venerdì 21 dicembre 2018

Papa Francesco, il Santo Padre scelto per riparare l’ immagine pubblica della Chiesa cattolica

Papa Francesco, il cui personaggio simboleggia la bontà;


«La Chiesa Romana non ha mai errato, né, secondo la testimonianza delle Scritture, mai errerà per l’ eternità.» papa Gregorio VII;

Secondo il mito evangelico, così come riferito nel testo di Matteo, Gesù si trovava nei pressi di Cesarea di Filippo quando domandò ai suoi discepoli chi pensassero che lui fosse. San Pietro rispose spontaneamente di reputarlo il Cristo, il Figlio del Dio vivente. Il Maestro, di conseguenza, gli replicò: «Tu sei beato, o Simone, figlio di Giona, perché né la carne né il sangue ti hanno rivelato questo, ma il Padre mio che è nei cieli. Ed io altresì ti dico che tu sei Pietro, e sopra questa roccia io edificherò la mia chiesa e le porte dell’ inferno non la potranno vincere. Ed io ti darò le chiavi del regno dei cieli: tutto ciò che avrai legato sulla terra sarà legato nei cieli, e tutto ciò che avrai sciolto sulla terra sarà sciolto nei cieli.».
San Pietro viene quindi riconosciuto dalla Chiesa cattolica come suo primo papa, termine derivante dal greco pàppas, ossia «padre», adottato a partire dal III secolo e indicante una particolare autorità che nel tempo divenne vescovo della comunità cristiana di Roma, fondata da San Paolo e poi retta dallo stesso San Pietro. A partire dal 376, quando l’ imperatore Graziano, convinto cristiano, rinunciò alla carica di pontefice massimo, che lo rendeva capo del collegio dei sacerdoti, i pontefici, che sorvegliavano e guidavano il culto religioso, questa divenne il titolo del vescovo di Roma, tuttora chiamato «romano pontefice», o «sommo pontefice». Dopo la caduta dell’ Impero d’ Occidente, il papa divenne la guida politica dello Stato Pontificio, nuova nazione sovrana che si estendeva nell’ Italia centrale, dotata di una popolazione e un ordinamento giuridico formato da istituzioni e leggi proprie, che esercitò il potere temporale per oltre un millennio, dal 756 al 1870, durante il pontificato di Pio IX, quando con la presa di Roma durante il Risorgimento Casa Savoia ne fece la capitale del nascente Regno d’ Italia. Nonostante la perdita della sovranità temporale su Roma e i territori pontifici in favore dell’ Italia riunificata per la prima volta dal 476, la figura del papa rimase particolarmente influente nel panorama sia religioso che politico dell’ Occidente cristiano, soprattutto in Europa, benché attualmente regni sul più piccolo Stato sovrano al mondo sia per popolazione che per estensione territoriale, la Città del Vaticano, in cui vige un regime di monarchia assoluta teocratica, ierocratica ed elettiva, nato ufficialmente l’ 11 febbraio 1929 a seguito della firma dei Patti Lateranensi tra il Primo ministro Benito Mussolini e il cardinale Pietro Gasparri, rappresentanti del Regno d’ Italia e della Santa Sede.
La Basilica di San Pietro vista dal Tevere;

Benché sia uno Staterello particolarmente ridotto, incapace di sostenere una guerra per insufficienza di mezzi militari, il Vaticano può contare su di un potere immenso derivante dall’ autorità del Santo Padre, visto da milioni fedeli educati ai principi cattolici e sparsi in tutta Europa, nonché nelle Americhe, in Africa e in Oceania, come la propria guida morale: le sue affermazioni, specialmente quelle improntate su temi di grande importanza sociale quali separazione e divorzio, fecondazione assistita, aborto e adozioni, unioni omosessuali, razzismo e accoglienza di profughi e migranti, ottengono sempre una grande sonorità e non di rado influiscono enormemente sui vari processi di riforma in corso in più Paesi. Curiosamente, però, il più delle volte questa particolare autorità politica, talmente elevata da rendere il sommo pontefice uno dei dieci uomini più potenti al mondo e ovviamente soggetta a sottili alchimie strategiche e materiali, viene scarsamente valutata o addirittura completamente ignorata in favore di quella spirituale, ragion per cui tutto quello che fa e dice viene accolto come assolutamente buono e meraviglioso: come con forza sostenuto da Gregorio VII, il papa è l’ uomo più santo al mondo per i meriti di San Pietro, il solo a cui tutti i potenti debbano baciare i piedi.
Benedetto XVI mentre annuncia il proprio ritiro;

L’ 11 febbraio 2013, Benedetto XVI, duecentosessantacinquesimo papa della Chiesa cattolica e settimo sovrano dello Stato della Città del Vaticano, stupì il mondo intero annunciando la rinuncia al ministero petrino, l’ atto raramente invocato di cessazione di un papa dal proprio ufficio per dimissioni volontarie, disponendone l’ entrata in vigore dal successivo 28 febbraio, permettendo la convocazione di un conclave per l’ elezione di un successore. Espresse personalmente l’ intento in latino durante il concistoro per la canonizzazione dei martiri di Otranto e altri tre beati, seguendo i dettami stabiliti dal diritto canonico, secondo il quale la rinuncia va fatta liberamente e debitamente manifestata: «Dopo aver ripetutamente esaminato la mia coscienza davanti a Dio, sono pervenuto alla certezza che le mie forze, per l’ età avanzata, non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero petrino. Per questo, ben consapevole della gravità di questo atto, con piena libertà, dichiaro di rinunciare al ministero di Vescovo di Roma, Successore di San Pietro, a me affidato per mano dei cardinali il 19 aprile 2005.». Ritiratosi con il titolo di «papa emerito», divenne l’ ottavo pontefice rinunciatario della storia della Chiesa cattolica, dopo Clemente I, Ponziano, Silverio, Benedetto IX, Gregorio VI, Celestino V e Gregorio XII.
L’ abbandono del Soglio di Pietro da parte del pontefice tedesco, allora ottantacinquenne, venne giustificato ufficialmente da ragioni di anzianità e salute: egli non si sentiva più in grado di reggere il pesante fardello della responsabilità di guida della cristianità, sentendosi ormai un papa debole e privo di valore. Tuttavia, per mezzo di quanto emerso in occasione sia dello scandalo Vatileaks, legato alla fuga di informazioni riservate dalla corte pontificia, che di una vasta serie di rivelazioni più autonome, si può tuttavia affermare con una certa sicurezza che la situazione fosse molto più complicata di quanto il papato avesse lasciato opportunamente intendere: la Chiesa era caduta da lungo tempo in un oscuro e profondo abisso animato da scontri intestini tra fazioni cardinalizie per il potere, sottrazioni massicce di documenti segreti, corruzione, finanze occulte e riciclaggio di denaro. Il cuore della cristianità pareva drammaticamente ridotto ad un inquietante nido di vipere, un labirinto di immoralità particolarmente lontano dal Cielo ma vicino ai peccati terreni, privo di limiti, entro il quale si fomentavano intrighi e tradimenti atti a conservare prerogative e privilegi molto antichi e vantaggiosi.
Il Vaticano era uno degli Stati più opachi al mondo, quasi impossibile da modernizzare o risanare, e le notizie trasmesse a più riprese parlavano chiaro: la corte del vicario di Cristo era profondamente divisa su come gestire lo IOR, la banca vaticana, e lo scandalo si addensò attorno alla figura del cardinale Tarcisio Bertone, Segretario di Stato vaticano e presidente della commissione cardinalizia di vigilanza dello IOR, che venne indagato dalle autorità vaticane per aver autorizzato a sottoscrivere obbligazioni della società cinematografica Lux Vide, diretta dall’ amico Ettore Bernabei, per un totale di quindici milioni di euro, causando una perdita corrispondente nel bilancio dello IOR. Altre divulgazioni fecero scoprire i dettagli di svariate lotte di potere all’ interno del Vaticano, con la formazione di veri e propri potentati cardinalizi la cui forza trascendeva l’ autorità del papa, e alcune irregolarità nella gestione finanziaria dello Stato e nell’ applicazione delle normative antiriciclaggio, tanto che nel marzo 2012 il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti aggiunse per la prima volta il Vaticano alla lista di Paesi monitorati perché possibili centri di riciclaggio di denaro illecito. Tra i gli elementi che più suscitarono sorpresa vi furono i dettagli relativi ad un presunto piano omicida nei confronti di Benedetto XVI, da compiersi entro un anno in favore dell’ ascesa al papato del cardinale Angelo Scola. Successivamente, nel maggio 2012, la gendarmeria vaticana arrestò un uomo in possesso di carteggi riservati del pontefice: si trattava di Paolo Gabriele, dal 2006 Aiutante di camera di Sua Santità, una delle persone più vicine a Benedetto. Il suo arresto per furto aggravato, il primo in assoluto compiuto dalla gendarmeria vaticana, avvenne il giorno stesso dell’ allontanamento di Ettore Gotti Tedeschi dalla presidenza dello IOR. Gli inquisitori sollevarono ben presto seri dubbi in merito al fatto che Gabriele avesse agito da solo, ritenendolo piuttosto un «corvo», termine ripreso dalla «stagione dei veleni» di Palermo che aveva nel mirino il magistrato Giovanni Falcone, e affermando che le persone coinvolte fossero in tutto una ventina.
Il Conclave, l’ assemblea atta a scegliere il nuovo pontefice;

L’ anzianità e la salute in costante indebolimento di Benedetto XVI furono pertanto una scusa credibile dietro la quale nascondere un clima di divisione e ingiustizia che stava compromettendo sempre di più la Chiesa, che il Successore del principe degli apostoli non era più in grado di guidare adeguatamente, essendo circondato da dignitari politici e religiosi avidi e litigiosi, ambiziosi e disonesti, che non rispondevano alle sue disposizioni. Come confermato da determinate fonti legate ad ambienti a lui vicini, la sua decisione di rinunciare al ministero petrino non fu improvvisa, ma il frutto di attente considerazioni rese gradualmente note nel tempo ai suoi stretti collaboratori, e che solo alla fine vennero confermate e tradotte in pratica. Peraltro, il papato era cosciente che la propria immagine pubblica fosse ormai profondamente compromessa, aggravando una crisi delle fedi già in atto: il cattolicesimo non si era mai trovato in una condizione peggiore, in quanto non solo i giovani ma anche le persone anziane stavano perdendo la fede nella religione organizzata, sia per ragioni dottrinarie che per il cattivo esempio di prelati coinvolti in faccende poco limpide. Entro le mura vaticane, alle autorità governative e alle guide spirituali era ormai chiaro che occorreva un Santo Padre più forte, un uomo carismatico che recuperasse il consenso perduto, qualcuno che fungesse da simbolo dietro cui schierarsi e che attuasse le riforme necessarie a guidare la Chiesa oltre la bufera in cui si era addentrata. Benedetto XVI manifestò pertanto il desiderio di ritirarsi pur continuando a risiedere nella Città del Vaticano, nel monastero Mater Ecclesiae, dedicandosi alla preghiera e alla liturgia, ma mentre alcuni sostengono che prese questa decisione concordemente con le più alte autorità vaticane, molti altri affermano che avrebbe subito forti pressioni da parte di alcuni esponenti dei potentati in cui la corte vaticana si era frazionata, ansiosi di dare il via ad una nuova era per la Chiesa cattolica.
Il saluto del nuovo papa, Francesco;

Fu a questo punto che entrò in scena il cardinale Jorge Mario Bergoglio, arcivescovo di Buenos Aires, che già nel conclave del 2005 era stato uno dei candidati più in vista per la successione a Giovanni Paolo II, e che alla fine era risultato il più votato dopo Joseph Ratzinger. L’ ascesa del cardinale argentino, figlio di migrati italiani, fu prontamente salutata con entusiasmo da tutto il mondo, e una forte ventata di ottimismo prese a soffiare in Vaticano e dintorni, incoraggiata dallo stile molto informale e simpatico dello stesso personaggio, che non a caso assunse un nome dalla profonda valenza simbolica, ossia Francesco, in onore al celebre santo di Assisi. La sera del 13 marzo 2013, la stessa della sua elezione, il nuovo pontefice si affacciò alla loggia: «Fratelli e sorelle, buonasera! Voi sapete che il dovere del conclave era di dare un vescovo a Roma. Sembra che i miei fratelli cardinali siano andati a prenderlo quasi alla fine del mondo, ma siamo qui. Vi ringrazio dell’ accoglienza. La comunità diocesana di Roma ha il suo vescovo: grazie! E prima di tutto, vorrei fare una preghiera per il nostro vescovo emerito, Benedetto XVI. Preghiamo tutti insieme per lui, perché il Signore lo benedica e la Madonna lo custodisca. E adesso, incominciamo questo cammino: Vescovo e popolo. Questo cammino della Chiesa di Roma, che è quella che presiede nella carità tutte le Chiese. Un cammino di fratellanza, di amore, di fiducia tra noi. E adesso vorrei dare la Benedizione, ma prima vi chiedo un favore: prima che il vescovo benedica il popolo, vi chiedo che voi preghiate il Signore perché mi benedica: la preghiera del popolo, chiedendo la Benedizione per il suo Vescovo. Facciamo in silenzio questa preghiera di voi su di me.».
Il meccanismo delle pubbliche relazioni, atto a riparare l’ immagine pubblica della Chiesa cattolica, si era efficacemente messo in movimento, e i mezzi di comunicazione di massa diedero ampiamente risalto a questo nuovo notabile, così umile, aperto, gioioso e spontaneo, che si comportava chiaramente come una persona qualunque, analogamente ad un parroco di paese o ad un vicino di casa.
Un Santo Padre informale e vicino alla gente;

La sua elezione fu una vera rivoluzione per il papato, essendo il primo latinoamericano, nonché il primo dopo cinquecentonovantotto anni a succedere ad un papa rinunciatario e quindi ancora vivo e, soprattutto, il primo appartenente all’ ordine dei gesuiti, la celebre Compagnia di Gesù, congregazione fondata nel 1540, in pieno scisma protestante, attualmente tra le più importanti di tutta la Chiesa e tra quelle con la storia più ricca. Dotati di una forte impronta militaresca lasciata dal fondatore, Ignazio di Loyola, in passato i gesuiti esplorarono nuovi mondi, combatterono guerre e organizzarono complotti, venendo soppressi e poi rifondati, ed ergendosi a guardie dei papi più intransigenti ed avanguardie del progressismo. Già prima dello scisma di Lutero, all’ interno della Chiesa di Roma si erano sviluppate molte correnti che chiedevano una riforma e un ritorno a un maggiore distacco dalle faccende temporali, e i gesuiti si distinsero come il gruppo più radicale, divenendo una delle fazioni più importanti, in grado di esercitare la propria influenza dall’ Europa all’ Estremo oriente, e in seguito anche sul continente americano. L’ istruzione era un requisito fondamentale per loro, sia nella preparazione dei singoli aderenti, che dovevano essere esperti di teologia e diritto canonico ma spesso erano anche linguisti, storici e scienziati, che come strumento per diffondere il cattolicesimo. La loro fedeltà andava direttamente al Santo Padre, cosa che spesso li portò a scavalcare vescovi e cardinali, mentre il loro Superiore Generale, il capo dell’ ordine, per secoli fu ritenuto il capo occulto della Chiesa, che muoveva il pontefice come un burattino e per questo era chiamato il «Papa Nero». Per questo motivo i gesuiti furono spesso oggetto di svariati pregiudizi: fanatici e devoti al papa e al loro Superiore Generale, consiglieri dei potenti da dietro le quinte e manipolatori di fanciulli. Prima che esistesse la massoneria, il complottismo vedeva la mano dei gesuiti dietro le epidemie, le carestie e le morti sospette che colpivano i nemici della Chiesa cattolica. Nell’ Inghilterra di Shakespeare e di Elisabetta I, quella dei gesuiti era una vera e propria paranoia. Anche nella loro attività missionaria i gesuiti si portarono spesso dietro l’ accusa di essere troppo vicini ai potenti.
Quello che non tutti sanno è che al momento di prendere i voti un gesuita accetta la regola che vieta di diventare vescovo, quindi cardinale e infine papa, ma a Bergoglio fu concessa una dispensa in quanto l’ arcivescovo di Buenos Aires, Antonio Quarracino, nel 1992 domandò al Vaticano di avere proprio lui come vescovo ausiliare.
Il papa con alcuni migranti;

All’ indomani della sua intronizzazione, il 19 marzo 2013, a sei giorni dall’ elezione, il nuovo pontefice, costantemente al centro di una colossale celebrazione mediatica sconosciuta ai suoi predecessori, venne soprannominato «Papa rivoluzionario», particolare appellativo destinato a saldarsi con lui come «Flagello di Dio» con Attila, «Magnifico» con Solimano o «Re Sole» con Luigi XIV. Il termine venne da subito confermato con tanta insistenza da far facilmente intuire una vera e propria campagna debitamente orchestrata: qualunque cosa Francesco facesse o dicesse era rivoluzionaria. Non fu mai definito riformista o progressista.
Ad una attenta analisi si può intuire quanto la campagna fosse predisposta e studiata nel dettaglio ormai da tempo, perché fin dal primo giorno, ancor prima di avere il tempo di esprimersi su qualcosa in particolare, Bergoglio fu indicato come il papa della rivoluzione, soprattutto per la semplicità dei suoi gesti: salutare dicendo buonasera, portare la croce in argento anziché in oro, comprare personalmente le scarpe ortopediche, andare dall’ ottico a farsi riparare gli occhiali, risiedere alla Domus Sanctae Marthae anziché nei tradizionali Palazzi Apostolici, avvicinarsi costantemente alla gente per stringere mani e rivolgersi direttamente ai fedeli, compiere la lavanda dei piedi in occasione del Giovedì Santo, aprire le porte agli omosessuali e ai divorziati, in particolare circa la concessione della comunione ai divorziati risposati civilmente o conviventi, e persino battezzare personalmente i bambini in determinate occasioni. Tutto ciò catturò inevitabilmente l’ attenzione e il consenso del pubblico, incantandolo e riempiendolo di entusiasmo all’ idea che, finalmente, il Soglio di Pietro fosse occupato da un vero santo che avrebbe rimesso le cose a posto. Francesco ha qualcosa che piace alla gente, uno stile profondamente diverso dai suoi predecessori che ha portato allegria e simpatia in un ambiente tradizionalmente severo, metodico e distaccato. Perfino il suo nome venne indicato come rivoluzionario: «Nell’ elezione, io avevo accanto a me l’ arcivescovo emerito di San Paolo e anche prefetto emerito della Congregazione per il clero, il cardinale Cláudio Hummes. Quando la cosa diveniva un po’ pericolosa, lui mi confortava. E quando i voti sono saliti a due terzi, viene l’ applauso consueto, perché è stato eletto il Papa. E lui mi abbracciò, mi baciò e mi disse: ‘Non dimenticarti dei poveri!’. E quella parola è entrata qui: i poveri, i poveri. Poi, subito, in relazione ai poveri ho pensato a Francesco d’ Assisi. Poi, ho pensato alle guerre, mentre lo scrutinio proseguiva, fino a tutti i voti. E Francesco è l’ uomo della pace. E così, è venuto il nome, nel mio cuore: Francesco d’ Assisi. E’ per me l’ uomo della povertà, l’ uomo della pace, l’ uomo che ama e custodisce il creato; in questo momento anche noi abbiamo con il creato una relazione non tanto buona, no? E’ l’ uomo che ci dà questo spirito di pace, l’ uomo povero...».
Nel frattempo, si espresse anche a parole, come nel viaggio di ritorno dal Brasile. Oltre ad essere ripreso mentre portava da solo la celebre borsa non di marca, che divenne oggetto di numerosi servizi e destinata a diventare un oggetto di culto, affermò: «Se una persona è gay e cerca il Signore e ha buona volontà, ma chi sono io per giudicarla?». Fu una riflessione assai amplificata dai giornalisti e salutata da autorevoli commentatori come una sfida al Sinodo sulla famiglia in programma per l’ anno successivo, che sebbene si sarebbe concluso senza rivoluzioni, ribadendo la dottrina tradizionale della Chiesa, non vietò al papa di promette profonde, dunque rivoluzionarie, riforme della curia: «Ah, come vorrei una Chiesa povera e per i poveri!».
Rito della lavanda dei piedi a Regina Coeli;

Negli ultimi tempi, tuttavia, le azioni sorprendenti e carismatiche che lanciarono il mito di Francesco quale riparatore di una Chiesa compromessa sono gradualmente diminuite. Oggi è infatti molto raro che sentir parlare di infrazioni al protocollo o di proposte rivoluzionarie. Anzi, spesso e volentieri conferma la dottrina cattolica convenzionale a proposito di famiglia, composta da genitori sposati e con figli, e di matrimoni eterosessuali, ed esprimendosi sia contro l’ aborto, che paragona all’ affitto di un sicario, che contro l’ omosessualità, che definisce un fenomeno da curare con la psichiatria. Nell’ aprile 2015, ad esempio, il Vaticano rifiutò la nomina da parte del governo francese del diplomatico Laurent Stefanini a nuovo ambasciatore presso la Santa Sede, in quanto omosessuale dichiarato. Il ruolo di ambasciatore francese restò conseguentemente vacante per un anno fino alla nomina di Philippe Zeller, eterosessuale.
Nel corso degli anni seguenti alla sua istituzione, la Pontificia commissione per la tutela dei minori, sorta per volere di Francesco allo scopo di rispondere pubblicamente ad un antico e spinoso scandalo legato agli abusi sessuali rimasti impuniti a carico di minorenni da parte di alcuni sacerdoti di ogni livello, uno dei più gravi crucci che segnò il pontificato di Benedetto XVI, è stata oggetto di una serie di defezioni dei propri membri, seguite da polemiche e critiche sull’ effettiva utilità della stessa. Il 6 febbraio 2016, ad esempio si dimise Peter Saunders, attivista britannico nella lotta contro la pedofilia e lui stesso vittima di abusi da bambino, che criticò l’ impotenza della Commissione nei confronti del cardinale George Pell, ex arcivescovo di Sydney, che aveva protetto molti sacerdoti pedofili in Australia e non rispondeva alle richieste di comparizione dei tribunali australiani inviando certificati medici da Roma. Il 1 marzo 2017 si dimise anche l’ irlandese Marie Collins, molestata quando era tredicenne da un cappellano in ospedale, protestando contro la vanifica del lavoro della Commissione da parte degli stessi dicasteri vaticani, come ad esempio per la semplice proposta di dover rispondere alle lettere inviate alla Santa Sede dalle vittime di abusi oppure per la richiesta di istituire un tribunale per giudicare i vescovi negligenti nel perseguire questi crimini.
Il celebre e unico esorcismo attribuito a Francesco;

Se un calcolo va fatto, si può affermare con una certa sicurezza che la «rivoluzione di Francesco» tanto enfatizzata dai mezzi di comunicazione si sia ormai estinta, per quanto l’ attuale pontefice sia rimasto saldamente al suo posto essendo ormai una figura abituale e costante, forte della sua simpatia e singolarità, mentre l’ era di Benedetto XVI, con tutte le sue luci e le sue ombre, è stata definitivamente consegnata al passato, con il papa emerito che vive gli ultimi anni della sua vita in un tranquillo e silenzioso ritiro spirituale. Ora che il vicario di Cristo germanico, caratterialmente freddo e teologicamente schietto ed erudito, costituisce un ricordo sbiadito, non vi è più bisogno di confrontare con lui il suo successore, sull’ esempio del vecchio confronto tra sbirro buono e cattivo. Più che quella di rivoluzionare la Chiesa, l’ utilità di Francesco consiste nel sanare certe sue imperfezioni che ne minano la credibilità, come dimostrato dalla pulizia frettolosa nello IOR e dai regolamenti di conti interni nella curia romana, che hanno portato al rinnovo delle alte gerarchie politiche e spirituali, nonché nel riproporre sul fronte dottrinario i consueti dogmi incrollabili del cattolicesimo, con l’ accortezza di un linguaggio alla buona, invitante e a volte meno diretto, evitando le questioni più imbarazzanti, giocando le proprie carte migliori con battute espresse a margine di eventi o discorsi ufficiali, prontamente amplificate e su cui molto si gioca per mezzo di equivoci e commenti: spesso, infatti, ci si dimentica delle «contestualizzazioni» che subito il Vaticano si affretta abitualmente a precisare, come accaduto proprio per lo IOR, con la rassicurazione dell’ arcivescovo Angelo Becciu, sostituto alla Segreteria di Stato: «Il papa è rimasto sorpreso nel vedersi attribuite frasi che non ha mai pronunciato e che travisano il suo pensiero.». Allo stesso modo si smentirono anche le presunte aperture di Francesco per concedere la comunione ai divorziati risposati.
Autoscatto con il papa;

Al fine di individuarne un senso, gli eventi relativi all’ attuale capo della Chiesa vanno considerati prevalentemente in un contesto politico e pubblicitario, anziché spirituale. Si tratta infatti di un papa che, analogamente a Pio X e Giovanni XXIII, si mostra assai vicino al fedele: la sua venuta, per certi versi paragonabile a quella di Mary Poppins, discesa magicamente dal cielo al momento in cui vi era più bisogno di lei, le sue parole e i suoi gesti, in cui i più pii riposero grandissime aspettative, la sua capacità di incantare e attrarre a sé le folle, costituiscono oltre ogni ragionevole dubbio un estremo vantaggio per i custodi della cristianità.
Benedetto XVI e Francesco;

Ma la tanto sospirata rivoluzione altro non rimane che un inganno, dal momento che in termini di dottrina, di visione della storia e della politica Francesco conferma un approccio per nulla moderno, in quanto saldamente ancorato ai principi classici del cattolicesimo. Di nuovo vanta piuttosto il potere della costruzione dell’ immagine e il rapporto privilegiato con i mezzi di comunicazione. Analogamente ai suoi predecessori sarà a sua volta giudicato dai fatti, ma per ora si rimane alle prese con un personaggio dotato di potere assoluto negli ambiti in cui opera, appoggiato dai vari potentati cardinalizi interni da cui è stato chiamato a riformare il papato attuando soluzioni che possano andare bene per il maggior numero possibile di persone, consentendo alla Chiesa di restare a galla, con pochi scossoni. Si è di fronte ad un Santo Padre che nonostante le esigenze delle apparenze non deve fare i conti con un’ opposizione particolarmente agguerrita, in quanto le crisi e le necessità di farvi fronte sono solite a generare nuove e impensabili alleanze nel nome del bene comune. Proprio come sostiene il principio fondamentale del gattopardismo: «Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi.»…

venerdì 7 dicembre 2018

Quando il Natale veniva più decorosamente festeggiato in trincea

Una casa pronta per i festeggiamenti natalizi;


Pur essendo la seconda festività cristiana più importante dopo la Pasqua, il Natale è da sempre il giorno più sentito e atteso dai due miliardi e quattrocento milioni di cristiani attualmente sparsi in tutto il mondo. Per settimane, se non addirittura per mesi, soprattutto in Occidente ogni famiglia si prepara con cura e solennità a questa speciale ricorrenza, comprando abeti o sempreverdi, addobbi, cibi e infine doni, preparando i presepi e identificando gli abiti migliori con cui presentarsi. Le strade vengono gradualmente riempite di luci e immagini di Babbo Natale e, ovviamente, della Natività. Quella del Natale è un’ atmosfera generale e molto potente che cala su tutto, senza risparmiare apparentemente nessuno, nemmeno le famiglie meno praticanti, lontane dall’ ambiente parrocchiale, e in certi casi neppure i non credenti: tutti quanti a modo proprio subiscono il suo richiamo e si assicurano di fare qualcosa, per quanto minimo, concorrendo all’ atmosfera collettiva.
Corsa alle spese natalizie;

Si deve tuttavia riconoscere che il Natale di oggi non è più quello di una volta. Sempre più persone, infatti, si allontanano dal Cristianesimo perché non soddisfatte dai suoi princìpi fondamentali, mentre altre pur continuando ad aderire al suo credo mettono in dubbio la parola dei sacerdoti di qualsivoglia livello, dal parroco di provincia al Santo Padre assiso sul Soglio di Pietro. Vi sono cristiani che si sentono vicini a Dio e Gesù ogni giorno della propria vita senza alcun bisogno di recarsi in chiesa oppure di festeggiare una ricorrenza, mentre molti altri, forse la maggioranza, si definiscono «cristiani» semplicemente per convenzione, senza tuttavia esserlo veramente in quanto del tutto prive di fede, e si riducono a festeggiare il Natale soltanto per abitudine, per un puro riflesso automatico: lo si è sempre festeggiato e sempre lo si festeggerà, non importa il motivo che si trova alla base di questo particolare giorno, basta solo scambiarsi i doni, sedersi a tavola in compagnia di parenti e amici e mangiare e bere.
Il Natale, insomma, è stato ridotto ad una festa vuota, ad un pranzo collettivo dal movente che può tranquillamente essere ignorato, ad una gara a chi acquista meglio e di più. Si è tramutato in una giornata povera e insensata. Appena pochi decenni fa, invece, soprattutto durante gli Anni Ottanta e Novanta, le cose erano molto diverse: si andava in chiesa per la messa, e se ciò non era possibile ci si radunava a tavola recitando una preghiera con cui si tributava con semplicità ma con partecipazione e consapevolezza un pensiero al fatto del giorno, per poi dare giustamente inizio ai festeggiamenti. Erano entrambe forme più che valide di vivere propriamente il Natale, con spirito cosciente e gioioso, in cui l’ aspetto degli acquisti generali e della preparazione della festa materiale acquisivano uno scopo funzionale e di secondo piano, ossia quello della forma che racchiudeva una precisa sostanza, come un vaso che include la terra in cui far germogliare i fiori. Ma dal momento che oggi del Natale importa a ben poca gente ha davvero senso dedicare tanto tempo alla sua preparazione e buona parte della settimana in cui ricade visitando amici e parenti pronunciando il fatidico augurio? Serve veramente a qualcosa curare tanto finemente e vigorosamente il vaso se il fiore non è più considerato?
Natale a New York;

Una volta il Natale era profondamente sentito dai cristiani. Era vissuto come un giorno speciale, unico nel suo genere, in cui i credenti si sentivano più buoni trasmettendo all’ ambiente una speciale carica di positività ed ottimismo che, non soggetta a limitazioni, si propagava in ogni direzione nell’ ambiente come un profumo o un’ onda luminosa o sonora, peraltro tornando indietro al mittente apportando risultati amplificati in accordo alla purezza e all’ intensità con cui era stata generata. Non di rado allietava con effetti riequilibranti e risananti persino i pochi non credenti, oggi aumentati a dismisura. Era un giorno talmente particolare che durante i penosi anni della distruttiva Grande Guerra seppe compiere un vero e proprio miracolo: il giorno di Natale dell’ anno 1914 venne attuata una tregua durante la quale le trincee si rasserenarono vedendo il cessate il fuoco, e i soldati di entrambi gli schieramenti si raggiunsero fraternizzando e festeggiando insieme, peraltro scambiandosi doni e cibo.
Soldati britannici e tedeschi durante la Tregua di Natale, 1914;

Il 25 dicembre 1914, tedeschi e britannici uscirono dalle rispettive fosse trincerate per festeggiare insieme la festività. Si tende tuttora a credere che questa storia sia soltanto una bella e commovente favola di Natale, paragonabile ad un miracolo, e nei libri di storia quasi non viene menzionata, eppure il tema è stato ampiamente ripreso in romanzi e film, nonché in una canzone popolare di Mike Harding, intitolata «Christmas 1914», i cui versi recitano: «I fucili rimasero in silenzio […] senza disturbare la notte. Parlammo, cantammo, ridemmo […] e a Natale giocammo a calcio insieme, nel fango della terra di nessuno.». La partita a pallone ebbe veramente luogo, venendo giocata nei pressi della cittadina belga di Ypres, e si tenne entro la «terra di nessuno», lo spazio che divideva le trincee britanniche da quelle germaniche: fu il momento fondamentale di quella che sarebbe passata alla storia come «Tregua di Natale».
Nell’ estate 1914 l’ Europa era divenuta teatro di una guerra senza precedenti per dimensioni e combattimenti che vedeva opposti due grandi schieramenti: Gran Bretagna, Francia e Impero russo contro l’ Impero tedesco, quello austro-ungarico e infine quello ottomano. Più tardi sarebbero scesi in campo anche Bulgaria, Giappone, Italia, Stati Uniti e una serie di altri Paesi trasformando la contesa nella prima guerra su scala mondiale della storia. Inizialmente, il fronte più caldo fu proprio quello occidentale, tra Francia settentrionale e Belgio, ove britannici, francesi e belgi contrastarono l’ avanzata tedesca. Dopo una sanguinosa battaglia nei pressi di Ypres, a fine autunno gli eserciti si ritrovarono impantanati sia qui che in altri fronti in un’ estenuante guerra di logoramento combattuta soprattutto intorno ai trinceramenti. Da questi fossati profondi un paio di metri e rinforzati alla buona con tavole di legno, i soldati si lanciavano quotidianamente all’ assalto del nemico, guadagnando o cedendo ogni volta pochi metri di terreno e trascorrendo il resto della giornata tra fango, pioggia e cadaveri in decomposizione. Tali condizioni coinvolgevano tutti e il «mal comune» indusse presto a svariati episodi di solidarietà tra nemici, che si trovavano ad appena pochi passi di distanza gli uni dagli altri. I soldati di entrambi gli schieramenti cominciarono a scambiarsi favori, come ad esempio il non aprire il fuoco durante i pasti: quel che contava era salvare le apparenze agli occhi dei superiori, evitando l’ accusa di tradimento e quindi la fucilazione, e tornare a casa sani e salvi. Il compito di punire i soldati che si fossero mostrati troppo concilianti con i nemici spettava agli ufficiali dei vari comandi, i soli autorizzati a stabilire una tregua, principio che sia a Ypres che in altre zone del fronte sarebbe però stato infranto nel dicembre 1914.
Brindisi tra nemici;

Dopo aver dato ordine alle truppe di non interrompere per nessun motivo i combattimenti, i comandi britannico e tedesco fecero arrivare nelle prime linee alcuni piccoli pacchi dono natalizi contenenti dolci, liquori, tabacco, alberelli natalizi e candele. La sera della vigilia, a Ypres i tedeschi addobbarono le postazioni scambiandosi gli auguri e cantando vari motivetti natalizi. In una trincea qualcuno intonò la canzone «Stille nacht», la versione germanica della celebre «Silent night» britannica. Da quel momento, e per buona parte della serata, i soldati dei due eserciti non smisero di cantare, ognuno nella propria lingua e al riparo della propria postazione. Come testimoniò in seguito il soldato tedesco Kurt Zehmisch, nel libro «Silent night: the story of the World war I Christmas truce», firmato dallo storico statunitense Stanley Weintraub, che negli Anni Ottanta ricostruì la vicenda: «Quando addobbammo gli alberi e accendemmo le candele, dall’ altra parte giunsero fischi di gioia e applausi. Poi cantammo tutti quanti assieme.». Al momento di andare a dormire, un po’ tutti erano ormai convinti che qualcosa di straordinario stesse per verificarsi, e infatti all’ alba del giorno dopo i tedeschi esposero piccoli cartelli con le scritte «Buon Natale» e «Non sparate, noi non spariamo.». Era il segnale d’ inizio: ripresero i canti e gli applausi, poi dalla trincea tedesca uscì un uomo, che nella nebbia i britannici intravidero appena, quanto bastava per notare che era disarmato. Increduli, uscirono dai loro ripari e si incamminarono verso i tedeschi, che fecero altrettanto. Come scrisse il soldato britannico Dougan Carter in una lettera alla famiglia: «Ho visto la cosa più straordinaria che si possa vedere: stavamo per sparare a quel tedesco e poco dopo eravamo tutti in festa.».
La vita in trincea;

Dopo aver sepolto i cadaveri dei commilitoni uccisi nei combattimenti dei giorni precedenti, i due schieramenti fraternizzarono, organizzando una festa vera e propria. Come canta Mike Harding nella sua canzone: «Fritz portò sigari e brandy, Tommy della carne di manzo e sigarette.». Parole assolutamente veritiere, in quanto nel diario di campo del 133° Reggimento sassone si parla infatti di un tedesco di nome Fritz e anche di Tommy, un britannico che si mise a tagliar capelli ai nemici in cambio di qualche sigaretta. Nel frattempo, attorno a lui tutti si scambiavano abbracci e visite di cortesia. Britannici e germanici si regalarono caffè e cioccolata, marmellata e sigari, tè e whisky, nonché alcuni accessori delle divise. Ci fu persino chi si fece fotografare in gruppo. Come disse il soldato britannico Bruce Bairnsfather: «Non vi fu un solo momento di odio: per un po’ nessuno pensò più alla guerra.». Pareva una scena degna di un film, che in effetti si sarebbe ritrovata nel copione di «Joyeux Noël», film del 2005 di Christian Carion.
Prima che gli alti comandi potessero intervenire interrompendo la tregua, i soldati fecero un patto solenne: nel caso di ripresa dei combattimenti nessuno avrebbe mirato ad altezza uomo, rendendo inoffensive le munizioni «sparando alle stelle in cielo». La notizia della tregua non tardò a diffondersi, e in appena poche ore la febbre da armistizio contagiò ben due terzi del fronte occidentale: quasi ovunque britannici e germanici si tesero la mano e festeggiarono insieme, e il simbolo di quell’ insolito Natale di guerra divenne la partita di calcio che si tenne a Ypres fra le truppe britanniche del reggimento Scottish seaforth highlanders e quelle tedesche del Reggimento sassone, benché quel giorno le partite di calcio furono moltissime, giocate con palloni realizzati con stracci pieni di sabbia legati con lo spago e porte delimitate da pile di cappotti. Per alcune ore la «terra di nessuno» si tramutò in un campo di calcio, e nei giorni successivi i familiari dei soldati furono inondati di lettere e foto dell’ evento, che finirono ai quotidiani. La stampa di Torino, posseduta e diretta dal biellese Alfredo Frassati e sottoposta alla censura, ne ritardò la pubblicazione, quindi le prime notizie vennero trasmesse dalla stampa statunitense, soprattutto il New York Times. Subito dopo, la stampa europea dedicò ampio risalto all’ avvenimento, tanto che il 1 gennaio 1915 il Times di Londra pubblicò un articolo su quella partita, riportando anche il risultato finale: 3 a 2 per i tedeschi. Le notizie della tregua natalizia trovarono in seguito sempre più spazio sui giornali dell’ Europa settentrionale, con titoli euforici e commossi come: «Straordinario: inglesi e tedeschi si stringono la mano». In alcuni casi la tregua durò fino a Capodanno, ma quasi ovunque tutto finì la sera stessa di Natale, come avrebbe in seguito ricordato con una punta di malinconia il capitano britannico J. C. Dunn: «Ci salutammo e rientrammo nelle trincee, poi udimmo dei colpi: la guerra era ricominciata.».
Gli alti comandi dei rispettivo fronti non provarono la minima nostalgia per quell’ evento, dandosi ampiamente da fare affinché altre scandalose tregue si ripetessero in futuro: si minacciò di istituire la corte marziale contro chiunque avesse avuto contatti con il nemico, e si considerò persino l’ idea di bombardare le trincee nei giorni precedenti ogni Natale. Inoltre, per evitare che i soldati familiarizzassero con il nemico, si decise di spostarli a turno in diverse zone del fronte, e in un secondo momento si compì un atto di censura contro ogni notizia che riguardasse la tregua del 1914, negando ufficialmente che fosse mai avvenuta. Tutti questi sforzi, tuttavia, non seppero impedire nuovi atti distensivi, per quanto lo spirito di quel primo Natale in tempo di guerra non venne mai più effettivamente eguagliato, come riassunto dai ricordi del soldato britannico George Eade: «Un tedesco mi sussurrò con voce tremante: ‘Oggi abbiamo avuto la pace, ma da domani tu combatterai per il tuo Paese e io per il mio. Buona fortuna.’. Poi, in silenzio, tornò dalla propria parte.». Il miracolo era finito.
L’ esterno di una trincea;

Nel 1915 la guerra peggiorò, e negli anni successivi Ypres divenne famosa per i bombardamenti con armi chimiche che coinvolsero anche la popolazione: la cittadina diede infatti il nome a uno dei gas utilizzati, l’ iprite. Ad annunciare il ritorno alla normalità guerresca, tra i britannici, fu un secco comunicato alle truppe: «Mai più tregue, partite di calcio incluse. In guerra non bisogna mai interrompere l’ uccisione del nemico». E così, in pochi mesi, quella bella storia di Natale fu destinata all’ oblio, ma non tutti la presero male: un giovane soldato austriaco arruolato nell’ esercito tedesco di nome Adolf Hitler, all’ epoca dei fatti di stanza proprio nella zona di Ypres, fu ben lieto di ricominciare a sparare, avendo criticato con impetuosità quella che ritenne senza mezzi termini una «stupida tregua». Di opinione opposta, invece, rimase sempre Bertie Felstead, un signore britannico morto il 22 luglio 2001, a centosei anni, ultimo reduce ancora in vita ad aver preso parte a una certa partita di calcio giocata in quello speciale giorno di Natale: la meno famosa, ma forse la più straordinaria di tutta la storia.
Sul fronte italiano, vennero segnalati casi di fraternizzazione con il nemico il 25 dicembre 1916. Le tregue italiane consistevano solo nel deporre le armi rimanendo a debita distanza, ma in alcuni casi italiani e austro-ungarici brindarono addirittura gomito a gomito, per esempio sui monti Kobilek, in Friuli, e Zebio, sull’ altopiano di Asiago. Della tregua approfittò anche il poeta Giuseppe Ungaretti, che quel giorno scrisse la poesia «Natale». Tuttavia, anche fuori dai periodi festivi accadeva che fra sudditi sabaudi e asburgici ci si scambiasse cibo e sigarette, o che si stabilissero lealmente turni per l’ uso di una fonte d’ acqua. Nel febbraio del 1916, sui monti del Carso, ci fu una tregua spontanea proposta dagli austriaci al grido di: «Venite, non spariamo.». In seguito, nel maggio del 1917, sulla vetta Chapot, in Friuli, alcuni ufficiali sorpresero un gruppo di alpini intenti a parlare, bere e fumare in compagnia
del nemico.
Pranzo natalizio servito in tavola;

Oggi, a cento anni di distanza dalla cessazione del gigantesco conflitto che mise l’ Europa a ferro e fuoco, sconvolgendola radicalmente e portandola a maturare un contesto sociale, politico e militare profondamente diverso da quello vissuto fino a quel momento, viene spontaneo riflettere sul legame che la popolazione cristiana conserva attualmente nei riguardi del giorno scelto nel III secolo dalla Chiesa come quello in cui avvenne la nascita di Gesù.
Al giorno d’ oggi si può beatamente affermare che sarebbe del tutto impensabile interrompere anche solo per un’ ora i combattimenti di una qualunque delle guerre in corso «perché è Natale»: la sola idea susciterebbe una certa ilarità. Generazione dopo generazione, le persone si sono sempre vantate di essere più moderne e progredite in confronto ai propri antenati, quindi quel che è accaduto in passato non tornerà mai più. L’ unica costante in questo mondo è il cambiamento, pertanto si cerca istintivamente di cambiare in meglio. Ma purtroppo, se un calcolo va fatto, negli ultimi cento anni l’ umanità non si è evoluta veramente: oggi esistono tante comodità che un tempo non erano neppure immaginabili, c’ è stato un indubbio sviluppo materiale tuttavia accompagnato da un’ altrettanto profonda degenerazione sociale e individuale. Se oggi si può viaggiare fino alla luna in appena una settimana a bordo di una navetta spaziale, per contro si sono perduti per strada importanti valori come l’ amicizia, l’ altruismo, la lealtà e l’ empatia, quindi nessuno pensa più alle altre persone come compagni di viaggio uguali a noi seppur nella propria natura specifica, ma come concorrenti e possibili rivali nella grande competizione della vita. Tale clima di ricchezza materiale unita a povertà interiore ovviamente non ha risparmiato neppure il Natale, tramutandolo in una sorta di spettacolo di varietà, in una desolante giornata ai limiti del farsesco dedita ad abbondanti scorpacciate e bevute, a lunghe conversazioni apparentemente brillanti ma in realtà prive di argomenti sensati e degni di stima, agli scambi di regali il più possibile appariscenti e costosi, all’ albero più vistoso e addobbato, al presepio più suggestivo.
Anziché affannarsi tanto in numerosi e costosi acquisti, senza peraltro sentirsi mai veramente soddisfatti dei risultati, quando si approssima il Natale e si decide di festeggiarlo in ottemperanza alla propria fede religiosa, perché non ha alcun senso celebrare una qualsiasi ricorrenza senza seguire veramente la relativa tradizione spirituale, sarebbe salutare imparare la grandissima lezione di quei valorosi combattenti che lottarono e morirono lungo le linee trincerate della Grande Guerra, uomini coraggiosi e degni di rispetto oggi purtroppo estinti e che trovarono spontaneamente il modo di cessare le ostilità tra i rispettivi governi per festeggiare in pace e tutti insieme una giornata importante come questa, dividendo come fratelli quel poco che avevano, dando alla ricorrenza un significato particolarmente profondo e commovente in un contesto tutt’ altro che scontato, e ottenendo risultati infinitamente superiori a quanto la gente di oggi potrà mai purtroppo vantare pur nel pieno della grande epoca della modernità, del progresso e del benessere. E’ più che evidente che il Natale venne ahimè più decorosamente festeggiato nel biasimato inferno delle trincee piuttosto che nella lodata civiltà dei centri urbani…