giovedì 12 ottobre 2017

Il cuore della spiritualità buddhista

Il Buddha;

La spiritualità è una parte molto importante nella vita di una persona. Persino molti atei ne sentono il bisogno, dal momento che il termine indica tutto ciò che fa bene alla parte spirituale e psicologica dell’ individuo, senza necessariamente legarsi a un culto o a un credo particolare. Da parte sua, il Buddhismo è una filosofia molto antica e profonda. Il suo insegnamento si rivolge direttamente all’ essere umano, che descrive come il motore della sua realizzazione spirituale, un’ entità completa che non ha bisogno di propiziarsi alcuna divinità per compiere appieno la propria natura. Il Buddha parlò molto chiaramente in proposito: «Nessuno ci salva tranne che noi stessi. Nessuno ne è capace e nessuno potrebbe. Noi stessi dobbiamo prendere il cammino.».

Negli ultimi decenni la via buddhista ha riscosso un notevole e crescente interesse in Occidente, dal momento che rappresenta una forma di spiritualità rivolta a tutti, senza imporsi però a nessuno, eppure vari aspetti dei suoi intensi e suggestivi concetti vengono tuttora fraintesi, destando opinioni e giudizi piuttosto inesatti: c’ è chi afferma, ad esempio, che invogli ad abbandonare il mondo per dedicarsi giorno e notte alla meditazione, al sicuro da ogni tentazione, che induca il praticante a una passiva indifferenza o che lo porti addirittura a maturare una certa disapprovazione nei riguardi dell’ esistenza, fonte inesauribile di patimenti e dispiaceri. Invece, il cuore dell’ insegnamento del Buddha incita ad adoperarsi attivamente per migliorare il mondo, nella convinzione che per essere liberi non sia indispensabile lasciare i propri beni materiali, ma eliminare l’ egoismo in favore di un atteggiamento armonioso. Chi pratica il Buddhismo avverte continuamente sensazioni buone e cattive, ma non si lascia guidare dal desiderio e nemmeno turbare dalle esperienze negative. Tra i versetti del Dhammapada, la scrittura buddhista più nota e contenente le parole pronunciate direttamente dal Maestro in svariate occasioni, viene riportata una massima in tal senso molto particolare. In queste semplici parole si rispecchia non soltanto il nucleo filosofico da lui trasmesso in quarantacinque anni di insegnamento, ma tutta quanta la spiritualità, nel suo significato più puro ed esteso, scevro da qualsivoglia confessione religiosa: «Astenersi dal male; fare il bene; essere sempre consapevoli. Questo è l’ insegnamento del Risvegliato.».

Il Buddha, così esprimendosi, evidenziò tre concetti fondamentali: la rinuncia, la compassione e la saggezza. Nel linguaggio spiritualista orientale, e soprattutto buddhista, esse assumono un significato molto preciso, ma in Occidente il loro senso viene facilmente alterato. La rinuncia viene infatti scambiata per l’ ascesi. Prima di illuminarsi, ovvero comprendere la vera natura delle cose e della vita, il Risvegliato visse effettivamente come asceta, abbandonando ogni cosa e andando a vivere in una caverna, quasi morendo di fame, finché in un secondo momento comprese l’ inutilità dell’ ascetismo in quanto estremo da evitare. Tuttavia, per rinuncia nel Buddhismo si intende il desiderio di essere liberi dalla sofferenza e dalle sue cause. A questo obiettivo si giunge soprattutto domando il desiderio egoistico, la bramosia. Questo non impone l’ abbandono delle comodità o delle cose che si amano, piuttosto implica lo sforzo di risolvere i problemi causati dall’ attaccamento e dagli eccessi collegati a queste cose: si può infatti trarre piacere da tutte le cose e dalla compagnia di ogni persona in totale assenza di attaccamento, dato che l’ ingordigia per qualcosa o qualcuno crea dipendenza, dunque nuovi problemi. La moderazione, nel linguaggio occidentale, è il perfetto sinonimo della rinuncia buddhista, dell’ astensione dal male. Da parte sua, la compassione è un altro grande concetto spesso e volentieri male interpretato in Occidente, per quanto rappresenti un principio fondamentale comune al Cristianesimo. Per i buddhisti la compassione non è un sentimento di pena e pietà ma un agire altruistico, del tutto motivato dal bene e dalla felicità altrui. Tale generosità non si traduce mai in passività e accettazione di ogni cosa, dando sempre a tutti ciò che vogliono: se per esempio un drogato desidera una nuova dose o un ubriaco chiede di guidare l’ automobile, la compassione, il fare il bene, abbinata a un’ opportuna riflessione, impone agli altri di non soddisfare tali desideri. Talvolta occorre agire con forza, per impedire che accadano fatti gravi e dolorosi. E’ sempre meglio agire con nonviolenza per prevenire o correggere situazioni difficili, ma se l’ unico modo per sgominare un pericolo è un’ azione forte non c’ è scelta, altrimenti si cade nella passività. Tra tutti, infine, la saggezza, l’ essere consapevoli, è il termine con cui il comune occidentale denota maggiore dimestichezza. In ambito buddhista indica la conoscenza della vacuità, che si acquisisce con la meditazione e l’ intuizione, attraverso cui si raggiunge direttamente il Risveglio: tutte le cose sono interdipendenti e soggette a mutamento, nessuna di esse esiste separata, come entità propria. Tutto è unito, parte senza distinzioni dello stesso insieme, ma il vuoto di cui si parla nel Buddhismo non equivale alla non esistenza e al vuoto, bensì a un pieno di tutto.
Immagine del Buddha all' entrata di un centro in Italia;

Non occorre essere buddhisti per apprezzare il significato della particolare massima citata nel Dhammapada. In queste semplici parole si racchiude una spiritualità di altissimo livello. Dedicarsi alla cura dello spirito non significa recitare una preghiera, andare in un tempio o, più in generale, aderire a una fede. Per quanto, entro certi limiti, siano cose importanti, è fondamentale guardare dentro sé stessi con i propri occhi, migliorarsi e agire positivamente sia per noi che per gli altri con le proprie forze e trarre ogni conclusione per mezzo dell’ esperienza personale, più che della fede.

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