lunedì 23 aprile 2018

«Vittoria e Abdul», la storia di uno straordinario legame

Il libro di Shrabani Basu;


Una sovrana che regna su un miliardo di sudditi e un umile servitore venuto dai confini dell’ Impero: sembra la trama di uno sceneggiato televisivo, invece è la vicenda alla base di un libro della scrittrice indiana Shrabani Basu, «Vittoria e Abdul», pubblicato in Italia da Piemme voci, dal quale è stato tratto il film omonimo, diretto da Stephen Frears e intrepretato da Judi Dench e Ali Fazal, presentato al Festival del Cinema di Venezia nel 2017. Una storia realmente accaduta, che ebbe per protagonista nientemeno che la leggendaria Vittoria di Hannover, negli ultimi anni della sua vita confortata dalla vicinanza e dalla stima di una persona estremamente diversa da lei per nazionalità, ceto sociale e religione, la cui presenza provocò una profonda opposizione da parte della corte e persino della famiglia reale.
Nel 1887, a Londra fervono i preparativi per il Giubileo d’ Oro, la celebrazione dei cinquant’ anni di regno di Vittoria, la regnante più potente e rispettata del mondo, che, consapevole dell’ importanza dell’ India fra le colonie del suo Impero, richiede espressamente di avere alcuni servitori e attendenti di provenienza indiana con cui servire gli ospiti e sottolineare il proprio titolo di Imperatrice d’ India, attribuitole l’ anno prima. Il giovane indiano Abdul Karim, modesto ma volenteroso impiegato nella prigione di Agra e di religione musulmana, viene scelto insieme ad altri compatrioti per recarsi a corte, ove incanta subito la regina, che da servitore da tavolo lo eleva a proprio attendente e segretario. Benché simbolo vivente dei valori e della moralità britannici del tempo, costantemente impegnata nell’ influenzare l’ azione del governo e la nomina dei ministri, l’ anziana sovrana continua a piangere le morti del marito Alberto e del fedele servitore e amante John Brown, e Abdul, aitante e grazioso, diviene per lei un amico, un figlio adottivo e persino suo insegnante di lingua urdu, con il titolo di Munshi: grazie a lui ritrova quell’ affetto che la famiglia non è in grado di darle, prova il piacere di potersi sentire liberamente sé stessa con qualcuno, senza avere intorno nessuno che le imponga un cerimoniale, e scopre l’ immenso fascino della terra distante di cui è imperatrice, della quale non ha mai saputo nulla. In un momento di gravi rivolte indipendentiste sul suolo indiano, il giovane diventa anche consigliere e confidente della regina per le questioni relative alla terra dell’ elefante. Vittoria apprezza molto persino i curry che lui le prepara. Prevedibilmente, l’ amicizia fra i due rappresenta un immenso scandalo agli occhi della corte: Abdul è di misero ceto sociale, peraltro musulmano, eppure è la persona più vicina in assoluto alla sovrana, che lo porta sempre con sé tra viaggi e cerimonie ufficiali accordandogli grandi privilegi. Per quanto in molti la accusino di aver perso la ragione, l’ anziana regina difende con durezza la propria decisione, tacciando apertamente il suo seguito di razzismo, e affermando che l’ ignoranza non li farà entrare vincitori nel XX secolo.
Alla morte di Vittoria nel 1901, il figlio ed erede Edoardo VII cancella prontamente quasi ogni traccia di questo inconfessabile rapporto, distruggendo ogni documento scritto riguardante il giovane Abdul, che rimanda velocemente in India, ove la defunta gli ha previdentemente garantito una pensione dorata e un redditizio terreno, ma cento anni dopo, nel 2001, Shrabani Basu, impegnata nelle ricerche sulla storia del curry, scopre la passione di Vittoria per i piatti conditi con questa polvere, e visitando Osborne House e il castello di Balmoral, le residenze preferite della sovrana, nota i ritratti di un uomo indiano di aspetto regale, mentre la Durbar Room, la sala indiana di Osborne House, è un monumento al fascino che la regnante subiva per una terra che non visitò mai pur essendone imperatrice. La consultazione presso gli archivi reali dei diari scritti a mano in tredici volumi in urdu da Vittoria, che Edoardo VII non aveva pensato di toccare perché nessuno comprendeva tale lingua, dissotterra finalmente il ricordo perduto del Munshi: questa è la storia di uno straordinario legame che emerge dalle pagine di «Vittoria e Abdul», saggio affascinante e particolareggiato, base di un film appassionante e ben realizzato, magnificamente diretto e interpretato, che lascia il segno nel cuore di chi guarda. Se il libro vanta uno stile semplice e diretto, citando come fonti dirette le annotazioni dei vari protagonisti, il film presenta una narrazione potente, caratterizzata da un andamento lento, che permette di godere di ogni singola sfumatura senza mai risultare pesante o noioso, con dialoghi invitanti ma soprattutto intelligenti e colmi di ironia. 
La locandina del film di Stephen Frears;

Leggendo l’ uno o guardando l’ altro si rimane colpiti dall’ incontro di due mondi assai lontani tra loro, dal ruolo fondamentale ma inconsapevole della cultura e dall’ invito a non arroccarsi dietro un glorioso passato superato dai tempi che cambiano costantemente. Come la stessa Basu afferma nella propria introduzione: «Dato il clima di sospetto nei confronti dei musulmani che in questo momento regna in Occidente, il fatto che un musulmano abbia avuto un ruolo così importante alla corte della regina Vittoria è ancora più interessante. La sovrana rappresentò forse un atteggiamento più illuminato e tollerante, perfino all’ apice del suo impero? E l’ irruzione all’ alba a casa di Abdul Karim subito dopo la morte di Vittoria fu forse un’ anticipazione di ciò che sarebbe avvenuto in seguito?». Quasi in risposta, nel film Abdul afferma: «L’ amore è tutto. Noi siamo solo pezzi.».

venerdì 20 aprile 2018

La lunga ombra di Nessie

«Loch Ness Monster», dipinto di Hugo Josef Heikenwaelder;

«I paesi che non hanno leggende sono destinati a morire di freddo.» Patrice de La Tour du Pin;

Fin dall’ alba dei tempi, uomini e donne sono sempre stati affascinati dal mito e dalla leggenda, specchi di valori e aspirazioni in cui la comunità si riconosce costantemente, tanto che David Bidussa, scrittore, giornalista, saggista e storico italiano sostiene che essi si perpetuano perché la storia abbia un qualche senso. Allo stesso tempo, al mondo esistono luoghi la cui bellezza non può essere espressa con le parole, per quanto ad esse venga solitamente riservato il compito di descrivere e incantare, di far vibrare i sentimenti, giungendo direttamente al cuore colpendo l’ immaginario e stimolando la fantasia.
Il lago Ness, meglio noto come Loch Ness, il più largo specchio d’ acqua del Glen Albyn, nelle Highlands scozzesi, è senz’ altro un luogo il cui fascino impossibile da racchiudere in una comune descrizione non poteva astenersi dal generare un mito a cui legarsi strettamente: povero di vegetazione, composto di acque molto scure e profonde, popolate da pochi pesci e posto sotto un cielo spesso tinto di grigio, esso finisce inevitabilmente con l’ avvolgere i suoi visitatori in un’ atmosfera di mistero, portandoli a sentirsi circondati da strane presenze. Peraltro, sulla sua riva orientale, quella meno frequentata dai numerosi turisti che ogni giorno giungono fin qui, sorge Boleskine House, una vecchia villa, composta di un solo piano ma molto grande, la cui cupa e tetra storia si confonde con la leggenda essendo stata l’ abitazione fino al 1920 di Aleister Crowley, noto occultista, mago, simbolista e scrittore. Da molti anni essa è un luogo di culto e pellegrinaggio per i thelèmiti e per i satanisti laveyani, la cui frequentazione ha alimentato voci su presunti sacrifici e rituali che Crowley avrebbe officiato entro le sue mura, oltre che su presunti passaggi segreti e sotterranei con il vicino cimitero e sulla vicenda di un maggiordomo di casa che, impazzito, avrebbe tentato di uccidere tutta la sua famiglia. Ma questo affascinante e imperscrutabile bacino lacustre è passato alla storia per un’ altra leggenda, tra le più note e discusse al mondo: quella di Nessie, l’ enorme e singolare creatura che da molti secoli ne popolerebbe le acque.
Veduta di Loch Ness e delle rovine del castello di Urquhart;

Fin da bambino ricordo di aver spesso sentito parlare di questo celebre mito, rimanendone affascinato e, detto tra noi, benevolmente divertito, soprattutto perché è stato dimostrato che alcune tra le foto più conosciute che lo ritrarrebbero sono false, mentre altre sono ritenute non influenti in ambito scientifico. In seconda media trattai la vicenda durante le ore di inglese, più o meno nel periodo in cui affrontavamo la storia del Titanic, e tra i miei esercizi di traduzione tra i compiti delle vacanze scelsi due libretti, uno sul celeberrimo transatlantico affondato nel 1912 e l’ altro proprio sul mostro di Loch Ness, di cui per la prima volta appresi molte cose interessanti. Fu proprio allora che compresi il grande impatto della leggenda e del mito sull’ immaginario collettivo e quanto la fama di un luogo non sempre derivi da epici fatti storici, essendo spesso determinata da storie stimolanti e leggendarie indipendentemente dalla loro veridicità o meno, che stimolano l’ industria locale del turismo e del divertimento: che cosa sarebbero, ad esempio, Roswell e i Monti Berwyn senza i misteriosi incidenti ufologici di cui pare che siano stati protagonisti? O la Transilvania priva del tetro racconto di Dracula? O il triangolo delle Bermude senza quello delle inspiegabili sparizioni?
Boleskine House, sulle rive di Loch Ness;

La leggenda di Nessie incomincia nell’ anno 565, quando il monaco irlandese San Colombano, giunto in Scozia per diffondere il Vangelo, arrivò nei pressi del fiume Ness, che nasce dal lago e sfocia nel mare, in prossimità di Inverness, si imbatté in un gruppo di pitti che stavano seppellendo un uomo massacrato dalla creatura, e lo riportò in vita. In seguito, raggiunto Loch Ness, il missionario mandò uno dei suoi compagni sull’ altra sponda, affinché recuperasse una barca per tutti: quando l’ uomo giunse a metà del percorso il mostro lo agguantò, ma San Colombano stese la mano e ordinò alla bestia di sparire, e di non comparire mai più.
Nei secoli successivi, quasi a conferma del santo potere del missionario irlandese, non avvennero altri avvistamenti, ma nel 1871 il dottor Mackenzie riferì di aver visto qualcosa contorcersi agitando l’ acqua del lago. Il mito di Nessie ebbe inizio il 22 settembre 1933, quando l’ Inverness Courier riferì che nel Loch Ness era stato avvistato uno strano animale: i coniugi MacKay, proprietari di un albergo a Drumnadrochit, nei pressi del lago, avevano scorto due strane gobbe emergere dall’ acqua, e due mesi dopo Hugh Gray ne scattò la prima fotografia, in cui era ritratto un lungo soggetto serpeggiante e nuotante in superficie che faceva ribollire l’ acqua circostante. La foto venne però definita un falso, con il labrador retriever dello stesso Gray come soggetto, intento a nuotare verso la fotocamera con un bastone in bocca.
Da allora, come effetto domino, le testimonianze riguardanti gli avvistamenti della creatura si moltiplicarono enormemente, insieme a racconti piuttosto fantasiosi. L’ episodio più eclatante fu quello del medico Robert Kenneth Wilson, che diede al Daily Mail il permesso di pubblicare una foto di Nessie che aveva scattato il 19 aprile 1934 con l’ aiuto di un amico, Maurice Chambers: essa divenne rapidamente famosa anche all’ estero, e fu chiamata «foto del chirurgo» in quanto l’ autore aveva voluto restare anonimo, ma sessant’ anni dopo, nel 1994, questa fu smascherata dal Centro di Loch Ness e definita falsa, in quanto mostrava un modellino creato aggiungendo a un sottomarino giocattolo una testa e una coda.
La foto di Hugh Gray, scattata nel 1933;

Negli anni seguirono molti altre dichiarazioni di avvistamento. Il 5 gennaio 1934, ad esempio, Arthur Grant, studente di veterinaria, riferì di aver quasi investito con la propria motocicletta una strana creatura mentre si avvicina ad Abriachan, intorno all’ 1:00 del mattino. Disse di aver visto una piccola testa collegata ad un lungo collo mentre attraversava la strada e faceva ritorno nel lago, descrivendola come un ibrido tra una foca e un plesiosauro, e che, una volta in acqua, vide solo qualche increspatura. Stando alla sua dichiarazione, l’ essere si spostava con movimenti laterali di un paio di pinne posteriori e membranose, il collo era serpentiforme, e gli occhi larghi incassati nel capo. Il giovane ne eseguì un disegno, che venne analizzato dallo zoologo Maurice Burton, secondo cui l’ aspetto e il comportamento corrispondevano a quelli di una lontra, a differenza delle dimensioni per via delle cattive condizioni di luce. Il paleontologo Darren Naish, invece, suggerì che Grant potrebbe aver visto una lontra o una foca, esagerando nel tempo la descrizione dell’ avvistamento.
Nel 1936 fu la volta della signora Marjory Moir, che disse di aver visto affiorare durante una leggera pioggia una creatura color grigio scuro, in netto contrasto con lo sfondo più chiaro dell’ acqua e del cielo, e che stette immobile in superficie: lunga quasi dieci metri, aveva tre gobbe, la più grande delle quali era nel mezzo, un collo lungo e snello, una testa piccola e priva di tratti visibili. Ad un tratto prese ad immergersi spesso in acqua. Più tardi, nel 1951, il boscaiolo Lachlan Stuart scattò una fotografia in cui apparivano tre gobbe emergenti dall’ acqua, mentre nel 1955, Peter MacNab dichiarò di essersi fermato nei pressi del castello di Urquhart, che domina il lago, per scattare una foto quando ad un tratto sentì un rumore nell’ acqua: ebbe appena il tempo di sostituire l’ obiettivo mentre un enorme animale emergeva in superficie. MacNab lo fotografò, e il suo scatto rimane tuttora uno dei più suggestivi in quanto ritrae sia il mostro che il castello, ma secondo alcuni la foto mostrerebbe ben due esemplari distinti: esaminandola attentamente si può infatti notare che le due gobbe non sono esattamente l’ una sul prolungamento dell’ altra. Siccome la seconda è più piccola della prima, si è pensato che si trattasse di un maschio accompagnato dalla femmina, o di un giovane che seguiva la madre. Effettivamente, in varie occasioni i testimoni dichiararono di avere visto più animali insieme, come il guardiacoste Alexander Campbell, che riferì di aver visto il dorso di tre mostri apparire alla superficie lacustre, e due allievi dell’ abbazia di Fort August, che nel giugno del 1937 dissero di aver visto tre piccoli mostri, lunghi appena un metro, che fuggirono via quando essi cercarono di acchiapparli.
La foto di Robert Kenneth Wilson, scattata nel 1934;

Con il miglioramento delle tecniche fotografiche e filmiche, istituzioni e personalità scientifiche tentarono di documentare con chiarezza le presunte apparizioni della creatura. Nel 1960, Tim Dinsdale, ingegnere aeronautico, filmò una gobba che attraversava l’ acqua in una scia potente, e la JARIC, il Centro di analisi delle immagini e di intelligence britannico, conosciuto come MI4, dichiarò che l’ oggetto era probabilmente animato. Nel 1993, Discovery Communications realizzò un documentario intitolato «Loch Ness Discovered», che si avvalse di un miglioramento digitale del film di Dinsdale: un esperto di computer che aveva migliorato il film notò un’ ombra nel negativo che non era molto evidente nel positivo, e attraverso il rafforzamento e la sovrapposizione dei fotogrammi trovò quello che pareva il corpo posteriore, le pinne posteriori e una o due gobbe aggiuntive del corpo simile a un plesiosauro, affermando che prima di vedere il film aveva pensato che il mostro fosse solo un mucchio di sciocchezze, ma dopo aver fatto la valorizzazione aveva cambiato opinione.
Le foto più nitide, invece, risalgono al 21 maggio del 1977 e furono scattate da Tony Shiels, celebre scrittore, artista, e illusionista che mentre osservava il lago da sotto il castello vide affiorare il lungo collo: scattò le foto e descrisse il mostro, di un colore tra il verde e il marrone, con la pancia di una sfumatura più chiara, e la pelle liscia e lucida. Rappresentò l’ animale come un «elefante calamaro», sostenendo che il collo lungo nella foto fosse in realtà la proboscide della creatura e che la piccola macchia bianca alla base del collo fosse l’ occhio. A causa della mancanza di increspature, le sue due foto vennero ritenute false e soprannominate «Loch Ness Muppet», per quanto Shiels ne sostenne sempre l’ autenticità.
Illustrazione dell’ avvistamento di Arthur Grant;

I mezzi di comunicazione di massa si occupano del caso Nessie soltanto a partire dagli Anni Ottanta, mentre gli ultimi avvistamenti risalgono al 26 maggio 2007, ad opera di Gordon Holmes, tecnico di laboratorio che filmò una sagoma nuotare nel lago, e alla fine di agosto del 2009, da parte di Jason Cooke, guardia di sicurezza che fotografò l’ essere con Google Earth, mentre il 19 aprile 2014 si disse che su un’ immagine satellitare delle mappe Apple appariva una grande creatura appena al di sotto della superficie del lago, probabilmente lunga trenta metri. Alcuni dissero che si trattava del celebre mostro, altri invece che fosse semplicemente la scia di una barca.

Tony Shiels in una foto del 2015;

Molta gente si è a lungo interrogata su questo insolito caso, e sulla possibilità che una creatura millenaria e sfuggente possa effettivamente vivere sul fondo del Loch Ness, o se piuttosto non sia uno dei tanti miti del mondo moderno. Alcuni addirittura si chiedono con quale forma di vita si avrebbe eventualmente a che fare. La comunità scientifica degli zoologi afferma che il mostro non esiste, dal momento che non è stato mai documentato alcun ritrovamento di tracce o resti animali al di sopra di ogni ragionevole dubbio, e anche perché la piramide alimentare di un lago relativamente piccolo come il Loch Ness non potrebbe sostenere la vita di una famiglia di predatori dalle dimensioni fornite dai testimoni. Peraltro, se effettivamente esistesse una popolazione di simili creature in grado di perpetuarsi, non si spiegherebbe il fatto che non vi siano prove più convincenti di quelle portate dai sostenitori, la maggior parte dei quali ritiene che si tratti di uno o più esemplari di plesiosauro o di elasmosauro in qualche modo sopravvissuti agli eventi che sessantacinque milioni di anni orsono condussero all’ estinzione dei dinosauri, benché i rettili marini dell’ era mesozoica fossero solo vagamente imparentati con i dinosauri. Gli stessi sostenitori hanno avanzato l’ ipotesi di un canale segreto che collegherebbe il lago al Mare del Nord: esso consentirebbe alla creatura di nutrirsi adeguatamente, e spiegherebbe l’ assenza di ossa e resti di altra natura sul fondale del lago.
Fino ad ora non sono state rinvenute prove a supporto dell’ esistenza di canali che conducano al mare.
Steve Feltham, il «cacciatore di Nessie»;

La millenaria vicenda di Nessie dimostra quanto siamo tuttora affascinati dal mito e dalla leggenda. L’ uomo ha sempre sentito il bisogno di credere in qualcosa e di avere qualcuno a cui ispirarsi e prendere esempio, per migliorarsi. Il mondo antico era colmo di miti e gloriosi eroi che venivano imitati e adorati, ma che con lo scorrere dei secoli e dei millenni abbiamo tralasciato uno dopo l’ altro, eppure la nostra necessità di ricorrere ad un esempio epico e di mantenere un contatto con vicende straordinarie è rimasto praticamente lo stesso. Per mezzo dell’ epos, i miti antichi si articolarono sempre di più magnificando e ampliando, talvolta persino esagerando, il fatto narrato così da farlo apparire come qualcosa di unico, speciale, assolutamente inconsueto. Il pensiero mitico e leggendario è strettamente allacciato al genere umano, contribuendone all’ evoluzione, eppure il mondo di oggi è piuttosto povero di eroi degni di essere mitizzati. Risulta quindi molto più semplice ricavare una leggenda da eventi misteriosi, come nel caso di Loch Ness, che nell’ era dei mezzi di comunicazione di massa vengono rapidamente diffusi in tutto il mondo e arricchiti con l’ introduzione di sempre nuovi elementi.
Se ogni mito e leggenda nasce con un significato ben preciso, penso che la storia di Nessie germogli dal fascino dell’ uomo nei confronti dell’ ignoto, che da sempre cerca di indagare con un misto di paura e curiosità, nonché dalla sua attrazione verso le forze della natura, capaci di manifestarsi in modo ciclopico e alle volte sfuggente. E come ogni grande mito che si rispetti, il mostro di Loch Ness ha avuto il suo eroe: Steve Feltham, il più longevo cacciatore della creatura, che per venticinque anni ha organizzato la propria vita, addirittura rinunciando ad un’ esistenza normale e ad una famiglia, accampandosi stabilmente in una roulotte sulle rive del lago, guadagnandosi negli anni un’ aura quasi epica, nel desiderio di arrivare finalmente al misterioso essere, divenendo lui stesso un’ attrazione turistica, conosciuto da tutti, locali o visitatori che fossero, finché, nel 2015, a cinquantadue anni, rinunciò al proprio proposito essendosi sempre imbattuto in pesci gatto gallesi, introdotti nel lago in epoca vittoriana per favorire la pesca dei vacanzieri e in grado di vivere a lungo e crescere fino a dimensioni notevoli, arrivando persino a quattro metri di lunghezza e quattrocento chili di peso. Rimasti sconosciuti nella zona per molto tempo, secondo lui essi sarebbero sempre stati i veri protagonisti degli avvistamenti, venendo scambiati per creature minacciose e ignote a causa della distanza o della suggestione. Una conclusione banale e addirittura beffarda dopo una caccia instancabile e osservazioni maniacali con binocoli sempre più sofisticati, talora persino telescopi, durate un quarto di secolo. Ma il Times, che si occupò del suo caso in un articolo dettagliato, non gli negò l’ onore delle armi a dispetto della sua eccentricità e bizzarria: «Devo essere onesto: non credo più che Nessie sia un mostro preistorico, ma il mistero del mostro resisterà per sempre e continuerà ad attrarre persone quassù. Io certamente non ho rimpianti per questi venticinque anni.».
San Columba predica al re scozzese Bridei;

Ma Loch Ness non è il solo lago scozzese ritenuto abitato da un mostro marino: nella Scozia nordoccidentale, nel distretto di Lochaber, sorge il lago più profondo della Gran Bretagna, il Loch Morar, il cui guardiano dichiarò di aver incontrato due persone in automobile, sconvolte, da cui apprese che mentre stavano pescando era apparsa un’ ombra enorme sotto livello dell’ acqua. In un secondo momento il mostro sarebbe stato perfino fotografato dalla figlia dello stesso custode. Che la Scozia abbia un debole per il mito dei mostri acquatici?

domenica 15 aprile 2018

Il naufragio del Titanic, una tragedia entrata nella leggenda

Il naufragio in un dipinto d’ epoca di Willy Stöwer;
«Una vetta è inaccessibile finché qualcuno non la scala, una nave è inaffondabile finché non si inabissa.» Robert Crawley, VII conte di Grantham, leggendo la notizia del naufragio del Titanic sul giornale nell’ episodio pilota di ‘Downton Abbey’;

Nel 1898, lo scrittore e inventore statunitense Morgan Robertson pubblicò un romanzo, «Il naufragio del Titan», in cui narrò la storia del più grande transatlantico costruito fino ad allora, il Titan, che sebbene fosse considerato inaffondabile nel mese di aprile finì in rotta di collisione con un enorme blocco di ghiaccio galleggiante nell’ Atlantico settentrionale, naufragando in poche ore. Quattordici anni dopo, il 15 aprile 1912, ebbe luogo la tragedia dell’ RMS Titanic, e molti dettagli della sua vicenda apparvero incredibilmente simili a quella immaginata da Robertson: entrambe le navi, dotate di tripla elica e due alberi, erano ritenute inaffondabili; partite ad aprile, percorrevano la rotta che congiunge la Gran Bretagna con New York quando colpirono un blocco di ghiaccio sul lato di dritta; dotate di dimensioni simili, avanzavano a velocità analoghe, naufragando a circa quattrocento miglia da Terranova, in Canada, provocando la morte migliaia di persone anche per il numero clamorosamente scarso di lance di salvataggio; i loro nomi, peraltro, erano molto somiglianti. In molti indicarono il libro di Robertson come un romanzo profezia, alimentando le voci secondo cui il Titanic era stato maledetto, gettando le basi di quella che sarebbe divenuta una grandiosa e romantica leggenda tuttora capace di incuriosire e commuovere il pubblico.
Quello del Titanic, ormai, è un nome familiare a tutti. La notizia del suo disastro venne rapidamente diffusa in tutto il mondo dai principali mezzi di comunicazione, e per lungo tempo venne dibattuta dando origine ad un mito che ispirò articoli e editoriali sui giornali, storie e narrazioni più o meno fantasiose con cui non ha mai cessato di suscitare commozione e interrogativi.
Oggigiorno non vi è nessuno che non abbia mai sentito menzionare almeno una volta nella propria vita questa grandiosa nave e che ne ignori le vicende pur non rammentandone i singoli dettagli, o che non abbia mai visto nessuno dei numerosi film, sceneggiati televisivi o documentari ad essa dedicati. Io stesso ricordo tuttora come e quando mi interessai per la prima volta a questo straordinario avvenimento: nel 1998, a quattordici anni, quando ero studente di seconda media, la mia insegnante di inglese ne propose la vicenda tra gli esercizi di traduzione alla nostra classe, dal momento che rientrava nel contesto della storia britannica. Ovviamente, in passato ne avevo già vagamente sentito parlare, ma in quell’ occasione me ne interessai con una certa partecipazione, e il testo che ci era stato indicato era ricco di particolari stimolanti. Un passaggio in particolare rimase impresso nella mia mente: «L’ inaffondabile Titanic era affondato.». Appena un anno prima, nel 1997, era uscito al cinema il film «Titanic» con Kate Winslet e Leonardo DiCaprio, e in previsione dei miei compiti delle vacanze di inglese per l’ estate scelsi un libretto breve da tradurre in italiano, incentrato proprio sulla storia del Titanic, che a settembre mi valse una valutazione molto positiva da parte della professoressa, che scrisse: «Hai lavorato con buona volontà.».
Il Titanic;

Negli anni il mio personale interesse per questo particolare disastro navale non venne mai meno, un po’ come avvenuto per il misterioso incidente di Roswell, di cui sentì parlare per la prima volta quando avevo dieci anni e che tuttora stuzzica la mia curiosità, e per lungo tempo riflettei sul corso dei suoi eventi, in modo particolare sul motivo per cui dopo oltre cento anni susciti ancora tanto interesse e partecipazione: il grande clamore nato attorno a tale tragedia è dovuto non soltanto alle crudeli ragioni del destino, ma anche e soprattutto all’ insieme di gravi manchevolezze in ambito della sicurezza, dettate dalla grande fretta di rendere operativo l’ incrociatore il prima possibile per ragioni di lucro e concorrenza, ma anche per motivi estetici, in quanto molti dettagli erano stati trascurati per dare alla nave grazia ed eleganza.
Il Titanic in costruzione nei cantieri navali di Belfast;

Nel 1906, la Cunard Line, ricca e potente compagnia di navigazione britannica, inaugurò i transatlantici gemelli RMS Lusitania e RMS Mauretania, le navi più lussuose, veloci e imponenti tra quelle impegnate sulle rotte transatlantiche, con l’ intento di effettuare trasporti civili sulle stesse rotte del gruppo concorrente White Star Line, una delle più famose e considerevoli aziende navali britanniche, che in breve tempo decise di rispondere con il progetto «Olympic Class», consistente in tre transatlantici gemelli di dimensioni immani che avrebbero garantito ai passeggeri lusso e sicurezza, ossia l’ Olympic, il Titanic e il Gigantic.
Il commodoro Smith;
Nel 1909, durante una cena presso la sua casa nel raffinato quartiere londinese di Belgrave, Lord William James Pirrie, presidente della società di costruzioni navali Harland & Wolff di Belfast, concepì la nascita del Titanic insieme a Joseph Bruce Ismay, amministratore delegato della White Star Line. Il progetto riscosse l’ immediato entusiasmo dell’ armatore statunitense John Pierpont Morgan, che lo finanziò, e venne affidato all’ ingegner Thomas Andrews Jr., amministratore delegato e capo del reparto di architettura dei cantieri Harland & Wolff, nonché nipote di Lord Pirrie. Il Titanic fu pensato come massima espressione della tecnologia navale di quei tempi, nonché come il più grande e lussuoso transatlantico al mondo, addetto al collegamento settimanale di linea con la Costa Orientale statunitense. Poiché avrebbe svolto anche il servizio postale, gli fu assegnato il prefisso RMS, acronimo di Royal Mail Ship, e SS, ossia Steam Ship.
I lavori di costruzione iniziarono il 31 marzo 1909, presso i cantieri di Belfast della Harland & Wolff. Costruito accanto all’ Olympic, che era stato iniziato qualche mese addietro rispetto all’ incrociatore gemello, venendo varato il 20 ottobre 1910, il Titanic era lungo duecentosessantanove metri, largo ventotto e alto cinquantatré. Aveva una capienza di quarantaseimilatrecentoventotto tonnellate, e l’ altezza del ponte sulla linea di galleggiamento era di diciotto metri. Per quanto avesse la stessa lunghezza dell’ Olympic, aveva un tonnellaggio lordo superiore grazie al maggiore spazio interno, dovuto soprattutto alla chiusura di parte della passeggiata sul ponte A con finestre parzialmente apribili. Essendo un piroscafo, aveva una propulsione a vapore, con quattro cilindri contrapposti invertibili a triplice espansione più una turbina Parson a bassa pressione: le macchine alternative del Titanic e dell’ Olympic rimangono tuttora le più grandi mai costruite, occupando quattro piani in altezza e sviluppando quasi trentotto megawatt di potenza, muovendo le due eliche laterali. La turbina muoveva la sola elica centrale. Le ventinove caldaie, dal diametro di cinque metri ciascuna, erano in grado di bruciare circa settecentoventotto tonnellate di carbone al giorno. La velocità massima era di ventitré nodi, inferiore di tre rispetto a quella sull’ RMS Mauretania. Solamente tre dei quattro fumaioli erano in funzione, il quarto aveva solo la funzione di presa d’ aria e venne inserito per rendere più grandiosa la figura della nave.
L’ allestimento di bordo comprendeva una piscina coperta di nove metri per quattro sul ponte D, una palestra, un bagno turco e un campo di squash. La prima classe fu realizzata con la massima sfarzosità, tanto da essere la più elegante di qualsiasi altro transatlantico: vi erano trentaquattro suite, ognuna dotata di soggiorno, sala di lettura e sala da fumo e arredata in stile diverso. Erano presenti saloni di svago, bar e salotti. Per essa erano disponibili tre ascensori, e, per la prima volta, ne venne preparato uno anche per la seconda classe. La terza classe, nel cui ristorante era collocato un pianoforte, era paragonabile alla seconda delle altre navi, decorata con legno di pino verniciato di bianco, pareti smaltate e sedie di teak. Insieme a quella dell’ Olympic, la sua stazione radio era considerata la più moderna e potente mai installata su di un bastimento, in quanto la sua portata raggiungeva una distanza di seicentocinquanta chilometri e le antenne erano collocate sui due alberi maestri, ad un’ altezza di sessanta metri e distanti tra loro centottanta. Il ponte lance era dotato delle nuovissime gru Welin, in grado di sostenere complessivamente trentadue lance di salvataggio e ammainarne sessantaquattro, ma alla fine ne furono montate soltanto sedici. La chiglia della nave aveva un doppio fondo cellulare e lo scafo era suddiviso in sedici compartimenti stagni, le cui porte a ghigliottina si chiudevano automaticamente dal ponte di comando. Tali compartimenti, comunque, non attraversavano tutta l’ altezza dello scafo, fermandosi al ponte E, circa a metà dello scafo, per dare più spazio alla disposizione delle sale. Il Titanic avrebbe potuto galleggiare anche con due dei compartimenti intermedi oppure con tutti i primi quattro compartimenti di prua allagati.
Dotato di una capacità utile di tremilacinquecentoquarantasette persone, tra passeggeri ed equipaggio, fu completato il 31 marzo 1912, mentre il suo scafo era stato varato esattamente un anno prima.
La partenza del Titanic;

Dopo una serie di rivolte operaie, scatenatesi perché la Harland & Wolff assumeva solo operai protestanti e non cattolici, il transatlantico fu varato il 31 maggio 1911 e completato il 31 marzo 1912, dopo soltanto dieci mesi: un vero e proprio primato per l’ epoca. Alla data di consegna, esso costò circa sette milioni e mezzo di dollari. Il biglietto di prima classe di sola andata per New York costava tremilacento dollari; un appartamento di prima classe ne costava quattromilatrecentocinquanta, mentre una cabina arrivava a centocinquanta; una cabina di seconda classe ne valeva sessanta; un biglietto di terza classe si aggirava tra i trentadue e i quaranta. Inviare un telegramma privato di dieci parole dal servizio telegrafico di bordo costava dodici scellini e sei pence, e nove pence per ogni parola aggiuntiva. Una partita a squash cinquanta centesimi, ed una seduta al bagno turco un dollaro.
Lord Pirrie, sinistra, e il commodoro Smith, destra;

Il mito del Titanic iniziò persino prima del suo viaggio inaugurale: fu salutato come un gioiello della tecnologia e definito come la nave più sicura del mondo, praticamente inaffondabile; i giornali ne parlavano in maniera eccellente, descrivendolo con articoli colmi di entusiasmo. In realtà non aveva sufficienti scialuppe di salvataggio, era privo di adeguati compartimenti stagni, e il personale non era addestrato per gestire le eventuali emergenze. Peraltro, mancava un sistema di altoparlanti interni e segnalazioni d’ allarme per avvisare i passeggeri in caso di pericolo. In quel tempo era sufficiente che una nave avesse scialuppe di salvataggio solo per un terzo dei passeggeri, ma sul neonato incrociatore ne vennero introdotte appena sedici, anziché sessantaquattro come previsto, con risparmio notevole di costi e tempi di allestimento, nella convinzione peraltro che avrebbero letteralmente imbruttito l’ aspetto di una nave elegante e praticamente impossibile da inabissare, che non a caso portava un nome che si rifaceva alle potentissime divinità della mitologia greca. Analogamente all’ Orient Express, essa simboleggiava il predominio incontrastato della meccanica e della scienza, capaci secondo la generale convinzione di risolvere tutti i problemi degli uomini, e persino di sconfiggere la morte.
Il blocco che colpì il Titanic nella sola fotografia che lo ritrae; 

Come comandante venne scelto il commodoro Edward John Smith, al suo ultimo comando dopo una carriera durata oltre quarant’ anni, che in una sua celebre dichiarazione affermò di non riuscire a immaginare alcun genere di incidente che potesse avvenire a questi nuovi transatlantici, in quanto la tecnica di costruzione che li aveva realizzati andava ben oltre gli incidenti allora immaginabili. Decorato nel 1903 da re Edoardo VII per il suo servizio navale nella Seconda guerra boera e ufficiale al servizio della White Star Line dal 1904, era reputato uno dei comandanti navali più esperti al mondo, e gli venivano regolarmente affidate le più grandiose e innovative navi dell’ epoca. Soprannominato «Comandante dei milionari», era costantemente richiesto dagli aristocratici al comando delle navi su cui viaggiavano, eppure la sua carriera non era stata esente da incidenti: il 27 gennaio 1889, l’ SS Republic, nave di cui era comandante, si era incagliata al largo di Sandy Hook, rimanendo immobile per cinque ore, e una volta libera aveva subito un’ esplosione alle caldaie che aveva ucciso tre uomini dell’ equipaggio, mentre nel dicembre 1890 aveva affrontato un nuovo arresto a bordo dell’ SS Coptic al largo di Rio de Janeiro. Nel 1901 era al comando dell’ RMS Majestic, a bordo del quale aveva avuto luogo un incendio il 7 agosto, al largo del porto di New York. Anche sull’ RMS Baltic, sua altra nave, era avvenuto un incendio nel bacino di Liverpool, mentre alla guida dell’ RMS Adriatic era stato protagonista di un altro incagliamento di cinque ore nel novembre del 1909. Il 20 settembre 1911, al comando dell’ RMS Olympic, era invece stato coinvolto in uno scontro con una nave da guerra, l’ HMS Hawke, che aveva provocato l’ allagamento di due compartimenti dell’ Olympic, riuscito ugualmente a raggiungere Southampton. La Royal Navy non aveva imputato l’ incidente all’ Olympic, dichiarando piuttosto che la sua massa imponente aveva generato un risucchio che aveva spinto contro la sua fiancata l’ Hawke. Tutti questi avvenimenti non avevano inciso minimamente sulla reputazione di Smith, considerato un ottimo ufficiale da tutti gli esperti di navigazione e dai vari comandanti.
Il commodoro pretese un comandante in seconda più esperto di quello che gli era stato assegnato, e all’ ultimo momento chiese alla White Star Line di trasferire Henry Tingle Wilde Jr. al Titanic anche solo per il viaggio inaugurale. Wilde subentrò pertanto a William Murdoch, retrocesso al rango di primo ufficiale, al posto di Charles Lightoller, che divenne secondo ufficiale, posizione assegnata al marinaio David Blair, che venne trasferito: andandosene, egli portò con sé i binocoli, suoi personali, ignorando che la nave ne fosse del tutto sprovvista poiché erano stati dimenticati.
Lo scalone di prima classe del transatlantico;

Dopo la sua ultimazione, il Titanic partì da Belfast il 2 aprile 1912 per giungere due giorni dopo a Southampton, città della contea dell’ Hampshire, nel sudest della Gran Bretagna, dotata di uno dei maggiori porti della costa meridionale. Dopo aver accolto vari passeggeri dirottati da altre navi che subivano gli effetti di uno sciopero nelle forniture di carbone, il transatlantico imbarcò un totale di duemiladuecentoventitré passeggeri, tra aristocratici, imprenditori, professionisti, borghesi e semplici migranti alla ricerca di fortuna nel Nuovo Mondo, molti dei quali irlandesi, e partì per il suo primo viaggio alle 12:00 del 10 aprile 1912, alla volta di New York. Data la fretta che gli armatori avevano di battere la concorrenza, la nave non aveva completato le prove in mare, e il commodoro Smith ordinò di spingere le macchine al massimo, così da attraversare l’ oceano in tempi da primato.
In prima classe erano imbarcati alcuni degli uomini più in vista del tempo, come i vertici della White Star Line, Ismay ed Andrews, che in particolare desiderava valutare con i propri occhi gli eventuali problemi del primo viaggio; il milionario John Jacob Astor IV, proprietario di alcuni preziosi immobili tra cui il noto Waldorf-Astoria Hotel; l’ industriale Benjamin Guggenheim, il cui fratello era proprietario dell’ omonima fondazione d’ arte; Isidor Straus, detentore del centro commerciale Macy, e la moglie Ida; Washington Roebling, figlio del costruttore del ponte di Brooklyn; Archibald Butt, Consigliere presidenziale statunitense, al ritorno da una missione diplomatica in Vaticano insieme al pittore Francis Millet; Arthur Ryerson, magnate statunitense dell’ acciaio; la contessa di Rothes; gli scrittori Helen Churchill Candee e Jacques Futrelle; Henry e Irene Harris, produttori di Broadway; l’ attrice cinematografica Dorothy Gibson e la milionaria Margaret Brown. Tra i grandi assenti che avevano rinunciato al viaggio vi erano Lord Pirrie, costretto a restare a terra a causa di un’ influenza, e l’ ambasciatore degli Stati Uniti in Francia.
Il Café Parisien;

Durante i primi quattro giorni, la navigazione fu regolare e particolarmente veloce per l’ epoca, ma domenica 14 aprile 1912 la stazione radio di bordo ricevette numerose segnalazioni che riferivano la presenza di montagne di ghiaccio vaganti lungo la rotta, assai frequentata da navi passeggeri e da trasporto. In serata la traversata procedeva agevolata dal mare calmo, e sebbene mancasse la luna la visibilità era ottima per via del cielo limpido e stellato, ma alle ore 23:40 le vedette, sprovviste di cannocchiali, avvistarono a occhio nudo, e quindi in ritardo, un enorme blocco di ghiaccio dritto di prora e lanciarono l’ allarme. L’ ufficiale di guardia William Murdoch ordinò l’ indietro tutta e una virata, ma la nave avanzava troppo velocemente e l’ ostacolo era a poco meno di cinquecento metri di distanza: si pensò quindi di passare a sinistra della montagna di ghiaccio, sfiorandola con il fianco destro, ma il Titanic la urtò subendo uno squarcio lungo il fianco per una novantina di metri, su una lunghezza complessiva di circa duecentosettanta metri.
Mentre l’ acqua cominciava a invadere i compartimenti, le porte stagne vennero immediatamente chiuse e il commodoro Smith ordinò di scandagliare la nave, che sarebbe potuta rimanere a galla anche con quattro compartimenti allagati in successione, ma non con cinque, dal momento che le sei fessure aperte dall’ impatto interessarono i primi cinque compartimenti prodieri. Inoltre, le paratie stagne non superavano il ponte E, posto circa a metà dell’ altezza della nave.
La situazione si rivelò fin da subito drammatica: i quattro compartimenti di carico situati alla prua della nave imbarcarono in appena dieci minuti più di quattro metri d’ acqua, causando un primo abbassamento della carena viva di due gradi, che facilitò l’ ingresso dell’ acqua all’ interno degli altri compartimenti e del primo dei compartimenti caldaie già colpito dal blocco di ghiaccio. In un primo momento la chiusura istantanea delle paratie non permise di rallentare il flusso d’ acqua nei compartimenti stagni di prua, destinati ad essere allagati completamente.
Il ponte lance;

I calcoli effettuati da Thomas Andrews rivelarono che il transatlantico sarebbe affondato in un’ ora e mezza, al massimo due. Fu dato quindi l’ ordine di abbandonare la nave: i passeggeri furono chiamati a raccolta, e le lance vennero preparate mentre veniva predisposta la lista delle assegnazioni per ognuna di esse. Per quanto la situazione continuasse a sembrare sicura, bisognava assolutamente evitare di diffondere il panico. Il vapore che fuoriusciva dalle valvole dei fumaioli, onde impedire lo scoppio delle caldaie, sibilava paurosamente, tanto che si avevano difficoltà a sentire le trasmissioni radio.
Il Titanic era dotato di tremilacinquecentosessanta salvagenti individuali, ma di sole venti lance quattro delle quali pieghevoli, per una capacità totale di millecentosettantotto posti, non bastanti per i passeggeri e l’ equipaggio. Le operazioni di carico si svolsero rispettando l’ ordine del commodoro, che aveva indicato di far salire prima le donne e i bambini, eppure l’ equipaggio equivocò tale disposizione impedendo agli uomini di salire sulle lance, quando in realtà Smith intendeva dire che gli uomini sarebbero potuti salire successivamente se fosse rimasto spazio disponibile. La prima lancia fu calata alle 00:40 dal lato destro con sole ventotto persone a bordo, e poco dopo ne fu calata un’ altra con appena dodici persone, sebbene la capacità di ogni scialuppa fosse di ben sessantacinque passeggeri: sciupando ben tre quinti dei posti disponibili, molte delle lance vennero calate in mare praticamente mezze vuote. I passeggeri di prima e seconda classe ebbero facile accesso al ponte lance, tramite le scale che conducevano al ponte, mentre quelli di terza ebbero notevoli difficoltà a trovare il percorso: di essi se ne salvò solamente un terzo, cosa che fece pensare che vennero intenzionalmente trascurati.
Peraltro, in un primo momento i passeggeri considerarono la faccenda un banale scherzo: se qualcuno aveva il salvagente veniva preso in giro, altri mostravano blocchetti di ghiaccio come souvenir mentre l’ orchestra si stabilì addirittura nel salone di prima classe ove iniziò a suonare, spostandosi poi all’ ingresso dello scalone sul ponte lance. A più di un’ ora dalla collisione, quasi nessuno era consapevole della gravità della situazione, in parte perché l’ equipaggio fu estremamente cauto nel diffondere le informazione ma anche perché i passeggeri furono chiamati nel ponte superiore esterno a molto tempo dalla collisione.

Poco dopo la mezzanotte vennero avvistate le luci di una nave, il Californian, a circa dieci miglia di distanza e Smith ordinò di sparare gli otto razzi di segnalazione, uno ogni cinque minuti, ma senza risultati. Poco dopo, il comandante si recò in sala radio a consegnare una richiesta di aiuto ai due marconisti, che, dopo aver usato il CQD, a partire dalle 00:45 cominciarono a inviare l’ SOS, il nuovo segnale di soccorso che aveva sostituito ufficialmente dal 1908 il precedente CQD. I marconisti si servivano raramente del nuovo segnale, che cominciò a essere utilizzato universalmente dopo che venne usato a bordo del Titanic. In quel tempo, peraltro, non tutte le navi erano dotate di mezzi radiofonici. Diversi bastimenti risposero, tra cui l’ Olympic, ma erano tutti troppo lontani per intervenire in tempo.
La nave più vicina era l’ RMS Carpathia, distante cinquantotto miglia: il marconista Cottam restò allibito quando ricevette un messaggio di soccorso dal celebre transatlantico al viaggio inaugurale, e svegliò immediatamente il comandante Arthur Rostron, che diede subito l’ ordine di invertire la rotta a tutto vapore, ma sarebbero state necessarie ben quattro ore per giungere sul posto. A due ore dall’ impatto con il blocco di ghiaccio, il Titanic aveva imbarcato oltre venticinque milioni di litri di acqua, pari a circa venticinquemila tonnellate, e la situazione continuava a precipitare: il ponte di prua si inondava e tutte le lance tranne due si erano già allontanate. A bordo erano rimaste più di millecinquecento persone, alcune delle quali tentarono di assaltare le ultime lance, tanto che l’ ufficiale Lowe si vide costretto a sparare alcuni colpi di pistola in aria per allontanare la folla in panico. Anche il Commissario di bordo sparò due colpi di pistola in aria, mentre l’ ufficiale Murdoch sventava un assalto alla barca numero 15. L’ orchestra di bordo continuò a suonare almeno fino all’ 1:40 circa. L’ ultimo brano suonato fu un inno cristiano.
Verso l’ 1:30 la prua della nave era completamente sommersa, con la poppa fuori dall’ acqua, e prima di ritirarsi in plancia il comandante Smith invitò i passeggeri a essere galantuomini: «Siate britannici!», mentre in un secondo momento diramò l’ ordine: «Si salvi chi può!», e liberò l’ equipaggio dal suo lavoro. Non è chiaro come morì. Secondo alcuni sopravvissuti era in acqua con il salvagente, mentre altri dissero di averlo visto su un ponte mentre si allagava. Altri ancora sostennero che Smith accompagnò un bambino ad una scialuppa per poi allontanarsi dicendo: «Addio gente, seguirò la mia nave!». Il progettista Andrews, che aveva trascorso le ultime ore cercando di rassicurare passeggeri e camerieri incitandoli a indossare i salvagente, fu visto dal cameriere John Stewart, in piedi, nel salone fumatori, con lo sguardo fisso su un quadro, «Il porto di Plymouth», del pittore Norman Wilkinson. Stewart, che riuscì a salvarsi, gli chiese se volesse fare almeno un tentativo, ma l’ imprenditore rimase al proprio posto come inebetito. Benjamin Guggenheim, invece, rifiutò il salvagente indossando l’ abito da sera insieme al proprio segretario: «Ci siamo messi gli abiti migliori, e affonderemo come gentiluomini.». Tali parole passarono alla storia, sebbene non sia chiaro a chi fossero rivolte. Il milionario J.J. Astor, che si era visto rifiutare un posto nella lancia numero 4 accanto alla moglie, rimase sul ponte lance fino alla morte, e mise in testa a un ragazzino un cappello da bambina dicendo: «Ecco, adesso puoi andare.».
Poco dopo le 2:00 si tentò di calare in mare il battello pieghevole B, ma senza successo, mentre il pieghevole A venne portato via dal risucchio, galleggiando capovolto. Il D fu invece calato in mare con quarantaquattro persone a bordo, benché potesse imbarcarne quarantasette, e i marinai lo difesero dall’ assalto dei passeggeri tenendosi per le mani formando una catena umana mentre una folla immensa e ormai incontrollabile proveniente dai ponti inferiori invadeva tutto il ponte lance: erano passeggeri di terza classe fino a quel momento rimasti sottocoperta, alla ricerca di un posto su quelle che in pratica erano le ultime lance rimaste a disposizione. Circa un centinaio di persone ormai rassegnate si radunò intorno a due sacerdoti, e iniziarono a recitare il rosario. Ad essi si unirono i macchinisti, che avevano lavorato alle pompe ritardando il più possibile l’ inabissamento e assicurando la luce elettrica fino quasi alla fine.

Verso le 2:10 la poppa si sollevò al punto da stagliarsi contro il cielo stellato, e la spaventosa forza generata dall’ emersione dello scafo provocò il lento schiacciamento della chiglia e la dilatazione delle sovrastrutture, che portarono lo scafo quasi al punto di rottura: in quel preciso momento sul Titanic agì una pressione di tre tonnellate per centimetro quadrato, il fumaiolo di proravia si staccò e l’ acqua ruppe i vetri della cupola inondando lo scalone e riversandosi nella nave. Si vedevano mucchi dei passeggeri rimasti a bordo che si ammassavano come sciami d’ api, per poi ricadere a gruppi, a coppie, da soli, mentre circa ottanta metri di scafo si alzavano formando con la superficie un angolo di circa settanta gradi. Poi, la nave sembrò fermarsi, e gradualmente il ponte si volse, come per nascondere il tremendo spettacolo alla vista dei superstiti sulle lance. Improvvisamente, tutta la struttura del transatlantico si ruppe in due sulla parte anteriore, e prima che il ponte fosse completamente sommerso, si innalzò verticalmente per tutta la sua lunghezza e per pochi minuti, almeno centocinquanta piedi della nave si elevarono sopra il livello del mare, verso il cielo. Infine, alle 2:20, il Titanic precipitò obliquamente e affondò.
Scialuppe del Titanic fotografate a bordo del Carpathia;

Per quanto il numero preciso del disastro non sia certo, poiché la lista esatta dei passeggeri e dell’ equipaggio andò perduta, secondo i dati forniti dall’ inchiesta statunitense il disastro uccise millecinquecentodiciotto persone. I superstiti furono solo settecentocinque, ossia coloro che avevano preso posto sulle lance, una sessantina tra chi si trovava ancora a bordo del Titanic durante l affondamento e soltanto sei tra le innumerevoli persone finite nelle gelide acque dell’ oceano, che fecero morire gran parte dei naufraghi per assideramento anziché per annegamento, dato che quasi tutti indossavano il giubbotto salvagente. Nessuno fu vittima degli squali, presenti anche a quelle latitudini. Finalmente, verso le 8:00 di mattina, il Carpathia giunse sul posto e recuperò i naufraghi, alcuni dei quali morirono subito dopo essere portati a bordo dell’ incrociatore, mentre le salme di quattro vittime decedute sulle lance furono sepolte in mare dal piroscafo. A bordo del Carpathia si tenne una cerimonia religiosa per i dispersi, e alle 8:50 la nave partì per New York, dove arrivò il 18 aprile.
Il disastro narrato sui giornali italiani;

Il naufragio del Titanic suscitò un’ enorme impressione sull’ opinione pubblica, e portò alla convocazione della prima conferenza sulla sicurezza della vita umana in mare.
Una volta stabilito il numero di vittime, la White Star Line inviò la nave posacavi Mackay-Bennett a recuperare i resti. Partito il 17 aprile 1912, il piroscafo recuperò trecentosei salme, duecentouno delle quali vennero portate ad Halifax, nel Canada orientale. Le altre tre navi inviate alla ricerca dei corpi, la Minia, la Montmagny e l’ Algerine, tra il 6 e il 15 maggio recuperarono ventidue corpi. Le salme non reclamate furono sepolte nel cimitero di Halifax, e la White Star Line si assunse il compito di mantenere il decoro di queste tombe fino al 1927, quando si fuse con la concorrente Cunard Line, che tuttora onora questo impegno. Nei mesi successivi al disastro, alcune navi trovarono casualmente altre salme: l’ RMS Oceanic si imbatté nel relitto della pieghevole A, con tre corpi a bordo, mentre l’ Ottawa e l’ Ilford recuperarono ognuno una salma dal mare, rispettivamente il 6 e l’ 8 giugno 1912.
In tutto vennero recuperati trentanove cadaveri di passeggeri di prima classe, trentadue di seconda, settantacinque di terza e duecentotredici appartenenti a membri dell’ equipaggio, oltre a quattordici che non vennero mai identificati. Centodiciannove di essi furono sepolti in mare, mentre cinquantanove vennero riconsegnati alle famiglie.
Stele commemorativa del Titanic a Southampton;

In virtù dell’ elevato ammontare delle vittime, vennero aperte due inchieste, una negli Stati Uniti e l’ altra in Gran Bretagna, atte a definire l’ eventuale negligenza dell’ equipaggio e della società proprietaria del transatlantico, quindi il possibile diritto al risarcimento dei sopravvissuti e delle famiglie delle vittime. Entrambe le indagini raccolsero le testimonianze dei passeggeri e degli equipaggi sia del Titanic che del Californian, oltre che il parere di vari esperti. In conseguenza del mancato funzionamento della radio sul Californian durante la notte, ventinove nazioni ratificarono il Radio Act, che regolamentava l’ uso delle comunicazioni radiofoniche. Il disastro portò alla riunione della Prima convenzione internazionale sulla sicurezza della vita in mare, che si aprì a Londra il 12 novembre 1913, portando a siglare il 20 gennaio 1915 un trattato che stabilì il finanziamento internazionale dell’ International Ice Patrol, agenzia della guardia costiera statunitense che ancora oggi controlla e segnala la presenza di blocchi di ghiaccio vaganti al fine di tutelare la navigazione nell’ Atlantico settentrionale. Si stabilì inoltre che le lance di salvataggio dovessero essere sufficienti per tutte le persone a bordo, che venissero svolte le opportune esercitazioni di addestramento per le emergenze, che le comunicazioni radio dovessero essere operative ventiquattro ore al giorno e dovessero avere un generatore di emergenza con autonomia di un giorno. Inoltre, ci si accordò sul fatto che lo sparo di un razzo di segnalazione rosso da una nave dovesse essere interpretato come richiesta di soccorso.
Il Titanic naufragò in acque internazionali, era condotto da equipaggio britannico e navigava sotto la bandiera della Gran Bretagna, ma apparteneva ad una società armatoriale statunitense. In base al diritto di proprietà, quindi, il Congresso statunitense avviò un’ indagine con il diritto di citare ad apparire testimoni anche di nazionalità non statunitense, e infatti a nessun superstite fu permesso di lasciare New York fino a conclusione dell’ inchiesta. L’ intera commissione, composta di sette senatori, era però priva di competenza tecnica circa i fatti in discussione, e non si intendeva di costruzioni navali, diritto della navigazione, doveri degli ufficiali e dell’ equipaggio, pertanto non è tuttora escluso il sospetto che l’ intera inchiesta avesse il proposito di condannare ad ogni costo la proprietà del transatlantico. In totale vennero ascoltati ottantadue testimoni, ventinove statunitensi e cinquantatré britannici, e il comportamento del defunto commodoro Smith venne condannato per non aver prestato ascolto ai messaggi di avviso sul pericolo dei blocchi di ghiaccio, quindi non riducendo la velocità di crociera della nave, non modificando la rotta, tardando di oltre venti minuti nell’ ordinare l’ abbandono della nave, non coordinandone peraltro le fasi. La White Star Line venne a sua volta condannata al risarcimento dei superstiti e delle famiglie dei deceduti per aver oltremodo rimandato l’ annuncio della perdita della nave.
In base al fatto che, pur appartenendo ad una società armatoriale statunitense, il Titanic era una nave immatricolata sul suolo britannico e costruita secondo le norme locali, peraltro navigante con un equipaggio britannico, il 30 aprile 1912 la Wreck Commissioner’ s Court britannica aprì una propria inchiesta su formale richiesta del Lord cancelliere, Robert Threshie Reid, I conte Loreburn. La commissione britannica era tecnicamente competente, e si avvaleva anche della consultazione dei progetti di costruzione del Titanic, delle mappe con le rotte nell’ Atlantico settentrionale e di un modellino in scala della nave. Al loro rientro da New York, vennero interrogate novantasette persone, tutte britanniche, che furono obbligate a rimanere a Londra per gli interrogatori: tale inchiesta biasimò il mancato soccorso da parte del Californian e criticò il commodoro Smith per gli identici motivi espressi dalla commissione statunitense. L’ equipaggio venne criticato soltanto per aver calato in mare la prima lancia con poche persone a bordo.
Il relitto del Titanic in fondo all’ oceano;

Ancora oggi, esattamente a centosei anni di distanza, il nome del Titanic non rievoca semplicemente un grave incidente marittimo, bensì la fine di un’ era, in quanto il suo drammatico destino frantumò duramente il sogno della Belle Époque, fungendo da richiamo all’ inconsistenza di una fede granitica nello sviluppo materiale e alla vulnerabilità umana: in quella fatidica notte erano sprofondati nell’ abisso senza alcuna distinzione ricchi, borghesi e poveri. Altri aggiunsero che in quell’ occasione furono rigorosamente applicate per l’ ultima volta le regole di una cavalleria un po’ romantica che costituiva il punto di arrivo della civiltà occidentale: vennero salvate per primi donne e bambini, mentre gli uomini, tra cui svettavano dignitari e notabili ricchi e famosi, si rassegnavano a perire con signorile dignità. Era tramontato il mito dell’ indistruttibilità di un prodotto della tecnologia moderna, di un mondo ritenuto sicuro e inviolabile soprattutto a beneficio dei ricchi, e appena due anni dopo l’ Europa avrebbe vissuto un mostruoso conflitto il cui esito ridefinì radicalmente il suo panorama sociale e politico.
Ma forse non tutti furono colti di sorpresa. La vanità allora largamente diffusa aveva risparmiato determinate persone avvedute come Morgan Robertson, appassionato ed esperto di marineria: alla fine dell’ Ottocento si continuava a costruire navi sempre più grandi, e il pericolo dei blocchi di ghiaccio vaganti qua e là per le traversate atlantiche era noto ormai da tempo, pertanto c’ era chi affermava che viaggiare con poche lance di salvataggio fosse rischioso. Per lui fu quindi abbastanza semplice immaginare la storia del naufragio di una grande nave già nel 1898, nelle pagine di un romanzo come «Il naufragio del Titan». Se il libro fosse stato letto con più attenzione dalle persone competenti sarebbero stati compresi tanti dettagli che quasi certamente avrebbero prevenuto la morte di oltre millecinquecento persone. Altro che maledizioni e profezie!