venerdì 13 ottobre 2017

Per l' onore di una città e il destino di un dominio

L' assassinio di Giulio Cesare;

L’ assassinio di Giulio Cesare è senza dubbio uno dei capitoli più sinistri e insieme più affascinanti di tutta la storia di Roma. Il 15 marzo del 44 avanti Cristo la vita di questo ambizioso politico e implacabile condottiero, di quest’ uomo sfaccettato dai grandi pregi e difetti, caduto per mano di nemici a cui aveva accordato il perdono, di amici che aveva colmato di onori e gloria e persino di alcuni che nel suo testamento aveva nominato eredi, venne consegnata alla leggenda. Tutto il popolo lo pianse, e la torva congiura in cui trovò la morte, animata da motivi sia politici che personali, non impedì al suo sogno di modellare il destino dell’ «Urbe».

Nel 509 avanti Cristo, Tarquinio il Superbo, re ingiusto e oppressivo, venne cacciato da Roma in seguito a una rabbiosa rivolta popolare istigata da Lucio Giunio Bruto, figlio di una sua sorella, nell’ intento di vendicare il fratello, ucciso dallo stesso sovrano. All’ indomani della cacciata del malefico zio, Bruto salì al potere contribuendo molto attivamente alla fondazione della Repubblica, un nuovo sistema ispirato alla democrazia ateniese atto a evitare che un gruppo di persone, e soprattutto un singolo individuo, potesse accumulare troppo potere oppure rimanervi per un periodo esagerato. Le funzioni svolte senza impedimenti dal re vennero suddivise tra i due consoli, capi di governo; il Senato, detentore del potere legislativo e di controllo nei riguardi dei consoli e dei vertici militari, responsabile peraltro della politica estera e finanziaria; il pontefice massimo, supremo grado sacerdotale; i tribuni della plebe, incaricati di difendere il popolo esercitando il diritto di veto contro ogni provvedimento che ne danneggiasse i diritti. Fatto rivoluzionario per l’ epoca, ogni titolo repubblicano nato dallo smembramento del potere reale era elettivo, temporaneo e collegiale: il popolo votava i candidati a tutte le cariche, e chi le deteneva le ricopriva per un anno e insieme ad almeno un altro aspirante, nel chiaro intento di evitare qualsivoglia abuso. Ogni carica era aperta a tutti ed esercitabile per un solo mandato, per di più esente da retribuzione.
Nonostante le ottime promesse iniziali, però, la Repubblica non divenne mai una sovranità popolare vera e propria: i patrizi, la classe aristocratica romana, a cui si apparteneva solo in caso di discendenza dai fondatori della città, grazie al nepotismo e allo scambio dei favori ottennero presto una salda precedenza, instaurando una vera e propria oligarchia che, comunque, seppe stimolare il decollo politico, culturale e militare di Roma, generando statisti e letterati di levatura e inducendo alla maggior parte delle conquiste nel Mediterraneo e in Europa, soprattutto tra il III e il II secolo avanti Cristo.
Busto di Giulio Cesare;

Come spesso accade quando potere e ricchezza superano i giusti limiti, dopo quattrocento anni la Repubblica venne ad essere inadeguata e ingiusta quanto la vecchia monarchia: era immensa, piena di delegati avidi e litigiosi, nessuno dei quali era interessato al bene comune. La corruzione era ovunque. Nonostante paresse destinata a durare per sempre, molte cose suggerivano che fosse ormai avviata verso un veloce e triste tramonto, in tono con la natura di tutte le cose. Il suo antico splendore era del tutto sfiorito, benché esteriormente non vi fossero segni di declino. In questo contesto di discordie e precarietà venne al mondo uno dei personaggi più importanti e influenti della vita politica e sociale di Roma: Caio Giulio Cesare, politico, militare e scrittore appartenente all’ antichissima famiglia Giulia, ritenuta discendente di Venere, Enea e Iulo, e di cui nei secoli fecero parte alcuni tra i personaggi più autorevoli dello Stato.
Mosso da un’ ambizione sconfinata, tanto che un giorno disse che avrebbe preferito essere il primo in un minuscolo villaggio delle Alpi che il secondo nella grande Roma, e ispirato dalle riforme a vantaggio dei più umili caldeggiate tempo prima dai fratelli Gracchi, si fece strada nei difficili ambienti della Repubblica tramite alleanze, denaro e una grande astuzia, fino al consolato e alla conquista della Gallia, che gli diede una profonda gloria personale. La sua influenza fu indubbiamente ampia, si rivelò un genio e un visionario, un uomo distinto, raffinato, audace e indulgente. Nel corso di tutta la sua esistenza operò con grande decisione per imporre il proprio volere agli eventi, e giunto ai livelli più alti del potere promosse una vasta opera di riforme con cui ammodernò e rinforzò le basi dello Stato. Al tempo stesso, però, non si negò atteggiamenti lussuriosi e feroci, tipici di un sovrano assoluto, e il suo potere personale andò inevitabilmente contro il tradizionale spirito della Repubblica, per quanto moribonda.
La resa di Vercingetorige, il condottiero dei galli;

Il 10 gennaio del 49 avanti Cristo, di ritorno dalla grande campagna militare con cui aveva conquistato la Gallia ed esteso il dominio romano fino all’ oceano Atlantico e al Reno, portando le legioni a invadere per la prima volta la Britannia e la Germania e a combattere in Spagna, Grecia, Ponto e Africa, rifiutò di obbedire a Gneo Pompeo, console insieme a lui e inoltre suo genero, che di comune accordo con il Senato gli aveva richiesto di congedare le proprie legioni e rientrare a Roma come privato cittadino: intuendo il pericolo che avrebbe corso consegnandosi indifeso ai suoi molti rivali, varcò arditamente il fiume Rubicone alla testa del suo esercito, violando la legge che proibiva ai comandanti militari di tornare armati in Italia, e puntò su Roma dando il via alla guerra civile. Terrorizzati, i senatori si strinsero attorno a Pompeo, che, nel tentativo di difendere le istituzioni repubblicane, organizzò un esercito a Farsalo, ma Cesare lo sconfisse duramente e lo inseguì in Egitto. I dignitari del faraone, il quattordicenne Tolomeo XIII, inizialmente accolsero Pompeo a braccia aperte, ma poco dopo lo uccisero nel desiderio di ingraziarsi il vincitore: per loro stupore, però, Cesare inorridì appena vide la testa mozzata del nemico rifugiato. Durante la sua permanenza nel regno delle piramidi, il grande condottiero si innamorò di Cleopatra, la sorella ventunenne di Tolomeo e sovrana insieme a lui, e intravedendo la possibilità di consolidare il potere romano in quell’ importante regione si inserì nell’ intricata controversia dinastica conferendo il trono unicamente a Cleopatra, con cui ebbe una travolgente storia d’ amore dalla quale nacque un figlio, Cesarione.
Nel 45 avanti Cristo, ormai padrone assoluto di Roma, tornò solennemente nella capitale, ove invitò la regina egiziana e il figlioletto tra il risentimento della popolazione per nulla attratta dai fasti orientali, celebrando le molte vittorie conseguite e accumulando nelle proprie mani tutte le maggiori cariche dello Stato, a cui aggiunse quella di dittatore, da cui trasse il potere assoluto. A differenza dei suoi predecessori, però, riuscì a farsela attribuire ufficialmente a vita. Posizionò i propri uomini nei posti principali della Repubblica e realizzò con ansia i tanti progetti sociali e amministrativi che affollavano la sua mente: combatté la povertà assegnando terre e grano ai bisognosi, frenò la bramosia dei governatori delle provincie controllandone i poteri e diminuendo la durata dell’ incarico, promosse l’ incremento delle nascite premiando le famiglie numerose e favorì interventi a vantaggio dei lavoratori agricoli, riducendo il numero degli schiavi e fondando colonie ove avviò numerose opere pubbliche.

Pur senza mai tralasciare gli ideali di democrazia che lo sospingevano fin dalla giovinezza, prese a comportarsi sempre più spesso da sovrano assoluto, denotando sentimenti di durezza che sfociavano in avvenimenti quotidiani spiacevoli e mortificanti: irritabilità, presunzione e scortesia si sostituirono rapidamente alla proverbiale generosità e signorilità che la gente aveva imparato ad amare in lui.
Peraltro, tra i senatori serpeggiava sempre più il malcontento e il timore che volesse diminuire il potere del Senato e trasferire a un successore il pieno potere ottenuto, resuscitando il sistema monarchico di cui Cleopatra e Cesarione un giorno sarebbero stati eredi: per l’ onore della città e il destino del suo dominio tutto questo non doveva assolutamente essere tollerato. Gaio Cassio Longino, uno dei senatori più influenti, che durante la guerra civile aveva sostenuto attivamente Pompeo, venendo poi graziato da Cesare, raccolse intorno a sé alcuni pari pompeiani e altri sempre più ostili al condottiero. Volendo confermare la credibilità delle sue motivazioni, persuase uno dei senatori e cittadini romani più rispettati per la sua virtù e onestà, Marco Giunio Bruto, discendente di quel Bruto che abbatté la monarchia, ad abbracciare la cospirazione nonostante fosse figlio adottivo dello stesso Cesare, e secondo alcuni addirittura in senso fisico: con la sua partecipazione aderirono alla causa oltre sessanta persone, alcune delle quali avevano peraltro ricevuto dal signore di Roma clemenza, cariche, gradi militari, onori e gloria, e tutti giurarono di difendere anche a costo della vita lo spirito repubblicano che si era consolidato negli ultimi cinque secoli e che avvicinava fortemente coscienze e idee.

Quando il Senato venne convocato per le Idi di marzo del 44 avanti Cristo nella Curia Pompeia, una delle sue numerose aule di riunione, voluta da Pompeo, i congiurati superarono le iniziali incertezze scegliendo di agire in tale occasione, presentandosi con coltelli che spacciarono per documenti. Quello stesso mattino, però, Cesare, che pochi giorni prima aveva confidato a un amico di desiderare una morte rapida e improvvisa, era assai turbato: sua moglie Calpurnia aveva avuto un sogno premonitore e lo scongiurava di non uscire di casa, mentre gli indovini compirono alcuni sacrifici il cui esito fu nefasto. Pensò quindi di mandare Marco Antonio, il suo migliore amico e fidato luogotenente, ad annullare la seduta prevista, ma i congiurati inviarono a casa sua Decimo Bruto per convincerlo a presentarsi in Senato, dal momento che i delegati lo stavano già aspettando: non si poteva annullare la seduta senza mancare loro di rispetto. Il condottiero diede ascolto a Decimo, che reputava un fedele amico, tanto da averlo nominato suo secondo erede nel testamento, e alle undici del mattino si mise in cammino fino alla Curia, senza la guardia del corpo di soldati ispanici che aveva sciolto poco tempo prima: solo i senatori e i suoi dignitari erano la sua «guardia».
Appena sedette, i congiurati lo circondarono come per rendergli onore, e uno di loro lo afferrò per la toga dando il segnale convenuto: la prima pugnalata lo colpì alla gola. Tentando di alzarsi in piedi, Cesare reagì afferrando il braccio dell’ assalitore e trapassandolo con l’ arma, ma venne presto colpito da tutte le parti, e volendo morire con dignità si coprì la testa con la toga, distendendola fino ai piedi e sopportando ogni colpo in silenzio, cadendo a terra agonizzante, ai piedi della statua di Pompeo. Mentre i senatori fuggivano spaventati e i congiurati ancora armati si riversarono nel Foro inneggiando alla libertà, Bruto gli diede il colpo fatale, guardando la sua vittima morire dicendo:
«Anche tu, Bruto, figlio mio…».
La notizia dell’ assassinio si sparse rapidamente per Roma, e tre schiavi deposero pietosamente il cadavere su di una lettiga, riportandolo a casa. La capitale del mondo si fece deserta, tra negozi chiusi, strade vuote e la gente trincerata in casa. Nonostante i tentativi di Bruto, la calma non tornò e i congiurati scelsero di ritirarsi in un luogo sicuro. Qualcuno decise addirittura di unirsi agli assassini sperando di trarne vantaggio, pur non avendo partecipato ai fatti.
Durante i funerali di Cesare, a cui partecipò una folla commossa, Marco Antonio pronunciò una toccante orazione funebre. Il defunto venne gloriosamente annoverato tra gli dei, e mentre il giovane Gaio Ottaviano, suo pronipote, figlio adottivo ed erede testamentario, celebrava i primi giochi in suo onore una cometa splendette per una settimana: il suo spirito era stato accolto in cielo.
Monumento di Cesare a Torino;

Il brutale assassinio di Cesare, «discendente da sangue reale e imparentato con gli dei», non ebbe affatto gli effetti sperati dai congiurati: la Repubblica romana fu sconvolta da tredici anni di guerra civile, e quasi tutti gli assassini vennero a loro volta uccisi nei successivi due anni. Cassio e Bruto vennero sconfitti da Ottaviano e Antonio durante la battaglia di Filippi: il primo si suicidò con lo stesso pugnale usato contro Cesare, mente il secondo con un colpo di spada.
Successivamente, Marco Antonio e Cleopatra si innamorarono e concepirono un ambizioso piano per fare di Alessandria d’ Egitto il nuovo centro del potere del mondo allora conosciuto: Ottaviano, divenuto console insieme ad Antonio, aizzò prontamente il Senato contro di loro, e li sconfisse durante la battaglia di Azio nel 31 avanti Cristo. Non volendo essere catturati vivi, i due amanti si uccisero. Paventando che un giorno volesse reclamare l’ eredità del padre, Ottaviano uccise Cesarione, e una volta rimasto solo al governo di Roma venne acclamato come il grande eroe della città, un ineguagliabile sostenitore della Repubblica, e secondo precisi calcoli politici instaurò ottimi rapporti con il Senato, che gli accordò i pieni poteri già conferiti a Cesare e il titolo militare di Imperatore, che fece di lui il comandante in capo di tutte le forze armate, e di Principe del Senato, che lo rese il senatore più importante, con il diritto di votare per primo, influenzando il voto degli altri. Proprio come a suo tempo Cesare aveva pensato, la Repubblica non venne mai formalmente abolita, ma mutata in una signoria soggetta al potere di un solo uomo che ne deteneva tutte le principali cariche: era nato l’ Impero.

Le Idi di marzo passarono pertanto alla storia come «Giorno del Parricidio», in cui era assolutamente proibito convocare il Senato, la Curia di Pompeo venne murata e nel Foro venne innalzata una colonna di marmo con la scritta: «Al Padre della Patria». Il sogno di Cesare avrebbe accompagnato Roma fino alla fine del tempo…

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