venerdì 13 ottobre 2017

Il calar dell’ ultimo sole di Versailles

«Muoio innocente dei delitti di cui mi si accusa. Perdono coloro che mi uccidono. Che il mio sangue non ricada mai sulla Francia!» ultime parole di re Luigi XVI;
Luigi XVI di Borbone;

Il 10 maggio 1774, Luigi Augusto di Borbone, duca di Berry, fu incoronato appena ventenne re di Francia e Navarra con il nome di Luigi XVI. Ultimo sovrano europeo salito al trono «per diritto divino», fu vittima di una sorte piuttosto drammatica, e i cronisti dell’ epoca lo fecero passare alla storia con un ritratto menzognero della sua personalità e del suo intervento politico che in due secoli non ha fatto altro che consolidarsi, dimostrando chiaramente
quanto una persona possa subire un accanimento eccessivo, anche nella morte, soltanto perché rappresenta il simbolo più in vista di un sistema rovesciato con rabbia e intransigenza: non è forse vero che la storia è dettata dai vincitori?

Uomo colto, capace politico e ottimo stratega navale, Luigi ascese al trono in un clima di grande aspirazione al rinnovamento. Sulle prime amato dal popolo, operò fin dall’ inizio un pieno cambiamento nelle stanze del potere e del governo, una grande rivoluzione liberale e modernista atta a riformare e consolidare l’ ormai pesante e polveroso Ancien Régime, gravato dagli enormi debiti accumulati dai suoi due illustri predecessori, il quadrisavolo Luigi XIV e il nonno Luigi XV, a cui si univa un bilancio in costante perdita per via degli sperperi di corte, di lunghe e costose guerre e dell’ aumento del costo del grano. Con il sostegno di grandi ministri come Turgot, Calonne e Necker volle fortificare le periferie, mitigando la tenace pressione del governo parigino. Abolì la servitù della gleba resistendo alle proteste della nobiltà e limitò la pena di morte ai soli casi di alto tradimento. Nei suoi diciotto anni di regno si compirono rare esecuzioni e ben pochi prigionieri varcarono il portone della Bastiglia, il temuto simbolo del potere assoluto della Corona. Interessato lettore dei testi illuministi, di cui non condivideva appieno le idee a parer suo un po’ troppo liberali, avviò una salda politica estera in cui appoggiò la Guerra d’ indipendenza americana e intrattenne buoni rapporti con i Romanov, gli Asburgo, i Savoia e i romani pontefici. Parigi divenne la culla di artisti e scienziati quali Jean-Baptiste Pigalle, Pierre Choderlos de Laclos, Antoine-Laurent de Lavoisier e i fratelli Montgolfier.
Maria Antonietta d' Asburgo;

Nondimeno commise gravi errori senza i quali la Prima Rivoluzione francese sarebbe stata sicuramente più indolore: non comprendendo sempre del tutto quello che avveniva nel regno, mancò di prendere svariate decisioni fondamentali e di assumere una posizione sufficientemente autorevole. Non fu in grado di distinguere i funzionari avidi, infidi o addirittura inadeguati al proprio ruolo da quelli più esperti e lungimiranti, non appoggiò con la dovuta energia i suoi governi e, soprattutto, non fu abbastanza risoluto con la frivola, dispendiosa e infedele Maria Antonietta, già malvista dal popolo per la sua provenienza austriaca. Pur avendo convocato gli Stati Generali per risolvere la disperata situazione imperante negò il voto individuale proposto dal Terzo Stato, contribuendo ad aumentare fortemente le ostilità generali contro il governo monarchico.

A due anni dallo scoppio della Rivoluzione, iniziata per impedirgli di sciogliere con la forza l’ Assemblea Nazionale costituita dai rappresentanti borghesi del Terzo Stato, Luigi tentò la fuga con la famiglia nell’ intento di raggiungere i soldati rimasti fedeli alla Corona, con i quali, forte del sostegno delle corti straniere e appoggiando il papa e i preti refrattari, avrebbe arginato i vari Robespierre, Marat e Danton, ma nella buia foresta di Varenne venne riconosciuto e ricondotto a Parigi, ove fu costretto a firmare uno statuto che portò alla formazione di una monarchia costituzionale basata sulla divisione dei poteri pur riservando al regnante un ampio potere esecutivo. In seguito, mentre i rivoluzionari si appropriavano dei castelli dei nobili e dei loro beni precedentemente assaltati dai contadini in nome della libertà, dell’ uguaglianza e della fratellanza, e le potenze europee inviavano al confine francese eserciti sempre più vasti nel timore che il fenomeno rivoluzionario si estendesse, le forze che si battevano per un più ampio programma di riforme imposero una radicale svolta politica con la proclamazione della Repubblica e l’ arresto di re Luigi, che, imprigionato con l’ umiliante nome di «monsieur Luigi Capeto», dopo un processo sommario venne condannato a morte come traditore per ghigliottinamento.
Morì il 21 gennaio 1793 gridando al popolo la propria innocenza, augurandosi che il sangue versato non ricadesse su di un Paese già alle prese con il nascente regime del Terrore, e quando la sua testa mozzata cadde nel cestino la propaganda rivoluzionaria fece di lui il ritratto ideale dell’ oppressione assolutistica e dell’ arretratezza feudale: un sovrano grasso e goffo, debole e apatico, un despota insensibile e maldestro vissuto in un isolamento dorato e spensierato nelle mille stanze di Versailles. Forse, a dispetto delle buone intenzioni da cui fu sempre animato, non era davvero l’ uomo più adatto ad affrontare la grave e complessa crisi che portò alla fine della monarchia, ma di sicuro fu imputato a lui per pura opportunità politica ogni errore compiuto dai riformatori che gli furono caldamente raccomandati dai suoi ingannevoli consiglieri. Con la sua morte l’ Europa non fu più la stessa, vedendo susseguirsi senza tregua eventi catastrofici quali l’ incubo giacobino, il ciclone napoleonico, l’ aspra restaurazione del Congresso di Vienna e il grande avvento della borghesia, che soppiantò la fastosa, imparruccata e imbellettata aristocrazia.
L' esecuzione di Luigi;


Eppure, fatto raro in situazioni del genere, ultimamente il fitto velo pubblicitario a lui ostile «per partito preso» si è molto attenuato. Nel 1993, ad esempio, in occasione del bicentenario della sua morte, l’ attore Jean-Pierre Darras lesse solennemente in Place de la Concorde il suo testamento ad un pubblico che comprendeva personalità politiche, rappresentanti delle forze armate, artisti, intellettuali, cantanti e attori, mentre sul luogo in cui la ghigliottina aveva fatto saltare molte teste, tra cui la sua, si accumularono mazzi di fiori e corone tra le quali spiccò quella dell’ ambasciatore statunitense Walter Curley. Ogni 21 gennaio gli aristocratici francesi si riuniscono per commemorarlo, e una perseverante causa di beatificazione religiosa intende santificarlo in nome della sua grande fede e del fatale patimento affrontato con la rassegnazione di un martire.

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