lunedì 19 novembre 2018

Gangchen Rinpoche, gli intrighi, il doppio gioco e le faccende poco limpide di un lama tibetano

Gangchen Rinpoche;
«Visto che va tanto di moda il pettegolezzo, io vi porto un pettegolezzo di pace. Il nostro corpo e la nostra rinascita non sono indipendenti dalle condizioni ambientali e la cultura violenta di oggi influisce su di noi. Bisogna trovare valori comuni e la base può essere la pace, un valore che ognuno dovrebbe coltivare dentro di sé. La pace è la giusta medicina che fa bene alla salute mentale e anche il messaggio autentico per le future generazioni.» Gangchen Rinpoche;


Secondo la tradizione, e così come viene riferito nel canone pāli, la più antica raccolta di testi buddhisti pervenuta integralmente fino ad oggi, nel 530 prima di Cristo, il principe Siddhattha Gotama, che a seguito di un’ intensa ascesi spirituale scandita da faticosi autocontrolli fisici e intense meditazioni aveva da poco raggiunto il Risveglio ai piedi di un albero di pippal nei pressi di Bodh Gaya, nell’ India settentrionale, giunse a Benares, a circa dieci chilometri a nord di Varanasi, la città sacra degli induisti, meta costante di pellegrinaggi votivi, ove tenne il Dhammacakkappavattanasutta, ossia il Discorso di Benares, il suo primo insegnamento, rivolto ai a cinque discepoli di famiglia brahmanica con cui precedentemente aveva condiviso alcune severe pratiche ascetiche volte alla realizzazione della buddhità, ma senza successo. In tale discorso, sutta in lingua pāli, spiegò i principi delle Quattro Nobili Verità, secondo le quali la sofferenza esiste, trae la sua origine nel desiderio egoistico e cessa eliminando l’ ego attraverso il Nobile Ottuplice Sentiero, una via di addestramento spirituale basata su di un’ esistenza virtuosa orientata alla rettitudine: retta comprensione, retto pensiero, retta parola, retta azione, retta condotta di vita, retto sforzo, retta consapevolezza, retta concentrazione.
Nei duemilacinquecento anni dalla venuta del Buddha Śākyamuni, come Siddhattha venne ricordato a seguito di questo originario sermone, il suo insegnamento, detto Buddhadharma oppure Buddhismo, si è suddiviso in numerose scuole di pensiero ciascuna contraddistinta da specifiche tecniche meditative e visioni mistiche, tuttavia accomunate dalla stessa filosofia di base, nonché dalla dottrina del Nobile Ottuplice Sentiero, che ha preservato per intero il proprio valore tanto per i maestri e i monaci quanto per i praticanti laici. A onor del vero, appare evidente quanto non sia necessario aderire ad una religione o ad una filosofia in particolare per comprendere che un’ esistenza lontana dagli eccessi tanto del piacere quanto dell’ ascetismo sia la migliore se si vuole trascorrere una vita serena, priva di dolore inutile: dalla culla alla tomba si affronta già abbastanza sofferenza, senza bisogno di cercarne altra con una condotta inadeguata o eccessiva. Saggezza, moralità e disciplina mentale sono pertanto valori universali che ogni persona, credente o no, può e deve sviluppare per essere felice e possibilmente contribuire al bene di chi la circonda. Chi invece sceglie di aderire ad una particolare religione dovrebbe seguirne diligentemente i principi, e i maestri che la tramandano alle nuove generazioni dovrebbero dare per primi l’ esempio praticando tutto ciò che insegnano. E’ un dato di fatto che le guide spirituali godono di enorme potere, in quanto possono influenzare assai facilmente il pensiero di moltissime persone presentandosi abbigliati in un determinato modo, esponendo idee filosofiche esotiche e complesse, promettendo miracoli tramite poteri maturati durante intensi ritiri spirituali nel cui corso hanno padroneggiato tecniche meditative articolate e misteriose trasmesse in segreto da maestro a discepolo.
Durante il Novecento, tutte le scuole buddhiste hanno suscitato un profondo interesse in Occidente, incuriosendo studiosi e gente comune e riscuotendo generali consensi tra la popolazione, prevalentemente di tradizione cristiana, quale modo di vivere pacifico in armonia con tutte le cose viventi, animato in modo particolare dal principio della reincarnazione, secondo il quale ogni essere che muore rinasce in eterno assumendo forme e sesso differenti fino al compimento della buddhità, la piena maturazione spirituale sull’ esempio del Buddha Śākyamuni che apre le porte del Nirvana, stato di perfetta beatitudine che porta alla cessazione della sofferenza e quindi del ciclo di nascita, morte e rinascita alla base dell’ esistenza. Il Buddhismo tibetano è oggi una delle scuole più note e seguite a livello mondiale, complice l’ invasione del Tibet tra il 1950 e il 1959 da parte della Repubblica Popolare Cinese, le cui dure condizioni costrinsero il XIV Dalai Lama a rifugiarsi in India settentrionale, a Dharamsala, ove, sostenuto dal governo di Nuova Delhi, lavora costantemente per promuovere la causa del suo Paese pur senza scagliare l’ opinione pubblica mondiale contro la Cina comunista. Molto attivo a vantaggio dei rifugiati tibetani di ogni classe sociale ed età che ogni anno sfuggono tuttora alla proverbiale rigidità del sistema cinese, procurando tutto ciò che occorre loro per vivere e integrarsi nella nuova nazione, l’ Oceano di Saggezza, traduzione letterale del suo titolo nelle lingue occidentali, sostiene da sempre una lotta basata sulla nonviolenza e la disobbedienza civile sull’ esempio del Mahatma Gandhi, di cui si definisce tuttora un grandissimo ammiratore, e negli Anni Settanta visitò per la prima volta l’ Occidente, impegnandosi nella divulgazione a livello internazionale del dramma del suo popolo e condividendo insieme ad altri lama e monaci i principi della tradizione buddhista tibetana, contribuendo alla fondazione di monasteri e centri spirituali che da allora sono aumentati per numero e importanza. I più noti di questi luoghi di trasmissione e pratica sono i centri legati alla Fondazione per la Preservazione della Tradizione Mahayana, quelli del movimento Rigpa nonché quelli del Buddhismo della Via di Diamante, ispirati a tutte e quattro le scuole di pensiero sorte durante i secoli in Tibet.
In Italia in particolare è presente l’ Unione buddhista italiana, un’ associazione formata da centri e associazioni confessionali che operano sul territorio, il cui impegno portò nel 2012, dopo un lungo percorso, all’ approvazione da parte dello Stato di un’ intesa nella quale il Buddhismo venne riconosciuto ufficialmente tra le religioni praticate dal popolo italiano e non più soltanto dalle minoranze di provenienza asiatica, cosa che consentì di devolvere l’ Otto per mille a favore dei centri e al sostentamento dei monaci e dei maestri di ogni tradizione.

Gangchen Rinpoche in ricche vesti;
Nel variegato panorama buddhista italiano spicca l’ attività di un particolare lama tibetano, Gangchen Rinpoche, nominato Messaggero di pace dalle Nazioni Unite e molto impegnato come guaritore, famoso per la sua amicizia con vari volti noti dello spettacolo, soprattutto Marco Columbro, a capo di un movimento dalla consistente e articolata struttura organizzativa. Una figura purtroppo assai controversa all’ interno del mondo tibetano, che essendo stato retto per secoli da una teocrazia risulta ovviamente soggetto a dinamiche politiche, sociali e spirituali ben più complesse e meno ovvie di quanto la propaganda solitamente lasci intendere. Da molti anni è in dissidio con il Dalai Lama a causa di una forte controversia spirituale dalle dinamiche tutt’ altro che semplici e scontate, che ad un certo punto lo ha visto stringere intensi legami con le autorità cinesi, contribuendo ad animare non poco la già penosa questione tibetana e portando ancora una volta a domandarsi se il fine giustifichi i mezzi…
Gangchen Rinpoche con Song Rinpoche;

Nato in una famiglia di contadini di Dakshu, minuscolo villaggio dello Tsang, regione del Tibet occidentale, all’ età di tre anni venne riconosciuto come la reincarnazione di Kacen Sapenla, un famoso lama guaritore appartenente a un antico lignaggio di maestri reincarnati iniziato con Darikapa, uno degli ottantaquattro maggiori Mahāsiddha venerati in Tibet, e in cui figurano Zango Tashi, uno degli abati del Monastero di Tashilhunpo, residenza del Panchen Lama, la seconda figura più importante in Tibet dopo il Dalai Lama, e molti lama che in vita ebbero rapporti stretti con i vari Panchen Lama.
A cinque anni entrò come novizio di scuola Gelug, la stessa dei Dalai e dei Panchen Lama, nel Monastero Gangchen Choepeling, distante dodici chilometri dal villaggio natio, ove fu ribattezzato Thinley Yarpel Lama Shresta, oppure Gangchen Rinpoche, ossia «il Prezioso di Gangchen», e iniziò la propria educazione religiosa tradizionale sotto la guida di alcuni grandi lama quali Song Rinpoche e in particolare Trijang Rinpoche, una personalità molto potente e rispettata in quanto insegnante giovane del XIV Dalai Lama. Il suo percorso di studi lo portò a ricevere tutte le maggiori iniziazioni meditative e rituali tipiche della sua scuola, soprattutto quella del Buddha della Medicina, in conformità alla sua preparazione quale futuro lama guaritore. Successivamente si trasferì a Tashilhunpo, distante quaranta chilometri da Dakshu, dove nel corso di un’ antica cerimonia ricevette appena dodicenne l’ importante titolo di kacen, normalmente conferito dopo circa venti anni di studi. Fino all’ età di diciotto anni condusse gli studi di filosofia, meditazione, medicina e astrologia dividendosi tra Tashilhunpo e il Monastero di Sera, a Lhasa, capitale del Regno delle Montagne.
Con l’ invasione del Tibet da parte della Repubblica Popolare Cinese, a cavallo degli Anni Cinquanta, Gangchen Rinpoche venne imprigionato e costretto ai lavori forzati analogamente a molti monaci e lama, oltre che nobili e gente comune, ma nel 1963 fu in grado di raggiungere l’ India, che dal 1959 dava asilo al Dalai Lama e al governo tibetano in esilio, dove completò i suoi studi in uno dei molti monasteri riedificati al di fuori della terra natia al fine di garantire la sopravvivenza del Buddhismo tibetano. Nel 1970 ricevette il titolo di Ghesce Rigram al Monastero di Sera, e in seguito lavorò come lama guaritore presso le comunità tibetane in India, Nepal e soprattutto in Sikkim, dove divenne medico dei Namgyal, la famiglia reale.
Dal 1981 iniziò a viaggiare in tutto il mondo, Europa soprattutto, insegnando varie pratiche di meditazione e il mantra del Buddha Śākyamuni, oltre che i concetti legati all’ educazione alla pace interiore e la cura dell’ ambiente, guarendo e guidando vari pellegrinaggi nei luoghi sacri più importanti delle diverse religioni del mondo, dedicandosi inoltre ad un progetto di integrazione fra la medicina tibetana e l’ allopatia. Nel 1983 si stabilì permanentemente in Italia, risiedendo dapprincipio a Gubbio e poi a Milano, iniziando a dare regolari insegnamenti in grandi centri come l’ Istituto Lama Tzong Khapa di Santa Luce e il Ghe Pel Ling di Milano, divenendo molto popolare in Occidente. Negli anni incontrò Giovanni Paolo II e Madre Teresa di Calcutta, e tra i suoi discepoli figurarono presto molte persone famose, tra uomini di spettacolo e insegnanti.
Dorje Shugden, controversa entità spirituale tibetana;

Per comprendere meglio la figura di Gangchen Rinpoche occorre affrontare la vicenda di Dorje Shugden, entità spirituale al centro di determinate pratiche devozionali e liturgiche delle scuole tibetane Gelug e Sakya e che fin dagli Anni Settanta costituisce la causa di un animato dibattito che ha aspramente diviso i tibetani esuli e i praticanti occidentali della loro tradizione buddhista.
Il Buddhismo tibetano si distingue per la forte presenza di elementi mistici, consistenti soprattutto nell interpretazione dei presagi e dei sogni, nonché nella propiziazione degli spiriti buoni e nell esorcizzazione di quelli cattivi e nella consultazione degli oracoli, ossia sensitivi capaci di entrare in trance ospitando in sé le entità divine mettendole in contatto diretto con i comuni mortali in occasione di importanti decisioni spirituali e politiche da prendere, come l’ identificazione della reincarnazione di un lama defunto tra una cerchia di candidati, piuttosto che la definizione dei dettagli di un accordo politico, diplomatico o commerciale con l’ estero. Gli oracoli in particolare sono un elemento molto importante della cultura tibetana, in quanto vengono interrogati per ottenere protezione e guarigione, e si riconosce loro il compito primario di aiutare i tibetani a praticare correttamente il Buddhadharma. Un tempo in Tibet si contavano centinaia di oracoli, molti dei quali oggi sono scomparsi, mentre quelli più importanti, soprattutto quelli consultati dal governo tibetano in esilio, continuano ad esistere.
Durante il Seicento, a seguito di numerosi intrighi e instabili alleanze tra i vari potentati locali alternati a violente incursioni da parte dei mongoli e dei cinesi, il V Dalai Lama, riverito lama reincarnato di scuola Gelug, coreggente del Monastero di Drepung, a Lhasa, insieme a Tulku Dragpa Gyaltsen, altro maestro rinato di grande rispetto, unificò per la prima volta il Tibet con il sostegno mongolo, assumendone l’ autorità sia politica che religiosa, e per favorire l’ unità nazionale, e dunque consolidando la propria posizione, comprese di dover esercitare la guida spirituale senza esclusivismi, aprendosi a tutte e quattro le scuole tibetane, soprattutto la Nyingma, la più antica, fondata nell’ VIII secolo dal leggendario maestro indiano Padmasambhava. In risposta, Tulku Dragpa Gyaltsen appoggiò l’ opposizione dell’ ala conservatrice dei lama e monaci che rigettavano l’ entrata in politica dei Gelug e il miscuglio delle loro discipline spirituali con lo Dzogchen, la tecnica meditativa dei Nyingma, nella convinzione che in tal modo avrebbero contaminato la pura dottrina di lama Tzong Khapa, il maestro fondatore della loro scuola. Nel 1655, tuttavia, Tulku Dragpa Gyaltsen venne trovato defunto in circostanze mai chiarite: si parlò di morte naturale a seguito di una malattia che per qualche tempo lo aveva effettivamente oppresso, ma anche di assassinio politico ordito dal Reggente del V Dalai Lama per soffocamento tramite una sciarpa rituale che gli sarebbe stata fatta ingoiare, in modo tale da rimuovere ogni ostacolo all’ autorità dell’ Oceano di Saggezza. In ogni caso, secondo la tradizione, lo spirito dello sfortunato insegnante si tramutò in un’ entità spirituale molto potente, Dorje Shugden, che i suoi discepoli iniziarono a venerare come dharmapāla, ossia «protettore del Dharma» in sanscrito, ergendolo a simbolo della purezza della dottrina Gelug contro qualsivoglia avvicinamento ad altre discipline. Il V Dalai Lama e i suoi dignitari, invece, lo indicarono come un essere malevolo sorto da preghiere distorte e tentarono di esorcizzarlo tramite rituali complessi e profondi, ma senza successo.
Nei successivi due secoli, Dorje Shugden rimase un protettore di livello minore e marginale, comune nel Tibet meridionale fino alla fine dell’ Ottocento. Nel 1895, infatti, il XIII Dalai Lama assunse il potere e si sforzò fin dal primo giorno di restaurare l’ antica importanza politica e spirituale del proprio lignaggio di reincarnazione, che si era indebolito profondamente a causa della morte in giovane età dei suoi precessori a partire dall’ VIII. Uomo dal forte carattere e dalle profonde convinzioni, ebbe una lunga vita e seppe sottrarsi all’ influenza dei propri dignitari politici e religiosi, e analogamente al V Dalai Lama si avvicinò alle pratiche dei Nyingma e tentò di modernizzare il Tibet sul piano materiale, introducendovi molte recenti invenzioni occidentali, come l’ elettricità, il telefono e un efficiente sistema di strade. Molti aristocratici e lama, tuttavia, si opposero fermamente ai suoi tentativi di apertura e modernizzazione nella convinzione che lo sviluppo materiale e culturale proveniente dall’ esterno avrebbe messo a repentaglio la sopravvivenza dell’ insegnamento buddhista, quindi il culto di Dorje Shugden raggiunse il suo culmine con Pabongka Rinpoche, il più grande e influente lama Gelug del Novecento: maestro di logica e potente praticante tantrico, fu un convinto sostenitore del culto dello spirito, sostenendo che fosse un’ emanazione di Manjuśri, il Buddha della Saggezza, capace di garantire elevati traguardi sia spirituali che materiali ai praticanti. Compì un vero e proprio riformismo all’ interno della scuola, ed essendo il maestro principale di moltissimi lama e monaci trasmise a tutti loro questa pratica finché il XIII Dalai Lama glielo proibì espressamente, in quanto per sua natura essa ostacolava qualsivoglia forma di sincretismo ed apertura. Pabongka Rinpoche si attenne alle disposizioni della massima guida spirituale e politica, ma solo pubblicamente: in forma privata, infatti, continuò liberamente a tramandarla a fidati discepoli, specialmente a Trijang Rinpoche, il suo discepolo prediletto. Nel 1933, alla morte a cinquantotto anni del Grande Tredicesimo, come il Dalai Lama veniva soprannominato, Pabongka Rinpoche riprese ormai libero da qualsivoglia impedimento a trasmettere l’ iniziazione a ritmi esponenziali anche ai laici, e ad ogni livello della società tibetana, fino al 1941, quando morì. Nello stesso anno Trijang Rinpoche, suo erede spirituale, venne scelto come insegnante giovane del XIV Dalai Lama, nato nel 1935 e riconosciuto ad appena due anni come reincarnazione del Dalai Lama defunto. Trijang Rinpoche a sua volta trasmise su vasta scala il culto controverso, iniziando ad esso persino il Dalai Lama, che lo praticò assiduamente per molto tempo affidandosi in più occasioni al suo oracolo, che in occasione della fuga in India del 1959 gli indicò la corretta via da seguire per raggiungere la frontiera senza farsi trovare dai cinesi.
Trijang Rinpoche;

Durante l’ esilio nel subcontinente indiano, la comunità tibetana avvertì la particolare esigenza di riunirsi sotto un’ unica guida come mai prima di allora, quindi i dignitari politici e religiosi puntarono tutto sul giovane Dalai Lama, che, incoraggiato da Nechung, l’ oracolo di Stato tradizionalmente consultato dai suoi predecessori e dal governo fin dai tempi del V Dalai Lama, attraverso cui si esprime Pehar, demone sottomesso da Padmasambhava e convertito in dharmapāla e protettore del governo tibetano, e su richiesta pare delle più autorevoli guide spirituali delle tre altre scuole, ossia Nyingma, Kagyu e Sakya, abbandonò definitivamente la pratica del dharmapāla esclusivo dell’ insegnamento Gelug aprendosi nel contempo agli insegnamenti delle altre tradizioni, simpatizzando particolarmente con le dottrine Nyingma. Nel 1975, tuttavia, un discepolo di Trijang Rinpoche, Zemey Rinpoche, pubblicò «Il libro giallo», in cui descrisse i modi in cui Dorje Shugden in passato aveva castigato i Gelug che avevano mescolato l’ insegnamento di lama Tzong Khapa con le tecniche Nyingma. Sebbene rigettato da molti tra gli stessi praticanti di Dorje Shugden, come ghesce Kelsang Gyatso, secondo i quali un essere illuminato non può fare del male a nessuno, questo testo venne apertamente condannato dal XIV Dalai Lama, che decise di sconsigliare il culto sia ai praticanti religiosi che a quelli laici, vietando a chiunque avesse desiderato continuare a praticarlo di partecipare ai suoi insegnamenti e di ricevere da lui iniziazioni, non volendo intrattenere una relazione disturbata tra maestro e discepolo.


Gangchen Rinpoche e un’ immagine sacra di Dorje Shugden;
Alcuni osservatori tibetani sostengono che sia stato proprio l’ oracolo Nechung a fomentare tale disputa, facendo diventare Dorje Shugden il capro espiatorio di tutti i mali, e in ogni caso la controversia non tardò a degenerare in scontri violenti, giungendo alla perquisizione delle case dei fedeli dello spirito da parte probabilmente degli avversari religiosi, nonché a numerose aggressioni spesso ricambiate di vari devoti e alla distruzione di altari e immagini legati al culto. Il governo tibetano in esilio impose ai monasteri legati alla tradizione di Dorje Shugden una dichiarazione scritta che sancisse una presa di distanza da tale culto, e i monaci che si rifiutarono di aderire vennero dichiarati traditori. In tale ambiente di discordia e violenze reciproche, nel febbraio 1997 ghesce Lobsang Gyatso, amico del XIV Dalai Lama e notoriamente ostile alla tradizione di Dorje Shugden, venne brutalmente assassinato insieme a due monaci suoi assistenti nella propria abitazione, a poche decine di metri dalla residenza dell Oceano di Saggezza. La vicenda assunse un quadro inquietante non soltanto perché un importante lama era stato ucciso in modo tanto atroce dopo essersi lungamente scagliato contro i praticanti del culto, ma anche perché pare che nella vicenda fossero coinvolti alcuni agenti segreti cinesi che si erano infiltrati con lo scopo di seminare discordia tra le persone vicine al Dalai Lama, che il governo di Pechino ha sempre descritto come «un pericoloso reazionario ostile al comunismo e alla legittima riunificazione del Tibet alla madrepatria cinese».

Il XIV Dalai Lama del Tibet;
Quando il XIV Dalai Lama espresse l’ invito ad abbandonare il culto, Gangchen Rinpoche scelse di continuare a praticarlo per rispetto verso Trijang Rinpoche, l’ insegnante che aveva avuto in comune con la massima guida politica e spirituale del Tibet, e nel corso del tempo assunse persino determinati caratteri talmente conservatori che lo portarono ad avvicinarsi profondamente ai cinesi, coalizzandosi contro il Dalai Lama e il suo governo in esilio. Le autorità cinesi, infatti, non tardarono a comprendere l’ utilità strategica delle restrizioni poste dal Dalai Lama al culto di Dorje Shugden, e iniziarono a sostenere politicamente e finanziariamente tutti quei lama e monaci che avrebbero scelto di preservarlo in rispetto dei voti ricevuti dai propri maestri, accusando il Dalai Lama e i suoi dignitari politici e spirituali di sopprimere la libertà religiosa.
Durante l’ occupazione del Tibet nel corso degli Anni Cinquanta e dopo la fuga del Dalai Lama in India nel 1959, oltre seimila monasteri e santuari tibetani vennero distrutti e centinaia di monaci furono brutalmente uccisi: nel 1978 rimanevano solo otto monasteri e novecentosettanta monaci e monache. Tuttavia, i cinesi compresero che i sentimenti religiosi tibetani non si erano mai attenuati, quindi il modo migliore per guadagnarsi il loro favore consisteva in una graduale liberalizzazione del Buddhismo: i monasteri vennero ricostruiti e riaperti e l’ educazione dei monaci fu resa più completa, per quanto controllata dalle autorità. Come sostenuto da lama Tseta, che per anni fu un importante praticante del culto dividendosi tra India e Nepal, la Cina pagava regolarmente lui e altri lama e monaci affinché coordinassero le attività all’ estero tramite il comitato del Fronte del Lavoro Unito, predisposto a dirigere le proteste dei praticanti del culto di Dorje Shugden in India e in Occidente, in modo tale da accusare il Dalai Lama di falsità, di opportunismo e di gettare discordia tra i tibetani per motivi politici, contrariamente ad ogni principio buddhista: i devoti di Dorje Shugden sono tuttora trattati con grande riguardo dalle autorità cinesi, e in occasione di eventi importanti in Tibet sono ospiti d’ onore e descritti come cittadini patriottici, «figli devoti della madrepatria socialista a cui il Tibet è sempre appartenuto».
Lama Tseta, ex praticante del culto in contatto con i cinesi;

Gangchen Rinpoche divenne presto il più influente devoto del culto residente all’ esterno della Cina, come confermato sia da lama Tseta che da vari studiosi occidentali di Buddismo tibetano, come il francese Thierry Dodin, che lo definisce la personalità più forte del movimento e il più impegnato a favore del Partito Comunista e le autorità cinesi: dal 1987, quando riprese a visitare la Regione Autonoma del Tibet, incontra regolarmente i vertici cinesi sia locali che nazionali, da cui viene grandemente omaggiato in occasione dei raduni religiosi approvati, nel cui corso viene trattato come una personalità di grandissimo prestigio, mentre nel 1997 organizzò i primi incontri tra i maggiori praticanti e i funzionari cinesi in India. Interrotti i propri rapporti con Dharamsala e i lama e i monaci leali al Dalai Lama, fondò una propria organizzazione con oltre cento centri sparsi in Europa, America meridionale e Nepal, dedicandosi all iniziazione e all insegnamento delle tecniche di guarigione e autoguarigione nonché del culto di Dorje Shugden.


Gangchen Rinpoche e il X Panchen Lama;
Per anni, Gangchen Rinpoche fu in ottimi e stretti rapporti con il X Panchen Lama, tra i più celebri seguaci di Dorje Shugden, dal quale ricevette molte iniziazioni e insegnamenti. Da ormai qualche tempo il Panchen Lama era una delle più importanti risorse nelle mani dei cinesi, essendo stato riconosciuto in tenera età dai dignitari della sua precedente incarnazione, sotto la regia dei funzionari e ufficiali cinesi che già erano stati vicini allo stesso IX Panchen Lama, caduto in disgrazia dopo essere entrato in contrasto con il governo tibetano per una questione di tasse e privilegi. Il XIV Dalai Lama e il governo tibetano confermarono il candidato sostenuto dai cinesi solo in occasione dei negoziati del 1951. Per tutta la sua vita, il X Panchen Lama fu soggetto ad un’ intensa influenza da parte dei cinesi, che ne avevano attentamente regolato l’ educazione così da sfruttarne un giorno l’ autorità per fini politici, ma durante la Grande rivoluzione culturale proletaria denunciò apertamente le penose condizioni di vita a cui i tibetani erano soggetti a causa dei cinesi, dunque venne arrestato e lungamente umiliato e brutalizzato durante i tamzin, le famigerate sessioni pubbliche di accusa. Dopo il suo rilascio, fu considerato un soggetto «politicamente riabilitato», tanto da meritare la carica di vice presidente del Congresso Nazionale del Popolo, ma agli inizi del 1989, subito dopo un discorso pubblico in cui denunciava la condotta cinese in Tibet, morì ad appena cinquantuno anni in circostanze mai chiarite.
In accordo con le tradizioni tibetane, poco dopo un gruppo di lama e monaci iniziò le ricerche per individuare la sua reincarnazione, che venne riconosciuta in un bambino della Contea di Lhari, Gedhun Choekyi Nyima: quando il XIV Dalai Lama annunciò la notizia al mondo, le autorità cinesi fecero sparire nel nulla il bambino e la sua famiglia, e arrestarono la delegazione dei monaci leali al governo tibetano in esilio, colpevoli di aver condotto «una ricerca illegale per conto del Dalai e della sua cricca per minare dall’ interno l’ unità della Patria socialista», e li sostituirono con una serie di lama e monaci leali a Pechino, praticanti di Dorje Shugden ed oppositori tanto del XIV Dalai Lama quanto del defunto Panchen Lama, incaricandoli di costituire una nuova commissione di ricerca per individuare «la vera reincarnazione»: Gangchen Rinpoche fu tra le persone coinvolte nella nuova ricerca, e vi ricoprì un ruolo determinante. Venne pertanto compilata una lista di nuovi candidati, tra i quali alla fine venne scelto un bambino cinese, figlio di una coppia iscritta al Partito Comunista e che venne consacrato l’ 11 novembre 1995, in una fastosa cerimonia a Pechino alla quale Gangchen Rinpoche presenziò rendendogli pubblicamente omaggio.

L’ omaggio al Panchen Lama imposto dalla Cina, a Pechino;

Il rito, a cui era peraltro presente Jiang Zemin, Presidente della Repubblica popolare cinese, lanciò un messaggio ben preciso: il Panchen Lama, la seconda autorità religiosa tibetana, coinvolta direttamente nelle ricerche della reincarnazione del Dalai Lama, ora era sotto un controllo assai più stretto da parte della Cina, e la sua educazione era affidata a lama devoti a Dorje Shugden, tutti filocinesi. Da allora i contatti di Gangchen Rinpoche con i cinesi si intensificarono notevolmente.
Il saluto ad Hu Jintao, allora Presidente della RPC;

A Gangchen Rinpoche sono state spesso domandate spiegazioni sui suoi rapporti con il governo cinese, e lui ha sempre risposto che i suoi contatti hanno sempre avuto l’ obiettivo di assicurare il benessere dei sei milioni di tibetani rimasti in Tibet: «Non dobbiamo urtare la Cina, perché siamo una popolazione ridotta di fronte alla sua grande forza. Non possiamo vincere, quindi è meglio offrire la nostra amicizia. E’ importante avere una certa autonomia all’ interno del Tibet, così da salvare la cultura e le pratiche spirituali finché siamo tempo, altrimenti tutto andrà perduto.».
A proposito del motivo per cui ha appoggiato il Panchen Lama cinese, sostiene di aver voluto rendere felice il governo di Pechino in modo da alleggerire la posizione della Regione Autonoma del Tibet all’ interno della Repubblica Popolare Cinese: «Non intendo mancare di rispetto a Sua Santità il Dalai Lama e neppure al candidato che Lui sostiene. Non importa se il candidato appoggiato dalla Cina sia o meno la reincarnazione: se siamo amichevoli nei suoi confronti, il governo cinese si ammorbidirà e ci sarà speranza per i tibetani in Tibet. I tibetani fuori dal Tibet sono al sicuro, ma dobbiamo preoccuparci di quelli rimasti in patria. Essere in buoni rapporti con il Panchen Lama appoggiato dalla Cina non significa quindi schierarsi contro quello riconosciuto da Sua Santità il Dalai Lama!». Il lama guaritore sostiene di essere convinto «al cento percento» della scelta del Dalai Lama, ma che si debba considerare un quadro più ampio: «Non si tratta della scelta di Dharamsala o di Pechino a proposito del Panchen Lama, ma semplicemente di rendere più morbida la posizione cinese nei riguardi del Tibet in modo da consentire un vero dialogo tra il nostro governo in esilio e quello cinese.».
A tutte queste considerazioni aggiunge che sarebbe meglio che il governo tibetano in esilio, che lo considera un nemico per le sue convinzioni religiose, farebbe meglio a mettere da parte ogni divergenza sia con lui che con gli altri devoti al culto di Dorje Shugden: «Dopotutto, in Tibet Dorje Shugden non è mai stato una questione nazionale o politica. Si tratta di una pratica strettamente religiosa, tanto per i più alti lama quanto per i più semplici nomadi. Nessuno ha mai praticato Dorje Shugden per trarre guadagno nell’ arena politica o con il desiderio di danneggiare il Dalai Lama o il Suo governo. Perché dovrebbe essere così ora? Non è mai stato così, e non lo sarà mai!».
Non è raro che i tibetani confermino per motivi più terreni che spirituali l’ appoggio per un candidato piuttosto che un altro ad una reincarnazione, in quanto storicamente in Tibet si sono verificati in più occasioni riconoscimenti mossi da scambi di favori, regalie e alleanze: oltre ad aver appoggiato il Panchen Lama imposto dal governo cinese, Gangchen Rinpoche sostiene Lobsang Yeshi Jampal Gyatso, a sua volta discepolo di Song Rinpoche e praticante di Dorje Shugden che si è autoproclamato reincarnazione del XII Kundeling Rinpoche senza tuttavia ottenere l’ assenso del XIV Dalai Lama, a cui spettava il diritto di esprimersi in quanto il IX e il X Kundeling Rinpoche erano stati maestri dell’ XI e del XIII Dalai Lama, mentre l’ VIII e il X erano stati Reggenti del Tibet. L’ Oceano di Saggezza confermò nel 1993 quale reincarnazione un monaco di dieci anni, Tenzin Chokyi Gyaltsen.
Con Wen Jabao, Primo ministro della RPC;

Con l’ aggravarsi della controversia legata a Dorje Shugden e alle interferenze da parte dei cinesi, Gangchen Rinpoche venne espulso dal Monastero di Sera e gli venne proibito di tornare in India, provvedimenti a cui rispose semplicemente di sentire di non poter rinunciare ad una pratica ricevuta dal proprio lama principale per un atto di «pulizia politica», e di essere convinto che Trijang Rinpoche l’ abbia trasmessa nel sincero e lodevole desiderio di aiutare i praticanti a superare i loro ostacoli lungo le prove dolorose dell’ esistenza.
Nel 1997 visitò un monastero a Shigatse, in Tibet, ove istruì i monaci circa l’ adorazione di Dorje Shugden: essi rifiutarono i suoi insegnamenti, ma in seguito vennero ammoniti da alcuni funzionari governativi, i quali affermarono che se non avessero accettato le sue istruzioni sarebbero stati messi sotto accusa per «crimini contro la nazione». In seguito, nel 2005, Gangchen Rinpoche offrì un finanziamento per la costruzione di un nuovo dormitorio in un monastero nella provincia del Gansu e fece generose donazioni ad altri monasteri locali. La sua offerta era tuttavia vincolata al consenso da parte dei monaci di consacrare un nuovo santuario dedicato a Dorje Shugden nei rispettivi monasteri. I monaci rifiutarono nonostante le pressioni dei funzionari governativi, e l’ offerta venne pertanto ritirata.

Gangchen Rinpoche officia abitualmente rituali bizzarri;
Oltre al discorso relativo a Dorje Shugden, di per sé già piuttosto grave perché in nome del suo legame con questa pratica spirituale è sceso a patti con i cinesi in un intrigo politico degno dei testi di Niccolò Machiavelli, occorre riflettere anche sulla sua attività di guaritore: Gangchen Rinpoche si presenta come un taumaturgo dal grande potere, erede di un antico lignaggio di insegnamento e di reincarnazioni di grandi lama guaritori. In tale veste gode del sostegno di vari uomini di spettacolo, soprattutto Marco Columbro, da anni interessato alle tematiche spirituali e legato a lui da una stretta amicizia fin dal 1991, tanto da aiutarlo a diffondere le sue tecniche di guarigione e autoguarigione tramite una serie di libri e documentari.
Si dice che quando si recò in Nepal alla ricerca di un luogo ove realizzare un centro di meditazione e guarigione trovò un’ area spoglia presso cui orinò generando una sorgente di acqua pura che ancora oggi rifornirebbe l’ intero santuario, in cui ha avviato la produzione di medicine e pillole energetiche, definite da lui e dai suoi seguaci come particolarmente adatte a curare i disturbi epidermici e al bilanciamento e all’ armonizzazione delle energie interne. Da anni diffonde la tradizione dei gioielli di guarigione, che vengono usati come talismani curativi e canali di potenti energie positive dopo essere stati benedetti.
Nel 1993, dopo aver consultato Dorje Shugden attraverso l’ oracolo, secondo il quale la sua iniziativa sarebbe stata molto utile, iniziò a insegnare l’ autoguarigione tantrica NgalSo, una tecnica meditativa che avrebbe ricavato dagli insegnamenti originari del Buddha Śākyamuni «riconfezionandola per riconoscere il nemico interiore, responsabile delle malattie che affliggono le persone». Negli anni ha costantemente insegnato e scritto vari libri in proposito, mentre sui suoi siti informatici viene riferito che «molte persone, in diversi Paesi del mondo, ne testimoniano la straordinaria validità nel favorire i processi di guarigione fisica e mentale e nell’ ottenere uno stato di rilassamento, gioia e pace interiore». L’ autoguarigione tantrica NgalSo, promossa con entusiasmo anche da Marco Columbro, si basa su vari mudrā, «sigillo» in sanscrito, ossia gesti simbolici di comunicazione con la divinità, nonché sui movimenti delle braccia come le ali di un uccello in volo, mai adottati nelle cerimonie induiste o tibetane, schiocchi di dita, gesti di preparazione e poi di scioglimento di un nodo accompagnati da mantra. La pratica di questa surreale tecnica meditativa sarebbe capace di combattere impotenza, frigidità, infezioni, emicranie e molto altro, ma occorre tenere presente che non è mai stata accettata dalla medicina, in quanto non sottoposta a verifiche condotte in ambiente scientifico.
Peraltro, secondo alcuni lama residenti a Dharamsala, Ganchen Rinpoche utilizza una certa medicina tradizionale della sua terra originaria, effettivamente creduta dotata di poteri di guarigione da diverse malattie, ma il rituale che officia sarebbe solamente una farsa, un astuto espediente attraverso cui fare leva sulla credulità delle persone millantando poteri miracolosi che non possiede affatto.

Un incontro con Marco Columbro;

Peraltro, di fronte al movimento sviluppatosi intorno alla figura di Gangchen Rinpoche, non si possono non condividere le considerazioni di Frank Usarski: «Si può dire che gli insegnamenti e le iniziative di Gangchen Rinpoche aderiscono ai bisogni ed agli interessi del pubblico occidentale. Un tal atteggiamento è vantaggioso nel ‘mercato religioso’, dal momento che promuove l’ accettazione del Buddhismo tibetano in un contesto occidentale.».
Nella sua dottrina, i temi tipici del Buddhismo tibetano vengono spesso combinati con elementi tratti da altre tradizioni occidentali. In un intervento sul tema dell’ educazione non formale, ad esempio, il lama affermò il proprio approccio sostanzialmente sincretistico: «Oggi è necessario estrarre l’ essenza delle buone idee relative all’ intelligenza emotiva, ai rapporti interpersonali, alla cura della pace e dell’ ambiente presenti in tutte le tradizioni spirituali e offrirle alle nuove generazioni attraverso un’ educazione non formale.». Inoltre, tanto per citare i fatti più noti, la collaborazione alla fondazione del Villaggio Globale di Bagni di Lucca e la proposta per l’ istituzione del Forum Spirituale Permanente per la pace mondiale mostrano effettivamente un atteggiamento aperto alla collaborazione con altre realtà e uno sforzo di integrazione e adattamento al mondo occidentale, ma bisogna notare che la promozione di iniziative quali i Forum mondiali caratterizzano particolarmente i movimenti religiosi nuovi, con origini recenti sebbene radicati in tradizioni antiche, che le mettono in atto con obiettivi di autosponsorizzazione. Inoltre, i nuovi movimenti religiosi hanno acquisito una notevole conoscenza tecnica, non sempre nota alle religioni tradizionali, nell’ uso delle possibilità offerte dalle Nazioni Unite e dalle Organizzazioni non governative. Questo modo di presentarsi al pubblico occidentale, di fatto, è in grado di ripagare il movimento di Gangchen Rinpoche in termini di adesioni entusiastiche alla sua dottrina, ma se la questione viene esaminata nei termini di fedeltà alla tradizione tibetana, le sue aperture rivelano un certo grado di ambiguità e di problematicità. Peraltro, diverse persone che hanno avuto l’ opportunità di frequentare il suo centro, a Milano, si sono dichiarate deluse se non addirittura sconvolte, tanto che una donna residente nell’ Italia settentrionale interruppe i rapporti con lui e la sua comunità dopo che, come dichiarò lei stessa, tentarono di farla passare per pazza. La maggior parte di essi vollero prendere le distanze da questa guida spirituale proprio per i suoi contrasti con il Dalai Lama.
Promotore del benessere fisico e spirituale dell’ individuo...

Nel Dhammapada, testo conservato sia nel canone pāli che in quello cinese e tibetano, formato da una serie di versetti che riferiscono le parole più significative pronunciate dal Buddha Śākyamuni in svariate occasioni, si legge: «Affidati al messaggio del maestro, non alla sua personalità.». Un maestro rappresenta infatti un esempio da seguire non soltanto in funzione all’ insegnamento religioso, ma ad ogni dettaglio del suo comportamento: tutto quello che fa rappresenta il suo messaggio. Deve essere un esempio affidabile innanzitutto come persona, generando pensieri, parole e azioni corretti, e nel caso di un errore è tenuto a rimediare. Se abusa del proprio potere o magari assume un atteggiamento scorretto o sleale, al discepolo tocca manifestare la propria disapprovazione in modo tale da non sfociare nella fede cieca, che sarebbe dannosa per entrambi.
L’ omaggio alla reincarnazione di Trijang Rinpoche;

In quanto tibetano e lama educato secondo le antiche tradizioni del Buddhismo sviluppatosi nella sua terra, pare drammaticamente evidente quanto Gangchen Rinpoche tenga coscientemente il piede in due scarpe per un puro senso dell’ opportunità, nascondendosi dietro un legittimo tentativo di superare le divisioni e ricomporre la profonda ferita non ancora sanata tra tibetani e cinesi. Un uomo che tradisce il proprio Paese per preservare egoisticamente quei privilegi garantiti dalla propria posizione non dovrebbe assolutamente predicarne le usanze e tanto meno insegnare la saggezza, la moralità e la disciplina mentale contenute nella rettitudine indicata dal Buddha Śākyamuni durante il celebre Discorso di Benares, con il quale mise in movimento gli eventi che nei secoli successivi tanta influenza avrebbero avuto sul Tibet e facendo di lui stesso un lama reincarnato. Come dicono gli stessi tibetani: «La dottrina supera il maestro.».
Gangchen Rinpoche e la reincarnazione di Pabongka Rinpoche;

Gonsar Tulku Rinpoche, abate del monastero tibetano Rabten Choeling, presso Mont Pèlerin, sul lago di Ginevra, osservò in modo critico: «Stiamo attraversando una delle fasi più difficili della nostra storia, che affligge tutti i tibetani. Ma dobbiamo riconoscere che il Tibet è un Paese come tutti gli altri, e che anche i tibetani possono sbagliare. In questo mondo non esistono luoghi paradisiaci. In passato il nostro popolo è stato quasi sempre solo lodato. Tuttavia, troppe lodi prive di senso critico non giovano a nessuno. In realtà in Tibet le cose vanno come dalle altre parti.».
Anche nel Tibet antico, alla corte di molti Dalai Lama, trovarono ampio spazio funzionari corrotti e monaci infidi. Nonostante i loro ideali elevati, i tibetani non furono certamente liberi da ingiustizie, corruzione e abusi. Si verificarono persino alcuni attentati, e tra gli stessi lama che si presentano in Occidente figurano pericolosi ciarlatani coinvolti in faccende poco limpide. Occorre pertanto riflettere con grande cura prima di seguire un sentiero spirituale e rimettersi alla saggezza di qualcuno di questi individui dalla dubbia rettitudine…

venerdì 9 novembre 2018

Al Capone, l’ emblema della delinquenza e della crisi della legalità


Al Capone, il signore della malavita;

«Faccio i soldi soddisfacendo la richiesta del pubblico. Se io violo una legge, i miei clienti, che sono centinaia tra la migliore gente di Chicago, sono colpevoli anch’ essi: l’ unica differenza tra noi è che io vendo e loro comprano. Tutti dicono che sono un uomo della malavita, io invece mi definisco un uomo d’ affari. Quando vendo liquore è contrabbando, ma quando chi sta sopra di me lo serve su un vassoio d’ argento in Lakeshore Drive è ospitalità…» Al Capone;

Attualmente, la criminalità rappresenta uno dei fenomeni sociali più delicati e discussi in assoluto, e dalle implicazioni tutt’ altro che scontate. Affrontarne il tema non è mai una cosa semplice, soprattutto senza lasciarsi andare alla supponenza legata al semplicistico concetto di giusto o sbagliato. Nata come banditismo, risulta presente fin dalla nostra storia più antica, interessando quasi tutte le forme sociali umane, portando i governi a mettere in pratica metodi sempre nuovi in ambito punitivo e repressivo, e talvolta persino preventivo.
Sulla malavita si possono fare le considerazioni più diverse tra loro, ma se un calcolo va fatto appare evidente che il suo vasto e sfaccettato evento nasce dai limiti e dai fallimenti della società civile in cui noi tutti viviamo. Fin dall’ inizio della sua storia, infatti, l’ umanità ha sentito il bisogno di unirsi in gruppi, dal nucleo famigliare al clan, da questo alla tribù fino alla città-Stato e, in seguito, alla nazione più estesa, accettando una serie di precetti, le leggi, atti a determinare il comportamento dei singoli individui in modo tale da garantire una vita ordinata e il più possibile libera da problemi. Nonostante l’ evoluzione dei sistemi sociali in forme sempre più complesse e articolate, molti problemi della collettività non hanno trovato un’ adeguata soluzione, e spesso la struttura di base è sfociata in strutture problematiche, rette da amministratori inadeguati oppure avidi e litigiosi, lontani dalle esigenze collettive, e regolate da un groviglio di leggi intricate e non funzionali, nelle quali presto o tardi gli interessi politici ed economici hanno acquisito la precedenza su tutto aprendo le porte ad una corruzione dilagante, conducendo alla paralisi e ai ricatti di gruppi di pressione che hanno reso le stanze del potere luoghi in cui si dibatte all’ infinito senza mai giungere a nulla di utile e concreto, e mutato le corti giudiziarie in organismi soggetti ad interessi di parte e bisognosi di un tempo infinito per emettere una sentenza. Insomma, nei secoli la politica è divenuta una condizione che esiste solo per sé stessa, tralasciando l’ originario scopo legato alla gestione della comunità e dei suoi importanti bisogni, molto ben descritta dall’ aristocratico palermitano Giuseppe Tomasi di Lampedusa in «Il Gattopardo», pregevole romanzo in cui espose il noto principio paradossale ma tristemente vero: «Se vogliamo che tutto rimanga com’ è, bisogna che tutto cambi.».
In presenza di un governo lontano o addirittura assente, oppure che con il suo funzionamento fondamentale opprime quella società che è chiamato a guidare, soprattutto le classi più povere che conseguentemente imparano ad adattarsi e a cavarsela da sole, non è infrequente assistere ad un’ ondata di diffidenza e ostilità nei riguardi dell’ ordine costituito e a tutti i principi che questo rappresenta: la criminalità è ovviamente destinata a farsi strada ovunque come la nebbia, e per quanti danni evidenti sia in grado di compiere viene spesso vista con occhi meno severi dalla gente, secondo cui i malviventi hanno semplicemente il coraggio di fare a volto scoperto ciò che i dignitari politici e talvolta anche quelli religiosi fanno di nascosto. Tra le tante organizzazioni criminali apparse nella storia, Cosa Nostra, la ’ndrangheta e la Camorra italiane sono quelle che hanno saputo cavalcare molto meglio le manchevolezze della pubblica amministrazione e il malcontento popolare infiltrandosi come piovre nei rispettivi territori, costruendosi una solida rete di interessi commerciali sia illegali che legittimi, trasformandosi in organizzazioni particolarmente potenti e difficili da contrastare, che regnano con ricatti, mazzette, uccisioni e una ricca imprenditoria che assicura loro contatti importanti con le autorità della società civile, che corrompono con denaro oppure offrendo qualcosa di utile e necessario ai loro bisogni. Peggio ancora, i clan mafiosi hanno saputo destreggiarsi con grande abilità tra la povertà, le mancanze e i limiti della società assumendo le sembianze di protettori e riparatori di torti.

Non vi è quindi nulla di sorprendente al pensiero che un criminale di professione, che trae profitto proprio dalla trasgressione delle leggi di quello Stato lontano e non amico, spesso riesca a passare per una sorta di Robin Hood, una simpatica canaglia che ebbe il coraggio di opporsi ad un sistema corrotto ed oppressivo dividendo quello che aveva con i più deboli e gli indifesi: in un’ ottica del genere l’ inquietante figura di Al Capone, il celebre mafioso italoamericano che negli Anni Venti regnò sulla turbolenta Chicago, riesce ad essere spiegata con una certa semplicità.
Non amava i sigari ma si faceva quasi sempre fotografare con uno enorme di produzione cubana in bocca, viaggiava su una limousine piombata che pesava oltre sette tonnellate, presso la sua scrivania si accomodava su di una sedia il cui schienale era rinforzato da alcune lamine di acciaio, guadagnò centinaia di milioni di dollari ma dalle dichiarazioni al fisco figurava come un povero nullatenente, e la sua strada era ricoperta di cadaveri per i quali non fu mai condannato: nella storia non è apparso un altro criminale che abbia potuto eguagliarne il potere, la fama e il fascino leggendario. In pochi anni divenne la personificazione stessa della malavita e ottenne un grandissimo impatto sulla cultura popolare, definendo con precisione quei canoni di vita delinquenziale poi ripresi addirittura in svariati romanzi e film. Se non fosse stato per Capone, forse molti cattivi del cinema non fumerebbero il sigaro e non vivrebbero sprofondati in un lusso quasi ridicolo circondati da guardie del corpo dall’ aspetto colorito. Ancora oggi in molti ristoranti di Chicago si trova esposta una sua fotografia con sigaro, cappello e sogghigno, e l’ organizzazione che impose alla sua cosca rendendola in grado di gestire su vasta scala varie operazioni di contrabbando, sfruttamento della prostituzione e gioco d’ azzardo viene reputata tra le più astute e meglio condotte, tanto da essere studiata persino all’ Università di Harvard. Fu responsabile di circa duecento omicidi, a danno non solo di nemici e rivali in affari, ma anche di testimoni scomodi, e ognuna di queste eliminazioni fu condotta talmente bene da non lasciare alcun indizio a suo carico.
Sarebbe un errore pensare che un semplice bullo e buttafuori della periferia newyorkese divenne appena trentenne l’ immortale emblema della delinquenza all’ interno di una società ideale e correttamente funzionante come potrebbe sostenere una certa propaganda equivoca: il suo indubbio talento criminale emerse progressivamente in una particolare nazione, gli Stati Uniti, che la storia ricorda come la culla del capitalismo moderno e spesso alle prese con incresciosi episodi di corruzione e leggi piegate in nome di obiettivi spesso poco limpidi, nella convinzione tipicamente mercantile secondo cui il fine giustifica i mezzi.

Alphonse Gabriel Capone nacque a New York il 17 gennaio 1899, quarto di nove figli di Gabriele Caponi e Teresa Raiola, un barbiere ed una sarta originari di Angri, in provincia di Salerno, migrati nel Nuovo Mondo nel febbraio 1893. A causa di un errore di pronuncia, il loro cognome era stato modificato in Capone dall’ anagrafe statunitense, e a qualche tempo dal loro sbarco si erano bene integrati nel difficile ambiente di Little Italy, il famoso quartiere italiano, peraltro acquistando un piccolo locale in Park Avenue, che Gabriele aveva adibito a salone da barbiere.
Contrariamente al desiderio del padre, il giovane Alphonse, chiamato semplicemente Al, non dimostrò mai interesse per il mestiere del barbiere, preferendo gli ambienti più liberi e malsani del porto. Crescendo, dimostrò di possedere un’ intelligenza media, arrivando ad un quoziente pari a 95, e denotò una notevole propensione al comando e all’ organizzazione. A quattordici anni venne bocciato in grammatica e matematica, a causa delle troppe assenze, e aggredì una sua insegnante che aveva osato rimproverarlo: venne frustato dal preside ed espulso. Crebbe in un ambiente povero e degradato, in cui fece numerosi lavoretti come il commesso in un negozio di dolciumi, l’ inserviente in un bowling e il tagliatore di carta e stoffa in una legatoria. Alcuni di questi mestieri durarono solo qualche giorno, e spesso il giovane poté liberamente bighellonare con altri teppistelli come lui, entrando in contatto con piccole bande minorile insieme ai fratelli Vincenzo, Ralph e Frank. Al porto, esattamente alla banchina 326, Al trovò il primo impiego presso la Fratellanza, una delle coperture della criminalità organizzata italiana, che fungeva da gruppo portuale che raccoglieva i lavoratori di provenienza campana da destinare al caporalato durante una serie di passaggi, e fin dal suo primo giorno di lavoro esibì la propria aggressività contro un esponente dell’ Unione Siciliana, associazione dedita agli emigranti siculi negli Stati Uniti, a sua volta facciata legittima della delinquenza costituita dagli originari di quella regione, a cui colpì duramente la mascella.
Dopo un periodo trascorso tra i South Brooklyn Rippers, i Forty Thieves Juniors e i Five Point Juniors, si unì alla banda dei Five Points Gang, operante al quartiere dei Five Points, luogo assai povero e degradato che sull’ isola di Manhattan, e guidata dall’ emigrante napoletano Giovanni Torrio, detto Johnny, in cui conobbe il calabrese Francesco Ioele, meglio noto come Frankie Yale, e Salvatore Lucania, alias Lucky Luciano. Circa ventenne, Capone incominciò a lavorare per Yale in un locale di Coney Island, arrotondando la paga proteggendo alcune prostituta e rivendendo merce rubata: una sera, mentre era di servizio come buttafuori, litigò con un certo Frank Galluccio per il possesso di una prostituta, e durante la discussione fece pesanti commenti sulla sorella di lui che, armato di coltello, lo sfregiò sulla parte sinistra della faccia. Da quel giorno giustificò la cicatrice come residuo di una ferita di guerra e tentò sempre di nasconderla ogni volta che veniva fotografato, venendo soprannominato Scarface, ossia «sfregiato» in inglese.
Johnny Torrio, uomo di piccola statura e aria mite, era un individuo particolarmente intelligente, tanto che Elmer Irey, ufficiale del Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti, lo definì il più astuto e il migliore in talento di tutti i delinquenti. A Chicago aveva uno zio acquisito, Giacomo Colosimo, uomo collerico, scattante e impulsivo, di provenienza cosentina e marito di sua zia Victoria Moresco, che iniziando a lavorare di notte come spazzino aveva fatto amicizia con un gruppo di prostitute di cui poi era divenuto protettore e sfruttatore offrendo loro una comoda sistemazione in una grande casa, divenuta presto uno dei bordelli più frequentati della città, che nonostante la forte campagna antiprostituzione in atto a livello sia locale che nazionale lo aveva arricchito tanto da consentirgli di aprire una serie di ristoranti con cui ripuliva i ricavi e in cui nascose anche alcune bische. Il suo giro d’ affari era divenuto talmente solido che determinati rivali in affari pretesero una percentuale in cambio dell’ incolumità delle sue lucciole, e lui rispose uccidendo i tre esattori. Resosi conto però che da solo non poteva più farcela, chiamò a sé Torrio.
Johnny Torrio, mentore di Al Capone;

Improvvisamente, il 30 giugno del 1919 venne introdotto il Volstead Act, la legge che proibiva la produzione, il possesso, il commercio e l’ uso di alcolici, fortemente voluta dal senatore Andrew Volstead per avviare una sorta di crociata moralizzatrice, che invece suscitò fin da subito un animato dibattito politico e sociale. Persino il Presidente, Thomas Woodrow Wilson, espresse un parere fortemente scettico circa la sua efficacia, ma dovette piegarsi al voto del Congresso. Il Proibizionismo avviato dal nuovo provvedimento si rivelò un completo disastro: milioni di statunitensi di ogni classe sociale, dalla più alta alla più bassa, tanto in centro quanto in periferia, vollero continuare a bere, accettando di pagare gli esorbitanti prezzi imposti dal mercato nero, superiori fino a dieci volte l’ importo d’ acquisto nei Paesi dove era ancora legale. Commercianti e delinquenti sparsi in ogni angolo della nazione studiarono fin da subito piani accurati per arricchirsi contrabbando alcolici, mettendo in piedi vaste e intricate reti di acquisto, produzione e vendita di whisky, birra e affini che non tardarono a fruttare denaro a palate. Sorsero anche numerosi laboratori clandestini, anche domestici, dediti soprattutto alla produzione di birra, i cui prodotti procurarono in numerosi consumatori gravi danni alla salute per via del materiale scadente e nocivo da cui erano stati ricavati.
Torrio provò a convincere Colosimo a entrare nel giro del contrabbando, ma senza successo, quindi decise di assassinarlo con l’ approvazione dei fratelli Genna, una potente famiglia mafiosa proveniente da Marsala e temuta per il temperamento piuttosto violento, operante nel West Side chicagoans. Torrio fece venire Frankie Yale da Brooklyn per occuparsi dell’ ormai scomodo zio, che l’ 11 maggio 1920 fu colpito a morte nell’ atrio principale del suo locale, il Colosimo Cafè, ritenuto il più elegante di tutta Chicago. Il suo assassinio rimase insoluto, e consentì finalmente a Torrio di impadronirsi del suo impero criminale, controllando numerosi bordelli e bische e, soprattutto, divenendo uno dei pionieri del nascente contrabbando di liquori, per il quale convertì rapidamente la maggior parte delle forze disponibili. Corruppe a dovere le forze dell’ ordine e le autorità cittadine, assunse validi avvocati e predispose una rete di camion carichi di whisky che giravano per Chicago indisturbati, essendo camuffati da rifornimenti di latte, e diede vita ad un vero e proprio esercito di delinquenti chiamati a dirigere e difendere il traffico, che volle affidare al comando del Capone, che, rimasto a New York, si era fatto una certa reputazione. Sposatosi nel 1918 con una donna irlandese di nome Mae Coughlin, nonostante i rapporti tradizionalmente tesi tra italoamericani e irlandoamericani, da cui pochi mesi dopo aveva avuto un figlio, Albert Francis, Scarface era già stato arrestato per reati contravvenzionali e aveva accumulato varie accuse di violenza sessuale e l’ omicidio di due uomini, di cui però non fu mai accusato in ottemperanza da parte dei testimoni ai valori dell’ omertà e alle sue personali protezioni. Dopo essere stato ferito da un esponente importante di un gruppo rivale, ottenne da Frankie Yale il permesso di trasferirsi da Torrio in modo tale da permettere alle acque di calmarsi.
Una volta raggiunta la Città del Vento, il giovane Capone divenne titolare di un negozio di mobili usati in Wabash Avenue, ovviamente un’ attività di copertura per le sue mansioni di braccio destro di Torrio, che consistevano nella difesa di circa settemila punti di vendita di alcolici e di un giro di scommesse clandestine di cui lo stesso Torrio auspicava l’ aumento sottraendone altri tra i circa tremila in mano alla concorrenza. Scarface assunse la guida di alcuni bordelli, e in breve fu messo a capo del Four Deuces, il locale che faceva da quartier generale per le operazioni di Torrio: si diceva che nei suoi scantinati lui e i suoi uomini torturassero i membri delle altre organizzazioni criminali, mentre al piano di sopra politici e criminali venivano intrattenuti insieme con musica e prostitute.
La casa di Capone a Chicago, 7244 di Prairie Avenue;

Sotto la guida di Torrio e Capone, la vecchia organizzazione di Colosimo assunse il nome di Chicago Outfit, e venne impostata come una specie di sindacato che reclutava delinquenti italoamericani, italiani ed ebrei. I due reggenti corruppero molte persone tra politici, poliziotti e giornalisti, garantendosi una solida protezione mentre allargavano la propria rete di contrabbando, che si occupava di alcol, sigari e cibo, arrivando fino al Canada.
Chicago pareva destinata a diventare il campo di battaglia tra le cosche italoamericane e quelle irlandesi, in perenne lotta tra loro per il controllo definitivo del territorio e le attività illegali, tanto che le forze dell’ ordine, che contavano numerosi agenti assassinati, presto preferirono far finta di non vedere, accettando una conveniente bustarella da parte di una o più parti e frequentare in pace i banchi di alcolici, praticamente frequentati da tutti. La città era sotto il tacco di ben tre organizzazioni pronte in qualunque momento a battersi all’ ultimo sangue tra sparatorie e bombe a mano: la Chicago Outfit, la North Side Gang di Charles Dion O’ Banion, un irlandoamericano che possedeva un negozio di fiori e girava armato di tre pistole, e quella di Myles O’ Donnell, altro irlandoamericano tra le voci più potenti nel panorama del contrabbando di alcolici. Torrio, tuttavia, godeva di un certo vantaggio: i suoi rivali avevano il grilletto facile, cosa che ovviamente ai poliziotti non piaceva, e lui era tendenzialmente riflessivo e non portato agli eccessi di violenza in quanto li riteneva inadatti agli affari.
L’ obiettivo fondamentale di Torrio e Capone fu l’ espansione a Cicero, una cittadina alle porte di Chicago il cui valore strategico era in forte crescita, eppure già sotto il controllo degli O’ Donnell. Capone, in una delle sue rare aperture diplomatiche, propose un’ alleanza ad O’ Banion per eliminare altre parti fastidiose. Pur non fidandosi degli italoamericani, essendo peraltro bersaglio dei Genna, che volevano ucciderlo perché si impossessava dei loro camion carichi di alcolici, O’ Banion accettò ed ebbe inizio la penetrazione a Cicero, alla quale in un primo momento O’ Donnell non reagì. I Genna domandarono a Mike Merlo, nuovo presidente dell’ Unione Siciliana, il permesso di uccidere O’ Banion, ma questi rifiutò non volendo provocare una guerra. Le cose però peggiorarono drammaticamente in vista delle elezioni del 4 novembre 1924 quando i cittadini di Chicago e di tutto l’ Illinois furono chiamati a scegliere i propri rappresentanti. Tutte le cosche sostennero attivamente quei candidati che avrebbero meglio protetto i propri interessi, e in città si scatenò prontamente il finimondo, un inferno di inarrestabile violenza in cui ogni giorno qualcuno cadeva ucciso: si contarono decine di morti, tra i quali spiccava Frank, fratello di Scarface, abbattuto durante uno scontro a fuoco con la polizia. In quei momenti turbolenti l’ alleanza tra Torrio e O’ Banion, già piuttosto fragile, venne meno, e i Genna riuscirono a conquistarsi una posizione di potere, imponendo un giro d’ affari di tutto riguardo grazie anche al continuo arrivo di parenti e compaesani dall’ Italia, una presenza numerica notevole che li fece presto diventare i rappresentanti più importanti della Little Italy di Chicago. Tra una mazzetta e l’ altra riuscirono anche a farsi strada nel mondo politico della città, tanto da vincere l’ appalto per la produzione industriale di alcol per l’ intero Illinois, una vera miniera d’ oro per chi contrabbandava alcolici: i distillati, infatti, secondo la legge potevano essere prescritti come medicinali con un limite di una pinta ogni dieci giorni. A differenza di tutte le altre organizzazioni mafiose, i fratelli Genna producevano alcolici non in grossi capannoni, ma in minuscoli impianti tenuti in casa dai vari affiliati, tattica che rese difficile contromosse da parte degli avversari.
Mae e Albert Francis, moglie e figlio di Capone;

I Genna e la Chicago Outfit capirono che insieme avrebbero potuto sbarazzarsi degli O’ Donnel, ma al tempo stesso erano coscienti che l’ alleanza sarebbe venuta meno il giorno in cui sarebbero rimasti soli. Nel giro di qualche mese la banda degli O’ Donnell venne sgominata e costretta ad abbandonare Cicero. Ebbero luogo sei omicidi di cui la polizia non trovò prove contro la Chicago Outfit e neppure contro i Genna.
La caduta degli O’ Donnell favorì un momento di insperata quiete in città, ma il 10 novembre del 1924 Dion O’ Banion venne ucciso con cinque colpi di pistola nel suo negozio di fiori da ignoti, qualcuno che molto probabilmente considerava amico. Al suo funerale parteciparono quasi trentamila persone, e l’ opinione pubblica si scagliò contro la Chicago Outfit e i Genna, in quanto poco tempo prima con uno stratagemma aveva mandato Torrio in prigione. Sebbene le responsabilità e il movente di questo nuovo omicidio non vennero mai accertate, il semplice sospetto bastò a far riesplodere la guerra tra bande: Hymie Weiss, un immigrato polacco alle dipendenze di O’ Banion, assunse il comando dell’ organizzazione e si scatenò contro tutti, mentre il successivo 12 gennaio 1925, Capone sfuggì per miracolo ad un attentato, a differenza di un suo autista che venne ferito mortalmente e un altro che fu torturato. Scarface aumentò la consistenza della propria scorta e ordinò una nuova automobile completamente piombata, un mezzo che pesava oltre sette tonnellate. Cercò anche di stipulare un’ assicurazione sulla vita, ma non trovò mai nessuno disposto a concedergliela, e il successivo 24 gennaio lo stesso Torrio, mentre tornava in automobile al suo appartamento al 7106 sulla South Clyde Avenue dagli acquisti con la moglie Anna Jacob, di provenienza ebraica, subì un grave attentato nel quale fu colpito da una raffica di colpi che lo ferirono alla mascella, al petto, all’ inguine, alle gambe e all’ addome. Uno dei sicari tentò di sferrargli il colpo di grazia, sparandogli alla testa, ma rimase senza pallottole. Giunto in ospedale in condizioni disperate, riuscì incredibilmente a sopravvivere: nel mese di maggio, non appena si ristabilì, fu condannato ad un anno con la condizionale per un reato minore, e scosso dal rischio di morte si convinse a ritirarsi cedendo il comando a Capone, trasferendosi poi in Italia con sua moglie e sua madre, dove non ebbe mai più contatti diretti col crimine organizzato.
Capone e la madre, Teresa;


Ormai al comando di un vasto e saldo impero criminale, Scarface, che dal 1923 viveva sotto l’ attenta sorveglianza dei suoi sgherri in una bella casa al 7244 Prairie Avenue, acquistata per cinquemila dollari e in cui risiedeva con la moglie e il figlio, la madre e altri parenti, si trovò presto in una posizione estremamente precaria, che fronteggiò con scaltrezza e brutalità. Fu vittima di una dozzina di tentativi di assassinio da parte di Weiss, che, convinto di aver già dato un colpo di grazia alla Chicago Outfit, rivolse la propria attenzione ai Genna, che decimò.Capone ne approfittò per consolidare la propria posizione, compiendo alcuni delitti particolarmente cruenti che gli valsero una certa notorietà: a dicembre uccise un delinquente di nome Richard Lonergan e due suoi uomini, che erano entrati in un centro di Frankie Yale a Brooklyn e lo avevano pesantemente insultato mentre si trovava lì come ospite, mentre nell’ aprile 1926 il procuratore William H. McSwiggin, giovanissimo procuratore che aveva la fama di duro e incorruttibile, desideroso di porre fine a quella sorta di vuoto di legalità in cui la città era caduta e che in passato lo aveva accusato di omicidio, venne assassinato in un bar di Cicero mentre era in compagnia di Klondike O’ Donnell, acerrimo nemico di Scarface, che però riuscì a salvarsi. L’ assassinio di un funzionario della giustizia ovviamente provocò un putiferio infernale, e il capomafia italoamericano fu costretto a fuggire a Lansing, in Michigan, per poi rientrare a Chicago in luglio per affrontare svariate accuse di omicidio, che decaddero in quanto le autorità non avevano prove sufficienti, e complice una campagna di maldicenze a danno dello stesso McSwiggin, additato come amico d’ infanzia di un noto sicario e ucciso mentre era in compagnia di un malvivente. Il successivo 20 settembre uscì illeso da un nuovo agguato compiuto da un gruppo di fuoco di Weiss presso il suo quartier generale all’ Hawthorne Hotel di Cicero, e propose una tregua alla North Side Gang, che Weiss rifiutò: l’ 11 ottobre 1926 la faida si chiuse con la sua uccisione insieme a quattro dei suoi uomini, massacrati da un commando di sicari armati di mitragliatrici.
L’ automobile di Capone;


Rimasto senza rivali, Scarface si impegnò a diversificare le attività della sua cosca, anticipando il momento in cui, prevedibilmente, il Proibizionismo sarebbe stato revocato facendo tornare legale i prodotti alcolici, potenziando i molti bordelli e le bische, nonché gli interessi legati all’ usura, alla ricettazione, alle estorsioni e al controllo dei sindacati. Creò un clima di terrore tra i bar cittadini, i quali venivano fatti furiosamente esplodere se avessero rifiutato di rifornirsi dei suoi carici di alcol. Quando gli scontri tra bande ripresero con una certa violenza, scelse per prudenza di spostare le attività a Cicero, zona difficile da raggiungere per i suoi nemici, i quali però continuarono a progettare attentati contro di lui e i suoi scagnozzi.
Da quando Angelo Genna, presidente dell’ Unione Siciliana di Chicago, era stato ucciso il 26 maggio 1925 da un commando di tre uomini di cui faceva parte l’ ormai defunto Weiss, Capone pensava di mettere a capo dell’ organizzazione un suo uomo, Tony Lombardo. Tutto sembrava a posto, ma il giorno delle elezioni qualcuno cambiò le carte in tavola, portando all’ elezione di Sam Amatuna, che venne ucciso dopo una breve presidenza a colpi di mazza mentre si trovava dal barbiere, seguito da Eddie Zion e a Bummy Goldstein, i principali artefici della sua ascesa. Ovviamente, a qual punto la presidenza spettò a Lombardo. Chicago sembrava giunta a una sorta di equilibrio, e il capomafia investì parte dei ricavati delle attività illecite in altre del tutto legali, separando con grande attenzione le gestioni contabili arrivando presto a contare su introiti di copertura pari a quelli illegali.
Capone e il figlio, circondati dalla scorta, a una partita di baseball;

Nel 1927, Capone trovò finalmente un importante alleato politico: dopo quattro anni durante i quali il sindaco William E. Dever, aderente al Partito Democratico, aveva perseguito con una certa durezza la criminalità, l’ ex sindaco William Hale Thompson, membro del Partito Repubblicano, si ricandidò facendo intendere che sarebbe stato più morbido con determinate attività illegali. Il mafioso gli fece una donazione di duecentocinquantamila dollari e contribuì alla sua stretta vittoria su Dever alle elezioni. Un anno dopo, i repubblicani tennero le primarie per il Senato e per il candidato a governatore dell’ Illinois: da un giorno all’ altro si verificò una lunga serie di attentati politici i cui dettagli fecero facilmente comprendere le alleanze e i clientelismi dei vari uomini politici locali, nonché i loro rapporti con le principali cosche. Il giorno delle elezioni, la Chicago Outfit mise numerose bombe nei seggi dove erano favoriti i candidati in opposizione a quelli sostenuti dal sindaco Thompson, causando la morte di quindici persone, e compì un attentato in cui cadde un candidato popolare soprattutto tra gli afroamericani. James Belcastro, il principale sicario che aveva compiuto gli attentati per Capone, fu accusato insieme ad alcuni poliziotti corrotti, ma nessuno di loro fu processato perché i testimoni più importanti ritrattarono le loro deposizioni. La situazione a Chicago era talmente grave che Thompson consigliò a Capone di lasciare la città, da ormai troppo tempo sotto i riflettori per il tasso notevole di criminalità e per l’ impudenza ormai leggendaria delle cosche, e sebbene a suo carico non pendessero accuse ufficiali, Scarface era unanimemente considerato il principale responsabile di questo clima malsano, ordinando innumerevoli uccisioni, spesso di semplici testimoni scomodi, per le quali non poteva essere incriminato in quanto aveva ideato una tecnica specialistica consistente nel prendere in locazione un appartamento di fronte alla casa della vittima per poi colpirla con fucili di precisione da tiratori altamente qualificati.
All’ interno dell’ Unione Siciliana, costantemente alle prese con le rivalità tra una cosca mafiosa e l’ altra e l’ immenso afflusso di denaro ad esse connesse, tornarono presto a farsi sentire, e Joe Aiello, uomo manovrato dal presidente della sezione newyorchese, Frankie Yale, prese a muoversi contro Capone. Yale da qualche tempo rapinava i camion del capomafia di Chicago prima che questi lasciassero New York, e arrivò ad organizzare una spedizione di quattro sicari incaricati di ucciderlo, ma lui, avvisato dalla sua rete informativa, fece ritrovare i loro cadaveri in un fossato la mattina seguente il loro arrivo, invitando poi Yale a cambiare alleanze a Chicago. Per meglio seguire le mosse del suo vecchio compagno di crimine inviò a New York un proprio uomo di fiducia, James De Amato, che nemmeno un mese dopo venne ucciso da una bomba a mano che era stato costretto ad ingoiare. Qualche giorno dopo, Yale ricevette un biglietto: «Per De Amato avrai presto una risposta.».
Il pomeriggio del 1 luglio 1928, mentre passeggiava per strada, Yale venne investito da un’ automobile da cui scesero quattro uomini che lo crivellarono di colpi di mitragliatrice. Sul luogo del delitto, Scarface fece beffardamente trovare un’ arma che aveva acquistato una settimana prima e di cui aveva denunciato la scomparsa il giorno stesso. I newyorchesi non perdonarono questo assassinio, e il successivo 7 settembre uccisero Tony Lombardo, il cui posto di presidente dell’ Unione Siciliana a Chicago fu preso da Pasquale Lolordo, che qualche mese dopo venne a sua volta ucciso da alcuni visitatori che lo andarono a trovare a casa. Stessa sorte toccò anche ad Aiello, mentre Phil D’ Andrea, uomo di Capone, ebbe maggiore fortuna reggendo a lungo la carica e morendo molto tempo dopo per cause naturali.
L’ Hotel Lexington;

Tra il 1927 e il 1928, Scarface diede luogo a due grandi trasferimenti: spostò il suo quartier generale all’ Hotel Lexington, e iniziò a progettare la vita da pensionato in Florida, dove si fece costruire una villa principesca a Palm Island. Guardato dalla gente comune con un misto di invidia e ammirata soggezione, impressionata dalla sua vista quale abitazione adatta ad un signore ricco e potente, il Lexington divenne il cuore di un’ organizzazione pressoché perfetta, che faceva guadagnare a Capone oltre cento milioni di dollari annui soltanto con le attività legate alla protezione. Sempre più potente e temuto, il mafioso era ormai una figura leggendaria dal vanitoso comportamento mondano, circondato da un torvo cordone di scherani e astuti avvocati, trincerato in una salda e intricata rete di influenze e omertà. Il suo stile di vita era estremamente lussuoso e spudoratamente esibito. Tra le tante voci che si mormoravano, si racconta che in occasione di un suo compleanno fece rapire il grande pianista jazz Fats Waller, che fece suonare per tre giorni consecutivi al termine dei quali lo congedò su un’ auto ormai ubriaco e pieno di soldi. Quando andava alle partite di baseball o all’ opera, di cui era grande amante, comprava decine di biglietti facendosi accompagnare dai suoi scagnozzi. Dall’ altra parte, però, quest’ uomo sanguinario dall’ indole rabbiosa coltivò svariate attività filantropiche che i detrattori definirono puramente demagogiche, sebbene pare che fossero mosse da un animo sincero: la drammatica Grande depressione del 1929 gettò nella povertà milioni di statunitensi, provocandone letteralmente la fame, e Scarface ordinò alle sue aziende lecite della ristorazione e dell’ abbigliamento di distribuire gratuitamente ogni giorno vitto e vestiario ai bisognosi.
Secondo la leggenda, questo turpe individuo amava ripetere: «Si ottiene di più con una parola gentile e una pistola in mano che solo con una parola gentile.». In realtà, tale affermazione è del celebre comico Irwin Corey, che nel 1953, durante un monologo disse: «La mia filosofia è che si può ottenere di più con una parola gentile e una pistola che solo con una parola gentile.». In seguito, nel luglio 1969, l’ aforisma fu pubblicato su Parade Magazine in una raccolta di frasi umoristiche dell’ artista, che lo indicò come una citazione di Capone probabilmente solo per aumentare l’ effetto comico, e nel 1987 ottenne grande fama con il film «The Untouchables - Gli intoccabili» in cui il mafioso, interpretato da Robert De Niro, afferma tali parole durante un’ intervista.
La strage di San Valentino;

L’ anno 1929 si aprì con uno dei fatti di sangue più famigerati di tutto il Novecento: la strage di San Valentino, con cui Capone si sbarazzò una volta per tutte dei nemici irlandesi. La mattina del 14 febbraio, alcuni uomini della Chicago Outfit, travestiti da poliziotti, fecero irruzione in un magazzino della banda di Bugs Moran, facendo allineare contro un muro sette uomini e uccidendoli a sangue freddo con i mitragliatori. L’ unico sopravvissuto alla strage fu proprio Moran, in quanto assomigliava moltissimo ad Al Weishank, che molto probabilmente fu ucciso al posto suo: fuggì da Chicago il giorno stesso e non vi tornò mai più. La vecchia cricca di Dean O’ Banion ora non esisteva più, e ogni cadavere venne trovato in una copiosa pozza di sangue colpito da almeno cinquanta proiettili, come monito contro chiunque in futuro avesse osato pensare di sgarrare contro Scarface, che per qualche venne ritenuto estraneo alla strage, in parte perché quello stesso giorno si trovava a Miami, convocato da un giudice federale che voleva vederci chiaro sui suoi introiti, ma anche perché alcuni testimoni oculari avevano visto aggirarsi attorno al garage, sia prima che dopo l’ esecuzione, una pattuglia della polizia: per anni la tesi secondo cui alcuni esponenti delle forze dell’ ordine avessero deciso di chiudere la bocca di gente che sapeva troppo sugli affari legati al contrabbando di alcol ebbe moltissimi sostenitori, e solo nel 1969, un vecchio malvivente di nome Alphonse Karpis, avrebbe confermato che la paternità dell’ azione era di Capone. Tuttavia, per il mafioso italoamericano i regolamenti di conti non erano ancora finiti, perché alcuni mesi dopo, il 7 maggio, i cadaveri di tre suoi luogotenenti siciliani vennero trovati in mezzo alla campagna. Capone infatti sospettava che qualcuno stesse complottando contro di lui in modo di formare un fronte di siciliani, e secondo le voci fu lui stesso ad ucciderli con una mazza da baseball durante una cena a cui partecipò il consiglio superiore della sua organizzazione.
Capone e i suoi due avvocati;

Dopo un breve arresto per porto abusivo di arma da fuoco, la sua carriera
ma si avviò inesorabilmente verso un rapido tramonto. I suoi metodi sbrigativi e sanguinari non piacevano a molti, e così i vertici di Cosa Nostra statunitense decisero di tenere un incontro ad Atlantic City con lo scopo ufficiale di adottare un nuovo atteggiamento, cercando di contenere il compare di Chicago: tra il 13 e il 17 maggio i più alti esponenti del crimine organizzato di tutta la Costa Orientale si incontrò all’ Hotel President in una riunione che dopo le parole e i convenevoli di rito sancì una spaccatura di metodi tra Scarface e gli altri, la cui opposizione si coagulò attorno al capo più potente del momento, Joe Masseria. Alla Città del Vento, frattanto, le cose iniziarono a prendere una brutta piega a causa di un’ inchiesta voluta dall’ FBI e dal Dipartimento del tesoro al fine di trovare un modo di incriminarlo, e dalla presenza in continuo aumento nella sua organizzazione di italiani di provenienza newyorkese. Fino ad allora, Capone non era stato visto con troppa ostilità dai chicagoans: praticamente tutti volevano bere alcolici, e potevano farlo grazie a lui, che veniva visto come un novello Robin Hood anche per le frequenti donazioni in beneficenza. La gente lo adorava come una celebrità, tanto che quando andava in luoghi pubblici come lo stadio veniva accolto da applausi e acclamazioni. Lui stesso affermava di essere più un benefattore che un criminale, e che gli omicidi e i regolamenti di conti erano semplicemente parte dei suoi affari. Riceveva la gente in un opulento studio in stile rinascimentale, fumando le sigarette al mentolo che tanto amava. Nella biblioteca attigua, sui ripiani della quale si allineavano collezioni di libri erotici antichi, trattati commerciali, volumi di enologia, di strategia navale e gran numero di opere su Napoleone, personaggio che ammirava al punto da affermare spesso che se si fossero conosciuti si sarebbero compresi al volo. Ma con l’ aumento costante della violenza le cose erano ormai più difficili, ed erano precipitate con le drammatiche primarie del 1928 e il massacro di San Valentino: il sostegno da parte della città era drasticamente diminuito, anche a causa dello sbandieramento della sua vita opulenta nei giorni del crollo di Wall Street, che aveva sconvolto l’ economia mondiale impoverendo la classe media. Il mafioso ora rappresentava un peso per tutti, un problema da risolvere con una certa urgenza: nel 1930, venne inserito nella lista dei maggiori ricercati dell’ FBI e dichiarato «Nemico pubblico numero uno» della città di Chicago, una denominazione attribuita a criminali ritenuti un grave pericolo per la società in un periodo in cui la criminalità era ammantata da un alone di leggenda e romanticismo.
A Washington, il nuovo Presidente degli Stati Uniti, Herbert Clark Hoover, affidò al Segretario al Tesoro, Andrew Mellon, il difficile compito di arrestare Scarface, che si decise di attaccare su due fronti: una prima indagine avrebbe stabilito se ci fosse stato il modo di incastrarlo per reati fiscali, mentre una seconda squadra interna al Bureau of Prohibition avrebbe indebolito la Chicago Outfit con continue incursioni e sequestri, anche per dimostrare agli elettori che il governo federale si era seriamente impegnato a risolvere il problema. L’ obiettivo principale consisteva nel privare Capone dei ricavi necessari a pagare l’ organizzazione e la protezione e influenza di cui godeva in polizia, nella municipalità chicagoans e nei sindacati. Il Dipartimento del Tesoro predispose una squadra di cui affidò il comando ad Eliot Ness, che presto vennero soprannominati «Intoccabili» per aver rifiutato la proposta del capomafia presentata tramite un aldermanno corrotto.
La villa di Capone a Miami;

Colpire Scarface fu prevedibilmente molto arduo a causa della sua capacità nel non lasciare prove o indizi sulla scena delle uccisioni e del contrabbando, e della difesa omertosa che gli procurava sempre un valido alibi. In ambito politico, pertanto, si dibatté sull’ opportunità di tassare i redditi provenienti da attività illegali, complice una sentenza della Corte Suprema che sebbene avesse stabilito che il Quinto Emendamento, che garantisce il diritto di non dichiararsi colpevoli per i propri reati, non permetteva di evadere le tasse sui propri ricavi: i soldi sporchi guadagnati dovevano comunque essere dichiarati al fisco, anche se questo in pratica equivaleva a denunciarsi. Il decreto apriva un utilissimo spiraglio per incriminare il mafioso per reati fiscali, dato che i suoi enormi guadagni illegali non venivano dichiarati al governo. Gli investigatori, guidati da Frank Wilson, verificarono che Capone non firmava mai di persona gli assegni per le attività illegali, ma poterono ricostruire una lunga serie di acquisti di lusso e spese stravaganti incompatibili con il suo reddito dichiarato. Non era tuttavia sufficiente per formulare un’ accusa, in quanto occorreva dimostrare che vantava un reddito superiore a quello dichiarato. Ness e gli Intoccabili si misero alle costole di Scarface analizzando ogni minimo movimento finanziario sospetto, ma il mafioso agiva sempre attentamente tramite prestanome e la contabilità era gestita tramite cifrari, cosa che gli permetteva una certa tranquillità, almeno finché non venne casualmente rinvenuto un foglietto su cui si citava il suo nome: fu la chiave di volta dell’ intera operazione, un errore che venne sfruttato per collegare fra loro moltissime prove già raccolte ed allestire un piano accusatorio molto vasto, che portò il malavitoso ad un rinvio a giudizio per evasione fiscale, con ben ventitré capi d’ accusa.
Nel 1930, dopo lunghi mesi di indagini, un avvocato di Capone contattò il Dipartimento del Tesoro per chiedere di negoziare il suo debito verso il fisco. Wilson interrogò l’ imputato, che negò di avere un reddito sostanzioso, e uscendo domandò: «Come sta sua moglie, Wilson? Si assicuri di prendersene cura». Il funzionario ovviamente non si fece intimidire dalle minacce e continuò le indagini: qualche mese dopo l’ avvocato gli consegnò una lettera in cui Scarface ammetteva di non aver dichiarato redditi fino a centomila dollari tra il 1928 e il 1929, sperando di trovare un accordo e patteggiare una piccola pena, ma a sorpresa il giudice James Wilkerson, che seguiva il caso, decise di portare tutto in tribunale. Un informatore della squadra del magistrato, uno dei pochissimi che si era fatto avanti per parlare, avvertì che il mafioso stava sfruttando la propria influenza nell’ amministrazione di Chicago per corrompere la giuria del processo, che non era ancora stata ufficializzata. Quando gli fu consegnata la lista, Wilkerson si accorse che i nomi corrispondevano a quelli fatti dall’ informatore: il giorno del processo, entrò quindi in aula e richiese uno scambio di giurie, potendo quindi stabilire anche che la lettera presentata dal difensore di Capone, in cui l’ imputato ammetteva di non aver dichiarato decine di migliaia di dollari, era ammissibile come confessione di colpevolezza, sebbene i dettagli contenuti non potevano essere considerati come prove dai giurati. La difesa espose una presunta dipendenza di Scarface dal gioco d’ azzardo, la stessa che gli aveva fatto perdere decine di migliaia di dollari che pertanto non aveva dichiarato, ma non funzionò: il 18 ottobre 1931 Al Capone fu condannato per evasione fiscale ad undici anni di carcere. Fu la più lunga condanna mai emessa per tale infrazione.
La prigione di Alcatraz;

La condanna del signore della malavita fu la fine di un’ epoca. Fu mandato al penitenziario di Atlanta, in Georgia, la più dura delle carceri statunitensi di allora, ma in essa disponeva di lussi e privilegi e continuava liberamente a gestire i suoi interessi. Nell’ agosto 1934 fu pertanto trasferito alla cella 85 del nuovo carcere di Alcatraz, isola al largo della baia di San Francisco, ove venivano mandati i detenuti peggiori delle altre prigioni: ivi, il detenuto ricevette un trattamento severo, e tutti i suoi contatti con l’ esterno vennero interrotti, non lasciandogli altra speranza se non quella dei benefici per la buona condotta. Divenne pertanto un detenuto modello, evitando di farsi coinvolgere in rivolte ed isolandosi dagli altri prigionieri.
Dopo nove anni di reclusione nella leggendaria galera, con il numero di matricola 40886, la sua salute crollò rapidamente a causa della sifilide, contratta durante un rapporto sessuale con una delle sue prostitute, dalla demenza da essa provocata e dalla gonorrea. Dopo un periodo trascorso nell’ ospedale della prigione, nel gennaio 1939 fu trasferito in un carcere di bassa sicurezza a Los Angeles, e qualche mese dopo venne rilasciato. Si trasferì a Palm Beach, nella proprietà dove aveva passato gran parte della sua vita quando non era a Chicago: ormai la malattia mentale lo aveva reso quasi totalmente incapace di intendere e di volere. In Illinois, frattanto, la Chicago Outfit aveva continuato le attività pur mantenendo un profilo più basso e riducendo la violenza. Gli affari legati alla prostituzione e al gioco erano continuati senza scossoni anche dopo la revoca del Proibizionismo, il 5 dicembre 1933, voluta dal Presidente Roosevelt.
Capone visse i suoi ultimi anni circondato dalla famiglia e dai suoi scagnozzi più fedeli, rigorosamente tenuto isolato affinché non si corresse il rischio che a causa della demenza si lasciasse scappare qualche rivelazione compromettente in presenza di estranei. Ormai non faceva più paura a nessuno, era un uomo ignorato da tutti, invecchiato dalla prigione e indebolito dalla malattia, che molti ritennero aggravata dal dispiacere per la sconfitta subita e dunque da una degenerazione mentale. Il 25 gennaio 1947 ebbe un colpo apoplettico, e dopo una breve agonia morì di arresto cardiaco nella villa in Florida, ad appena quarantotto anni: sepolto al Mount Carmel Cemetery di Hillside, poco fuori Chicago, sulla sua tomba si può trovare un sigaro fresco lasciato da un ignoto visitatore.
La tomba di Al Capone;

Esprimere quel che Al Capone incarnò con la propria ascesa, le azioni e il declino significa soprattutto descrivere il terreno in cui maturò. Questo signore del crimine dai modi beffardi, plateali e crudeli fu il frutto di una società spietata ed un’ epoca molto difficile, gli Stati Uniti del primo Novecento. In quel tempo, il Nuovo Mondo era sinonimo di speranza, di una forte fiducia secondo cui attraverso il duro lavoro, il coraggio e la determinazione fosse possibile raggiungere un migliore tenore di vita e addirittura la prosperità economica. Il celebre «sogno americano» attirò vaste folle di migranti poverissimi eppure virtuosi da ogni dove, soprattutto Europa, Asia, America latina e Oceania, e che purtroppo videro quasi tutti sfumare le proprie speranze, venendo costretti ad accettare lavori spiacevoli per una retribuzione assai più bassa in confronto a quella che spettava alla cittadinanza statunitense. I migranti divennero veri e propri fuoricasta, soggetti indesiderabili e non assimilabili nella terra promessa che avevano raggiunto dopo un viaggio lungo e scomodo reso possibile da vari e intensi sacrifici spesso compiuti dalle famiglie estese. Solo pochi di loro ebbero l’ opportunità di una vita migliore, mentre altri, come Capone, videro nel crimine l’ occasione di un facile guadagno nel mondo pericoloso della strada, che non dava scampo.
Con tutte le sue turpitudini, le sue uccisioni, i guadagni sporchi, Scarface divenne il simbolo di una nazione corrotta e spregiudicata, disposta a tutto pur di conseguire un risultato. Fu l’ emblema di una società in cui il denaro non basta mai, e che dunque sprona costantemente l’ individuo ad escogitare nuovi metodi pur di garantirne l’ afflusso. Come drammaticamente sostenne il famoso filosofo Laughton Lewis Burdock: «Ammettiamolo: se fosse vero che il crimine non paga, in giro ci sarebbero pochissimi criminali.».