro Nobili Verità e della Vacuità e la pratica del Nobile Ottuplice Sentiero consente lo sviluppo di poteri miracolosi. Si tratta di una fede basata su precisi dogmi, come quelli relativi alla reincarnazione e al karma, presi in prestito essenzialmente dall’ originario ceppo induista, piuttosto che da fatti reali e incontrovertibili. Molte scuole, peraltro, soprattutto il Buddhismo tibetano, venerano svariate entità spirituali superiori come i dharmapāla, paragonabili agli angeli custodi citati nel Cristianesimo. Se in Occidente i non credenti dubitano dell’ esistenza di Dio per mancanza di prove o indizi che la avvalorino, altrettanto si può fare nei riguardi della reincarnazione, del karma e della Bodhi. A proposito del Risveglio del Buddha in particolare, alcuni storici e studiosi di religioni antiche hanno suggerito l’ ipotesi che fosse il risultato non tanto di un’ esperienza mistica maturata nel contesto di una vita ascetica e della pratica meditativa, ma di un lungo percorso di studi culturali e religiosi dovuti al suo stato di aristocratico: tenendo conto del fatto che i testi canonici ignorano buona parte della sua giovinezza, riferendo che si fosse sposato a sedici anni divenendo padre a ventinove, è stata persino avanzata l’ ipotesi che Siddhattha abbia studiato a Takkasila, o Taxila secondo altre fonti, nell’ attuale Punjab pakistano, la più famosa università di quei tempi, meta favorita dei giovani aristocratici indiani, ove le idee e di cultura greca e persiana si mischiavano con quelle indiane.
Analogamente a tutte le altre tradizioni religiose, maturate in ogni luogo, nel Buddhismo si può notare un certo pessimismo nei riguardi della vita, che considera essenzialmente come una costante fonte di dolore: come il Buddha Śākyamuni in persona disse nel Discorso di Benares, la nascita, la vecchiaia, la malattia, la morte, l’ unirsi con cose non gradevoli, il separarsi da cose gradevoli e il non ottenere ciò che si desidera sono tutte fonti di sofferenza, e la stessa rinascita dipende dal prepotente desiderio di essere e di provare qualcosa. Quindi, per fermare ogni tipo di divenire occorre eliminare la radice della sofferenza, annullando i desideri. Fondamentalmente, tale pessimismo trova una sua spiegazione nel particolare contesto in cui il Buddha e altre figure religiose vissero e insegnarono, ossia l’ era antica, in cui la vita era molto più precaria di oggi e il dolore era un’ esperienza costante, soprattutto tra le classi più basse, tra carestie, guerre, mancanza di civiltà e di libertà. In quel tempo, una vita libera dal dolore, non necessariamente felice, era il massimo che allora la maggioranza poteva augurarsi, in quanto ogni attimo di felicità era una condizione del tutto eccezionale. Buona parte delle affermazioni buddhiste sono quindi assai difficili da accettare al giorno d’ oggi, se non si è pessimisti o portati alla depressione. Appare evidente quanto il Buddhismo sia stato concepito come riparo sotto il quale si può contemplare serenamente un temporale, senza bagnarsi ma neppure riuscire a superare veramente il problema rappresentato dalla precipitazione. Peraltro, ad un’ attenta analisi, nella via del Buddha si può notare una contraddizione molto particolare, in quanto durante la sua predicazione il Buddha invitò più volte i suoi discepoli a valutare il suo insegnamento così come l’ orefice saggia la qualità dell’ oro prima di iniziare a lavorarlo. Da allora, le numerose generazioni di maestri che si sono succedute fino ad oggi hanno spronato sul suo esempio a non credere in nulla per fede, ma ad affidarsi al proprio giudizio, eppure la tradizione puntualizza ogni volta che il Buddha e i maestri delle varie tradizioni sono tutti maestri pienamente illuminati, dunque rappresentano un’ autorità assolutamente esatta, sicura e sincera, qualcosa di cui non si può e non si deve dubitare. Quindi, esattamente come ogni altra religione, il Buddhismo induce alla dipendenza dal pensiero altrui e all’ autorità dei testi canonici e dei maestri.
Omaggio cerimoniale al Buddha;

Non è mia intenzione lanciarmi in chissà quale anatema oppure rivolgere accuse a qualcuno, ma riflettere sul fatto che il più delle volte, quando vengono trasmessi un pensiero, una filosofia, una religione o un’ ideologia provenienti da un contesto lontano e completamente diverso dal nostro, ciò viene spesso complicato dal fatto che le varie culture poggiano ciascuna su precisi principi e concetti, alcuni simili e altri diversi da quelli adottati dalle altre, quindi la trasmissione di un messaggio non sempre riesce in modo semplice e diretto. Peraltro, spesso si pone una certa attenzione su alcuni dettagli piuttosto che altri, finendo con l’ influenzare largamente il pensiero della gente. Il Buddhismo, e il Cristianesimo prima ancora, rientra pienamente nel discorso. Nello sconfinato panorama religioso e filosofico che tuttora anima il nostro mondo è assolutamente necessario comprendere a fondo e senza preconcetti qualsivoglia messaggio, sulla base della propria esperienza personale: è bene domandarsi seriamente se tale insegnamento abbia qualcosa a che vedere con la nostra vita quotidiana, e a che cosa serva. Queste parole ci dicono qualcosa sulla nostra vita familiare, sul nostro mestiere, sui nostri rapporti di amicizia o la nostra natura personale? Le idee astratte possono essere molto belle, ma se non hanno alcun riferimento con la nostra vita non sono ovviamente di alcun aiuto. Soprattutto, devono poggiare su di una base concreta e comprovata, piuttosto che sulla semplice fede, perché come è noto le semplici convinzioni hanno il potere di allontanarci dalla verità e, talvolta, persino di esporci a persone dalla dubbia moralità e coinvolte in faccende poco limpide.
Quando ci si incuriosisce ad una nuova tradizione religiosa o filosofica è bene non precipitarsi mai direttamente nell’ ascolto o nella lettura degli insegnamenti impartiti da un relativo maestro, perché questi sono comprensibilmente di parte e si rischia di rimanerne influenzati, tanto in bene quanto in male. E’ meglio documentarsi innanzitutto per mezzo di fonti storiografiche e culturali possibilmente neutre e accurate, come le enciclopedie, i testi accademici o i resoconti di studiosi e viaggiatori, che al confronto riescono ad essere molto più precisi ed esatti, tramite le quali è ben più possibile risolvere i dubbi. Peraltro, occorre precisare che passare da una tradizione ad un’ altra è un percorso difficile che genera vari problemi: cambiare fede crea alcune difficoltà nella mente, soprattutto in un contesto di informazione non perfetto, e alla lunga provoca un senso di contrasto con quanto si è precedentemente appreso nella vita oppure una grande confusione che solo la chiarezza della conoscenza e della comprensione può evitare.