venerdì 13 ottobre 2017

Mafalda, il triste destino di una principessa

«Italiani, io muoio: ricordatevi di me non come una principessa ma come una vostra sorella italiana.» ultime parole della principessa Mafalda;
Mafalda di Savoia;

A seguito del referendum istituzionale del 1946, il Regno d’ Italia divenne una Repubblica. Per un lungo ventennio il regime fascista aveva soppresso numerose libertà in nome della sicurezza, e in appena sei anni la Seconda Guerra Mondiale aveva ridotto la raffinata Europa in un cumulo di macerie ricoperte di cadaveri, e l’ intera popolazione non chiedeva altro che voltare pagina il più velocemente possibile nella speranza che il futuro si rivelasse più sereno.
Molto si è detto e scritto sull’ era della Ricostruzione dell’ Italia, sostenendo peraltro le più diverse opinioni, ma per quanto riguarda Casa Savoia, la deposta famiglia reale indotta ad un esilio sancito dalla XIII Disposizione Transitoria della Costituzione repubblicana, calò una densa cortina del silenzio, talvolta infranta da giudizi molto severi animati più dall’ ideologia politica dominante del momento che da realistici ricordi storici. Oggi, tuttavia, si tende sempre più a chiedersi se fosse veramente necessario costringere al bando perpetuo Umberto II, il Re di Maggio, la moglie Maria José del Belgio e i giovanissimi quattro figli, peraltro requisendo l’ intero patrimonio dinastico situato entro i confini nazionali, dal momento che nessuno aveva mai pensato a rivalersi sui membri superstiti della famiglia di Benito Mussolini, ormai morto nel disonore e successivamente esposto a un disgustoso eccesso di spregio a Piazzale Loreto: la vedova Rachele Guidi, i quattro figli e i vari nipoti vissero una vita modesta e senza clamore sul suolo italiano senza mai dover rispondere di quanto compiuto dal Duce.
Vittorio Emanuele III fu senz’ altro connivente con il regime fascista, ma a questo proposito occorre ricordare il clima sociale e politico alla fine degli Anni Dieci e all’ inizio degli Anni Venti, reso assai precario dalla vittoria mutilata riportata con la Grande Guerra, dalla grande crisi economica e dall’ aggravarsi della paura comunista: in uno scenario del genere il Fascismo era effettivamente apparso come una garanzia di durevole stabilità, soprattutto agli occhi del sovrano che non aveva più le idee chiare su come procedere dal decisivo trionfo a Vittorio Veneto. Meno giustificabili furono invece l’ approvazione delle leggi fascistissime e la tolleranza nei confronti dell’ avvicinamento del Regno d’ Italia alla Germania, dell’ introduzione delle leggi razziali e dell’ entrata in guerra nonostante l’ antipatia più volte dimostrata verso Adolf Hitler.
L’ ondata di risentimento che il regnante lasciò dietro di sé fu tale che le correnti antimonarchiche, sia di destra che di sinistra, dipinsero facilmente i Savoia come un elemento negativo della storia italiana, inducendo più o meno intenzionalmente le nuove generazioni a confondere Monarchia con Fascismo.

Le guerre, come è noto, provocano vittime in ogni luogo e contesto sociale, e nel cupo conflitto avvenuto tra il 1939 e il 1945 anche Casa Savoia ebbe il suo martire: la principessa Mafalda, figlia secondogenita di Vittorio Emanuele ed Elena, arrestata dagli ufficiali nazisti per puro spirito di vendetta dal momento che il Führer si era sentito vilmente tradito dal monarca italiano, che aveva sostituito Mussolini con Badoglio e lasciato Roma per salvare le istituzioni dello Stato come un novello Pompeo in fuga da Cesare, promuovendo infine l’ Armistizio di Cassibile, con cui il Regno d’ Italia cessò ogni ostilità con gli Alleati.
Quello di Mafalda è un personaggio singolare, che il clima di propaganda antimonarchica non ha saputo fortunatamente scalfire.
Mafalda e il marito Filippo d' Assia;

Mafalda Maria Elisabetta Anna Romana di Savoia nacque a Roma il 19 novembre 1902. Dotata di animo vivace e dolce, mite e obbediente, semplice e indulgente, era straordinariamente intelligente e colta, ricordata come benevola e amabile, sempre pronta ad aiutare gli altri. Dalla madre, Elena del Montenegro, ereditò il senso della famiglia, i valori umani e la passione per la pittura, il canto e l’ arpa. Devotissima cattolica, trascorse l’ infanzia in un ambiente più familiare che nobiliare, accanto alla madre e alle sorelle, denotando un temperamento piuttosto allegro, tanto che la regina la descriveva come la sola persona al mondo in grado di far ridere il re.
Durante la Prima Guerra Mondiale, la giovane principessa maturò un profondo senso di empatia per i bisognosi e i disagiati, e seguì la madre e le sorelle nelle frequenti visite ai soldati e agli ospedali, venendo coinvolta con entusiasmo nelle attività di conforto e cura alle truppe tanto care alla sovrana.

Donna di grande classe e finezza di tratti, guardò favorevolmente l’ ascesa del Fascismo, e il 23 settembre del 1925 sposò Philipp von Hessen-Kassel und Hessen-Rumpenheim, principe e langravio di Assia, da cui ebbe quattro figli nonostante la salute piuttosto cagionevole. Sposa e madre esemplare, per vivere accanto all’ amato consorte sopportò i rigori del clima tedesco finché i medici glielo impedirono. Nel 1930, il marito Philipp, eccitato dalle idee naziste, aderì al Partito. All’ indomani dell’ ascesa di Hitler alla Cancelleria di Berlino, nel 1933, fu nominato governatore della Provincia di Assia-Nassau, per poi ottenere un seggio nel Reichstag. In seguito divenne intermediario tra Mussolini e Hitler, e nel 1939, allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, divenne un distinto ufficiale delle SS.
Sul finire dell’ agosto 1943 la situazione politica e militare in Italia era sull’ orlo del baratro, e Mafalda, dotata di uno spirito sensibile, decise di partire per Sofia, in Bulgaria, nel desiderio di assistere la sorella Giovanna, il cui marito, il re Boris, era molto malato. Temendo che potesse eventualmente informare il marito, agli ordini del Führer nel suo quartier generale, il padre Vittorio Emanuele e nessun altro famigliare la mise al corrente dei molti pericoli e dei preparativi in corso atti ad aprire le trattative con gli Alleati, pertanto si mise in viaggio per la capitale bulgara, ma prima di arrivare a destinazione fu informata della morte del cognato, probabilmente fatto uccidere da Hitler per non essersi schierato con la Germania, e durante la permanenza nel regno orientale apprese la notizia dell’ Armistizio. Subito dopo i funerali decise di tornare a Roma, ma una volta giunta a Pescara seppe che i genitori e il fratello Umberto erano salpati da Ortona, senza avvertirla.
Rientrata finalmente nella capitale, ora occupata dai nazisti, si ricongiunse ai figli, tre dei quali erano stati condotti per sicurezza in Vaticano per disposizione della regina Elena, e sicura di poter contare sull’ assistenza del Terzo Reich perché cittadina tedesca, informò l’ ambasciata del suo arrivo. Il colonnello Kappler, tuttavia, il 22 settembre la attirò in trappola con la scusa di una telefonata da parte di Philipp: una volta arrivata, l’ ufficiale la arrestò e la trasferì a Monaco, da dove poi fu portata a Berlino e, infine, imprigionata nel lager di Buchenwald.
Il lager di Buchenwald;

Ormai prigioniera con un falso nome, Frau von Weber, fu assegnata a una baracca ai margini del campo, che condivise con un ex ministro socialdemocratico, e venne sottoposta a un regime durissimo, seppur privilegiato rispetto a quello di altri prigionieri dal momento che riceveva cibo più abbondante e di migliore qualità. Nondimeno la vita del campo e l’ intenso freddo invernale deperirono ulteriormente il suo già gracile e provato fisico, rimasto segnato dal tifo di cui aveva sofferto nel 1923, e i tentativi di nascondere la sua vera identità furono presto resi vani: i prigionieri italiani sentirono infatti parlare di lei, e un medico italiano ivi rinchiuso le prestò soccorso. Secondo le testimonianze fece sentire tutta la sua vicinanza agli altri detenuti, in particolare ai suoi compatrioti, soprattutto dividendo la maggior parte del cibo che le veniva destinato.
Nell’ agosto del 1944 gli Alleati bombardarono Buchenwald. La baracca in cui la principessa era prigioniera venne distrutta, e lei riportò gravi ustioni e contusioni su tutto il corpo. I soccorsi non furono solleciti, e quando venne estratta dalle macerie venne ricoverata nell’ infermeria della casa di tolleranza degli del campo, dove fu assistita dalle prostitute, che la medicarono con una semplice fasciatura al braccio sinistro, rimasto maciullato. Dopo quattro giorni le sue condizioni si aggravarono con l’ insorgenza della cancrena, e i medici delle SS decisero di amputarle il braccio: il chirurgo eseguì una minuziosa operazione avvalendosi dell’ anestesia generale, ma la principessa era troppo debole per sostenere tale narcosi e una così abbondante perdita di sangue. L’ intervento ebbe una durata dalla lunghezza sconvolgente, e quando finalmente terminò, Mafalda venne abbandonata a sé stessa ancora addormentata in una stanza del postribolo, ove in poche ore morì dissanguata la notte del giorno 28.
Busto commemorativo in Alessandria;

Il suo corpo venne completamente spogliato e gettato sul mucchio dei cadaveri del bombardamento, per essere cremato, ma padre Joseph Tyl, monaco cattolico dell’ ordine degli Agostiniani Premostratensi e di nazionalità boema, dopo molti sforzi riuscì a farlo seppellire in una bara di legno, in una fossa senza nome ove registrata con il numero 262.
Secondo il dottor Fausto Pecorari, radiologo internato a Buchenwald, che subito dopo essere rientrato a Trieste si recò personalmente a Roma per informare il principe Umberto, Mafalda venne intenzionalmente operata in ritardo e con una procedura molto precisa al fine di provocarne la morte: sembra che il metodo delle operazioni esageratamente lunghe fosse già stato regolarmente applicato a Buchenwald da parte delle SS su soggetti di cui ci si desiderava sbarazzare senza destare sospetti.

Il triste destino della principessa Mafalda, la cui tomba venne scoperta dopo alcuni mesi da sette marinai di Gaeta internati a Buchenwald, cosa che permise di spostarne le spoglie nel piccolo cimitero degli Assia, al castello di Kronberg im Taunus, nei pressi di Francoforte sul Meno, suscitò una generale commozione, al punto che alla vigilia del cinquantesimo anniversario della sua morte i massimi esponenti dell’ Unione Monarchica Italiana lanciarono al Vaticano un appello per la sua beatificazione.

Attualmente, il suo ricordo vive in oltre centocinquanta vie, piazze e giardini pubblici a lei intitolati, anche in città tradizionalmente legate alle correnti di sinistra, prime tra tutte Forlì e Modena. Un comune della provincia di Campobasso porta il suo nome, e in tutta Italia, da nord a sud, sono stati eretti in suo onore cippi e monumenti che vanno ad assommarsi alle numerose richieste di intitolazioni topografiche.

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