mercoledì 11 ottobre 2017

Joseph Patrick, un Kennedy all’ ombra del figlio

«Se Joe Kennedy fosse al potere ci darebbe una forma di governo fascista: organizzerebbe un piccolo ma potente comitato da lui stesso presieduto, con cui guiderebbe il Paese senza far troppo caso al Congresso.» Franklin Delano Roosevelt;
Joseph Patrick Kennedy, patriarca della celebre dinastia;

Per gli antichi greci l’ immortalità non equivaleva a vivere per sempre, ma essere ricordati in eterno nella storia per aver compiuto azioni particolarmente notevoli. Ancora oggi il concetto stesso di personaggio storico poggia su questo particolare principio, e il ricordo di uomini e donne molto speciali è giunto sino a noi a seguito di imprese notevoli con cui vollero ciascuno a modo proprio beneficiare il mondo.
E’ tuttavia interessante notare quanto alcuni di questi individui rilevanti non furono i veri ispiratori delle azioni che compirono e a cui dovettero la notorietà, in quanto misero mano ad un’ impresa già in atto, in certi casi avviata dal proprio padre, migliorandone l’ ideazione originaria e prendendosi tutto il merito, eclissando inevitabilmente la memoria del genitore. Per esempio, che cosa sarebbe mai stato il giovane Alessandro III di Macedonia, sovrano e condottiero che conquistò un impero che si estendeva dalla penisola ellenica al fiume Indo comprendendo il Vicino e il Medio Oriente, nonché l’ Egitto, se il padre Filippo II non avesse mosso i primi passi annettendo la Grecia con la vittoria di Cheronea? Similmente, quale avvenire avrebbe avuto la famiglia irlandoamericana dei Kennedy, la celeberrima e amatissima dinastia statunitense legata al Partito Democratico, senza l’ ampio intervento di Joseph Patrick, il suo grande capostipite, che ne guidò l’ ascesa ai vertici della ricchezza e del potere? Pare piuttosto improbabile che suo figlio John, ben più famoso di lui, sarebbe divenuto il trentacinquesimo Presidente degli Stati Uniti, e che Robert Francis ed Edward, i suoi altri rampolli, sarebbero ascesi rispettivamente al rango di Procuratore generale e Senatore del Massachusetts.
Joseph Patrick, detto «papà Joe», fu un uomo geniale ed estremamente ambizioso, addirittura discutibile, crudele e spregiudicato, senza il quale non è esagerato affermare che la storia del XX secolo sarebbe stata molto diversa.

Joseph Patrick Kennedy nacque il 6 settembre 1888 a Boston da Patrick Joseph e Mary Augusta Hickey. I nonni paterni, Patrick e Bridget Murphy, erano entrambi immigrati irlandesi di religione cattolica. Nonno Patrick aveva lasciato New Ross durante la grande carestia del 1848, sbarcando a Boston dove si era dato al commercio di liquori e alla gestione di un’ osteria, morendo poverissimo in un’ epidemia di colera appena trentacinquenne. Il padre, Patrick Joseph, rimasto orfano ad appena dieci mesi dalla nascita, dopo anni trascorsi gestendo una drogheria, un punto di vendita di alcolici e un saloon, aveva aderito al Partito Democratico divenendo Deputato del Massachusetts nel 1884, appena ventiseienne, per poi divenire Senatore pochi anni dopo. Si era poi arricchito con gli interessi nel settore carbonifero e una consistente acquisizione delle azioni della Columbia Trust Company.
Il giovane Joseph, tipico irlandoamericano rosso di capelli, atletico, duro e manesco, fin dall’ infanzia dimostrò una spiccata intelligenza e voglia di riuscire, e il continuo esempio della scaltrezza paterna gli insegnò svariate acutezze. Frequentò la scuola parrocchiale e la Boston Latin School, approdando infine ad Harvard, la più esclusiva università nazionale, ove si laureò a pieni voti nel 1912, dandosi poi all’ imprenditoria e agli investimenti. Non divenne mai un tradizionale capitano d’ industria, in quanto non fondò e non guidò nessun impero produttivo che contribuì alla preminenza economica e finanziaria nel mondo, ma fu direttore di importanti banche e imprese, accumulando un’ immensa fortuna con ampie e ben studiate speculazioni in Borsa e nel settore immobiliare, riorganizzando peraltro società in dissesto.
Il 7 ottobre 1914, dopo sei anni di fidanzamento e una corte inarrestabile, sposò Rose Elizabeth Fitzgerald, figlia di John Francis, lo storico sindaco di Boston, detto «Honey Fitz» e appartenente a una facoltosa famiglia di Boston di discendenza irlandese, di cui dovette superare la forte opposizione in quanto desiderava avere come genero Sir Thomas Johnstone Lipton, il primo importatore su vasta scala di tè cingalese in Europa: a tal proposito si racconta che Kennedy mandasse ogni giorno a Rose abbondanti mazzi di fiori, arrivando fino a domandarle: «Preferisci i fiori freschi o l’ erba secca?». Conducendo all’ altare la bella e distinta giovane, incontrata per la prima volta sulla spiaggia di Old Orchard, nel Maine, lo sposo promise che avrebbe guadagnato un milione di dollari per ogni figlio che lei avrebbe partorito, ma si spinse senza problemi molto oltre le previsioni: negli anni lei diede alla luce nove figli, e lui accumulò una fortuna pari a duecentocinquanta milioni.
Kennedy e la moglie Rose nel 1940;

Negli anni successivi, «papà Joe» collezionò un successo dietro l’ altro, accumulando immensi profitti e stringendo legami con le più influenti famiglie del mondo, come i Rothschild, gli Astor e i Sassoon. Si avvicinò molto al magnate della stampa e William Randolph Hearst, ed entrò a far parte di diversi ordini altamente esclusivi come i Cavalieri di Malta e la Pilgrim Society, probabilmente la più influente cerchia esistente. Membro di enorme peso nella comunità irlandese, fiero cattolico e impenitente donnaiolo, si concesse un signorile stile di vita e una lunga schiera di bellissime amanti, continuando a riempire i già traboccanti forzieri con i vertiginosi profitti del contrabbando di liquori negli anni del Proibizionismo, nel cui contesto strinse legami molto solidi con i membri più importanti delle maggiori cosche mafiose, come Frank Costello di New York e Sam Giancana di Chicago.
Alla fine degli Anni Venti, affascinato dal mondo del cinema, decise di investire in quest’ altra attività, sostenendo che si trattasse di un’ industria gigantesca ma che nessuno se ne rendesse conto in quanto a Hollywood non si teneva un solo libro mastro che dicesse qualcosa a un banchiere. Nel 1927 si avvicinò a Gloria Swanson, rinomatissima stella del cinema muto, una bellezza altera e intrigante con un’ accattivante chioma corvina, con cui fondò una casa produttrice. Kennedy perse letteralmente la testa per lei, e i due divennero presto amanti, al punto che lui volle portarsela in vacanza con la famiglia, ricoprendola di regali assai costosi quali una Rolls-Royce e raffinatissimi gioielli, ma in occasione dell’ uscita di «La regina Kelly», nel 1928, che fu un vero e proprio fiasco a causa di svariati problemi relativi alla sceneggiatura, alle manie del regista Erich von Stroheim e all’ improvviso avvento del sonoro, la carriera della Swanson rimase seriamente compromessa, e alla fine del 1930 la loro relazione naufragò: Kennedy la piantò in asso addebitandole sul conto tutti i doni e ritirando i cinque milioni ricavati dai suoi pochi anni di attività come produttore, usandoli a beneficio della sua carriera politica, che varò aderendo al Partito Democratico pur senza tralasciare la consueta attività imprenditoriale, che seppe convenientemente proteggere dagli scossoni della grande crisi del 1929.
Kennedy nel 1938;

Acceso sostenitore di Franklin Delano Roosevelt, gli procurò un grande sostegno in campagna elettorale, tanto nel 1932 quanto nel 1936, e in cambio venne scelto come primo Presidente della Commissione per i Titoli e gli Scambi, il comitato governativo incaricato di controllare le illegalità del mercato azionario e della Borsa: a quanti protestarono sostenendo che non fosse la scelta ideale per condurre tale importante e delicato compito, in quanto era notoriamente uno dei tanti speculatori dalla condotta assai discutibile che sguazzavano a Wall Street e dintorni, lo Studio Ovale rispose che nessuno meglio di un aguzzino fosse capace di smascherare altri aguzzini. Patrick Joseph era peraltro uno stretto consigliere del Presidente, che aveva totale fiducia in lui in quanto era notoriamente al corrente di tutti i trucchi del mondo della finanza.
Il 17 gennaio 1938 avvenne la grande svolta nella carriera politica dell’ affarista irlandoamericano, che fu nominato quarantaquattresimo Ambasciatore degli Stati Uniti in Gran Bretagna, posizione di enorme prestigio che gli consentì di considerare concretamente l’ idea di puntare lui stesso alla Casa Bianca, e che gli diede l’ opportunità di stringere solidi legami con la nobiltà britannica e la stessa famiglia reale, i Windsor, da cui fu spesso ricevuto con grandi onori: alla piccola principessa Elisabetta, figlia maggiore di re Giorgio VI, veniva sempre raccomandato di parlargli in modo appropriato. Ritenuto il più influente ambasciatore inviato negli ultimi anni, divenne velocemente un amico intimo del Primo ministro Chamberlain, ma nel corso del suo incarico commise un clamoroso errore sostenendo che gli Stati Uniti avrebbero fatto meglio a non intervenire nel conflitto prossimo a scoppiare in Europa, e dichiarando addirittura che Londra non avrebbe potuto competere con la potenza militare di Berlino. Peggio ancora, i giornali pubblicarono una sua esplosiva dichiarazione: «Sono pronto a spendere tutto il mio patrimonio per tenerci fuori da questa guerra. Quale utile potremmo mai ricavarne? Conosco l’ Europa meglio di qualunque altro statunitense. La democrazia britannica è spacciata, la Gran Bretagna non si batte per la democrazia, ma per sopravvivere!».
Quando Chamberlain si dimise in favore di Winston Churchill allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale, l’ ambasciatore si trovò in serie difficoltà, al punto che il nuovo Primo ministro stabilì contatti diretti con il Presidente degli Stati Uniti, tagliandolo fuori. A seguito di alcune indiscrezioni da lui fatte ai danni della moglie di Roosevelt, Eleanor, che dipinse come una seccatrice che gli ingiungeva di invitare per un tè in ambasciata qualche tizio sconosciuto, fu infine richiamato in patria, tuttavia, per motivi di immagine scelse di dimettersi il 2 ottobre 1940, e una volta rimpatriato si dissociò da Roosevelt alleandosi con gli isolazionisti, schierandosi nell’ ala conservatrice del Partito. Resosi ormai conto di aver perduto la battaglia per la presidenza, si ritirò dietro le quinte cercando di porre i propri figli in posizioni di potere.
Kennedy e i figli maggiori, Joe Junior e John;

A dispetto di quanto appariva nelle foto di famiglia, che ritraevano una grande e felice famiglia statunitense, Kennedy fu sempre un padre assai severo ed esigente con ognuno dei suoi figli, incoraggiando i quattro maschi, Joseph Patrick Junior, John, Robert Francis ed Edward, a dare costantemente il meglio di sé in ogni campo della vita, dagli studi allo sport, e persino in ambito amoroso, stuzzicandone la reciproca competitività per attirarsene l’ approvazione. Manifestò un debole per il primogenito, Joseph Patrick Junior, in cui vide un Presidente, e si mosse con energia per spianargli la strada.
La sua terza figlia, Rosemary, fu da sempre uno dei suoi tormenti più gravi. Nata con un parto complicato, durante il quale l’ infermiera, in attesa del medico, le impedì di nascere tenendola nel canale uterino per ben due ore in assenza di ossigeno, crescendo manifestò un ritardo mentale e violenti sbalzi di umore, nonché una condotta sessuale particolarmente spigliata. Nel 1941, volendo sottrarre la famiglia a possibili motivi di imbarazzo, Kennedy propose a moglie e figli la possibilità di sottoporla a un intervento di lobotomia prefrontale, capace di migliorarne la situazione: nessuno di loro approvò francamente la terribile soluzione, ma nemmeno si mossero contro. L’ intervento, peraltro, non andò a buon fine, in quanto fece della ventitreenne Rosemary un vegetale ormai incontinente che trascorreva giornate intere fissando le pareti da una sedia a rotelle, incapace di esprimersi se non con parole insensate. Dopo averla mandata in un istituto, il padre non nominò mai la lobotomia al pubblico e spiegò l’ assenza della figlia, che non andò mai a trovare, dicendo che era timida e introversa. Il suo nome non venne mai più menzionato in famiglia.
Durante la guerra, Joseph Patrick Junior e John vennero arruolati entrambi nella Marina, ma l’ amatissimo primogenito morì nel 1944 nei cieli britannici durante un misterioso incidente aereo nel contesto del Progetto Aphrodite, in cui le forze armate sperimentavano nuove tipologie di bombardamento basate sull’ uso di bombardieri imbottiti di esplosivo. I suoi resti non furono ritrovati. La sua morte fu un duro colpo per tutta la famiglia, e quattro anni dopo anche Kathleen Agnes, la quarta figlia, sposata con William Cavendish, marchese di Hartington, morì in un incidente aereo. Nonostante questi drammatici avvenimenti, l’ ambizioso patriarca non rinunciò minimamente all’ idea di avere un figlio alla Casa Bianca, pertanto si concentrò sulla carriera politica del secondogenito, John, che guidò minuziosamente come Membro della Camera dei rappresentanti del Massachusetts dal 1947 al 1953, poi come Senatore del Massachusetts dal 1953 fino alla presidenza, nel 1960: affermare che Joseph fosse la mente dietro l’ ascesa del figlio alla Casa Bianca è tutt’ altro che esagerato, in quanto giocò un ruolo centrale nella strategia di pianificazione, nella raccolta dei fondi e nella costruzione di coalizioni e alleanze. Gestì la spesa e la strategia della campagna, contribuendo peraltro a selezionare le agenzie di pubblicità, e trascorse giornate intere al telefono con i capi nazionali e locali di partito, oltre che con giornalisti e imprenditori. Schierò l’ intera famiglia, centinaia di dirigenti di campagna elettorale, esperti di sondaggi sull’ unione pubblica e persuasori occulti, un ciclopico raggruppamento di forze in cui rientravano le moltissime persone potenti incontrate nella sua carriera, che ciascuna a modo proprio fu chiamata ad aiutare John a varcare l’ ingresso della Casa Bianca, superando le molte difficoltà specialmente legate al fatto che fosse cattolico, cosa che inizialmente indusse buona parte dell’ elettorato a temere che potesse subire l’ influenza politica dal Vaticano.
Soprattutto, poco dopo le nozze di John con Jacqueline Bouvier, avvenute nel 1953, intervenne nella crisi matrimoniale dei due, dovuta al fatto che la nuora aveva sorpreso il figlio in atteggiamenti intimi con Peggy Ashe, che lavorava nel suo ufficio: Joseph Patrick offrì a Jacqueline un milione di dollari per non divorziare, spiegandole che se le nozze fossero andate in fumo la carriera di John sarebbe immediatamente terminata, e il sogno di vederlo ascendere alla presidenza sarebbe sfumato. La nuora, stizzita, rispose che sarebbero serviti venti milioni se John avesse portato a casa una qualsiasi malattia venerea contratta dalle sue amichette.
Kennedy in ufficio;

Dopo una battaglia molto impegnativa dall’ esito tutt’ altro che scontato, John riuscì finalmente a prevalere sul candidato repubblicano Richard Nixon: il 20 gennaio 1961, prestò giuramento solenne a Washington come trentacinquesimo Presidente degli Stati Uniti a Washington. Joseph, presente in quell’ importante giorno tra gli invitati, ne fu infinitamente orgoglioso: per tutta la vita si era preparato a un ruolo importante, impegnandosi senza mai risparmiarsi affinché per i figli fosse altrettanto, e ora vedeva un figlio seduto allo Studio Ovale e un altro al Ministero della Giustizia. Il trionfo era totale, il suo impegno veniva giustamente ricompensato. Eppure, nella miglior tradizione delle tragedie greche, la gioia venne presto interrotta: il successivo 19 dicembre, infatti, fu colpito da un ictus che lo lasciò paralizzato al fianco destro e incapace di parlare, ma ancora mentalmente lucido. Aveva settantatré anni. Mentre lottava per riprendersi ricorrendo alle migliori terapie che la sua ricchezza potesse permettergli assistette all’ assassinio di John, avvenuto in circostanze sospette il 22 novembre 1963 a Dallas, e a quello di Robert, ora Senatore di New York e candidato alla presidenza, che ebbe luogo il 6 giugno 1968 a Los Angeles.

Notevolmente debilitato e costretto a una sedia a rotelle, costantemente alle prese con la sua fragilità e impotenza e devastato dai gravi lutti, morì il 18 novembre 1969 nella sua casa di Hyannis Port, a ottantuno anni. Fu sepolto all’ Holyhood Cemetery di Brookline, in Massachusetts, e in seguito accanto a lui vennero sepolti la vedova Rose e la figlia Rosemary.

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