giovedì 29 agosto 2019

L’ uomo che divenne re


Ritratto ufficiale di re Giorgio VI;
«La più grande tra le distinzioni è il servizio agli altri.» re Giorgio VI di Gran Bretagna;

In questo mondo, le apparenze hanno spesso avuto il vizio di trarre in inganno. Capita infatti con una certa facilità di trovarsi di fronte ad una persona e affrettare nella nostra mente un giudizio superficiale, mosso da un’ analisi di pochi elementi. Non è raro che una persona venga reputata strana per un determinato atteggiamento o un’ idea, di cui si ignorano le ragioni precise, o magari dissoluta perché contesta un principio generalmente accettato come corretto, piuttosto che debole e inadeguata per via di una condotta introversa e appartata. La gente comune ha l’ abitudine piuttosto scorretta di formulare facili giudizi che conducono puntualmente in errore, e che si tramutano rapidamente in convinzioni che con il tempo si fanno sempre più difficili da contrastare. Il più delle volte, i punti di vista, le opinioni e le illusioni riescono a divenire più potenti dei fatti reali, ma per fortuna ci troviamo sovente di fronte ad individui molto speciali che, inizialmente incompresi e sottovalutati, riescono a superare e vincere con onore i vari pregiudizi nei loro confronti, manifestando all’ occorrenza grandi doti di forza e coraggio con le quali riescono a stupire ampiamente l’ ambiente circostante.
Tutto questo fu senz’ altro vero nel caso di re Giorgio VI di Gran Bretagna, figlio secondogenito di Giorgio V, un uomo che nella prima parte della sua vita venne giudicato in modo piuttosto ingiusto, essendo visto come uno scialbo ometto privo della personalità adatta ad un membro di uno dei più prestigiosi e rispettati casati della storia, e che con la rinuncia al trono da parte del fratello maggiore, Edoardo VIII, evento sconvolgente che ebbe luogo proprio nel periodo in cui il Bolscevismo e il Nazismo allungavano i loro malevoli tentacoli sull’ Occidente per poi affacciarsi al mondo, ponendo i monarchi europei sull’ orlo del precipizio, venne chiamato a guidare l’ Impero britannico nell’ ora più buia della sua storia. Lui stesso non aveva molta stima di sé, non si sentiva portato per essere un sovrano: soffriva di una fortissima balbuzie, era timido e viveva un costante conflitto con il mondo che lo circondava, non era molto forte fisicamente, e si sentiva privo del talento e della sicurezza che invece aveva sempre molto ammirato nel fratello. Eppure, nei suoi quindici anni di regno fu capace di un vero e proprio miracolo: se al tempo della sua incoronazione la Corona era instabile a causa di determinati movimenti antimonarchici che sfruttavano abilmente le vicende personali dell’ abdicatario Edoardo, che aveva pensato di poter agire al di sopra delle regole e per sé stesso proprio mentre la nazione era alle prese con un nemico mortale che avrebbe persino osato un’ invasione, lui si mise personalmente al servizio della nazione, concependo la regalità come un dovere, fortemente convinto dell’ imparzialità del suo ruolo nei confronti della politica e della netta distinzione tra sfera pubblica ed istituzionale e quella privata, in cui comunque sentiva di dover dare il buon esempio al popolo. Conscio del forte valore simbolico del proprio ruolo di fronte all’ intera nazione, senza distinzioni sociali, divenne una vera icona per genti e generazioni distanti e differenti tra loro, superando insperatamente scandali e guerre. Quest’ uomo così pacato e comune, divenuto re controvoglia, vinse sia la propria intensa battaglia personale quanto quella a beneficio del Paese, che guidò con grande onore, precisione e costanza, passando alla storia come un uomo forte e coraggioso, un vero eroe che ancora oggi riceve grande apprezzamento e stima da tutto il mondo.
Bertie in giovane età;

Albert Frederick Arthur George nacque il 14 dicembre 1895 a Sandringham House, amata residenza di campagna della famiglia reale britannica nella contea di Norfolk, figlio del duca Giorgio di York, il secondo e il maggiore dei figli sopravvissuti del principe Edoardo di Galles, l’ erede al trono, e della principessa Maria di Teck, appartenente al casato germanico dei Von Teck. Alla sua nascita era il quarto nella linea di successione al trono, venendo dopo il nonno, il padre e il principe David, suo fratello maggiore, di appena un anno più vecchio, mentre il trono britannico era occupato dalla bisnonna paterna, la celebre e rispettata Vittoria, l’ ultima sovrana di Casa Hannover, a sua volta di provenienza tedesca.

Essendo nato il 14 dicembre, anniversario della morte del suo bisnonno paterno, Alberto di Sassonia-Coburgo-Gotha, l’ amatissimo principe consorte di Vittoria, altro esponente della nobiltà germanica, venne chiamato Albert: la nonna materna, la principessa Maria Adelaide di Cambridge, non disapprovò mai questo particolare nome, scrivendo che si augurava che avrebbe utilizzato l’ ultimo, Giorgio.
Bertie, a sinistra, con la madre Maria e David;

Come comunemente avveniva nelle famiglie più altolocate del tempo, soprattutto se appartenenti alla nobiltà, i suoi genitori furono spesso lontani da lui e dai fratelli, non potendo assisterli nella loro crescita in quanto tenuti a viaggiare molto sia per la Gran Bretagna che per l’ Impero al fine di confermare con le proprie apparizioni la simpatia della sudditanza nei riguardi della Corona. Le bambinaie e i precettori svolsero quindi nei suoi riguardi le principali funzioni genitoriali ed educative fin dalla più tenera età.
Fin dai suoi primi anni, Albert, chiamato informalmente «Bertie» in famiglia, venne abitualmente descritto come timoroso e incerto nelle sue azioni. Soffrì di problemi cronici di stomaco e di una leggera deformazione alle ginocchia che il padre corresse imbrigliandolo in dolorose steccature correttive da portare giorno e notte. Nato mancino, venne forzato a scrivere con la mano destra. Soprattutto, soffriva di una spiccata balbuzie, che molto influì sui suoi tormenti interiori e sulle sue relazioni personali: si sentiva inadeguato, un debole e un incapace. Timido e impacciato, eppure capace di scoppi d’ ira estremamente violenti come tutte le persone pacate, venne scambiato per indeciso e stupido. Giorgio non fu mai tenero o affettuoso con lui, anzi, lo trattò sempre con grande severità, come faceva con il figlio maggiore, David. Noto come genitore assai rigido, tanto che i suoi figli erano terrorizzati da lui, pare che un giorno abbia confidato a Edward Stanley, XVII conte di Derby: «Mio padre era terrorizzato da sua madre, io sono stato terrorizzato da mio padre, e sono dannatamente desideroso di vedere che i miei figli siano terrorizzati da me.». In realtà non vi è alcuna fonte diretta di questa citazione, ma si tende a pensare che il principe ereditario semplicemente seguisse l’ allora abituale stile di educazione da impartire ai suoi figli.
Il padre, re Giorgio V;

Alla morte della regina Vittoria, avvenuta il 22 gennaio 1901, suo nonno salì al trono come re Edoardo VII, mentre il padre divenne il secondo nella linea di successione al trono. Dal 1909 frequentò il Royal Naval College di Osborne come cadetto della Royal Navy. Si dimostrò poco propenso agli studi, che comunque, ligio a i suoi doveri, affrontò con perseveranza. Il 6 maggio 1910, dopo appena dieci anni di regno, re Edoardo morì e il figlio gli succedette come Giorgio V. Il principe Albert divenne quindi il secondo in linea di successione. Arrivato ultimo della classe nell’ esame finale, si qualificò al Royal Naval College di Dartmouth nel 1911. Entrò in servizio il successivo 15 settembre 1913, e un anno dopo prese parte alla Grande Guerra, con il nome in codice di Mister Johnson, seguendo le azioni militari dalla torretta di avvistamento della HMS Collingwood, mentre la nave da guerra era impegnata in guerra contro la flotta tedesca nella battaglia dello Jutland, azione inizialmente indecisa che poi si rivelò una vittoria strategica per la Gran Bretagna. Tuttavia, in seguito il principe non poté seguire molte altre azioni del conflitto mondiale in quanto si ammalò di ulcera duodenale.
Nominato ufficiale in carico nella Royal Naval Air Service a Cranwell nel febbraio del 1918, con la fondazione della Royal Air Force due mesi dopo passò in questo nuovo corpo d’ arma, venendo nominato comandante del quarto squadrone a Cranwell, in cui rimase fino all’ agosto del 1918, prestando servizio durante le ultime settimane di guerra nel gruppo dirigenziale della Independent Air Force, che aveva il suo quartier generale in Francia, a Nancy. A seguito dello scioglimento della Independent Air Force nel novembre del 1918, tornò alla Royal Air Force.
David, il fratello maggiore;

Nel 1919, ad un anno dal termine del conflitto, che la nazione aveva vinto con onore, frequentò il Trinity College di Cambridge, studiando storia, economia e diritto civile per un anno. Nel 1920 fu nominato dal padre duca di York e conte di Inverness, e da quel momento iniziò ad occuparsi degli affari di corte, rappresentando re Giorgio nella visita di alcune miniere di carbone, fabbriche e cantieri ferroviari, ottenendo il soprannome di «Principe Industriale».
Era profondamente legato al fratello David, con cui faceva fronte comune contro i genitori. Lo ammirava sinceramente, e forse lo invidiava perché era bravissimo nello stare con la gente e nel comunicare in pubblico, mentre lui era contento di restarsene defilato, in disparte. Si volevano bene e si rispettavano. David era estremamente popolare, un vero fenomeno mediatico. Era bello, distinto, elegante, ricco di stile. Curato nei minimi dettagli, eccentrico ma sempre rispettoso e adeguato ai compiti che doveva assolvere e agli ambienti frequentati, sapeva parlare in modo eccezionale, e riusciva a stare molto bene davanti ai microfoni. Analogamente a lui, fin da ragazzo Bertie fu un accanito fumatore, arrivando presto a fumare quotidianamente decine di sigarette anche nella convinzione, avallata dai medici, che l’ atto di inspirare fumo rilassasse la laringe stimolando la fiducia in sé stesso.
Bertie e Elizabeth Bowes-Lyon;

Nel 1920, Bertie fu invitato ad un ballo da Elizabeth Bowes-Lyon, appartenente ad un’ elegante famiglia scozzese, nona dei dieci figli di Claude Bowes-Lyon, XIV conte di Strathmore e Kinghorne, e Cecilia Cavendish-Bentinck, che discendeva dal Primo ministro William Henry Cavendish-Bentinck, III duca di Portland, e dal Governatore generale dell’ India Richard Wellesley, a sua volta fratello minore di un altro Primo ministro, Arthur Wellesley, I duca di Wellington e celebre vincitore di Napoleone a Waterloo nel 1815. Ne rimase profondamente colpito, al punto da volerla sposare. Si propose per la prima volta un anno dopo tramite un intermediario, come si soleva allora, ma lei rifiutò ritenendo di essere inadatta al ruolo di duchessa. Peraltro, pur trovandolo simpatico, era incerta per la sua balbuzie. Nel 1922, lei partecipò come damigella d’ onore al matrimonio della principessa Mary, sorella di lui, che un mese dopo domandò nuovamente la sua mano, ma lei rifiutò nuovamente: «Mai... ho paura di non poter essere libera di pensare, parlare e agire come vorrei davvero.». Determinato più che mai a sposarla, Albert decise di fare da solo, chiedendole personalmente di sposarlo e dicendo che non avrebbe maritato nessun’ altra: lei finalmente acconsentì, malgrado le sue perplessità sulla restrittiva vita di corte. Subito dopo, la regina Maria la andò a trovare, essendo curiosa di vedere con i propri occhi la ragazza che aveva rubato il cuore del figlio, e pur rifiutandosi di interferire nella loro relazione si convinse che fosse la donna ideale per lui. Il fidanzamento venne ufficialmente annunciato nel gennaio del 1923, e la coppia si sposò il successivo 26 aprile nell’ abbazia di Westminster. Il matrimonio ebbe grande risalto sui giornali, e venne interpretato come un grande segnale di rinnovamento e modernità. Era infatti la prima volta da secoli che un principe britannico sposava una nobildonna di rango non elevato, non appartenente ad un casato reale: i principi reali, infatti, si sposavano con altre principesse europee di sangue reale. Peraltro, contravvenendo alle tradizioni ma con un gesto che venne molto apprezzato, la sposa lasciò il bouquet sulla tomba del Milite Ignoto, dove si trova tuttora, e che tutti i cortei evitano con cura di calpestare.
I duchi di York e le figlie;

I duchi di York rifiutarono cordialmente la sistemazione che il sovrano aveva trovato per loro a Richmond Park, in una residenza gradevole ma antiquata, e preferirono andare a vivere al 145 di Piccadilly, una delle vie più famose e trafficate di Londra, in un palazzo di quattro piani da cui si vedevano le mura del parco di Buckingham Palace, con il retro del palazzo sullo sfondo. In esso vivevano un po’ più stretti, ma in modo soddisfacente. La loro servitù comprendeva un accompagnatore, una governante, la cameriera personale della duchessa, il valletto del duca, due lacchè, tre cameriere, un cuoco e due aiutanti di cucina, una bambinaia e la sua assistente, un fattorino e un guardiano notturno: nulla di straordinario per i livelli dell’ epoca, dal momento che per i nobili, i banchieri e gli uomini d’ affari di alto livello questo personale era considerato il minimo indispensabile.
Elizabeth ebbe un ruolo molto importante nella vita di Bertie. Era una donna sempre allegra e molto forte, perfettamente adatta ad un ruolo pubblico. I due facevano squadra, con lui che si appoggiava costantemente a lei e alla sua forza e sicurezza. Sembrava tenera, dolce e mite, ma era aveva un gran carattere. Lo sosteneva con convinzione, sebbene la cosa le risultasse spesso difficile. Ogni volta che lui balbettava in pubblico, lui incrociava lo sguardo di lei, che lo guardava con la speranza che quel momento passasse il più velocemente possibile. Pur consapevole che la sua timidezza e la laconicità lo facevano apparire molto meno impositivo in confronto a David, come figlio minore del regnante si sentiva tranquillo al pensiero di non dovergli succedere sul trono, evitando in tal modo tutte le pesanti e continue responsabilità che ne comportavano, limitandosi ai suoi piccoli doveri reali, che non erano eventi pubblici di grande peso, come l’ andare in visita alle fiere, alle fabbriche e ai campi per ragazzi. Amava tenersi in forma con sport come il tennis, e quando parlava in pubblico lo si vedeva concentrarsi e cercare di calmarsi, con pause che sembravano eterne davanti a folle vaste che pendevano dalle sue labbra. Soprattutto, quando parlava, aveva grossi problemi con i suoni articolati nella parte posteriore del cavo orale, e in modo particolare gli era quasi impossibile articolare la parola king, ossia «re», e non solo per problemi meccanici: tale termine gli faceva venire in mente il padre e l’ incredibile mole di doveri e responsabilità a cui forse nessun uomo di sua conoscenza si sarebbe mai offerto volontariamente. Tuttavia, su richiesta di re Giorgio, il 31 ottobre 1925 dovette tenere il discorso di chiusura alla British Empire Exhibition, presso lo stadio di Wembley, di fronte ai rappresentanti e agli sportivi dei cinquantotto domini e colonie britannici, il risultato fu straziante: totalmente terrificato, non riuscì praticamente a parlare, creando imbarazzo nella platea.
Lionel Logue;

Oltre ad essere la sua consigliera e assistente, aiutandolo nella composizione dei suoi documenti ufficiali, Elizabeth fu fondamentale anche sullo spinoso fronte del rimedio alla balbuzie. Dopo che lui si era rivolto a moltissimi specialisti di elevato prestigio e formazione, nessuno dei quali aveva saputo risolvere il problema, la duchessa nel 1926 fece qualche ricerca e venne inaspettatamente a sapere di uno scienziato e logopedista australiano, Lionel Logue, che aveva uno studio per il trattamento delle disfunzioni del linguaggio al numero 146 di Harley Street. Nato a Adelaide, capitale dell’ Australia Meridionale, e trasferitosi con la famiglia a Londra nel 1924, Logue era un personaggio del tutto fuori del comune: mosso dalla passione per la lingua di William Shakespeare, era un attore non professionista fallito, e in conseguenza di ciò aveva iniziato ad esercitare come insegnante di dizione. Non era medico, e neppure vantava un’ istruzione particolare, ma aveva accumulato una notevole esperienza nel campo della logoterapia lavorando con i reduci australiani della Grande Guerra, che al ritorno dal fronte europeo erano traumatizzati, soffrivano di spasmi, paralisi isteriche alle gambe e altri disturbi come psicosi traumatiche e impedimenti di linguaggio. Logue imparò moltissimo lavorando con loro, divenendo un pioniere dell’ approccio psicoterapeutico, che allora era poco considerato, e addirittura visto con un certo scetticismo: in quel tempo si pensava che la balbuzie fosse dovuta semplicemente a idee confuse, e che limitandosi ad un approccio meccanico le parole sarebbero certamente uscite. Conosceva l’ anatomia, la terapia muscolare, la respirazione e vari esercizi come il rotolarsi per terra, il tirare pugni in aria, fare movimenti particolari e ripetere vocali. Sapeva che il problema dei balbuzienti non era solo fisico, ma soprattutto psicologico, quindi riportandoli al momento del trauma e facendoglielo esprimere li avrebbe aiutati efficacemente.
Bertie e Logue, un rigido membro di Casa Windsor e un suddito alla buona che non si intendeva di etichetta, strinsero un legame molto speciale, un rapporto di vera e propria amicizia tutt’ altro che scontato per varie ragioni. Prima di tutto, in quel tempo l’ Australia era un luogo sconosciuto alla maggior parte del popolo britannico, che nei suoi riguardi esprimeva un atteggiamento piuttosto imperialistico, guardando gli australiani come persone strane. In secondo luogo, in Gran Bretagna la monarchia era, ed è tuttora, un’ istituzione solenne e rispettata, quindi i membri della famiglia reale erano tutti trattati con estremo riguardo, secondo una precisa e particolareggiata etichetta da rispettare con la massima diligenza. In quanto australiano, Logue non aveva mai incontrato barriere sociali del genere nel corso della sua vita, quindi raggiungere Londra e trovarsi davanti alla barriera sociale più solida di tutte fu un’ esperienza davvero insolita per lui. Uomo sfaccettato e pragmatico, non fu indifferente al prestigio del suo nuovo cliente: ne era in soggezione, ma non al punto da lasciarsi condizionare, e non sentì mai il dovere di doverlo trattare come un membro della famiglia reale, volendo privilegiare un rapporto paritario e sincera amicizia, nella convinzione che la chiave fosse nel fargli capire che un amico lo avrebbe ascoltato e accompagnato nel lungo sentiero atto a ritrovare la sua voce. Evitò persino di chiamarlo «Altezza Reale» o «Sir», volendo usare il nome Bertie, ignorando altre forme protocollari come il sedersi ad una certa distanza, nel desiderio di abbattere ogni barriera. Bertie venne quindi salvato dall’ amicizia e dalla sicurezza in sé stesso, più che dalle cure e dalle rivelazioni scientifiche. La sua amicizia con Logue, che pretendeva di essere chiamato Lionel, fu un rapporto davvero avvincente. L’ australiano, guaritore di natura, proveniente da un clima di apertura e semplicità, capiva la psicologia delle persone e sapeva infondere sicurezza in ogni paziente, aiutandolo a migliorare l’ oratoria e anche a sviluppare un rapporto di amicizia con un’ altra persona. Era molto premuroso, affezionato ed appassionato, e seppe rendere tutto più facile a coloro che prendeva in carico, soprattutto Bertie, abituato com’ era alle pressioni tipiche della propria famiglia e a corte, animate com’ erano da un’ imponente tradizione millenaria. Il loro rapporto, che per ragioni di rango non avrebbe mai avuto luogo in condizioni normali, era forse alimentato proprio dalla sua unicità. Sebbene molto probabilmente Logue non riuscì mai ad abbattere del tutto la barriera dell’ etichetta reale, si pensa che nessuno da allora sia più riuscito ad arrivare fin dove poté spingersi lui.
Grazie agli esercizi quotidiani, in breve tempo Bertie migliorò moltissimo il proprio eloquio, superando ampiamente i problemi originari, potendosi persino mettere alla prova nel 1927 con il tradizionale discorso di apertura del Parlamento australiano, che fu un vero successo in quanto poté parlare solo con una piccola esitazione emotiva.
Giorgio V tiene via radio il discorso natalizio nel 1934;

Albert ed Elizabeth ebbero due figlie, Elisabetta, detta Lilibet, nel 1926, e Margaret, nel 1930. Pur essendo spesso assente per i suoi doveri reali, Bertie amava moltissimo la vita famigliare, dimostrandosi assai premuroso e divertente. Non aveva un grande senso dell’ umorismo, ma vantava uno spiccato senso del divertimento, condiviso dalla moglie. Insegnò alle bambine ad andare a cavallo nei parchi presso il castello di Windsor e a Sandringham House, giocava con loro a carte e risolveva sciarade. Elizabeth in particolare gli lasciò una serie di toccanti lettere recanti una serie di suggerimenti da seguire se fosse morta all’ improvviso. In una di esse consigliava come comportarsi con le figliolette: «Non ridicolizzare mai le bambine o ridere di loro. Quando dicono cose buffe sono sempre del tutto innocenti. Devi sempre rivolgerti e parlare pacatamente ai bambini. Ricordati di come tuo padre, gridandoti addosso e facendoti sentire a disagio, ha perduto il tuo affetto. Nessuno dei suoi figli gli è amico.». Molti storici pensano che la famiglia reale britannica abbia generato i peggiori padri di tutti i casati regnanti, tuttavia Bertie seppe essere uno splendido genitore, in parte per volersi distinguere dal proprio padre e in parte grazie alla moglie. Si riferiva sempre alla propria famiglia come a «noi quattro», un gruppo fortemente unito e solidale.
Sandringhram House;

Quando il 20 gennaio 1936 re Giorgio morì e il principe David salì al trono come Edoardo VIII, il clima nella famiglia reale mutò improvvisamente. Tutti erano nervosi, in quanto si percepiva qualcosa che non andava come avrebbe dovuto. In Europa, i regimi totalitari sovietico, fascista e nazionalsocialista si rafforzavano e si espandevano complicando i già precari equilibri interni del Vecchio Mondo, tuttora sconquassati dal terremoto politico, diplomatico e militare della Grande Guerra. Peggio ancora, il nuovo re non si preoccupava minimamente di nascondere la propria ammirazione per Hitler, e da anni era al centro di un animato dibattito vista la sua tendenza a frequentare donne sposate, suscitando le critiche della società tradizionalista in quanto come sovrano sarebbe stato anche Governatore Supremo della Chiesa anglicana, secondo una tradizione risalente al 1534, durante il regno di Enrico VIII, e aggravò ulteriormente la situazione annunciando che sarebbe salito al trono accompagnato dall’ attuale compagna, Wallis Simpson, una donna statunitense moglie dell’ uomo d’ affari Ernest Aldrich Simpson, e che in precedenza era già stata sposata con il pilota della US Navy Earl Winfield Spencer Junior, da cui aveva divorziato nel 1927. Sua amante dal 1934, la Simpson aveva fama di essere una persona molto venale e un’ arrampicatrice sociale, e Edoardo manifestò la ferma intenzione di sposarla ufficialmente. A causa dei pregiudizi radicati sul conto degli statunitensi risalenti all’ indipendenza del 1776, dell’ origine non aristocratica e del burrascoso passato matrimoniale di lei, la relazione fu fortemente ostacolata da tutti, soprattutto dalla famiglia reale, dal governo e dal Parlamento: la Simpson era sposata di fronte a Dio con il suo primo marito, mentre Edoardo ne era l’ amante-concubino, e tale sarebbe rimasto anche a seguito del matrimonio. Si aprì quindi una grave crisi costituzionale che preannunciava serie difficoltà per la Corona. Sir Winston Churchill reputava disastrosa l’ idea che un’ «imperatrice della notte» divenisse regina consorte della Gran Bretagna, e sottolineava spesso il fatto che quando sarebbe scoppiata la guerra con la Germania sarebbe servito un regnate saldo e ineccepibile dietro al quale la nazione potesse schierarsi. Il 16 novembre 1936, il sovrano convocò a Buckingham Palace il Primo ministro, Stanley Baldwin, comunicandogli la propria intenzione di sposare la divorziata statunitense, ma il capo di governo gli fece nuovamente presente che il popolo non avrebbe approvato il matrimonio, rifiutando l’ idea di avere la Simpson come regina: qualora avesse deciso di procedere con i suoi propositi, il governo si sarebbe dimesso in massa. Stanley Bruce, High Commissioner australiano a Londra, fece a sua volta sapere che la sudditanza avrebbe provato orrore nell’ apprendere chi sarebbe stata la nuova sovrana, mentre John Buchan, Governatore generale del Canada, andò oltre affermando che nonostante il grande affetto che nutriva per il re, i canadesi si sarebbero sentiti insultati dal fatto che questi sposasse una donna divorziata, con due ex mariti ancora viventi. Di fronte a tanta opposizione, Edoardo rispose che non avrebbe rinunciato a sposare la sua compagna, e che se questo avesse comportato dimissioni e disordini sarebbe stato pronto ad andarsene al posto di tutti gli altri.
Alla fine, il 5 dicembre 1936, il re richiese di rivolgersi al popolo via radio, annunciando che avrebbe abdicato e sposato Wallis. Appena cinque giorni dopo, a Fort Belvedere, firmò l’ atto ufficiale alla presenza dei fratelli Albert, Henry e George, e il giorno seguente parlò nuovamente alla radio chiarendo ancora una volta i motivi che lo avevano portato alla sua scelta, affermando che non avrebbe potuto ottemperare ai suoi doveri di re senza il supporto della donna che amava.
L’ ex re Edoardo VIII e Wallis Simpson il giorno delle nozze;

Sovrano per quasi undici mesi, Edoardo VIII lasciò il mondo a bocca aperta con la propria rinuncia al trono. Fu il solo monarca britannico ad aver abdicato in mille anni di storia, peraltro per ragioni sentimentali. Per la nazione fu un colpo durissimo, mentre per la nobiltà e le corti reali di tutta Europa fu un fulmine a ciel sereno. Se in tutto il mondo equivalse ad un evento drammatico e seguito per ragioni ugualmente distribuite tra la politica e il pettegolezzo, per Bertie fu un fardello estremamente pesante da accettare: come figlio secondogenito era sempre stato sotto gli occhi di tutti, obbligato a tenere discorsi e presenziare a certi eventi, ma se aveva vissuto tutto questo come un tormento, essendo privo della sicurezza del fratello, ora lo aspettava un cimento infinitamente peggiore. Edoardo agì senza pensa minimamente alle conseguenze che la sua abdicazione avrebbe avuto sul fratello minore: per lui era solo una scelta personale, una cosa giusta per sé, un modo per coronare il proprio sogno d’ amore. Gettò il fratello impedito in prima linea proprio ora che la guerra era alle porte, addossandogli l’ ultima cosa che avrebbe mai desiderato. Il loro rapporto si incrinò per sempre. Peraltro, prima di uscire di scena e lasciare la Gran Bretagna, cercò molto opportunamente di ottenere tutto quello che poteva da lui, come ad esempio un titolo per Wallis. Non esitò a mettere il fratello sotto pressione, abusando del loro rapporto. Da allora i rapporti tra loro si fecero insanabili. La Regina Madre, Maria, pur sensibile al bene di Edoardo, non comprese mai perché avesse preferito mettere i propri sentimenti personali davanti al suo dovere reale, e non lo perdonò mai per questa diserzione, al punto da non desiderane più il ritorno in Gran Bretagna.
Giorgio VI e la famiglia reale il giorno dell’ incoronazione;

La vita di Bertie mutò radicalmente. La sera del 10 dicembre 1936 tornò a casa, con la moglie Elizabeth a letto, travolta dalle emozioni della giornata. Le due bambine, che lo aspettavano, gli fecero il curtsy, l’ inchino dovuto ai sovrani che avevano imparato a fare ai nonni e allo zio: lui le abbracciò piangendo, comprendendo solo in quel momento lo straordinario, inatteso e indesiderato cambiamento che aveva influito per sempre sulla sua vita e quella della famiglia. Salì al trono assumendo il nome di Giorgio VI, per enfatizzare la continuità nominale con suo padre e incoraggiare i sudditi a recuperare la fiducia perduta nella monarchia a seguito dello scandalo. Elizabeth, nuova regina consorte, definì quello a Buckingham Palace il peggiore trasloco della sua vita: in quel tempo il palazzo era decrepito, con i cavi elettrici penzolanti nelle sale, gli interminabili corridoi, le stanze fredde e piene di topi. Valletti e domestici andavano e venivano in continuazione, ma l’ uomo che la impressionò di più fu l’ addetto alla disinfestazione, che incontrava spesso carico di trappole e dispositivi micidiali per topi, scarafaggi e insetti.
Obbligato a titolare il fratello abdicatario, Giorgio gli confermò il titolo di «Altezza Reale», nominandolo poi duca di Windsor. Edoardo partì alla volta della Francia e sposò la Simpson sei mesi dopo, il 3 giugno 1937. Il monarca vietò all’ intera famiglia di partecipare al matrimonio.

Re Giorgio si erse a massima autorità dell’ Impero britannico nella sua ora più buia. La costituzione non gli riconosceva molte funzioni: non poteva imporre una tassa, dichiarare una guerra e neppure scegliere il Primo ministro. Il suo impegno era parlare, e quando lo faceva la nazione credeva che lo facesse a suo nome. Il valore della sua esistenza e della sua attività era proprio questo. Soprattutto, da poco più di un decennio la radio si stava diffondendo come mezzo di comunicazione di massa, quindi come monarca se ne sarebbe dovuto servire per rivolgersi a milioni di persone sparse in oltre un quarto del pianeta. Suo padre era stato il primo re britannico a parlare in diretta via radio. I futuri monarchi avrebbero avuto la comodità e il vantaggio di registrazioni editate tramite nastro, ma allora lui avrebbe dovuto parlare dal vivo a tutto l’ Impero, e per quanti progressi avesse compiuto, la sua balbuzie era ancora leggermente presente, ragion per cui temeva una ricaduta che l’ avrebbe reso inutile e indegno di fiducia e rispetto. Nella nazione serpeggiava il timore che non sarebbe stato all’ altezza del suo compito, tanto che un giornale dell’ epoca sostenne apertamente che i sudditi dubitavano che potesse farcela, e che molti erano certi che sarebbe stato così fuori luogo da abdicare a sua volta. La monarchia era instabile, l’ abdicazione di Edoardo l’ aveva scossa profondamente dando forza ai vari movimenti politici antimonarchici, che quasi le inchiodarono il coperchio della bara insistendo sulle scomode faccende familiari appena accadute. Ma Giorgio si impegnò a fondo per salvare la Corona, applicando tutto sé stesso nella convinzione che un re sia al servizio del popolo, per nessuna ragione autorizzato ad agire al di sopra delle regole.
Il discorso del re allo scoppio della guerra con la Germania;

Incoronato il 12 maggio 1937, data inizialmente prevista per Edoardo, si misurò con un’ esperienza dal forte coinvolgimento emotivo. La British Broadcasting Corporation aveva infatti organizzato la trasmissione in diretta del discorso del re, preparato con largo anticipo e registrato anche su un disco, per ogni evenienza, in tutto il Regno Unito e nell’ Impero. Per Giorgio fu un impegno logorante, ma di grande successo: «E’ con tutto il cuore che vi parlo questa sera. Mai prima d’ ora un re appena incoronato ha potuto parlare a tutto il suo popolo nelle sue case nel giorno dell’ incoronazione. La regina e io auguriamo salute e felicità a tutti voi. Non trovo le parole per ringraziarvi dell’ affetto e della lealtà alla regina e alla mia persona. Vi dico solo che, se negli anni futuri potrò darvi prova della mia gratitudine nel servirvi, sarà questo il modo che più d’ ogni altro sceglierò. La regina e io serberemo sempre nei nostri cuori l’ ispirazione che viene da questo giorno. Che possiamo essere sempre degni della benevolenza che con orgoglio credo ci circondi dall’ inizio del mio regno. Vi ringrazio di cuore, e che Dio vi benedica.».

In Gran Bretagna, ormai, si percepiva sempre più vicina la guerra contro la Germania nazista. Il re era costituzionalmente affidato alle parole del nuovo Primo ministro, Neville Chamberlain, succeduto a Baldwin, dimessosi ad un giorno dall’ incoronazione di Giorgio VI in quanto incolpato di eccessiva docilità nei confronti dell’ Italia fascista e della stessa Germania. Dopo gli accordi di Monaco del 1938, Giorgio ed Elizabeth si servirono del capo di governo anche come figura di riferimento per la popolazione, favorendo un’ interazione sociale e pubblica tra la Corona e i politici, dal momento che la classica apparizione al balcone di Buckingham Palace era riservata unicamente ai membri della famiglia reale.
Allo scoppio della guerra, il 1° settembre 1939, il re e la regina consorte divennero veri e propri simboli viventi della resistenza nazionale. Contrariamente al parere del governo, fecero testamento e scelsero di rimanere in terra britannica anziché cercare la salvezza in Canada, mandando le figlie al sicuro presso il castello di Windsor. Ufficialmente rimanevano stabilmente a Buckingham Palace, sebbene trascorressero le notti prevalentemente al castello di Windsor per ragioni di sicurezza dopo i primi bombardamenti, di cui vissero in prima persona il dramma con lo scoppio di una bomba proprio all’ interno della reggia.

Nel 1940, dopo l’ invasione nazista della Norvegia, Chamberlain si dimise dalla carica di Primo ministro, ritenendo necessario un governo di larghe intese, e consapevole che nessuno tra i liberali e i laburisti avrebbero appoggiato un esecutivo guidato da lui. Venne succeduto da Sir Winston Churchill. Durante la guerra il sovrano fu costantemente in prima linea, prodigandosi intensamente e senza sosta al fine di tenere alto il morale della popolazione: si dice che la moglie del Presidente degli Stati Uniti, Eleanor Roosevelt, apprezzando sinceramente il gesto, si sia adoperata in prima persona nell’ organizzare spedizioni di cibo alla reggia britannica. Re Giorgio si rivolse spesso via radio, e finalmente con una parlata dignitosa e raffinata, ai sudditi in terra britannica e in tutto l’ Impero al fine di esaltarli al patriottismo davanti a un minaccioso nemico, senza tuttavia mai scagliarsi contro di esso, invitando il popolo all’ unità e al sacrificio per difendere i valori tradizionali su cui il Paese poggiava: responsabilità, coraggio, abnegazione e decoro, virtù che, come disse, erano indispensabili non solo per governare, ma per sopravvivere. Lionel Logue gli fu accanto in tutti i discorsi, guidandolo come un direttore d’ orchestra. Tramite le sue trasmissioni, Giorgio poté finalmente smentire gli ingiusti giudizi che gli erano sempre stati mossi contro, dimostrando di essere una guida esemplare, un uomo di grande forza, di animo assai rigoroso e devoto al dovere. Il monarca giusto al momento giusto. Fu anche grazie alla moglie se seppe essere un buon sovrano, non soltanto un buon padre, tanto che si dice che Hitler l’ abbia definita «la donna più pericolosa d’ Europa».
Nel 1944, nominò Logue Comandante dell’ Ordine Reale Vittoriano: questo alto onore da parte di un re riconoscente rese il logoterapista australiano parte del solo ordine di cavalleria che premia specificatamente atti di servigi personali al monarca.
Il saluto del re e del Primo ministro, 8 maggio 1945; 

La Seconda Guerra Mondiale si concluse dopo sei lunghi anni, nel 1945, con la vittoria britannica e statunitense a danno della Germania. L’ 8 maggio 1945, Giorgio, idolatrato dalla sudditanza per il ruolo che aveva svolto, invitò Churchill ad apparire con lui e la famiglia reale sulla balconata di Buckingham Palace: fu il momento più importante del suo regno e il culmine della sua popolarità.
Ora che il devastante conflitto era finalmente cessato, il sovrano fu tra i principali promotori della ripresa economica e sociale della Gran Bretagna, sebbene proprio in quel momento l’ Impero si avviò sulla via della decadenza, dopo aver già dato i primi segni di cedimento nel 1926, dopo la Dichiarazione di Balfour, quando i vari domini britannici iniziarono ad essere conosciuti con il nome di Commonwealth delle Nazioni, nuova grande entità formalizzatasi con gli Statuti di Westminster del 1931. Il tramonto della potenza coloniale britannica subì un duro colpo nel 1947 con l’ indipendenza dell’ India e della secessione del Pakistan, fatto che rese re Giorgio l’ ultimo imperatore d’ India, nonché l’ ultimo monarca europeo che potesse vantare il titolo imperiale. L’ Irlanda, che nel 1937 aveva ottenuto la piena indipendenza, nel 1949 divenne una Repubblica indipendente, lasciando addirittura il Commonwealth. Tuttavia, al sovrano venne riconosciuto il titolo di capo dell’ organizzazione intergovernativa, che ancora oggi spetta ai suoi successori.
Giorgio e il nipote, il principe Carlo;

Tra la fine della guerra e gli inizi degli Anni Cinquanta, la precaria salute di Giorgio si aggravò notevolmente, soprattutto di fronte alle intense e costanti responsabilità del trono, alla tensione procurata dalla guerra e alla sua forte attitudine di fumatore. Nel settembre del 1951 gli fu diagnosticato un tumore maligno, che peraltro gli portò una forma di arteriosclerosi, tuttavia volle continuare ad esercitare al meglio le proprie funzioni reali.
Malgrado il suggerimento dei medici, il successivo 31 gennaio 1952 volle recarsi all’ aeroporto per salutare la figlia Elisabetta, in partenza insieme al consorte Filippo per un viaggio in Australia con tappa in Kenya: era stato operato a un polmone, il suo cuore era debole e nelle ultime settimane il suo volto era diventato grigio e scavato, con gli occhi infossati che spesso guardavano nel vuoto. Subito dopo si trasferì all’ amata Sandringham House, dove le sue condizioni migliorarono sensibilmente. Il 5 febbraio andò a caccia con Elizabeth e la figlia Margareth, e al ritorno scherzò con loro. Cenò e si ritirò a letto, con il solito bicchiere di liquore al cioccolato sul comodino. Alle 7:30 del mattino dopo, il suo cameriere personale, in servizio da vent’ anni, andò a svegliarlo, ma non ricevette risposta: il re era morto nel sonno. Una telefonata partì immediatamente dalla residenza: «Hyde Park corner. Avvisate il governo.». Ogni prevedibile evento che riguardasse il sovrano e i membri della famiglia reale avevano un nome in codice, e «Hyde Park corner» annunciava la morte del monarca. Un assistente del segretario del sovrano si recò immediatamente a Londra, al 10 Dowing Street, la residenza del Primo ministro, e svegliò Churchill, ancora in camera da letto, annunciando la morte di re Giorgio: la notizia sconvolse profondamente lo statista, che pianse amaramente la morte del regnante appena cinquantaseienne, così fragile e coraggioso, che aveva vinto con lui la guerra contro il Führer.
L’ ultima foto di re Giorgio;

La preparazione dei funerali del re e della successione al trono iniziarono immediatamente. Elisabetta, ora regina con il nome di Elisabetta II, rientrò il giorno 7, incontrandosi dapprima con la nonna, la regina Mary, per poi recarsi a Sandringham House. Il successivo 11 febbraio un treno speciale portò la salma del re a Londra, per essere sposta al Westminster Hall, per l’ omaggio della sudditanza. Il settimanale statunitense Time scrisse: «Sotto il regno di Giorgio VI, i britannici si sono messi in coda per il cibo, il divertimento, i vestiti, le necessità e le ricompense della vita. Ora sono nuovamente in coda, per lo stesso re.». In appena tre giorni, trecentomila persone sfilarono davanti alla bara, e il 15 febbraio si tenne finalmente il funerale. Alle 9:30 il corteo si mosse mentre la campana del vicino Big Ben suonava cinquantasei rintocchi, come gli anni del defunto. A Hyde Park e alla Torre di Londra i cannoni spararono cinquantasei salve. La sfilata, lunga quasi due chilometri, attraversò lentamente il Mall, Piccadilly, Marble Arch, Edgware Road. Dietro alla bara del sovrano vi erano per la prima volta tre regine contemporaneamente: la madre Mary, la moglie Elizabeth e la figlia Elisabetta II, tutte e tre austere e impressionanti nel loro lutto, vestite di nero, con un velo che copriva il loro volto. Dietro di loro, vi erano il principe Filippo e gli altri parenti, incluso l’ ex re Edoardo, in alta uniforme della Royal Navy, il solo partecipante reputato fuori posto, additato come un disertore amico dei nazisti.
Alla stazione di Paddington, la bara fu caricata sul treno che l’ avrebbe condotta a Windsor, per essere seppellita nella St George’ s Chapel accanto a quelle del padre Giorgio V, del nonno Edoardo VII e degli avi Enrico VIII e Carlo I. Tra le corone di fiori, vi era quella di garofani bianchi inviata dal governo, la cui scritta sul nastro, dettata da Churchill, diceva semplicemente: «Al valore».
Il corteo funebre del re;

Quello di Bertie fu senza dubbio un grande viaggio soprattutto come persona, non soltanto come re. Fu la dimostrazione più evidente delle infinite capacità di una persona di crescere e superare i propri problemi, anche i più gravi. Per anni, il duca di York era stato affranto e vulnerabile, costantemente alle prese con un debilitante e frustrante impedimento che gli impediva di controllare la sua voce come avrebbe voluto, specialmente in pubblico, mentre in privato andava molto meglio. Generalmente considerato scialbo e debole, affrontò un grande viaggio personale giungendo splendidamente ad una grande meta impegnandosi duramente, meritandosi finalmente il controllo e sviluppando una sicurezza che non avrebbe mai neppure sospettato di raggiungere, divenendo uno dei migliori monarchi europei di cui si abbia tuttora il ricordo. La straordinaria vita e il regno di Giorgio VI, asceso al trono nel momento peggiore della storia della monarchia britannica, salvandola insperatamente dagli scandali e guidandola molto attivamente durante guerre e ricostruzioni, fu la conferma della straordinaria forza dell’ animo umano, una potenza che si annida spesso ignota in profondità, qualcosa che non può essere ingabbiato ma che si può gestire fino a cogliere risultati straordinari.

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