mercoledì 11 ottobre 2017

J. Edgar Hoover, il potere dell’ informazione

«Le migliaia di criminali che ho visto in quarant’ anni di applicazione della legge hanno avuto una cosa in comune: ognuno di loro era un bugiardo.» J. Edgar Hoover;
J. Edgar Hoover;

Passeggiando per le vie di Washington D.C. e raggiungendo l’ angolo tra la 9° strada e Pennsylvania avenue ci si imbatte in un grande palazzo progettato per essere guardato dai cittadini con un misto di rispetto e soggezione: il J. Edgar Hoover Building, colossale sede della famosa FBI, dedicata alla memoria del suo famosissimo direttore.
Per quanto in Europa e in Italia rimanga una figura poco conosciuta, J. Edgar Hoover fu un uomo estremamente potente, temuto e discusso in ogni angolo degli Stati Uniti d’ America, il cui nome veniva mormorato con prudenza e timore in ogni luogo, dalle stanze del potere di Washington alle strade delle periferie. Meglio di tutti, infatti, quest’ uomo assai rude ed egocentrico dimostrò la validità del noto proverbio di origine latina: «Sapere è potere.». Per quarantotto anni mantenne saldamente nelle proprie mani un potere immenso, di cui nessuno intravide mai i veri limiti, con il quale influenzò molto l’ operato di ben sei Presidenti, da Franklin Delano Roosevelt a Richard Nixon. Pur proclamandosi devoto servitore della legge e della giustizia, impiegò ripetutamente metodi illeciti e addirittura indegni per contrastare chiunque osasse tagliargli la strada. Turbato da numerose e profonde fissazioni e costantemente assillato dalle maldicenze sulle sue abitudini sessuali, predispose un monumentale e ben organizzato archivio di schedari con cui per anni tenne sotto scacco i suoi molti avversari. Convinto sostenitore del Maccartismo, ostacolò la Corte suprema, intralciò il movimento dei diritti civili e ricattò i Kennedy. 
Il suo operato presenta tuttora determinati punti oscuri, soprattutto a proposito dei suoi contatti con la malavita e del motivo per cui ostacolò le indagini sui delitti di John e Robert Kennedy e quello di Martin Luther King, ma è certo che senza di lui l’ FBI non sarebbe mai divenuto l’ autorevole ente investigativo di oggi.

John Edgar Hoover nacque a Washington D.C., il 1 gennaio 1895, in una famiglia di discendenza tedesca, britannica e svizzera. Suo padre, Dickerson, lavorava per la Us Coast and Geodetic Survey, mentre la madre, Anna Marie Scheitlin, era una donna autoritaria, convinta assertrice degli antichi valori, che gli inculcò il rispetto per la tradizione: nei suoi riguardi provò sempre un rispetto intimorito. Discendente da due generazioni di funzionari statali, il giovane John Edgar, ultimo di quattro figli e spesso definito «il classico figlio di mamma», si iscrisse alla George Washington University, e trovò lavoro come fattorino presso la Biblioteca del Congresso, il più grande archivio del mondo. Laureatosi in legge nel 1917, grazie ad uno zio magistrato entrò nel Dipartimento di Giustizia, e dopo pochi mesi divenne il favorito del Procuratore generale, Alexander Mitchell Palmer, che lo volle come suo assistente speciale.
In quel tempo il Dipartimento di Giustizia disponeva di una piccola divisione di indagine, il BOI, ossia Bureau of Investigation, fondato nel 1908 dal Procuratore generale Carlo Giuseppe Bonaparte e dedito ai sospetti rivoluzionari di ideale comunista: Hoover entrò a farne parte, gettandosi come un lupo affamato nella lotta al comunismo. Influenzato dal suo lavoro presso la Biblioteca del Congresso, decise di dare vita ad un enorme archivio che gli consentì di schedare tutti i sospetti e i presunti rivoluzionari. Il 7 novembre 1919, secondo anniversario della Rivoluzione russa, fece arrestare oltre diecimila sospettati, tra comunisti e anarchici, in più di venti città statunitensi: sebbene dovette rilasciarne la maggior parte per mancanza di prove, portandoli in tribunale intuì la necessità di inserire nei suoi monumentali archivi anche i nomi di ogni avvocato che, praticamente senza compenso, si era assunto l’ onere di difendere gli imputati, e in un secondo momento poté dimostrare che l’ anarchica Emma Goldman, a dispetto dei trentaquattro anni vissuti sul suolo statunitense, fosse da ritenere una pericolosa sovversiva: al termine di un processo serrato la fece deportare in Unione Sovietica. 
Le sue retate ebbero effetti devastanti sul Partito Comunista statunitense, che quasi scomparve dal suolo nazionale vedendo calare ad appena seimila i propri iscritti, un tempo oltre ottantamila.
Hoover e Clyde Tolson;

Nel 1921, il giovane Hoover venne promosso a vicedirettore del Bureau, e tre anni dopo, per volere del nuovo Procuratore generale, Harlan Fiske Stone, ne divenne direttore provvisorio: in quel tempo l’ ente investigativo, corrotto e inefficiente, contava soltanto seicento agenti operativi, e per prima cosa fece piazza pulita dei raccomandati, instaurando una disciplina ferrea, con metodi rigidissimi di addestramento e selezione. Diede vita a una serie di reparti attivi e ben organizzati, introdusse il metodo scientifico nelle indagini e predispose una vera e propria accademia che formasse i nuovi agenti. Durante il suo mandato il Bureau raggiunse i seimila agenti operativi, ma si trattava soltanto di un organismo di controllo e di osservazione, ragion per cui nel 1934 Hoover spinse per ottenere dal Presidente Roosevelt poteri illimitati tramite la firma di provvedimenti anticrimine che conferirono all’ ente la facoltà di compiere arresti e di disporre delle misure proprie delle altre forze di polizia, come l’ uso di armi, convertendo il Bureau in una vera e propria macchina di lotta alla criminalità: nacque l’ FBI, il Federal Bureau of Investigations. 
Devotissimo e sottomesso alla propria madre, con cui visse fino alla sua morte nel 1938, follemente appassionato alle corse ippiche, a cui presenziava quasi ogni sabato scommettendo, ossessionato dalla caccia ai comunisti, avverso ai capelli lunghi, alla barba, ai baffi e alle cravatte rosse, che vietò categoricamente nel Bureau, soffriva di una certa fobia nei riguardi delle mani sudaticce, delle mosche, dei germi e del sesso. La sua grande amicizia con Clyde Tolson, il suo braccio destro, reclutato nel 1927 e divenuto vicedirettore nel 1930, alimentò presto svariati pettegolezzi sull’ esistenza di un rapporto omosessuale tra loro, tanto che il giornalista Ray Tucker ne parlò apertamente sulla rivista «Collier»: l’ FBI rispose inserendo il suo nome tra i sospettati di attività sovversive, lasciando trapelare anche determinate indiscrezioni compromettenti sul suo conto. Qualche tempo dopo, Meyer Lansky, il noto capo della criminalità ebraica, ricattò per anni i federali sostenendo di aver ottenuto le prove fotografiche dell’ omosessualità del loro direttore, riuscendo a proteggere i propri affari delinquenziali.
Maestro del ricatto, Hoover riuscì sempre a mantenere una completa autonomia dal Dipartimento di Giustizia e dalla Casa Bianca, nonché un vantaggio strategico sui rivali, accumulando le prove di qualcosa di compromettente a proposito di Presidenti, ministri, senatori e imprenditori, che al momento opportuno metteva al corrente dichiarando che nel corso di un’ indagine aveva casualmente scoperto tali informazioni, assicurando che nessuno ne sarebbe mai venuto a conoscenza: da quel momento il direttore dell’ FBI teneva in pugno il proprio bersaglio. Probabilmente i famigerati fascicoli non custodivano sempre notizie sicure, ma nessuno ebbe mai il coraggio di accusare Hoover di barare, ragion per cui egli mantenne sempre pieni poteri e libertà.
Hoover e i fratelli John e Robert Kennedy;

Durante gli Anni Quaranta, Hoover procurò al Bureau un laboratorio scientifico pionieristico, e la concessione da parte di Roosevelt di indagare anche nei casi di spionaggio internazionale, particolare elemento che gli diede ulteriore potere nella caccia ai comunisti. Notoriamente ostile al Presidente Truman, a cui diede perfino del bugiardo, si convinse che alcuni membri del suo governo fossero in realtà membri del Partito Comunista sovietico, e quando il Presidente gli ordinò di lasciar cadere l’ indagine, predispose una disastrosa fuga di notizie con cui compromise gli alti funzionari di Stato. 
Al culmine del suo potere, poco dopo l’ inizio del Maccartismo, Hoover varò il COINTELPRO, un programma di infiltrazione e controspionaggio interno dell’ FBI, che rimase segreto fino al 1971, atto a neutralizzare la crescita dei movimenti dei diritti civili soprattutto di sinistra e afroamericani, ma anche di estrema destra, nonché di personaggi illustri come Martin Luther King. Fece pubblicare un opuscolo contenente i nomi di centocinquantuno artisti, registi e scrittori considerati potenziali sovversivi rossi. Uno dei suoi bersagli più noti fu Charlie Chaplin, già vittima del Maccartismo. La sua mania per il pericolo comunista fu tale che nel 1959 ben quattrocentottantanove agenti si occupavano di spionaggio rosso, e quattro soltanto erano assegnati al crimine organizzato, ma grazie ad abili manovre pubblicitarie la sua direzione passò alla storia per aver combattuto a lungo la criminalità, togliendo di mezzo individui come John Dillinger e George Kelly. Consapevole del grande potere della pubblicità, promosse un’ attenta e grande campagna nel corso della quale approvò film e sceneggiati sull’ FBI e servizi in cui lui stesso veniva presentato come un grande e impavido eroe nazionale.

Nel 1960, John Fitzgerald Kennedy divenne il nuovo Presidente degli Stati Uniti, e insieme al fratello Robert, suo Procuratore generale, concordò un piano per sostituire Hoover, ormai incontrollabile. Il direttore del Bureau, però, vantava già il possesso di varie informazioni assai delicate sul loro conto e della loro famiglia, non esclusi il padre, le rispettive mogli e le amanti. Il piano, già compromesso, naufragò completamente nel 1963, con l’ assassinio del Presidente a Dallas. Negli anni successivi, i suoi attacchi a Martin Luther King, amico dei Kennedy, si fecero più aggressivi: lo accusò di essere un «volgare mentitore» e un «mandrillo dagli istinti sessuali ossessivi e degenerati», e gli fece spedire una lettera anonima per indurlo al suicidio, e all’ annuncio del suo assassinio nel 1968 alcuni agenti dell’ FBI applaudirono. 
Quando Lyndon B. Johnson, vicepresidente di Kennedy, divenne Presidente, revocò per il direttore dell’ FBI l’ obbligo di pensionamento a settant’ anni, ma lo tenne sempre sotto stretta sorveglianza. Alla ricerca di utili alleati, Hoover considerò con sempre più attenzione Richard Nixon, con cui aveva relazioni personali fin da quando era vicepresidente di Eisenhower: nel 1969, quando divenne Presidente, si vantò apertamente e con un certo fondamento con i propri collaboratori di avergli assicurato la via per lo Studio Ovale. Da parte sua, ben cosciente di avere a che fare con una forza incontrollabile e paranoica, Nixon tentò due volte di licenziarlo, ma senza successo. Pur essendo riuscito a tenersi la carica, Hoover subì seri danni e, per ripicca, piantò i semi che, negli anni, avrebbero portato allo scandalo Watergate.
Hoover e Richard Nixon;

Colto da un attacco cardiaco, Hoover morì il 2 maggio 1972. Scapolo e senza figli, aveva settantasette anni, ed era stato direttore dell’ FBI per ben quarantotto anni. Gli vennero tributati funerali di Stato, e il Congresso autorizzò l’ esposizione della salma nella Rotonda del Campidoglio, un onore concesso solo ad altri ventuno statunitensi, tra Presidenti, statisti ed eroi di guerra. Al fine di proteggerne il corpo da vandali e comunisti, o da eventuali attacchi nucleari, l’ FBI lo fece sigillare in una bara rivestita internamente di piombo e pesante oltre quattro quintali: due dei giovani militari che la portarono a spalla si procurarono un’ ernia, mentre una delle guardie d’ onore cadde svenuta. 
Dopo le esequie solenni, i dirigenti del Bureau discussero della successione e su cosa fare dei suoi temutissimi schedari segreti, che però erano stati prontamente distrutti dalla sua segretaria personale, Helen Tandy. Clyde Tolson, il vecchio amico di Hoover, assunse la direzione ad interim dell’ FBI e venne sostituito dopo appena un giorno da L. Patrick Gray, nominato da Nixon. Due settimane più tardi, Tolson lasciò il Bureau e morì tre anni dopo.


La direzione di Hoover rimane tuttora la più lunga della storia statunitense: Nixon decise che da quel momento la direzione del Bureau non avrebbe superato i dieci anni. Nel 1979 il Comitato per le indagini sugli omicidi, dopo aver riaperto le indagini sull’ assassinio di Kennedy, dichiarò che Hoover si sarebbe comportato in modo non adeguato sulla «possibile cospirazione tesa ai danni di Kennedy», e fu l’ inizio di una rivalutazione non sempre lusinghiera della reputazione e del suo operato. Da allora si è sempre più sospettato di atti di violenza nel corso delle più importanti e delicate indagini, come quelle relative all’ assassinio di Martin Luther King. Oltre all’ appoggio al senatore McCarthy e alla condivisione totale delle sue idee, contribuì in prima persona a diffondere il clima di caccia alle streghe degli Anni Cinquanta, e promosse una grave restrizione delle libertà civili a danni anche di persone innocenti.

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