giovedì 12 ottobre 2017

La grandezza del Mahatma Gandhi

«Sono le azioni che contano. I nostri pensieri, per quanto buoni possano essere, sono perle false fintanto che non vengono trasformati in azioni. Sii il cambiamento che vuoi vedere nel mondo.» Mahatma Gandhi;
Il Mahatma Gandhi;

Parlare di un personaggio importante come Gandhi non è affatto semplice, e per molti aspetti mi impensierisce. In Occidente tutti noi lo abbiamo sentito nominare almeno una volta nella nostra vita, eppure dalle nostre parti la sua complessa figura e il suo importante ruolo nella Storia continuano ad essere poco considerati. A stento siamo in grado di dire che era indiano e che il suo titolo onorifico, Mahatma, in lingua sanscrita significa «Grande anima». Recentemente ho parlato con alcuni amici, i quali ciascuno a modo proprio mi hanno detto la stessa cosa: praticava gli scioperi della fame e combatteva per la pace, ma per il resto non sapevano praticamente niente di lui. Studiai Gandhi per la prima volta in terza media, in quanto la mia professoressa di lettere e storia era talmente illuminata da volerci trasmettere qualche conoscenza anche sull’ Oriente, culla di civiltà affascinanti e addirittura importanti quali India, Cina e Giappone, sostenendo che l’ Europa, per quanto importante fosse stata in passato e tuttora lo fosse, non era il centro assoluto del mondo. Dedicammo pertanto una discreta quantità di tempo a questo piccolo grande uomo di un luogo lontano, a cui negli anni seguenti mi sarei incuriosito scoprendo molte cose interessanti e addirittura sbalorditive.
Gandhi tesseva gli abiti per conto proprio;

Gandhi operò su più fronti, essendo avvocato, attivista per i diritti civili degli indiani dapprima in Sudafrica e poi in India, e, specialmente, guida spirituale. Fu considerato in modi assai diversi da gente assai diversa: per George Orwell era un eccentrico reazionario tradizionalista e conservatore che suscitava una sorta di disgusto estetico, sebbene paragonandolo ad altri politici del tempo ne riconobbe un certo odore di pulito, mentre Sir Winston Churchill lo definì un disgustoso fachiro mezzo nudo. Benito Mussolini ne parlò come di un santone, un genio che, cosa rara, usava la bontà come arma. Albert Einstein lo ammirò tanto da affermare che le generazioni future avrebbero faticato a credere che un uomo simile si fosse mai aggirato in carne ed ossa su questa terra, e infine Aldous Huxley lasciò un giudizio intenso: «Prima o poi si verificherà che questo sognatore aveva i piedi ben piantati a terra, e che l’ idealista è il più concreto degli uomini.». Questo essere multiforme e ampiamente discusso visse in tre grandi regioni del mondo, ossia India, Gran Bretagna e Sudafrica, in cui entrò in contatto con la cultura occidentale divenendo un notevole e convinto ponte tra Oriente e Occidente, oltre che un esempio particolarmente riuscito di un cammino non violento, potente e inarrestabile, verso due grandi forme di liberazione: quella politica ed economica dell’ India dall’ Impero britannico, e quella sociale e spirituale del singolo individuo da qualsivoglia discriminazione.
Gandhi in visita in Gran Bretagna;

Gandhi apparteneva a una casta agiata, e studiò giurisprudenza a Londra adattandosi alle consuetudini britanniche, vestendosi e cercando di vivere come un gentiluomo. Entrò in contatto con svariati princìpi tipicamente occidentali come i fondamenti del socialismo libertario di William Morris, l’ anarchismo cristiano e pacifista di Lev Tolstoj, l’ insegnamento nonviolento di Henry David Thoreau e il vegetarianismo di Henry Salt, che fece suoi e mantenne per tutta la vita. Credeva molto nell’ Impero britannico, sostenendo che soltanto prodigandosi al suo servizio si sarebbe meritato la sua generosa protezione, tuttavia, nel 1893, quando si trasferì in Sudafrica per difendere una ditta indiana che commerciava nel Natal, entrò in contatto con il famigerato apartheid e con le condizioni di quasi schiavitù in cui vivevano i centocinquantamila indiani ivi trasferitisi. Tutto ciò lo portò a una profondissima evoluzione interiore: da individuo dolce, timido, politicamente indifferente e notoriamente imbarazzato all’ idea di parlare in pubblico divenne ben presto parte particolarmente attiva e rispettata nella lotta contro i soprusi a cui erano sottoposti gli indiani, ma non sfociò mai nell’ odio antioccidentale, sostenendo con assoluta convinzione che nonostante le differenze i britannici in particolare e gli occidentali in generale fossero fratelli e sorelle provenienti dalla medesima forza di vita, e che la loro cultura non significava soltanto oppressione e ingiustizia, ma vantava anche magnifiche conquiste, pertanto sarebbe stato possibile intraprendere un’ opposizione che non toccasse gli estremi della rivolta violenta o del disprezzo culturale. Sostenne fermamente tale posizione anche in seguito al 18 marzo 1919, quando in India, ove era tornato nel 1914, fu introdotto il Rowlatt Act, nota serie di proposte legislative che di fatto resero permanenti alcune limitazioni di libertà dei sudditi indiani di Sua Maestà britannica. Il suo interesse e la simpatia per l’ Occidente si estesero anche al campo religioso: induista profondamente legato alla Bhagavad Gita, convinto che il desiderio fosse sorgente di sofferenza e agitazione per lo spirito, considerò anche il Buddhismo, l’ Islam e il Cristianesimo, di cui intravide il fondamento nel celeberrimo Discorso della Montagna.

Spesso diciamo che Gandhi promosse la resistenza passiva, ma non è affatto vero. Il suo insegnamento, particolarmente attivo e provocatorio, si basava sulla satyagraha, ossia «insistenza per la verità», teoria etica e politica incentrata sulla nonviolenza e la disobbedienza civile: per opporsi efficacemente contro un sistema autoritario e problematico come quello britannico in India riteneva fondamentale non collaborare in alcun modo con esso, violandone pubblicamente e consapevolmente le leggi e i comandi amministrativi ingiusti e liberticidi, non pagandone le tasse, praticando l’ obiezione di coscienza al servizio militare e accettando le punizioni previste dalla legislazione vigente per ogni singola violazione commessa. Il buon rivoluzionario nonviolento di Gandhi non avrebbe mai e poi mai dovuto chinare inerme la testa di fronte all’ ingiustizia, essenza della passività che noi gli abbiamo sempre attribuito, ma combatterla con la sola forza delle idee, senza vibrare alcun colpo e accettando tutti quelli che, al contrario, gli sarebbero stati inflitti. Avrebbe dovuto combattere la violenza, il male e l’ ingiustizia nella vita sociale e politica per realizzare la Verità. Dove vi era la minima ingiustizia, insomma, Gandhi credeva fermamente nella lotta per migliorare le cose, bastava semplicemente boicottarla insieme a tutte le sue condizioni:
«Ci sono cose per cui sono disposto a morire, ma non ce ne è nessuna per cui sarei disposto ad uccidere.».
Per quanto sottoposto ai peggiori maltrattamenti e alle più gravi iniquità, come ripeteva, mai e poi mai il rivoluzionario nonviolento avrebbe dovuto ricorrere alla violenza e alla forza nei riguardi del prossimo: ogni controversia sarebbe stata possibile da sanare solo con la volontà e il coraggio di sopportare il male pur di vincere l’ ingiustizia, in opposizione alle pratiche di giustizia prese in considerazione per migliaia di anni:
«Occhio per occhio...e il mondo diventa cieco.».
E ogni volta che i suoi numerosi discepoli perdevano l’ orientamento adottando atteggiamenti aspri e apertamente violenti ecco che lui intraprendeva la celebre e dolorosa via del digiuno, che analogamente alla castità e alla semplicità di vita poneva principalmente in ambito spirituale come mezzo per allontanarsi dall’ esperienza terrena, pur intendendolo anche come via di purificazione da ogni colpa, propria o altrui, e potentissima arma politica, indicandolo tra i mezzi privilegiati che il rivoluzionario nonviolento poteva utilizzare in nome della causa.
Gandhi durante la Marcia del Sale;

Sono assai stupito e deluso al pensiero che in Occidente un uomo di simile levatura sia ancora così palesemente ignorato, o che se ne parli in maniera così inesatta. Un grande esempio della grande trascuratezza di cui divenne vittima nel raffinato e moderno Ovest fu il mancato riconoscimento a suo beneficio del Premio Nobel per la pace, sebbene avesse ricevuto ben cinque candidature tra il 1937 e il 1948. Il Comitato per il Nobel norvegese rimpianse pubblicamente tale mancanza una decina di anni dopo il delitto di Nuova Delhi, e nel 1989, quando fu premiato il XIV Dalai Lama del Tibet, che peraltro in più occasioni disse di aver trovato la migliore ispirazione nella difesa del suo popolo dall’ occupazione cinese proprio nel Mahatma, il Presidente del Comitato ammise che tale premiazione era in parte un tributo alla memoria dell’ importante guida spirituale indiana.

Trovo che il suo sogno di indipendenza individuale e collettiva, spirituale e politica puntando sull’ autonomia e l’ autosufficienza economica del suo Paese attraverso l’ intero utilizzo di beni locali, sia materiali che culturali, nonché su di un fermo atteggiamento di non collaborazione salda ma pacifica, sia stato un vero e proprio lampo di genio che nessuno ebbe prima e dopo di lui. Oggi viviamo in tempi difficili e incerti, in cui la sfiducia verso la politica e l’ alta società, colpevoli di svariati errori e negligenze, si fa sempre più chiaramente sentire, e l’ esempio dato da questo grandissimo uomo e dal suo insegnamento risulterebbero senz’ altro un’ ispirazione ineguagliabile per noi tutti.

Nessun commento:

Posta un commento